L'IMMAGINE E' TRATTA DALL'OPERA DI PIETRO ANDREA MATTIOLI MEDICO CESAREO INTITOLATA DISCORSI (...) NE' SEI LIBRI DI PEDANIO DIOSCORIDE ANAZARBEO DELLA MATERIA MEDICINALE: COLLE FIGURE DELLE PIANTE, ED ANIMALI CAVATE DAL NATURALE, CON DUE TAVOLE COPIOSISSIME: L'UNA INTORNO A CIO', CHE IN TUTTA L'OPERA SI CONTIENE; E L'ALTRA DELLA CURA DI TUTTE LE INFERMITA' DEL CORPO UMANO, IN VENETIA, APPRESSO NICOLO' PEZZANA, MDCCXLIV.
DA
LA PIAZZA UNIVERSALE DI TUTTE LE PROFESSIONI DEL MONDO
La messe più ricca di dati su TOMASO GARZONI
da Bagnacavallo
(1549/1589) proviene dalla seguente
Prefazione con cui Bartolomeo, fratello di Tomaso, editò postumo il Serraglio degli stupori del mondo, adducendo testimonianze di prima mano sull'esperienza esistenziale precocemente interrotta del poligrafo che per le sue opere conseguì fama nel suo secolo sì che i suoi lavori vennero tradotti in francese, tedesco, castigliano: Pregato e ripregato da diversi a formar come in compendio la vita dell'autore, ne potendomi così di leggero sottrarre da tanta istanza: ecco che io D. Bartolomeo fratello vero di esso a ciò mi accingo ad incominciare.
PIETRO ANDREA MATTIOLI (1501-1578)
vede la luce a Siena nel 1501 ma trasferitosi a Venezia, si laurea in medicina, esercitando la professione di medico prima a Siena e poi a Roma.
IN QUESTA EDIZIONE RARA DEL MATTIOLI, CONTENENTE MIGLIAIA DI FIGURE NEL TESTO, RISULTA ASSAI INTERESSANTE LA TRATTAZIONE "DEL MODO DI DISTILLARE LE ACQUE DA TUTTE LE PIANTE, E COME VI SI POSSONO CONSIDERARE I LORO VERI ODORI": IN MERITO SONO RIPRODOTTE GRANDI TAVOLE DELLE FORNACI.
OPERA DI TOMASO GARZONI
DISCORSO XLIX
DE' DISTILLATORI
Bellissima professione e utilissima al mondo è quella del DISTILLARE, né meno per antichità lodabile, overo onorata per l'aderenza d'infiniti gran personaggi che di quella si son mirabilmente dilettati.
Ritrovasi che Rasis e Albucasi, i quali hanno vissuto al mondo più di seicento anni or sono, d'essa hanno più volte fatto ne' libri loro degnissima menzione.
Ed Ermolao Barbaro le dà un'antichità maggiore di questa, addotto dall'invenzione d'un'arca antichissima che fu trovata sotto terra nel territorio d'Este, nella quale eran di fuori alcune lettere sacrate a Plutone, e dentro in essa vasi distillatori, segni evidenti e argomenti espressi che questa professione sia per antichità veramente celebre e pregiata.
Raimondo Lullio ancor'esso le attribuisce un'antichità assai grande mentre che afferma Ippocrate, medico eccellentissimo, aver di essa avuto qualche notizia e cognizione: il che si scopre (dic'egli) da quelle parole sue nel libro De' pronostici, ove dice ch'è necessario al medico sapere se qualche cosa di divino over celeste si trovi ne' morbi e malattie; la qual cosa ispone egli della cognizione della QUINTA ESSENZIA, di qualche cosa accomodata alla cura de' mali ch'egli intende di curare; benché Galeno, di contrario parere, isponga quel passo della notizia dell'aria che ci circonda, la qual è da Dio e propriamente dalla divina maestà deriva.
E Giacomo Antonio Cortuso (1513 - 1603), gentiluomo padoano, è di parere che Galeno, Aristotile e Ippocrate abbiano avuto notizia della QUINTA ESSENZIA, addotto dal libro d'Ippocrate Della natura umana e dai commenti di galeno sopra l'istesso, ove nel commento trigesimo ottavo dice, la terra deputata diventar più dura e soda del diamante istesso.
Aristotile, prendipe de' filosofi, nella meteora particolarmente mostrò d'aver qualche gusto e cognizione di quest'arte, mentre, scrivendo del mare, disse che il vino e tutti gli umori, quando, mutati in vapore di nuovo, consistono in umido, a un tratto diventano acqua.
Albucasi, medico eccellente, dice nel libro ch'egli nomina Il servitore qualmente i regi d'Abarach si dilettaron mirabilmente di quest'arte di distillare; e in esso dichiara il modo col quale dalle rose lambiccavano fuor l'acqua odorifera, ch'ora è cotanto commune presso tutti.
Anzi che Roberto re di napoli si legge ancora lui averne fatto particolar diletto e piacevole commercio.
L'istesso si narra d'Odoardo re d'Inghilterra, di cosimo de' medici, Gran Duca di Toscana, d'Ercole e Alfonso, serenissimi duci di Ferrara, del re Francesco Secondo.
Giovan Tomaso Frigio aggionge a questi il re di Dania; e Leonardo Fioravanti aggionge Antonio Altoviti, arcivescovo di Fiorenza, col sapientissimo Decio medico e Ieronimo Ruscelli, in questa professione celeberrimo affatto.
Oltra che tanti professori antichi si son trovati di essa, come Geber, Ortulano, Rosino, Raimondo, Filippo Ustadio tedesco, Morieno, Arnaldo di Villanova, Cristoforo Parisiene, Turba, Gilgilide, e infiniti altri che non importa molto l'annoverarli èstupisce però che fra tanti non venga citato Zefiriele Tomaso Bovio esperto distillatore e medico empirico in continua polemica coi medici razionali: il Garzoni temeva forse di inimicarsi qualche importante personaggio della medicina ufficiale nel contesto della Repubblica di Venezia atteso che si valse spesso del Bovio, in particolare del suo Melampigo - per varie notizie, anche bibliografiche - del Discorso XXIII (De' semplicisti ed erbolari) e del Discorso XXXIX (Degli astronomi e astrologi) della Piazza... ?]
Si fa pur anco questo: che gli Indiani popoli orientali si dilettano di quest'arte sommamente, imperoché dai rami incisi e troncati della palma overo della noce d'India distillano fuori un liquore, il qual si chiama sura, a quella guisa che si costuma di far l'acqua ardente.
Ora la DISTILLAZIONE non è altro che una eduzione per via di calore della parte più umida e del liquore acqueo, e una conversione di esso, per la frigidità dell'aria, in acqua mera.
Gli Arabi antichi l'hanno chiamata con più largo vocabolo SUBLIMAZIONE, perché i vapori ascendono in alto, ma però impropriamente, perché nella SUBLIMAZIONE i vapori non si risolvono in acqua, ma divengono più secchi, più puri, più netti, e s'aderiscono ai vasi e ai coperchi loro.
Ma la DISTILLAZIONE è sola quella che gli risolve in acqua.
E così pare che Giovan battista Montano, nel suo libro delle urine, pigliasse la SUBLIMAZIONE per la DISTILLAZIONE, dicendo che la sublimazione non è altro che una eduzione dell'umido dal calore.
Gli artifici e instromenti da distillare sono fornelli, boccie, lambicchi, recipienti, storte, orinali, capelli, feltri, pelicani, bagnimaria, circulatori d'Ermete, fornelli d'accidia, serpe, pignatte, crogiuoli, e simili altre cose, con le quali si distillano quanti oglii, acque e liquori possono distillarsi al mondo.
E in questa professione l'arte gioca e trastulla veramente con la natura, anzi (come dicea Zenone) la natura istessa artificiosamente camina, e si vedono miracoli tali che a pena paiono credibili, come da cose aridissime, da legni, da pietre, da metalli distillarsi umori, e generarsi fiori, prati, montagne, grotte, laghi, riviere, fiumi, fonti, arbori, frutti, verdure, sommamente all'occhio curiose e dilettevoli.
Con quest'arte divina si conciliano le cose fra loro estremamente inimiche; e si vede il calcanto, verbi gratia, di sua natura nociva allo stomaco, sì come provocativo del vomito (come nota Galeno) voltarsi in oglio stillato, e allora giovarli, aiutarlo, roborarlo, eccitar l'appetito infermo, scacciar la putredine degli umori, e dimostrarsi maraviglioso fautor di quello in ogni parte.
Con quest'arte si fa quell'acqua ardente da Michele Savonaruola, con l'essempio dell'isperienza fatta in Antonio da Scarparia e in Giovan Francesco Gonzaga, mirabilmente celebrata; e così da Evonimo con molte lodi nel suo libro Della distillazione magnificamente lodata.
Con quest'arte si fan quegli oglii composti di pece, zuccaro, mele, resina, cera, larice, pino e cedro, i quali agevolmente superano la forza del fuoco tanto spiritoso e attivo, onde par che sia quasi falso quel detto d'Ippocrate nel settimo libro de' suoi Aforismi, ove dice:" Quae ignis non sanat, ea incurabilia putare oportet", eccedendo questo oglii nella curazione delle piaghe e dell'ulcere infistolite di grandissima lunga la virtù del fuoco.
Con quest'arte si fa l'elixir così cordiale, inventato da' soli distillatori, il quale a un certo modo ingiovanisce l'uomo, li prolonga la vita, lo rinuova di dentro e, quasi novella fenice, lo rende agli occhi altrui spettabile e maraviglioso.
però benissimo conchiuse Tomaso Erasto, nel suo libro De' metalli che "Vix absoluta est ars medica sine distillatoria", imperò che, se non fossero l'acque distillate, i licori, gli oglii, e tant'altre materie che ne' vasi di vetro, d'argento e oro (essendo quelli di piombo reprobati da Michele Savonaruola nel suo libro Dell'acqua ardente intitolato a Leonelle Estense marchese di ferrara) si distillano, io non so come potrebbono i medici introdurre acconciamente mai la desiderata sanità nel corpo dell'uomo.
Ma fanno questi DESTILLATORI ancora loro cose indegne dell'arte qualche volta, e contraria all'onorata professione c'hanno presa, percioché non mancano dentro all'officine loro acque di mille sorti per meretrici e ganimedi da destar la lascivia che fosse addormentata; e tante varie sorti di belletti procedono parimente da quest'arte alchimistica.
la quale ha preso commercio con gentiluomini e signori - in balsami artificiati, in aceti stillati, in oglii soluberrimi, in elettuari angelici - e con meretrici e ruffiani - in biacche, in canfore, in solimati e in mille poltronerie che le rendono più che carogne ammorbate, fetide e puzzolenti appresso a tutti.
Io tacerò per onestà quell'acque e quei sughi i quali solo in atti e opere disoneste s'usano tutto il dì dalla infame e viziosa scuola di questi scorretti, perché talora col mio dire non imparassero i più semplici la malizia inventerata di queste persone laide, oscure e vituperose.
Né anco dirò le furbarie che fanno alcuni con questi oglii stillati e con queste acque, dando a capire al mondo che siano acque di cedro, di naranzo, di gelsomini, di garofoli, di spicco, e oglii di sasso, di tartaro, di solfere, né ritengono a pena una minima particella di quel tanto che la maliziosa lingua fabrica astutamente appo le orecchie di questi e di quell'altro.
All'ultimo pochi DISTILLATORI sono che non facciano del medico a più potere, e presumono tanto di alcune isperienze, a caso e per sorte provate, che, senza tener niun conto di regole né di canoni medicinali, van per le case medicando questo e quello; e molte volte applicando i rimedi al contrario, danno occasione agli infermi di chiamarli desfilatori (individui che spellano) in luogo di destillatori, desfilando i corpi con gli onti calidi ed eccessivi, come interviene a chi si fida dell'imperizia e ignoranza loro.
E hanno anche una parte irrazionabile e stolta alcuni di essi, ché si compiacciono tanto in coteste lor'acque e sughi, che fanno del Matiolo affatto appresso alla brigata, con tanta risa e scicchezza che diresti talora che avessero fitto il capo e il viso dentro a un lambicco di acqua melata, cotanto s'addolciscono di parlar d'erbe diverse: di lunaria, di tapsia, di serpentaria, di pentafilon, di ferula, di centaurea, di gigli, di rose, di radici, di gomme, di sali, di minerali, ove dalla matina alla sera non parlano d'altro che di queste misture e composizioni loro, con tanta nausea degli uditori che il reubarbaro assai meno muove la colera delle persone inferme.
E questo basti per narrar brevemente le virtù e i vizi di questa professione distillatoria.
Annotazione sopra il XLIX discorso
Vedesi intorno a' distillatori il Cardano, nel libro decimo De rerum varietate, al cap. 50, dove dice molte belle cose.
Nacque il P. D. Thomaso (così nominato all'ingresso in Religione, poiché nel secolo fu detto Ottaviano), l'anno del Signore 1549 nel mese di marzo in Bagnacavallo, Terra molto nobile e illustre, o per il territorio fruttifero, o per gli uomini in arme e in lettere famosi, sì che nella Romagna ove risiede, tiene luogo celebratissimo.
I genitori suoi e miei furono per beni di fortuna deboli, ma generosissimi oltre il loro grado nel provvedere ai figli ogni buona educazione.
Il Padre si chiamò Pietro di casa Garzoni, la madre Altabella di casa Lunarda.
Dalla natura si vide dotato di gran vivacità d'ingegno...
Nelle lettere umane fece prestissimo profitto sotto la disciplina di quella veneranda memoria di M. Filippo Ossano da Oriolo Castello dell'Imolese e di 14 anni cominciò a studiar legge, andando prima a Ferrara e dopo a Siena, ma non finì appena il terzo anno, che cambiò pensiero dandosi a studiare alla facoltà di logica, e tocco da particolar illuminazione si mise a far vita ritirata con disciplinarsi e mortificarsi, frequentando a più potere i Santissimi Sacramenti... ascoltando (il predicatore) dottissimo e eccellentissimo P. Predicatore D. G. F. Gori da Bagnacavallo... entrò nella Congregazione Lateranense nella celebre Canonica di Santa Maria in Porto di Ravenna il giorno di S. Luca del 1566 in età di 17 anni e mesi tre, dal molto venerando D. Vitale de Mercati di Ravenna fu con allegria vestito.
[...] In questo stato non è facile raccontare quanto apparisse mirabile ora in dispute, ora in prediche, ora in letture, ma senz'altro fu ragguardevole nel comporre Hinni, Salmi e Cantici spirituali; possedé più di una lingua, così bene parlava lo spagnolo, e con grande ardore si mise ad imparare la lingua ebraica, e fece stupire gli insegnanti per il gran progresso.
Non fu storico tra i latini e i volgari (che) da lui non fosse studiato, non oratore, non poeta sicché in queste professioni fu singolare e pochi gli furono eguali.
La sua memoria fu tenacissima: l'apprensione acutissima e la disposizione tanto vigorosa, che non solo componeva a lungo senza cancellazioni, ma in brevissimo tempo portava a compimento ogni suo discorso.
Quindi non è meraviglia se per le stampe vola la sua fama in ogni lato con ali d'oro e sommi applausi e con eccelsa gloria.
Ma non voglio tacere, che se ben spinto dall'altrui compagnia giovanile, e da una sua particolare inclinazione alle cose umane, proprie a soggetti accademici, acconsentì alla formazione di quelle opere, cioè: "Del teatro dei cervelli umani", "Dell'hospedal de' Pazzi", "Della sinagoga universale", "Della Piazza universale".
Nondimeno non essendo affatto gravi, egli usò maturità et grande giudizio, mentre non volle apporre al suo nome il titolo di religioso, qual in altre più accomodate a tal stato egli non negò, come: "Le vite delle donne illustri e laide della Sacra Scrittura", "Traduzione dei novissimi di Dionisio Cartusiano", "Revisione delle opere di Ugo di S. Vittore", "Discorso curiosissimo dell'huomo astratto".
S'affaticò inoltre nel comporre altre opere, ma in particolare la presente da lui promessa sotto il nome di "Palagio"; ma è parso bene a me intitolarla così.
Et nel fine di tutte le opere chi può negare che non aspirasse a cose alte?
Egli qual altro S. Tomaso vicino alla morte incominciò a comporre sopra la Cantica di Salomone.
Pertanto con queste scelte preminenti giunse il P. D. Thomaso all'ultimo dei suoi giorni, era l'anno del Signor 1589, avendo finito il quadragesimo di sua età agli otto di giugno fra le 18 e 19 ore, intendendo sempre quanto egli diceva e ragionando egli in proposito fin all'estremo, chiuse molto contrito gli occhi alla presenza mia et de' cari Genitori in Bagnacavallo con gran concorso nella Chiesa di S. Francesco; et honorandolo con bellissima orazione funerale M. R. P. Fra Francesco da Tussignano nobilissimo soggetto franciscano.
Si sposta a Trento nel 1527, divenendo medico personale del Principe Vescovo.
Al potente protettore dedica il trattato De morbo gallico e il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento, editato nel 1539.
Quest’opera costituisce un documento di grande importanza, perché fornisce preziose informazioni sul nuovo aspetto assunto dal Castello del Buonconsiglio dopo gli interventi architettonici di gusto rinascimentale voluti da Bernardo Cles.
Mattioli rimane in Trentino per circa un trentennio e soggiorna particolarmente in Val di Non, nei dintorni di Trento e sul monte Baldo.
In queste zone di montagna ha modo di dedicarsi alla botanica, sua grande passione e di venire in contatto con quel bagaglio di conoscenze e tradizioni popolari riguardanti la natura, che forniranno la base delle sue ricerche sulle proprietà terapeutiche delle piante.
Nel 1539, forse a seguito della morte del Principe Vescovo Cles, parte alla volta di Gorizia e, in seguito, di Praga.
Nel 1544 pubblica a Venezia l’opera a carattere naturalistico e terapeutico che lo rese celebre: i Commentari a Dioscoride Anazarbeo, arricchita in seguito con ulteriori indicazioni tratte da altri autori classici.
Raggiunge l’acme della sua carriera nel 1555, quando Ferdinando I d’Austria lo chiama a corte come medico personale del suo secondogenito.
Mattioli resta a servizio degli Asburgo fino al 1571, anno in cui decide di far ritorno a Trento, dove rimane fino alla morte.
La sua pietra tombale è tuttora posta all’ingresso del Duomo di Trento.
Merita di esser ricordata, in merito all'economia di questo lavoro, una sua rilevazione:
Nel terzo libro di Dioscoride capitoli VIII e IX:
“Del Chameleone bianco”
Il Chameleone bianco (Carlina volgarmente in Toscana, come per quasi tutto il resto d’Italia imperche si crede il vulgo che dall’angelo fusse ella dimostrata à Carlo Magno per uero rimedio della peste) e chiamato da alcuni IXIA, per ritrovarsi in alcuni luoghi intorno alle radici sue un certo vischio, il quale usano le donne in cambio di mastice. Ha le foglie simili al silibo, ouero al cardo, ma più aspre, più acute, & più ualide di quelle del chameleone nero. Non fa fusto, ma produce nel mezzo spini, simili al riccio marino, & alla cinara. I fiori fa rossi, & lanuginosi. Il suo seme è simile al charthamo.
Nelle colline amene fa la radice grossa, & graue d’odore.
Questa bevuta con vino austero, & succo d’origano bollito al peso d’uno acetabolo, ammazza i vermini larghi del corpo. Dassene una dramma con uino commodissimamente à gli idropici: percioche gli disecca. La sua decottione uale à procurare l’orina ritenuta. Bevuta la radice con vino, è veleno delle serpi. Mescolata con polenta, ouero con acqua, & con olio ammazza i cani, i porci, & i topi”.