riproduzione di Bartolomeo Durante

CLICCA PER GIRARE PAGINA: RIPRODUZIONE DA ESEMPLARE DI BIBLIOTECA PRIVATA DI VENTIMIGLIA










Nell'immagine sopra proposta si vede il FRONTESPIZIO di una pubblicazione in cui fu riprodotta integralmente nel 1832, per i tipi del "libraio torinese Vccarino"
una VERSIONE di quella LETTERA ENCICLICA MIRARI VOS (del 15 agosto 1832) del PONTEFICE ROMANO GREGORIO XVI che ha i connotati, ancor più che di richiamo alla fedeltà dei popoli rivoltosi dello STATO DELLA CHIESA, di severa risposta al MEMORANDUM congiuntamente inviatogli l'anno precedente dalle principali potenze (Austria, Prussia, Francia, Inghilterra, Regno di Sardegna) onde provvedere ad una serie di adeguate riforme amministrative e giuridiche del suo arretrato Stato.
Dopo una premessa che anticipa un sostanziale attacco al MODERNISMO ed al PENSIERO RAZIONALISTA il documento papale scende nel dettaglio di specifiche argomentazioni ed analizza molteplici aspetti della società contemporanea che secondo la CHIESA coimplicano una serie di aspetti negativi e decettivi.
In primo luogo l'ENCICLICA (di cui si possono leggere altre più MODERNE VOLGARIZZAZIONI) si sofferma sul tema del corrente ANTICLERICALISMO.
Come secondo punto viene dibattuta la questone dell'INSEGNAMENTO non adeguato alle esigenze della CHIESA moderna.
Succede a siffatto punto un RICHIAMO AI DOVERI DI SACERDOTI E PASTORI D'ANIME.
Viene poi affotata la QUESTIONE DEL MATRIMONIO già posta in discussione dalle postulazioni rivoluzionarie e napoleoniche ma, all'epoca di GREGORIO XVI, causa di attrito in particolare, con la PRUSSIA.
Segue quindi una disquisizione sul corrente tema dell'INDIFFERENTISMO dei nuovi tempi e delle nuove idee.
Tale discorso presuppone in maniera consequenziale una serie di riflessioni sui temi di LIBERTA' DI COSCIENZA e LIBERTA' D'OPINIONE avversati dalla CHIESA.
A siffatta tematica segue in maniera subitanea l'argomentazione della LIBERTA' DI STAMPA.
Sulla direttrice di riflessioni logiche si affronta quindi in maniera quasi scontata la vexata quaestio dell'INDICE DEI LIBRI PROIBITI.
La riflessione si sposta quindi sull'argomento della FEDELTA' DEI CRISTIANI AI PRINCIPI REGNANTI.
Procede da qui una riflessione alquanto importante ed attuale sul tema della SEPARAZIONE FRA CHIESA E STATO.
All'epoca di GREGORIO XVI risultano questi argomenti di grande rilievo attesa, sulla scia del dispotismo illuminato, la postulazione di rinnovati rapporti tra ISTITUTO ECCLESIASTICO E GOVERNI TEMPORALI
Il ragionamento dell'ENCICLICA MIRARI VOS verso la fine si sviluppa quindi nel campo specifico della sfera intellettuale e peculiarmente sulla questione dei rapporti intercorrenti tra FILOSOFIA E RELIGIONE.















GREGORIO XVI, al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari, nacque da un uomo di legge (Giovan Battista Cappellari) e da Giulia Cesa Pagani nel 1765 e per molteplici aspetti fu EMBLEMA di quella sostanziale RADICALIZZAZIONE CONSERVATRICE che caratterizzò, prima della salita al soglio romano di PIO IX, la STORIA POLITICA, AMMINISTRATIVA, GIURIDICA ED IDEOLOGICA DELLA STATO PONTIFICIO.
Indirizzatosi alla vita ecclesiastica il futuro Papa entrò in un cenobio camaldolese (di S. Michele di Murano presso Venezia) nel 1783 e prese il nome di Mauro, pronunciando i voti nel 1786 per essere fatto sacerdote nell'anno 1787.
In qualità di assistente del "Procuratore generale" del suo Ordine raggiunse Roma nel 1795.
Nella città romana editò una pubblicazione in cui esaltò le dottrine papiste contro febroniani e giansenisti: Trionfo della Santa Sede e della chiesa contro gli assalti dei novatori combattuti e respinti con le loro stesse armi (1799).
Dopo esser stato abate del convento di S. Gregorio sul Celio ebbe poi nel 1823 gli incarichi di Procuratore generale e quindi di Vicario generale dell'Ordine camaldolese.
Oltre a questi nuovi suoi doveri in Curia svolse la sua attività a titolo di consultore di diverse congregazioni cardinalizie.
Il 25 marzo 1825 il Sommo Pontefice LEONE XII lo fece cardinale pectore e finalmente lo pubblicò col titolo presbiteriale di S. Callisto (13 marzo 1826).
Morto il papa B.A.Cappellari fece parte della ristretta schiera dei papabili e fu in particolare, durante il conlave del febbraio-marzo 1829, l'"uomo di punta" di quanti andavano cercando un punto di incontro ed accordo fra "zelanti" e "politici": tuttavia non salì al soglio di Pietro venendo invece eletto Pio VIII.
Trascorso il breve pontificato di questo pontefice nel nuovo conclave iniziatosi il 14 dicembre 1830 ebbe dapprima ben pochi voti, fino a quando si vide da un lato che era improponibile la pur caldeggiata candidatura del cardinale Pecca (sostenuto dal partito Albani o dei "tedeschi") e che, d'altro lato, la candidatura del cardinale sostenuto dagli "zelanti", Giustiniani, era destinata a cadere per l'opposizione della Spagna.
Non fu facile per il Cappellari essere eletto e la lotta in conclave si protrasse per un certo tempo, sin a quando in particolare l'Austra non diede il suo benestare appunto a favore del Cappellari.
Finalmente, il 2 febbraio 1831, questo fu eletto con 32 voti su 45 disponibili: egli assunse il nome di GREGORIO XVI e suo Segretario di Stato venne nominato il cardinale Bernetti, peraltro ben accetto dalla Francia, che aveva già ricoperto ruoli di governo sotto il regno di Leone XII.
Gregorio XVI si imbattè subito nei gravi problemi che i nuovi tempi, stretti fra i vecchi moti risorgimentali del 1821 e quelli in divenire del 1831, sembravano presupporre: infatti appena due giorni dopo la sua elezione il novello Papa si vide costretto ad affrontare la delicata questione della rivoluzione nelle Romagne e del fatto che gran parte dello Stato della Chiesa era andato staccandosi dal governo centrale per darsi una forma autonoma, con capitale in Bologna, sotto denominazione i "Province unite italiane".
Dopo qualche grossa difficoltà, tanto che si ideò una prudenziale fuga del Papa dallo Stato, la situazione tornò sotto il controllo ecclesiastico, anche in dipendenza del fatto che Roma ed il Lazio si mantennero fedeli al governo pontificio, sì che venne facilmente piegata l'azione insurrezionale di un limitato gruppo di rivoluzionari che il 12 febbraio cercò di impadronirsi del Campidoglio e di Castel Sant'Angelo.
Partendo da siffatti presupposti risultò facile per l'Austria soffocare in tutte le terre dello Stato della Chiesa ogni forma indipendentisica.
Avvennero tuttavia dei fatti significativi che obbligarono subito Gregorio XVI a scelte non facili.
In particolare è doveroso segnalare quanto accadde al cardinale Benvenuti che il Papa aveva spedito qual suo legato nei territori insorti.
Il cardinale era stato sorpreso dai rivoluzionari che lo avevano fatto prigioniero: con lui il governo degli insorti concluse poi, il 26 marzo del 1831, una capitolazione che comportava una generale amnistia.
GREGORIO XVI inizialmente si ispirò alla più assoluta intransigenza ma la tensione internazionale si fece aspra tanto che la Francia intervenne a più riprese per indurre il Papa a mitigare le sue scelte e finalmente concedere un'amnistia da cui restarono escluse però una trentina di individui ritenuti gravemente compromessi politicamente ma che avevano provveduto a mettersi per tempo in salvo in terriorio d'altri Stati.
Le grandi Nazioni (Austria, Russia, Prussia, Francia ed Inghilterra), con la partecipazione del Regno Sardo, vista l'arretratezza soprattutto, ma non solo, giuridica dello Stato Pontificio, ritennero opportuno, soprattutto al fine di spegnere nell'Italia centrale pericolosissimi focolai insurrezionali, intervenire presso la Santa Sede con un collettivo memorandum, del 21-V-1831.
Il memorandum in particolare indicava l'opportunità di significative riforme tanto in campo amministrativo che giudiziario.
La Santa Sede accolse solo parte dei suggerimenti e non tutte le riforme vennero soddisfatte di maniera che specialmente nelle Legazioni gli elementi progressisti, una volta che furono riterate le guarnigioni austriache, ripresero la via dei tumulti di piazza ed anche delle rivolte.
Data la situazione e intenzionato ad evitare la sempre soffocante presenza di truppe imperiali, il legato cardinale Bernetti tentò di risolvere autonomamente lo stato di crisi e fece intervenire le milizie pontificie: per sottomettere Cesena (20 gennaio 1832) al governo centrale si ricorse tuttavia a saccheggi e uccisioni di persone indifese che suscitarono vivo scandali in tutta Europa.
Anche grazie a siffatta giustificazione, di fronte alle altre potenze, le forze austriache entrarono nuovamente nello Stato pontificio e presero il controllo di cesena: tuttavia la Francia, erettasi per scelta politica a paladina delle forze progressiste, spedì suoi soldati ad occupare l'importante piazza di Ancona (22 febbraio 1832).
La doppia occupazione straniera si sarebbe protratta addirittura al 1838 ma senza impedire che le Legazioni e le Marche venissero squassate da scontri facinorosi, sia per la resistenza dei rivoluzionari che per le violenze perpetrate dai "centurioni", come cioè si nominavano i volontari indigeni che il legato Bernetti era andato organizzando.
Il potente plenipotenziario austriaco Metternich non aveva simpatia per il cardinale Bernetti che riteneva troppo tergiversante e per questa motivazione il suo posto venne ricoperto dal Lambruschini, decisamente più reazionario e conservatore.
Per quanto il Papa andasse dimostrando una certa comprensione per le popolazioni e le loro esigenze lo Stato pontificio venne caratterizzato da gravi forme di arbitrio poliziesco e giuridico, da ingiustizie e vessazioni, dalla palese incapacità dei governanti, tutti appartenenti al clero, e dalla generale corruzione dei ceti dirigenti intermedi e della burocrazia.
La crescita demografica di Roma (da 128.000 residenti a 170.000) parve in qualche occasione la risultanza di certi provvedimenti politici ma in effetti le finanze dello Stato erano assai malmesse, tanto che il deficit annuale e il debito pubblico si accrebbero giungendo nel 1846 alla cifra di 14 milioni di scudi.
Del resto lo stato insurrezionale, anche nei periodi di apparente latenza, continuava a sussistere, specialmente in Romagna: non a caso proprio Bologna nel 1843 si verificò un'insurrezione domata a fatica e in virtù del terrore generato dall'uso delle esecuzioni capitali, ben 7 nel 1844.
In relazione a ciò il governo di GREGORIO XVI non conobbe mai pace o perlomeno quiete: e non a caso alla morte del papa nel 1846 le carceri papali risultavano zeppe di prigionieri politici mentre nelle Romagne l'opposizione al governo aveva superato il limiti di guardia.
Paternalista e propugnatore, seppur senza grossi risultati, di qualche PRUDENTISSIMA RIFORMA ma estremamente conservatore GREGORIO XVI esternò anche in politica internazionale la sua postazione ideologica.
Per siffatta motivazione venne pubblicata l'ENCICLICA MIRARI VOS che comportò la CONDANNA DEL MOVIMENTO LIBERALE E CATTOLICO che faceva capo al pensatore francese Lamennais.














I contrasti con il GOVERNO PRUSSIANO risiedevano in particolare nella QUESTIONE DEI MATRIMONI MISTI cioè tra CATTOLICI e PROTESTANTI che lo STATO DELLA CHIESA e la PRUSSIA intendevano regolare in maniere divergenti.
L'acme di questa serpeggiante crisi si ebbe comunque dopo la pubblicazione della MIRARI VOS e in dettaglio quando l'arcivescovo di Colonia Droste-Vischering che voleva attenersi rigidamente alle direttive pontificie venne arrestato e internato in una fortezza nell'anno 1837.
GREGORIO XVI si schierò con estrema decisione dalla parte dell'alto prelato e pronunziò una ALLOCUZIONE CONCISTORIALE il 10 dicembre del 1837.
Poco dopo un simile conflitto di interessi esplose nella diocesi di Gnesen-Posen e mise di fronte al governo prussiano l'arcivescovo Dunin: ed anche in questa evenienza il Papa intervenne pubblicamente con l'allocuzione del 13 novembre 1838.
Lo scontro venne quindi risolto in vigore della CONVENZIONE del 23 novembre del 1841 tra Roma e Berlino.
In base ad essa, oltre ai MATRIMONI MISTI, vennero regolamentate altre questioni potenzialmente causa di controversie e tutto ciò in modo sostanzialmente favorevole al GOVERNO PONTIFICIO anche se l'arcivescovo DROSTE non venne mai più reintegrato nel possesso della sua cattedra.
Punto cardine della CONVENZIONE fu in particolare l'impegno solenne del GOVERNO PRUSSIANO di non favorire in alcuna maniera l'HERMESIANISMO vale a dire un particolare indirizzo teologico, nominato dal suo ispiratore il professore di Munster Georg Hermes, basato su postulazioni teologiche di indirizzo razionalistico.



Ai tempi di GREGORIO XVI si fece strada l'idea dell'opportunità di un CONCORDATO che governasse divergenze insorte tra AUSTRIA e STATO DELLA CHIESA sulla scorta del GIUSEPPINISMO e della legislazione che da esso, quale espressione di dispotismo illuminato, ne era derivata: sul momento non si ebbero prese di posizione a favore di una revisione legislativa ma in seguito la legislazione, con una attenuazione del GIUSEPPINISMO, venne "addolcita" secondo una linea più favorevole alle sorti della CHIESA CATTOLICO ROMANA.
Pure in AUSTRIA del resto, seppur meno seriamente che in PRUSSIA, si era posta la QUESTIONE DEI MATRIMONI MISTI: questione che, dopo qualche iniziale difficoltà, venne comunque risolta senza conoscere gli estremismi di area germanica.
La CHIESA DI ROMA ebbe altresì la necessità di risolvere qualche contenzioso in essere nell'ambito del GRANDUCATO DI TOSCANA ove vigevano le disposizioni illuministiche leopolidine.
Le relazioni fra CHIESA DI ROMA e REGNO DI SARDEGNA erano tradizionalmente ottimale ma tuttavia anche in questo caso fe necessario qualche correttivo: in particolare si rese opportuno risolvere la QUESTIONE DEI REGISTRI DELLO STATO CIVILE che trovò risoluzione con l'accettazione da parte dello Stato sabaudo, per volere del re Carlo Alberto, di farli regolare dal clero a condizione però che la loro tenuta avvenisse in duplice esemplare.
Si curò poi di regolamentare anche l'istituto dell'IMMUNITA' ECCLESIASTICA limitandone gli eccessi in forza di un CONVENZIONE datata 27 marzo 1841.
Anche nel REGNO DI NAPOLI, sulla medesima questione, si addivenne ad una CONVENZIONE (1834) i cui dettami risultarono comunque favorevoli alla CHIESA.
Più complicata fu la soluzione dei CONTRASTI insorti fra la CHIESA DI ROMA e la SPAGNA ai tempi del regno di Isabella, allorché GREGORIO XVI dovette affrontare vari conflitti per le promulgate LEGGI ANTICLERICALI.
In effetti l'asprezza di queste LEGGI risultò collegata alle scelte dei REGGENTI (attesa la minore età di Isabella) ed in particolare del REGGENTE ESPARTERO sotto la cui guida l'anticlericalismo raggiunse i suoi massimi vertici (1840-1842).
Dopo la caduta di Espartero e con la conseguita maggiore età da parte di Isabella la crisi fu sveltamente risolta in funzione di un CONCORDATO del 27 aprile 1845.
Visto però che il contenuto del CONCORDATO risultava eccessivamente favorevole alla causa di Roma, la componente liberale spagnola avanzò tali contestazioni che il capo del governo Narvaez ritenne opportuno negare la ratifica.
Molto più seria fu comunque la controversia tra CHIESA DI ROMA e PORTOGALLO, soprattutto dopo la sconfitta del "miguelismo".
I provvedimenti governativi furono infatti drastici con una sostanziale epurazione del corpo episcopale e nuove nomine di porporati unilateralmente fatte dal governo.
Per siffatte ragioni si ebbe una ROTTURA DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE e si corse il severo rischio di uno SCISMA avverso il quale dal Papa furono pronunciate varie ALLOCUZIONI di modo che vennero riprese le TRATTATIVE si potè giungere nel 1843 ad un ACCORDO per quanto provvisorio.
Nel contesto dello ZARISTA IMPERO RUSSO il Papa ritenne di favorire le sorti della CHIESA DI ROMA prendendo posizione contro la RIVOLUZIONE POLACCA, al punto di interdire, con un intransigente richiamo alla fedeltà all'autorità papale posta da Dio in terra, qualsiasi posizione dei vescovi polazzhi favorevole alla causa degli insorti.
E tuttavia, attesa la continuazione della vecchia politica degli Zar mediamente avversa su tutto il vasto loro territorio al CATTOLICESIMO ROMANO, il Pontefice si vide costretto ad avanzare reiterati reclami presso la Corte, valendosi in qualche occasione del pur indolente soccorso diplomatico dell'IMPERO D'AUSTRIA.
La chiave di volta del DISSIDIO risiedeva sempre nelle misure auspicate ma non effettuate da parte del governo zarista onde ricondurre la scismatica chiesa rutena greco-unita all'ortodossia: un ritorno già postulato in un sinodo del 1839.
Vista non solo l'inerzia dell'IMPERATORE DI RUSSIA ed anzi la sua oppressione nei riguardi del CATTOLICESIMO il Papa si lasciò andare a pubbliche proteste sublimate nell'ALLOCUZIONE CONCISTORIALE del 22 luglio 1842.
Nulla comunque si ebbe a livello di risultati anche con varie trattative succedutesi.
In effetti lo zar si recò a Roma nel dicembre del 1845 e si ebbero tra lui e GREGORIO XVI due colloqui ufficiali che, se non ebbero le tonalità drammatiche che gli conferirono dicerie e pettegolezzi, nulla produssero di risolutivo.













Il Memorandum fu pubblicato il 21 maggio 1831:
Sembra ai rappresentanti delle cinque potenze che nello Stato della Chiesa si devono stabilire, per vantaggio generale d'Europa, due capi fondamentali:
1° che il governo di questo Stato sia fondato sopra basi solide con il mezzo di opportuni miglioramenti, come Sua Santità stessa ha pensato e annunciato all'inizio del suo regno;
2° che simili miglioramenti, i quali, giusta l'espressione dell'editto di S. E. monsignore il cardinal Bernetti, fonderanno un'era novella per i sudditi di Sua Santità, siano per mezzo di una garanzia interna messi al sicuro dalle mutazioni inerenti alla natura di un governo elettivo.
A fine di raggiungere questo scopo salutare il quale importa molto all'Europa per causa della posizione geografica e condizione sociale dello Stato della Chiesa, sembra indispensabile che la dichiarazione organica di Sua Santità parta da due vitali principi:
1° di attuare i miglioramenti non solo nelle province, dove è scoppiata la rivoluzione, ma anche in quelle che sono restate fedeli e nella capitale;
2° dall'ammettere i laici alle funzioni amministrative e giudiziarie.
Pare che i miglioramenti stessi debbano abbracciare il sistema giudiziario e quello dell'amministrazione municipale e provinciale. In quanto all'ordine giudiziario pare che l'intera esecuzione e il conseguente adempimento delle promesse e dei principi del "motuproprio" del 1816 presentino i modi più sicuri e più efficaci per far cessare le molte lagnanze generali a questa parte così rilevante dell'ordinamento sociale. In quanto all'amministrazione locale pare che lo stabilimento e l'ordinamento generale dei municipi eletti dalla popolazione e l'istituzione delle franchigie municipali per regolare l'azione di questi municipi debbano essere la base indispensabile di ogni miglioramento amministrativo. In secondo luogo pare che l'ordinamento dei consigli provinciali (sia con un consiglio amministrativo permanente, destinato a coadiuvare il governo della provincia nell'esecuzione delle suo funzioni con attribuzioni convenienti, sia con una riunione più numerosa, tratta principalmente dal seno dei nuovi municipi, e destinata ad essere consultata intorno agli interessi più rilevanti della provincia) debba riuscire grandemente utile per migliorare e semplificare l'amministrazione provinciale, per sindacare l'amministrazione comunale, per ripartire le imposte e per far conoscere al governo i veri bisogni della provincia.
Pare che l'immensa importanza di uno stato regolare di finanza e di un'amministrazione del debito pubblico capace di dare la guarentigia tanto desiderabile per il credito finanziario del governo che contribuirebbe essenzialmente ad aumentare i suoi proventi e ad assicurare la sua indipendenza, rende indispensabile uno stabilimento centrale nella capitale, incaricato, come Corte suprema dei conti, di sindacare la contabilità del servizio annuo in ogni ramo dell'amministrazione civile e militare e di sorvegliare il debito pubblico con le attribuzioni corrispondenti al salutare scopo. Quanto più una tale istituzione sarà indipendente e mostrerà l'unione intima del governo con il paese, più essa risponderà alle intenzioni benefiche del sovrano e alle aspettative dell'universale. Pare che, per ottenere questo scopo, dovrebbero essere scelte nei consigli locali formanti con i consiglieri del governo una consulta amministrativa, la quale potrebbe o non, formar parte di un Consiglio di Stato, i cui membri sarebbero dal sovrano indicati fra i più qualificati nel paese per nascita, per censo o per talento. Senza uno o più ristabilimenti centrali di questa natura, intimamente legati con le persone notabili di un paese tanto ricco di elementi aristocratici e conservatori, si crede che la natura di un governo elettivo toglierebbe per necessità ai miglioramenti che formeranno l'eterna gloria del regnante Pontefice quella stabilità, di cui si sente dall'universale potentemente il bisogno, e sarà più vivamente quanto più i benefici del Pontefice saranno grandi e preziosi
.