ALARICO I

Nato a Perice sul Danubio Alarico re dei VISIGOTI invase i Balcani nel 395 e l'Italia nel 401 ma fu sconfitto in varie battaglie dal generale dell'impero Stilicone, in particolare a Pollenzo nel 402 sì che, con l'esercito in disfatta, dovette ritirarsi dalla penisola. Tornò nel 408, non trovando più sulla propria strada Stilicone stoltamente eliminato dalle gelosie di corte, e saccheggiò Roma nel 410, mentre altre direttrici di conquista venivano percorse dai suoi generali come Ataulfo che attraversò da conquistatore l'indifesa Liguria alla volta delle Gallie. Alarico intanto si spinse verso l'Italia meridionale dove però morì a Cosenza nello stesso 410 mentre si accingeva a raggiungere l'Africa con altri progetti di saccheggi e conquiste.









PROLOGO DELL'AUTORE SULLA STORIA DEL CONVENTO DI TAGGIA DELL'ORDINE DEI PREDICATORI
INDICE DELLE VOCI
FONDAZIONE DI TAGGIA
CHIESE E ORATORI DI TAGGIA
ORIGINE DEL CONVENTO DEI DOMENICANI DI TAGGIA
OPERE DI P. CRISTOFORO DA MILANO A TAGGIA
DESCRIZIONE DI CONVENTO E CHIESA
Nell' anno dopo il mio ritorno dalla Provincia Boema, dove mi recai per comando del priore e di fra Ippolito Maria di Mondovì, Maestro Generale dell'Ordine, e dove rimasi per cinque anni, cioè dal 1593 al 1598, i miei confratelli mi elessero priore di questo convento e ne fui confermato dal priore Provinciale, sebbene altri ne fossero più di me degni.
Non molto tempo dopo il padre Generale dell'Ordine mi informò che dovevo radunare per scritto notizie sulla fondazione di questo convento, cercare quali siano stati gli uomini più importanti per santità di vita, per incarichi ecclesiastici, per cariche di inquisitori contro gli eretici; notizie sull'erezione di altri monasteri per frati e suore, affinché quei padri che si accingessero a scrivere, per maggior gloria di Dio, gli annali del nostro Ordine, possano esserne agevolati.
Per questo mi sono messo al lavoro, e nel miglior modo che ho saputo e potuto ho radunato quanto ho trovato.
Ho inviato a Roma al Maestro Generale dell'Ordine il mio scritto che egli lesse volentieri; e il padre Michele Pio, bolognese, maestro teologo, inserì nelle sue opere degne di ogni lode, alcune mie brevi note sul beato frate Cristoforo da Milano, primo fondatore di questo monastero, e quanto mi risultava sulla sua fondazione.
Per molti anni fui poi occupato altrove: ho diretto alcuni conventi, ho predicato molto e istruito i novizi. Alfine da vecchio sono tornato in patria (Taggia) e il padre Valerio Zocco, lettore di Savona e priore di questo convento, mi incaricò di nuovo di radunare e riordinare le vecchie scritture e i libri per poterle ritrovare e consultare più facilmente.
Per questo mi son messo all'opera: mi fu data una cassa piena di libri e documenti confusi, quasi abbandonati perché ritenuti vecchi e inutili, ed ho cominciato a studiarli e a registrare le date, i titoli e gli argomenti.
In un primo plico ho radunato gli scritti riguardanti i fatti dall'inizio di questo convento, cioè dal 1459, fino al 1500. Nel secondo quanto e successo dal 1500 al 1600. Nel terzo le bolle dei Pontefici e i decreti di Prelati. Nel quarto i testamenti e i legati di coloro che hanno lasciato i loro beni al nostro convento; ed anche i depositi fruttiferi sui Monti di Roma, o sul Banco di S. Giorgio di Genova. Separatamente ho radunato le scritture sulla sorgente e l'acquedotto che porta l'acqua al nostro lavatoio e altre carte di minor importanza.
Sistemare queste cose mi sono dedicato alla stesura di una cronaca di questo convento dal tempo dell'arrivo del beato priore padre Cristoforo da Milano inviato dai suoi superiori per volontà divina a predicare per la salvezza spirituale del popolo di Taggia e dei paesi vicini. Se Dio mi darà vita e salute per poter ultimare l'opera intrapresa, vorrei narrare quanto ho operato in Como dove sono stato per due anni direttore del monastero delle suore benedettine di S. Margherita, e in Vigevano dove fui priore nel 1614 e dove fui ricevuto e presi 1'abito.
Per tre anni ho tenuto prediche al popolo; nel 1599 ho predicato il quaresimale; per due volte mi elessero prelato e priore.
Non essendo in grado di fare altro, desidero almeno tramandare la memoria degli antichi; innanzitutto premetto l'elenco di tutti i priori di questo convento, per quanto possibile completo di date; aggiungerò i nomi di tutte le sorelle terziarie di S. Domenico, precisando il tempo del priore in cui vissero.
E cosi, implorato l'aiuto divino, di Maria Vergine e di S. Domenico inizio la stesura della cronaca.
1 · Fondazione di Taggia.
2 - Chiese e oratori.
3 - Fondazione del Convento dei Domenicani.
4 - Attività del p. Cristoforo da Milano in Taggia.
5 - Descrizione del convento e della chiesa.
1-Nel nome del Signore e della SS. Trinità.
Desiderando narrare le cose avvenute nel convento di S. Maria di Taggia, dell'Ordine dei Predicatori, della Provincia di Lombardia, ritengo doveroso premettere alcune notizie dato che ben poco ci fu tramandato dagli antichi, o perché non le conoscevano, o non le stimavano degne di memoria, o le ritenevano scritte da altri.
E per cominciare: quando negli anni scorsi ero a Como, ebbi fra le mani un libro stampato a Lione, contenente brani di vari autori molto antichi, quali Beroso Caldeo, Metastene Persa e altri. In uno di essi si leggeva che un certo Tages fondò in occidente, ai confini dell'Ausonia, in cima ai monti una città che chiamo con il suo nome.
Senza dubbio l'Ausonia e l'ltalia.
E difatti verso il 1575, mentre si eseguivano degli scavi sui monti, in località Beuzi, sul territorio di Taggia, furono trovati molti, lunghi e profondi muri, ben costruiti con pietre e calce, e in quelle rovine c'erano dei sepolcri, contenenti ossa umane grandi e lunghe, come di alta statura erano gli uomini antichi; insieme furon trovati vasi di terra, finemente lavorati, evidenti indizi di abitazioni umane. Sappiamo dagli storici quante guerre sostennero i Liguri specialmente contro i Romani che li giudicavano fortissimi, perché annidati in regioni montane e selvagge.
Giunti poi gli Sciti e altri popoli nordici al tempo degli imperatori Giuliano, Arcadio e Onorio, e impadronitisi dell'Italia, tanto distrussero che scomparve il ricordo degli antichi abitanti.
Ancor oggi si può vedere affissi al muri nella sacrestia di S. Domenico di Albenga molti resti di lapidi distrutte da quei barbari.
A queste si aggiunsero altre sventure nei tempi seguenti: gli Afri, persa la fede cattolica, abbracciarono l'eresia degli Ariani, Manichei, Donatisti e Pelagiani, ed infine miseramente si diedero all'infame setta di Maometto quali derivati da serpenti che con rabbia mortale, vinta la Spagna, si gettarono sull'Italia depredando tutte le coste.
E quando la Liguria cominciava a respirare, si scateno l'ira dei due Federici, imperatori di Germania che di nuovo desolarono le nostre regioni. Poi arrivarono dall'Africa i Saraceni: di questo fatto resta splendida testimonianza la fortezza, ancor oggi visibile sui monti di Taggia, in località chiamata S. Giorgio, dirupata e quasi inaccessibile, presso la via verso Badalucco.
La rimangono ancora interi i muri di quella fortezza, all'altezza delle lance, che alcuni ritengono costruiti dai Saraceni.
Non mancano coloro che pensano che la città di Taggia prenda il nome dal fiume che le scorre vicino, detto Taggia, come "taglia", cioè divide, con il suo impeto, il terreno circostante.
Ma, come dice Aristotele, spesso i nomi propri prendono il nome da colui che per primo e stato il fondatore, e con la sua autorità rimandiamo a quanto detto sul primo fondatore.
La città e situata nella Liguria occidentale, e rivolta ad oriente, parte su un monte, parte in piano, come una regina seduta in trono con le mani un poco alzate; la rocca e come la sua corona. Dista dal mare circa due miglia; da Genova, novanta; da Albenga, sua diocesi, trenta. Ad oriente ha illustri città: Oneglia e Porto Maurizio; ad occidente Sanremo.
Taggia ha sempre seguito le vicende, buone o cattive, della Repubblica di Genova. Fu soggetta per breve tempo al nobili di Clavesana, ma si liberò presto da quel giogo. Vive tranquilla sotto la protezione della Repubblica di Genova da circa duecento anni Nacque a Taggia San Benedetto, vescovo di Albenga, patrono di quella città, di cui volentieri inserirei qui le notizie sulla sua vita, se le avessi a portata di mano. Dico intanto che nel 1618 il reverendo Vincenzo Landinello, vescovo di Albenga, celebrando il Sinodo diocesano, fece una solenne processione con le reliquie di San Benedetto e voile che esse fossero sorrette dai sacerdoti di Taggia quali suoi conterranei, e ad essi fece dono di reliquie da portare alla sua chiesa matrice.
2-in Taggia e nel suo distretto vi sono diverse chiese. La chiesa dei Santi Giacomo e Filippo apostoli, che prima dell'arrivo in Taggia dei nostri frati era semplice parrocchia, ma poco dopo fu insignita del titolo di Prepositura, avendo comprati dei terreni per un decente mantenimento del prevosto e dei canonici.
Questi beni poi aumentarono specialmente per i terreni in regione Le Levae lasciati al canonici dal reverendo Rinaldo Reghezza verso il 1472; la fu costruita una casa dal nipote Simone e successore nella prevostura al reverendo Rinaldo e poi fu dotata di altri legati. Attualmente sono dodici i sacerdoti che in quella chiesa usufruiscono di redditi.
Anche Andrea de Bonifaciis di cui poi parleremo, stabili un lascito affinché in tutte le feste di precetto sia cantato in quella chiesa tutto l'Ufficio diurno e notturno e circa nel 1598 Costantino Reghezza aumentò le rendite affinché fossero cantate giornalmente le "Ore" vespertine. Inoltre il canonico dottore in legge Sebastiano Lombardo fece altro lascito affinché fosse sempre recitato tutto il divino Ufficio.
In città vi sono altre due chiese: una, sotto il titolo della SS. Trinità, è sede della confraternita dei Disciplinanti, vi è annesso l'ospedale, gode di privilegi e indulgenze in Roma.
L'altra è dedicata al santi martiri Fabiano e Sebastiano; su un suo muro interno sono dipinti i misteri della Passione e Resurrezione di Nostro Signore. E la sede della confraternita dei Flagellanti, aggregata al Gonfalone di Roma con relative indulgenze. Entrambe sono dotate di buoni redditi e di terre. Vi e pure l'oratorio del Salvatore e, fuori le mura, il nostro convento di S. Maria della Misericordia, del quale parleremo.
Presso le mura vi è il convento dei Cappuccini di S. Francesco, con i resti di un oratorio dedicato a S. Andrea apostolo che fu distrutto tempo fa per costruire le mura di Taggia per difesa contro le invasioni dei barbari . A tramontana vi è la chiesa di S. Maria del Canneto. La parte superiore gode del titolo di priorato; quella inferiore, pure priorato, è annessa alla sacrestia (e al beni) del nostro monastero.
Vicino c'è l'oratorio dell'Annunziata già sede dei Flagellanti di S. Fabiano e S. Sebastiano. Al di là del fiume, verso oriente vi è la chiesa di S. Martino, vescovo e confessore, sotto il titolo di Abbazia; inoltre quella di S. Francesco, presso il ponte di Pietro Ardizzone.
In mezzo al bosco del comune vi è la chiesa consacrata a S. Maddalena, con titolo di priorato. Inoltre l'oratorio di S. Lucia vergine e martire. Infine sui confini tra Taggia e Bussana, in una grotta dentro un monte, vi è un oratorio dedicato all'Annunciazione di Maria Vergine, ed altre piccole cappelle che non è il caso di descrivere singolarmente.
Taggia dispone anche di un ospedale dove vengono ospitati i pellegrini e sono curati i malati poveri; se avanza denaro, nei giorni di Natale, dal prevosto e dai canonici viene distribuito al bisognosi.
Vi è poi una sorgente che scaturisce da una rupe presso la chiesetta dell'Annunciazione diversa da quella su citata.
Quell'acqua è condotta in Taggia con un acquedotto e distribuita in quattro parti, a quattro fontane per uso dei cittadini; una parte e a disposizione del monastero di S. Francesco.
3-Ma parliamo ora del nostro convento. Il 2 maggio 1459, giorno della morte del santo Antonino, arcivescovo di Firenze, dell'Ordine dei Predicatori, sotto il pontificato di PioII1, essendo Maestro Generale del nostro Ordine padre Marziale Auribello Gallo, sette anni dopo la conquista di Costantinopoli, imperando Federico III, venne a predicare in Taggia il venerabile e degnissimo rev. padre Cristoforo da Milano, dell'Ordine dei Predicatori. Egli con le sue prediche, consigli, esempio e opere di carità, tanto infervorò alla virtù i Tabiesi che rivolsero supplica al rev. Gregorio Fiesco, legato apostolico residente a Genova, per ottenere il permesso di costruire in Taggia un monastero di Domenicani. Il frate priore Cristoforo da Milano come spiritualmente innalzava il popolo alla pietà cristiana, altrettanto avrebbe provveduto, con la costruzione materiale di un convento del suo Ordine, a proseguire sempre meglio l'opera di salvezza di anime.
Il legato apostolico acconsentendo ai pii desideri dei fedeli inviò loro un decreto del seguente tenore: Gregorio, per misericordia divina vescovo Ostense di S. Romana Chiesa, cardinale Fieschi, delegato apostolico in Genova. A tutti i fedeli della Santa Chiesa, augura salute e benevolenza divina. Siamo lieti di concedere il permesso, secondo i pii desideri dei fedeli affinché coloro che lavorano per la salvezza delle anime possano condurre a termine quanto hanno in animo di fare. Come conteneva la richiesta degli uomini di Taggia la città è cresciuta in questi ultimi tempi per numero di abitanti e per ricchezza, ed è fornita di una sola chiesa parrocchiale, insufficiente a tanta popolazione, non essendovi altri frati che possano con parole ed esempio indirizzare gli uomini della città alla via della salvezza. Pertanto la popolazione per incremento di zelo religioso desidera erigere a proprie spese una chiesa con convento di frati predicatori dell'Ordine di S. Domenico, dedicata a S. Maria, Madre di Dio, officiata in perpetuo dai frati domenicani. Perciò, con 1'autorità concessaci, permettiamo quanto umilmente richiesto da parte della popolazione tabiese . Per agevolare l' opera diamo piena facoltà al padre Cristoforo da Milano, di cui ben conosciamo lo zelo religioso, sapienza e vita integerrima, a provvedere alla costruzione. Egli può assumere quali e quanti frati del suo Ordine gli sembreranno necessari. Da parte nostra approviamo il pio proposito degli uomini e della città di Taggia e lo raccomandiamo vivamente a Dio e, favorevoli alla loro richiesta, concediamo ampia facoltà a costruire la chiesa nella zona di Taggia ritenuta più idonea.
Permettiamo a padre Cristoforo da Milano, dell'Ordine domenicano, di risiedere con i confratelli in Taggia, costruire la chiesa e il convento come meglio gli sembrerà opportuno, senza alcun impedimento.
Assuma pure i confratelli necessari, che vivano con lui e servano Dio secondo i dettami della regola, curino la salvezza delle anime e adempiano gli altri servigi spettanti allo stato religioso.
Il frate Cristoforo e gli altri che abiteranno in quel convento godranno di tutti i privilegi, grazie e immunità di cui usufruiscono i frati degli altri conventi del medesimo Ordine, e saranno sottoposti all'obbedienza e autorità dei Superiori Generali e provinciali del loro Ordine, al quali dovranno portare rispetto e agire con il loro consenso.
Esortiamo i Superiori ad agevolare il lavoro a padre Cristoforo e al suoi collaboratori, e che nulla sia fatto senza il consenso e volontà de. popolo di Taggia. Per gli oppositori si applichi quanto disposto dalle Decretali di Bonifacio VIII, libro VI, paragrafo "De religiosis domibus". Dato a Genova, presso S. Stefano, il 20 dicembre 1459, nell'anno secondo del pontificato del papa Pio II.
Enrico Rovere notaio
Gli inviati della popolazione di Taggia ritornarono in città, lessero la lettera del delegato apostolico al consiglio comunale e al padre Cristoforo da Milano il quale prese il documento e lo recò al padre Provinciale di Lombardia, allora in visita a Genova.
Egli approvo ogni cosa e rispose con la seguente Lettera del padre Provinciale della Lombardia per la fondazione di questo convento.
Al carissimo padre Cristoforo da Milano dell'Ordine dei Predicatori, il frate Antonio da Alessandria, professore di sacra scrittura, e Provinciale della Lombardia dei Domenicani, salute e continuo progresso in religione.
Avendo appreso dalla vostra lettera e dalla viva voce di persone degne di fede che il popolo di Taggia, ben disposto verso il nostro Ordine, ha espresso con chiara prova l'intenzione di costruire in Taggia un convento per i frati Domenicani e conoscendo inoltre che la vostra persona e attività e molto apprezzata da tutti gli abitanti per la vostra onesta di vita, costumi religiosi, utili predicazioni che giornalmente incitano il popolo a più profonda devozione, essendo ripetutamente pregato da quella popolazione, vorrei, per quanto posso, acconsentire e accontentarla.
Pertanto con la presente vi concedo il permesso di restare in Taggia con i frati del nostro Ordine e per quanto potete soddisfare alla volontà di quel popolo che cl risulta essere numeroso, ricco ed egregio. Dopo maturo esame su tutte queste cose, con i maestri e i padri del nostro convento di Genova e mia precedente informazione Vi nomino mio vicario generale di Taggia, con piena autorità di cominciare la costruzione del nostro convento secondo i suggerimenti di quella popolazione e la forma della nostra religione.
Trattenete i frati del nostro Ordine che vi sembrino idonei, e accogliete tanto i conversi che i chierici, sì che possa sempre più aumentare la devozione del popolo.
Nessuno a me inferiore tenti di ostacolare, in alcuna cosa, Voi che godete della mia piena fiducia per virtù e attitudine.
Per convalida faccio apporre il sigillo. State bene e pregate per noi. In Genova, 8 febbraio 1460
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Nel medesimo 1460, sotto il pontificato di Pio II, con solenne rito di canonizzazione fu ascritta al numero delle Sante Vergini Caterina da Siena, terziaria domenicana.
Nel medesimo anno fu comprato il campo sul quale poi fu edificata la chiesa e il nostro convento di Taggia. Mi piace riportare qui, a perpetuo ricordo, l'atto di acquisto.
In nome di Dio, nell'anno 1460, indiz. VIII, sabato 26 aprile, Pietro Borria fu Antonio di Taggia vende al reverendo padre Cristoforo da Milano, delegato apostolico, incaricato alla costruzione di un monastero in territorio di Taggia, località detta La Capella, come appare da bolla apostolica, e anche nominato vicario per la Provincia di Lombardia, qui presente che compra a nome della costruenda chiesa di S. Maria della Misericordia, e vende parimenti ad Antonio Curio, fu Roberto, uno dei quattro officiali nominati per la costruzione del convento e della chiesa, qui presente che compra anche a nome degli altri tre officiali assenti, Giacomo Visconte, Telamo Novaro e Edoardo Revello, a ciò deputati in rappresentanza del comune di Taggia, come appare dai libri del comune, un terreno coltivato a viti e altri alberi domestici, appartenente a Pietro Borria, posto in territorio di Taggia, in località La Cappella, confinante: di sotto la via pubblica e altri terreni in parte dello stesso venditore, e in parte di Paolo Moriello. A mezzogiorno una terra di Pietro Borria, comprata da Paolo Moriello; a tramontana la terra della famiglia Barla ecc. . Viene specificato che il venditore ed i suoi eredi possano andare a venire nel resto della sua proprietà con bestie o senza, cariche o discariche senza alcuna contraddizione ecc.
Il padre Cristoforo e gli officiali promettono di conservare indenne (il venditore) dalle gabelle ecc.
Tutto per il prezzo di lire 500 di moneta corrente in Taggia. Il Pietro Borria dichiara di aver gia ricevuto dal padre Cristoforo lire 50; ora in presenza di me notaio e dei sottoscritti testimoni riceve da Antonio Curio le altre 450. ecc. I1 detto Pietro Borria promette dare libero possesso ecc.
Fatto in Taggia, nell'ospedale ossia nella camera dove ora abita il padre Cristoforo, presenti i testimoni Stefano Littardo, Tabiasco Nicola, Benedetto Camossio, tutti di Taggia.
Notaio Cherubino Ardizzone
Nel medesimo 1460 il rev. mons. Napoleone Fiesco, allora vescovo di Albenga, venendo a Taggia, pose la prima pietra per le fondamenta della chiesa che comandò di dedicare a S. Maria Madre di Misericordia.
4-Ora diciamo qualcosa, tra le tante, sulla vita e sulla morte del venerabile padre Cristoforo da Milano, illustre predicatore, fondatore di questo convento tabiese, a lode di Dio e decoro del nostro Ordine.
Nelle ultime pagine di un codice della nostra biblioteca vi e una scrittura molto antica del seguente tenore: Memoriale a lode di Dio e della Beata Vergine Maria sua Madre, patrona del convento tabiese dell'Ordine dei Predicatori. In nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Nell'anno 1460 fu cominciato il nostro convento di S. Maria della Misericordia di Taggia, dal venerabile padre Cristoforo da Milano del medesimo Ordine, predicatore generale, uomo di santa vita che a quei tempi predicava in Taggia e predicava molte cose future, alcune delle quali gia si sono avverate come quella di una inondazione del fiume con rovina degli orti.
Predisse che i Tabiesi sarebbero fuggiti senza sapere chi li costringeva a fuggire, né quale stagione fosse poiché non avrebbero più conosciuto l'estate dall'inverno se non dal verdeggiare delle fronde, e che sarebbe presto arrivata una paurosa carestia, dappertutto, specialmente in Taggia. Predisse pure che tra i Tabiesi sarebbero sorte gravi discordie; ma a chi diceva che non ci credeva, aggiungeva: voi proverete anche molte altre sventure che tralascio.
Predisse anche molte cose in Triora: soprattutto che sarebbe stata incendiata e difatti fu poi bruciata dai soldati Galli comandati dal capitano Saramone. Le popolazioni, e i Tabiesi in modo particolare, vedendo la santità di tanto Padre, per ispirazione dello Spirito Santo cominciarono a costruire questo convento nella località dove si dice che lo stesso Cristoforo aveva visto lo Spirito Santo sotto forma di colomba. E in quel medesimo luogo fece innalzare la cappella maggiore intitolata a S. Maria Madre di Misericordia.
I Tabiesi si impegnarono con atto notarile a mantenere per sempre in convento quattordici frati domenicani, come più volte Giorgio Reghezza dichiarò di aver letto. Molti tabiesi pentiti delle proprie colpe cominciarono a frequentare il convento con massima devozione. E molti conversi vennero in convento, ritornati sulla retta via, in lode di Dio e della Beata Vergine patrona del convento.
Tutte queste profezie si avverarono: lo dimostra l'esperienza, ed è sufficiente quanto abbiamo detto sull'incendio di Triora.
Il fiume che avrebbe inondato gli orti 1'abbiamo visto, con animo rattristato, ed è ancor ora tutto pieno di pietre e ghiaia. Inoltre, cosa ancor più grave, l'acqua in quella zona ha rovinato dalle fondamenta le mura della città . Molte case furono distrutte e Dio voglia che per sua clemenza finiscano questi guai, cosa che molto temo.
Infatti i nostri peccati sono grossi e continui, e il sangue (come dice il profeta Osea) trascina ad altro sangue. Altre cause anche naturali possono confermare le profezie del padre Cristoforo. Dopo la sua morte, ad esempio, si formo una paurosa spaccatura in un monte, in territorio di Taggia; la zona da allora e chiamata La Rovinata e da quel monte sconquassato, da allora fino ad adesso, rovinano giù grossi e numerosi massi, e c'e da aver paura; quando piove molto cadono pietre grosse e piccole e riempiono il letto del fiume.
Vi è anche una causa naturale: dato che la popolazione è aumentata molto in numero (e speriamo anche in meriti) ne viene di conseguenza che deve cercare nuovi campi da coltivare; e dato che questi mancano nelle zone pianeggianti e vicine e necessario andare a dissodare anche le terre montane scoscese e sassose; e con le piogge cadono frane, e i luoghi un po' più pianeggianti si riempiono di pietre, come si può vedere nel torrente Oscentina, al confine tra Taggia e Badalucco, dove sono scese le pietre dai monti sulle coltivazioni, sicché quasi sembrò avverarsi quanto disse il profeta: ogni valle si riempirà e ogni monte si abbasserà.
Il padre Cristoforo molto tempo prima aveva predetto che il fiume avrebbe devastati gli orti tabiesi. E poco dopo la sua morte si verificò, come era stato predetto da quel santo uomo, una grande carestia di viveri e conseguente spaventosa fame.
Da bambino sentii raccontare da due anziani stimati uomini, Michele Priore e Andrea Arnaldo figulo, come a loro volta avevano sentito raccontare dai vecchi, che padre Cristoforo mentre era nella piazza della nostra chiesa, vedendo il popolo di Castellaro in festa, intento a ballare, disse sospirando: O infelice popolo di Castellaro, ora sei in gran festa, ma non e lontana la tua rovina, e la tua gioia si muterà in pianto. Pochi anni dopo infatti giunse una pestilenza tanto atroce che uccise la maggior parte di quella popolazione.
Predisse anche che i nostri sarebbero fuggiti senza che nessuno li inseguisse: e questo dai nostri vecchi abbiamo sentito che è avvenuto più volte, e lo sappiamo anche noi oggi quanto atterrisca il popolo la notizia dell'arrivo dei Turchi e dei Barbari, sì che nessuno trova un luogo sicuro dove fermarsi, spaventato persino da una foglia che cade.
Soffermiamoci sulla dottrina di così grande uomo: nella nostra biblioteca si trovano quattro volumi sui quali lasciò al posteri una chiara testimonianza della sua sapienza: nei primi tre scrisse i sermoni per ogni tempo dell'anno e sui Santi. Nel primo di questi svolge questo argomento: predicate il Vangelo a tutti, rimproverando dolcemente coloro che, tralasciata la spiegazione del Vangelo, si immergono in poco utili questioni legali, e del Vangelo dicono solo qualcosa nel titolo delle loro prediche. E ciò crediamo egli abbia detto contro certi predicatori del nostro tempo, che trascurata l'esposizione del Vangelo, si son messi a parlare della bellezza o della vanità di una donnicciola, dell'amena vita dei contadini, di spettacoli teatrali e di altre simili cose indegne del nome cristiano e di predicatore.
Ho vergogna a scrivere queste cose: ho sentito uno (eppure parlo di un predicatore di Vangelo, non di un ciarlatano) che mentre predicava il quaresimale in una grande città, portava quasi ogni giorno il discorso sul libro dei sogni, cavando massime dall'opera sugli Arcani di Pitagora, dalla Meteorologia di Aristotele, dagli Aforismi di Ippocrate di Coo, proseguendo il suo discorso fino al ridicolo, si che il popolo ridendo usciva di chiesa e lo accompagnava applaudendo, trascurata la dottrina del Vangelo.
Ben diverso fu padre Cristoforo: egli spiegava il Vangelo secondo i dettami dei Santi Padri latini, dei quali possedeva gli scritti, e per quelli greci che gli mancavano, usufruiva della Catena Aurea di S. Tomaso d'Aquino. Questo primo volume contiene i sermoni del periodo da Pasqua all'Avvento. Il secondo volume contiene quelli dall'Avvento all'ottava di Pasqua, ed e intitolato: Ecco il tuo Re; giunge mansueto a te.
Il terzo riguarda i santi di tutto 1'anno; comincia così: Lodate il Signore nei suoi santi.
Il quarto infine contiene molte sentenze di Santi Padri: di Gerolamo, Crisostomo, Isidoro, Anselmo ed altri. E' intitolato: Gerolamo all'amico malato. Tutti questi volumi sono manoscritti.
Dopo quel brano su riportato, tratto dall'ultimo foglio del Libro del Decreti, v'e un'altra cosa che mi piace riportare ed è la seguente. Al tempo degli Ebrei, nella settimana in cui officiava nel tempio il sacerdote designato, questi rimaneva sempre nel tempio, senza mai uscire, solo dedito al culto. Da ciò derivò la buona consuetudine per gli altri religiosi che il sacerdote "ebdomadario" resti in convento, trascurando gli affari esterni, intento solo al culto divino, quasi intermediario tra il convento e Dio. E questa consuetudine il venerabile padre Cristoforo da Milano voile osservare nel suo convento.
Da questo scritto appare quanto grande fosse la devozione verso Dio di quell'illustre padre.
Morì nel 1485, come meglio si vedrà dalle cose dette più sotto. E stato tramandato in modo sicuro, e lo stesso l'ho sentito narrare dai vecchi, che mentre predicava il Quaresimale a Pigna, diocesi di Ventimiglia, cadde ammalato. Prevedendo la morte pregò di essere, ancora vivo, trasportato al suo monastero di Taggia. E poiché si fece tardi, camminarono di notte. Il cielo era bello sereno, nulla faceva prevedere la pioggia ma egli esortava coloro che lo trasportavano a sbrigarsi perché -diceva-prima di arrivare al convento saremo sommersi dalla pioggia.
E così difatti avvenne: erano già vicini al convento quando si formarono grosse nuvole; scesero forti acquazzoni e tutti entrarono in convento inzuppati d'acqua. Accorsi subito il padre priore e il padre Generale confessore, egli si confessò e munito e confortato dall'Estrema Unzione, chiuse il suo ultimo giorno terreno per vivere per sempre in cielo. Dopo un po' di tempo dal padri dei convento fu fabbricata una tomba in marmo bianco elevata da terra, sul lato destro della cappella di S. Domenico, con questa iscrizione :
A1 venerabile padre frate Cristoforo da Milano
eccelso predicatore del Vangelo
fondatore di questo Convento
i Padri Domenicani
5-Premesse queste cose parliamo ora del convento; e per primo della località; poi del suo aspetto, perché le cose che dico daranno più chiara idea della chiesa e del convento.
Questo convento è situato non lontano dalla città di Taggia, verso il mare e in sua vista, in località detta La Cappella, distante da Taggia un'ottava parte di miglio italico, in zona pianeggiante ma elevata sul fiume dal quale dista quanto dalla città.
Questo è l'aspetto del convento: la chiesa è ad oriente, verso il fiume, il cenobio è ad occidente; la porta principale della chiesa è a tramontana, verso Taggia; il coro a mezzogiorno, verso il mare, né ci poteva essere miglior sistemazione. Il convento a sud ha la torre campanaria, con due porte: da una si entra in coro, dall'altra in sacrestia, situata accanto alla torre. Dopo la sacrestia c'è il capitolo , e dopo questo il dormitorio minore di quattro camere con il suo corridoio .
Sopra queste stanze di servizio c'è il dormitorio grande, composto di 15 celle disposte da una parte e dall'altra.
Questa primitiva disposizione di locali rimase inalterata fino al 1614. In quest'anno, mentre era priore, il rev. padre Ippolito Maria da Savona, lettore di teologia, sistemò il convento in miglior maniera. Sul dormitorio fece costruire delle testudines, cioè un canniccio rinforzato da calce, e imbiancato, infatti i muri di quelle celle, essendo molto sottili e deboli non riuscivano a sostenere un maggior peso. Aggiunse due grandi finestre per illuminare il corridoio del dormitorio. Le finestre delle celle guardano verso mezzogiorno e il mare, e in parte verso il chiostro e a nord; la finestra grande a ponente. Dall'altra parte del dormitorio vi è la porta e mediante scala a chiocciola si scende in sacrestia e in coro. Sopra quella porta c'e l'immagine della Beata Vergine, di S. Domenico e di S. Pietro Martire; qui di notte si recita l'ufficio della Beata Vergine.
D'altra parte, a ponente, vi è una scala bipartita, con la quale si sale e si scende. Di fronte alla scala vi è una bella pittura della Beata Vergine con il Bambino in braccio . A meta della scala sta la porta di accesso all'orto. In fondo ad essa inizia il corridoio presso il quale v'è l'ospizio e dopo questo la cantina. Sopra vi è il dormitorio piccolo; di fronte, a tramontana, vi è la biblioteca, sulle cui porte prima c'era dipinta 1'effige del Beato padre Cristoforo da Milano, ma per i lavori eseguiti sul dormitorio quella prima pittura fu cancellata e sostituita con altra purtroppo inferiore alla prima sia per bellezza, sia per somiglianza alla persona che sembrava naturale e viva.
La biblioteca dispone di 14 tavoli da ciascuna parte; ogni arcata è dipinta. Sopra la porta d'entrata vi è l'immagine di Cristo morto, come una pietà. Da una parte il beato Giovanni Domenico, cardinale fiorentino, S. Antonio arcivescovo di Firenze, tra i santi dottori Ambrogio e Agostino. Sulla parete a nord vi è dipinto Cristo in croce con Maria Vergine e S. Giovanni Evangelista in basso, presso il lembo delle vesti della Madonna c'è dipinto S. Tomaso d'Aquino con le mani giunte, al quale Cristo dice: O Tomaso, hai scritto bene su di me. A destra e a sinistra: S. Gregorio Magno e S. Gerolamo, in rosso abito da cardinale, sommi dottori della Chiesa. Da una parte e dall'altra sono dipinti: S. Domenico, S. Pietro Martire, S. Tomaso d'Aquino, S. Vincenzo Ferreri spagnolo, S. Caterina da Siena, i sommi pontefici Innocenzo V, Benedetto XI, il beato Ugo da S. Caro, vescovo cardinale, il beato Alberto Magno, vescovo di Ratisbona, Pietro da Palude, patriarca di Gerusalemme tutti padri domenicani e illustri dottori; papa Innocenzo prima del pontificato si chiamava Pietro di Tarantasio; Benedetto XI, frate Nicola Boccasino di Tarvisio, che era anche stato Maestro dell'Ordine.
A nord-ovest c'è la cucina con le sue attrezzature; ad est il refettorio. Sopra la sedia del reverendo padre priore c'e dipinto il Crocifisso, che ha a destra la Vergine Maria, a sinistra S. Giovanni Apostolo, al piedi S. Domenico che abbraccia il crocifisso.
Sopra la cucina e il refettorio vi è il dormitorio dei Novizi, prima detto degli Infermi, al quale si arriva mediante una scala che è ad occidente, in mezzo alla quale vi è il promptuarium.
Tra il noviziato e la chiesa prima c'era il vestibolo; ora c'è il granaio. In mezzo a tutto il complesso vi è il chiostro con venti colonne di marmo nero che sostengono le volte del chiostro. Della medesima pietra sono decorate tutte le porte, tanto quelle della chiesa e del chiostro, quanto quelle di tutto il convento. L'orto del chiostro è pieno di meli e citroni, con una grande cisterna.
Parliamo ora della chiesa: ha ad oriente per tutta la lunghezza della chiesa una piazza, che si allunga anche a tramontana, verso la città di Taggia, verso il punto dove è la porta maggiore; presso il coro vi è un orto con meli, cedri e altri alberi da frutta. In chiesa vi sono le confraternite del S. Rosario, istituite dal padre Sisto da Lucca, Maestro dell'Ordine, circa nel 1584, per cancellare il vizio della bestemmia, o i falsi giuramenti e l'inutile invocazione del nome di Dio.
Vediamo la disposizione della costruzione. Cominciamo dal coro nel quale notte e giorno è concordemente recitato il divino ufficio. Ha 36 sedili di legno di noce, non colorato, ci sono soltanto alcune linee di legno bianco. Con simile lavoro è anche costruito il pulpito, ossia leggio dove sono posti i libri corali, con la sua area per conservare questi libri e gli oggetti necessari a cantare il divino ufficio.
Fin verso il 1580 il coro era chiuso, e 1'altare maggiore quasi unito al muro; ora invece il coro è cambiato: i sedili sono collocati dove prima c'era la porta del coro e la sedia del padre priore e del superiore.
Ciò avvenne anche perché fu necessario trasferire il tabernacolo, preziosa opera in marmo bianco, donato dalla nobile famiglia dei Curlo, purtroppo ora rovinato nelle colonnine e nei fregi per l'irruzione dei Turchi e altri nemici della religione.
Nell'icona dell'altar maggiore è dipinta la Beata Vergine Maria con un manto azzurro aperto, sotto la cui protezione vi è il popolo cristiano, da una parte quello dei religiosi, dall'altra dei laici, con le figure degli apostoli, di S. Giacomo Maggiore, e suo fratello S. Giovanni Evangelista e dei nostri padri: S. Domenico, Pietro Martire, Tomaso d'Aquino, Vincenzo confessore, Caterina da Siena ed altri.
Fu fabbricata a spese dei nobili Francesco e Cristoforo fu Ludovico Pasqua, e, come risulta da una antica ricevuta, spesero per quel lavoro L. 215, soldi 3, denari 2; circa nell'anno 1483.
Dopo il coro vi è la chiesa, divisa in due parti: vicino al coro pregano gli uomini; dall'altra parte le donne. Fino a pochi anni fa le due parti erano divise da un muro alto quanto un uomo.
La zona centrale era chiusa durante le prediche con una tela raffigurante il mistero dell'Annunciazione, per non ostacolare le orazioni e l'ascolto della parola divina. Poi quel muro divisorio fu abbattuto, sì che tanto le donne che gli uomini potessero più devotamente assistere alla Messa.
Nella zona dove pregano gli uomini, al lato dell'epistola, vi è una cappella con l'icona elegantemente dipinta raffigurante l'epifania del Signore, poi la cappella di S. Domenico, con il santo dipinto sull'icona in sembianza di venerabile vecchio; aI lati vi sono i quattro principali dottori della Chiesa: Gregorio, Ambrogio, Gerolamo e Agostino. Questa cappella fu costruita a spese della famiglia Reghezza; il nobile Edoardo Reghezza vi spese L. 120. Qui vi è la tomba marmorea del venerabile padre Cristoforo da Milano, fondatore del convento. IL suo corpo è tumulato nella terra, secondo l'antica tradizione. Sotto il mausoleo di questo padre vi è una lapide in marmo bianco con questo epitaffio: 1472, 1 marzo. Cappella con le tombe dei signori Edoardo Reghezza e dei suoi eredi.
Dopo la cappella di S. Benedetto c'è la sacrestia: la sua porta è ornata di pietra nera con l'effigie della Beata Vergine con il Bambino in grembo . AI due lati sono scolpiti gli stemmi della nobile famiglia Reghezza. Da questa porta escono i sacerdoti quando si recano a dire la messa.
In sacrestia c'è l'altare di S. Caterina da Siena con S. Agata e S. Lucia e fedeli d'entrambi i sessi che pregano, chinati al lembo delle vesti di S. Caterina. In basso sono dipinti alcuni miracoli di S. Caterina; sopra, gli angeli Michele e Raffaele; a metà, i misteri del Rosario. Questa pala, prima dell'anno 1575, era nella prima cappella, dalla parte delle donne, verso il coro. I nostri vecchi l'hanno spostata in sacrestia, poco memori di quanto i cristiani hanno ricevuto dai terziari domenicani con le elemosine dei quali quel quadro era stato pagato nel 1490.
Nella sacrestia: all'inizio c'è il lavabo in marmo bianco, con lo stemma della nobile famiglia Reghezza; poi un armadio per i paramenti religiosi e i sacri arredi, dei quali, se potrò, darò poi preciso elenco.
Dopo la sacrestia, attraverso altra porta pure ornata in pietra nera, si passa dalla chiesa al chiostro e al convento.
Segue l'altare del S. Rosario da paragonare, ma forse le supera, con le migliori opere: è un quadro talmente artistico che posso dire di non aver mai visto una migliore rappresentazione del Santo Rosario. La Vergine vi è dipinta con il Figlio in braccio; il Bambino ha la veste rossa, la Madre siede su un trono dorato, con manto. Ai lati: S. Domenico, e S. Caterina inginocchiati presso il trono, guardano da una parte i fedeli religiosi, dall'altra i laici. Intorno vi sono i quindici misteri del Santo Rosario; sopra il nome di Gesù scritto a caratteri d'oro, aggiunto un centinaio d'anni dopo. Ne è creduto autore Ludovico Brea, nizzardo, dal quale fu anche dipinta la biblioteca. L'altare è circondato da colonne in marmo bianco, rovinate dai Saraceni, ma poi di nuovo rifatte e rafforzate da una cancellata di ferro sia per bellezza, sia anche per riparo al paramenti e ai preziosi ex-voto offerti dai fedeli.
Segue il pulpito per le prediche, che gli empi turchi bruciarono, ma poi i frati ne fabbricarono un altro in legno di noce, uno dei più belli della nostra Provincia .
Dalla parte verso il fiume vi sono tre cappelle; cioè: quella di San Giovanni Battista con gli apostoli Pietro e Paolo, e altri santi ai lati; fabbricata completamente a spese della nobile famiglia Curio; la costruzione dei muri costò L. 83 e soldi 11 come risulta da antichi conti.
Sulla base della pala dell'altare c'e scritto: Questa opera fecero innalzare i nobili Benedetto e Lazzaro dei Curli a lode di Dio, il 10 ottobre 1495.
Dall'altro lato della cappella di S. Giovanni Battista anticamente c'era l'altare dedicato a S. Lorenzo martire. Sull'icona di quest'altare vi erano scolpite in terracotta le statue di S. Lorenzo, seduto con la graticola in mano; alla sua destra S. Stefano, vestito da diacono, colpito da pietre in testa e alle spalle; a sinistra S. Sebastiano trafitto da frecce.
Tutto lo sfondo era dorato. Sopra vi era la deposizione di Cristo dalla croce ; ma tutto distrussero quegli empi tiranni. L'opera apparteneva alla nobile famiglia dei Curli, del ramo del sig. Ramoreto. Siccome per molti anni nessuno provvide alla riparazione di quei guasti, per comando dei superiori tutto fu distrutto, e soltanto nel 1612 fu costruito un artistico altare a spese dei seguenti signori: l'illustre dottore in legge Olivero Littardo che per molti anni lavorò nella curia del principe di Monaco quale supremo consigliere; il reverendo Vincenzo suo fratello che ricoprì molte cariche nella curia del cardinale Ippolito Rosso, vescovo di Pavia e di Guglielmo Bastonio, vescovo e vicario generale; infine a spese del giureconsulto Battista, fratello di Sebastiano Littardo, e della vedova Salvagina Littarda loro sorella. Tutti e quattro sono raffigurati in ginocchio ai piedi di Maria Vergine. Nella stessa pala sono dipinte le immagini dei santi confessori Carlo Borromeo, Raimondo e Vincenzo del nostro Ordine, e di S. Maria Maddalena.
Viene poi l'altare di S. Giacinto confessore , eretto a spese dei nobili fratelli Edoardo e Cristoforo fu Pietro Curio, del ramo del sig. Ramoreto, per la devozione a quel santo che ora il papa Clemente VIII ascrisse nei santi confessori. Eressero a loro spese quell'altare affinché non si perdesse la memoria dei loro predecessori. Presso l'immagine della Vergine che parla a S. Giacinto, fecero dipingere S. Stefano e S. Lorenzo.
Poi vi è l'ingresso principale della chiesa: sull'architrave, grosso blocco di marmo bianco, vi sono scolpite, al centro, S. Maria madre di Misericordia, con il popolo cristiano radunato sotto il suo manto, a destra S. Pietro Martire, a sinistra S. Caterina da Siena. In chiesa, presso la porta vi è la pila in marmo bianco per l'acqua benedetta, che rotta e gettata a terra dai barbari, fu riparata e rimessa a posto dai cristiani nel 1576.
Per ora abbiamo parlato degli altari e delle cappelle della nostra chiesa, nella parte riservata agli uomini.
Passiamo ora alla parte riservata alle donne: vi sono otto cappelle con altrettanti altari, quattro di qua, quattro di là, della medesima larghezza e lunghezza, ma differiscono in questo che quelle che sono dalla parte della valle ossia verso il declivo del monte, ad oriente, sono il triplo in lunghezza. Questo, secondo me, fece il dotto architetto, forse i milanesi Antonio e Cristoforo Bunichi dai quali discendo per parte di madre, pensando alla rovina che poteva derivare dalla debolezza delle fondamenta sul declivo del monte, con logge della chiesa molto grandi, alte sopra i muri delle cappelle, ed essendo la chiesa-costruita senza peducci in pietra sui quali si scarichi il peso della volta.
La prima cappella dal coro, al lato destro era dedicata a S. Caterina da Siena, dipinta con scene della Passione di Nostro Signore.
L'icona di S. Caterina fu trasportata in sacrestia, come ho già detto, e circa nel 1575 la nobile famiglia de Vivaldis, del ramo del sig. Enrico, ne fece dipingere una nuova raffigurante l'Ascensione di Nostro Signore, non molto artistica, e i padri del convento (poiché in Taggia mancavano le suore) la collocarono al posto di quella di S. Caterina.
Quanto fu esposto sulle pitture appare dal legato del notaio Biagio Capponi, che nell'anno 1484 lasciò denaro per fabbricare la cappella dedicata al S. Salvatore; infatti Domenico, suo figlio ed erede, promise molti beni: un terreno, sul territorio di Taggia, in regione Riva Bianca, che fu venduto al fornaio Giovanni Vivaldo per L. 270. In quello stesso legato si parla di fabbricare un calice, di lampade ad olio e cero da accendere al momento dell'Elevazione durante la celebrazione delle messe su quell'altare.
Segue la cappella di S. Caterina vergine e martire per la quale il nobile Pietro Antonio Ardizone nel 1477 pagò L. 200 per farla costruire dalle fondamenta al tetto; l'icona suddivisa in vari scomparti fu composta a Londra in Inghilterra, a spese dei fratelli nobili Giorgio e Raffaele Ardizone.
Poi vi è la cappella della Natività di Nostro Signore per la cui totale costruzione nel 1488 i nobili Michele Battista e Pietro Visconte spesero L. 200. Dopo molti anni, cioè nel 1596, il reverendo frate Pietro Visconte, maestro di teologia, inquisitore domenicano a Cremona, discendente del Michele Battista, fece dipingere un'artistica icona raffigurante la Natività di Nostro Signore, e la fece collocare nella cappella dei suoi antenati. Vi è un suo bel ritratto nell'effigie di San Pietro Martire. Infine verso l'ingresso maggiore della chiesa vi è la cappella dell'Annunciazione costruita a spese dei nobili fratelli Sebastiano e Fabiano Asdente. La pala dell'altare raffigura la Beata Vergine salutata dall'Angelo Gabriele, tra i Santi Fabiano e Sebastiano; intorno i misteri del Rosario e lo stemma della nobile famiglia Asdente con la data: 1474. Dall'altra parte della porta maggiore della chiesa, tutta in pietra nera vi è la vasca in marmo bianco per l'acqua benedetta, che i barbari hanno rotto, rifatto poco dopo pure in marmo bianco, ma nuovamente rotta pochi anni fa per sbadataggine perciò il nobile Giovanni Battista Pastorello ne fece fare una nuova a sue spese.
Affissa al muro una lapide in marmo bianco con lo stemma degli Ardizoni e le scritte: 1475,1 dicembre. Onorato Ardizone fu Pellegrino fece per se e per i suoi eredi.
Segue poi la cappella di S. Tomaso d'Aquino. Sulla pala vi è dipinto S. Tomaso, seduto, con un libro aperto in mano su cui si legge: La mia bocca dira la verità, le mie labbra detesteranno l'empietà. Sotto ai suoi piedi è dipinto l'arabo Averroè, vestito come i Saraceni. Alla destra il domenicano S. Antonino, arcivescovo di Firenze, a sinistra S. Antonio abate egizio. In alto: S. Caterina da Siena e la beata Osanna da Mantova. In basso alcuni miracoli della vita di S. Tomaso, come la sua lectio innanzi al sommo Pontefice e ai Prelati, innanzi al re e altri laici, come fu cinto dagli angeli e quando il crocifisso gli parlò. Questa cappella fu fabbricata nel 1543. Nel 1502, il 20 novembre, la nobile Mariola Ardizone, figlia di Onorato e moglie di Giovanni Antonio Oliva, cittadino ventimigliese, per testamento lasciò L. 200 a questa cappella dedicata a S. Antonio abate; da ciò possiamo dedurre che quell'icona sia stata pagata dalla benemerita nobile Mariola.
Segue la cappella di S. Maria Maddalena per la qual costruzione i nobili Bonifacio, Giuliano e Michele Revelli spesero L. 100. La pala dell'altare fu dipinta a spese del reverendo Bonifacio Roggero fu Filippo come si può leggere su una tavola dipinta sulla parte inferiore.
Vi è dipinta la Beata Vergine Maria con il Figlio in braccio che tiene in mano un cardellino; a destra S. Filippo apostolo, e il santo padre Domenico; a sinistra Santa Marta con vaso di acqua benedetta e l'aspersorio e S. Maria Maddalena con i capelli sparsi e un vaso di alabastro.
Aggiungo però che dopo la canonizzazione di S. Raimondo confessore, non essendo m chiesa alcun suo ricordo, fu aggiunto sotto S. Domenico il nome di S. Raimondo e il miracolo del suo viaggio attraverso il mare, senza nave, ma sul suo mantello aperto, dalle isole Baleari a Barcellona.
Sotto vi sono dipinti alcuni fatti della vita di S. Maria Maddalena, come la mensa in casa del lebbroso Simone, la lavanda dei piedi del Signore, la resurrezione di Lazzaro, l'elevazione di S. Maria Maddalena all'ascolto delle lodi divine, la sua comunione per mano di S. Massimino, e un altro sacerdote che tiene la candela accesa, che si dice essere il ritratto del rev. Bonifacio Roggero.
Segue terza la cappella di S. Vincenzo confessore, del nostro Ordine, con un libro aperto in mano su cui si legge: Temete Dio, onoratelo, perche viene l'ora del giudizio. Al lato destro vi è la figura di S. Vincenzo levita e martire, alla sinistra quella di S. Erasmo vescovo e martire con un candelabro in mano. Questa cappella fu fabbricata a spese dei nobili Francesco Bonifacio e suoi fratelli.
Quel Francesco ebbe quattro figli tutti benemeriti: il primo, Tomaso, donò al convento una braida, campo coltivato, detta Del Gombo e molti altri beni, come registrato in antichi libri di conti, fino al 1523. II secondo, Domenico, lasciò tra l'altro alla cappella venti Luoghi sul Banco di San Giorgio di Genova. Il terzo, Barnaba fu il padre della generosa signora Giulia, moglie del nobile Edoardo Curio. Ho spesso sentito raccontare da mio padre che ben l'aveva conosciuto, che il generoso Barnaba aveva distribuito quasi tutti i suoi beni in elemosina ai poveri. Il quarto fu Andrea: parleremo tra poco della sua carità e munificenza verso il nostro convento e i poveri.
Per la pala dell'altare di S. Vincenzo, la figlia del predetto Francesco, quale coerede dei beni, e delle consuetudini, lasciò L. 100 per testamento che ci verso sua sorella Mariola, suora terziaria del nostro Ordine, segnata al n. 29 dell'elenco delle sorelle su riferito. Quella pala fu dipinta nel 1501 dal pittore Nicola Cirno.
L'ultima cappella è quella di S. Pietro Martire per la quale nel 1474 Bartolomeo Lupo versò L. 100. Il 21 gennaio 1522 il nobile Domenico Oddo di Taggia lasciò con testamento ogni sua proprietà per la cappella di S. Pietro Martire disponendo che 25 ducati andassero per 1'icona, e gli altri suoi beni fossero venduti per l'acquisto di Luoghi del Banco di S. Giorgio di Genova per la perpetua celebrazione su quell'altare (con l'annuo reddito) di messe in suffragio dell'anima sua. Volle esecutori del testamento il giurisperito Gerolamo Reghezza e il nobile Edoardo Curio, come risulta dai rogiti del notaio Giovanni Battista Ardizone.
Si trova anche segnato che nel 1517 Bernardo Lupo destino L. 325 alla costruzione di quell'altare, ma la cosa non andò avanti per diverse cause che talvolta accadono. Difatti fu fabbricato con denaro di Domenico Oddo, con stemma di questa famiglia, che ancora è visibile.
La pala fu dipinta dal reverendo Emanuele Maccario di Pigna; vi è l'immagine di Nostro Signore crocifisso; al lato destro ha S. Domenico, a sinistra S. Caterina vergine e martire; ai piedi del crocifisso S. Gerolamo che si batte il petto con una pietra; a sinistra S. Pietro Marti re.
I Turchi, spinti da bestiale furore contro le immagini di questo altare, al tempo della loro incursione, con le scuri e con altre armi, ne rovinarono i volti, le braccia, i petti.
Ritengo opportuno aggiungere che quel frate dipinse per scherzo gli occhiali sul volto di S. Domenico, e poi vantandosene e ridendosene divenne cieco, e lo rimase per tutta la vita, come alcuni testimoniano ancora adesso, nell'anno 1622 .
Le volte di tutte le cappelle sono di colore bianco e nero, così quelle di tutta la chiesa, fino alle capriate, come si vede ancor oggi.
Sopra, al foglio 7° , abbiamo detto che il 26 aprile 1460 fu comprato un campo da Pietro Borria; però ho poi trovato che un altro terreno per la costruzione del monastero fu comprato da Ginliano Giovannello, nella medesima regione della Cappella, dagli ufficiali eletti dalla città di Taggia, deputati alla costruzione del nuovo monastero, come risulta da un atto del notaio di Taggia Guglielmo Porro, i cui atti nel 1499 erano presso il notaio tabiese Filippo Portonerio.
Prima di procedere ulteriormente è necessario render conto con quali aiuti è stato costruito questo grande complesso, per rendere a tutti l'onore dovuto, ed i posteri li possano benedire e imitare.
Al primo posto mettiamo il papa Innocenzo VIII, della famiglia Cibo di Genova, non primo nel tempo, ma per importanza, che nel 1485 su preghiera del frate Tomaso Ascillo da Savona, allora priore di questo convento, concesse l'indulgenza della crociata a chi lavorava alla costruzione del convento.
In secondo luogo poniamo i duchi di Milano dai quali era dominata la Repubblica di Genova. Ci sono pervenute alcune lettere ducali riguardanti la costruzione del convento. La più antica dice: Bianca M. Visconti, duchessa di Milano, signora di Mantova e Galeazzo M. Sforza Visconti, duca di Milano, conte di Pavia, signore di Genova ecc. Aderendo alla richiesta della popolazione di Taggia per la devozione sempre rivolta alla Vergine Maria in onore della quale i Tabiesi stanno costruendo una chiesa, concede per due anni la riscossione dei diritti di SCRIVANIA dal I marzo dell'anno prossimo 1468, a favore del comune di Taggia dandogli la facoltà di scegliere chi vogliono ad esercitare questa scrivania, attribuendogli il dovuto salario, autorità, onore e prerogative.
Milano 24 giugno 1465
Per confermare meglio questa lettera, sebbene non ce ne sia bisogno, riportiamo (qualche brano) di lettere di ratifica:
Comandiamo a tutti gli ufficiali e sudditi nostri di rispettare e far rispettare i nostri ordini.
Milano 16 aprile 1467.
Giovanni (Sforza).
A tergo di quella lettera c'e scritto:
1 marzo 1468. Questa lettera fu presentata al sig. Batista Cattaneo, vicepodestà di Taggia da Fabiano Asdente e Michele Battista Visconte, incaricati di Taggia, e massari della chiesa (dei Domenicani) per chiedere che sia eseguito tutto quanto espresso nella lettera. Il vice podestà, lettone il contenuto, l'accettò.
Cherubino Ardizone, notaio
Anche il duca Galeazzo M. SforzaVisconti permise che per altri tre anni e tre mesi i proventi della scrivania di Taggia andassero a favore della costruzione della chiesa, a partire dal 1 maggio 1469, come risulta da una sua lettera da Vigevano del 1 febbraio.
Terzo: lo stesso duca e principe concesse ancora la scrivania di Taggia a favore della costruzione del monastero per altri tre mesi e tre anni a partire dal 1 agosto 1473 come appare da sua lettera del 1 giugno 1471, da Pavia, purché quel denaro fosse speso solo nella costruzione della chiesa e del monastero.
Ricordiamo anche che la duchessa di Milano nel 1468 mandò in due volte, dai propri beni personali L. 197 e s. 16 di moneta di Milano, per quella fabbrica. Dio gliene renda merito.
Dobbiamo anche ricordare Agostino Adorno, governatore della Repubblica di Genova per il duca di Milano: nel 1490 concesse la serivania per altri 13 mesi a favore della medesima costruzione.
Era podestà di Taggia Ludovico Gentile, patrizio genovese, che accolse benevolmente quelle lettere di cui si è parlato.
Citati ai primi posti il pontefice e i principi, dobbiamo subito dopo render merito agli uomini del comune di Taggia, per intuito dei quali fu concesso il permesso di costruire questo convento.
Difatti nel 1475 fu offerta da diverse persone la somma di L. 419, soldi 12, denari 9, e varie altre cose, come cibo quotidiano e altro per coloro che lavoravano.
Inoltre nell'anno seguente cioè nel 1476 il comune di Taggia devolse alla costruzione del convento l'introito della gabella sugli erbaggi cioè sui pascoli degli animali, la quale gabella fu venduta a Demetrio Oddo e altri suoi soci di Triora per più di L. 600, come risulta da un antico libro di conti.
Quando ero ragazzo ho spesso sentito raccontare dai vecchi che tutta la popolazione di Taggia, uomini e donne, anche dei paesi vicini come Castellaro e Bussana son venuti a lungo a trasportare pietre, sabbia, legna, ferri e ogni materiale, sia con animali da soma, sia sulle spalle o sulla testa. Uomini e donne, nobili e persone di qualunque condizione si passavano di mano in mano le pietre dal fiume fino al luogo di costruzione del convento. Alcuni fornivano denaro ai poveri (che lavoravano al convento). I poveri, contenti del solo vitto loro fornito, si dedicavano a quella pia costruzione. Che questa e simili cose si siano verificate lo possiamo dedurre da quanto abbiamo visto personalmente succedere nel 1608 e seguenti per la costruzione del monastero di S. Francesco in Taggia, e da quanto si dirà più avanti assai diffusamente.
Circa le persone di fuori in primo luogo devo lodare la popolazione di Dolcedo dalla quale abbiamo ricevuto aiuti più che dagli altri paesi sia nell'assistenza ai frati, sia nella costruzione del convento. Ne riparleremo tra poco.
Dobbiamo poi ricordare il popolo di Triora dal quale pure abbiamo ricevuti molti beni; come anche le popolazioni di Ceriana, Montalto, Badalucco, Briga e Pigna, della diocesi di Ventimiglia. Anche di essi parleremo più sotto.