La rivolta popolare e villana del 1625

La RIVOLTA POPOLARE E VILLANA del 1625 (IISL - Biblioteca G. Rossi n. 84, 1) da Breve Compendio di Ventimiglia manoscritto originale del XVII secolo, con appunti storici su Ventimiglia - da p. 20 verso, alla fine - (Anonimo autore - La guerra del 1625) .

"...[nel XVII secolo] per quanto comportavano i tempi si viveva con quiete, e si godette per molti anni, sino a tanto che del anno 1623 mosse il perturbator [così l'autore genovese definisce il Duca di Savoia: N.d.A.] dell'Italia non meno ingiusta che crudel Guerra a quelli, le cui ricchezze, e prosperi successi come invidiava, così aveva risoluto con ampie, e prossane (sic!) maniere di esterminare.
Macchinava già lungo tempo nel molino del suo cervello la rovina de Genovesi; non erano le di Lui forze sufficienti di poner esso solo le mani in pasta, e perciò da francesi richiedendo fuoco di ardore di buon numero di soldati, da Veneziani danari, e da altri Principi segreti aiuti, e favori, comincio assai presto, e felicemente con le loro proprie armate fa pane, che se bene nel pastarlo, e cuocerlo in parte le fu di gusto, stimo che nel digerirlo abbia patito, e patisca tanti disgusti, che con difficoltà si possa accomodare ad evacuarlo; venendo detto Principe con il gran Contestabile di Francia e 30/m(ila) fanti per sradicare affatto il nome genovese, la bontà Divina che ancor nelle prosperità suol premiare i meriti dell' [illeggibile: N.d.R.]... e di quelli che al pari de Genovesi hanno sempre con fedeltà obbedito alla Chiesa, e suoi Pastori, non solo ha conservato il Capo della Rep.ca con i membri più principali, ma ha di più dato gratia, che in breve spatio di giorni col favore, et aiuto di Spagna ripigliassero quelle Piazze, che da Savoiardi ben munite, e fortificate si erano rese per mancamento de soldati, e debolezza de Luoghi senza contrasto.
Preso dal Principe Vittorio di Sabaudia il Luogo della Pieve chiave della Liguria verso ponente con altri Luoghi, mandò un Trombetta a questa Città a fargli la chiamata ma non ebbe risposta adeguata al suo desiderio, si stava però con cautela grande aspettando d'ogni momento l'Inimico.
La notte della Pentecoste si stette su l'arme, e la mattina supponendo dovere vedere l'armata nemica, si videro 3 Galere con 500 fanti di rinforzo.
Fu al Generale dato ad intendere, che la Città già si era resa, e non volse approdare al Lido, sino che non vedesse segni manifesti, che la Città era ancora sotto il Dominio Genovese.
Dopo esser sbarcato disse aver questo rinforzo, e che la Repubblica n'avverrebbe mandato di più, quando vi fosse stata la necessità.
Ciò detto fingendo per dubbio delle undici Galere e Galeoni di Marsiglia, che a nostri danni venivano, senza sbarcar l'Infanteria si ritirò a Monaco.
Per questa venuta si cantò il TE DEUM, e si diedero segni di allegrezza.

Il giorno seguente smontò il Signor Galeazzo Giustiniano con suoi fratelli, visitò il posto e sito della Città, visitò con ogni diligenza tutti i posti assai men forti di quello si supponeva, ond'ebbe a dire, che se le Donne, e fanciulli erano quivi rinchiusi in molto numero fossero stati tutti Soldati, che non potevano resistere all'impeto de nemici, abbatterono l'animi de Cittadini, tali parole, dopo questo andò a sentir Messa, e indi in casa di Monsignore Gandolfo Conte di Riccaldone, e Vescovo della Città, dove avendo fatto adunare il Signor Commissario, il Colonnello, l'Officiali tutti della Città, e sue Ville, e li Gentiluomini della Repubblica, che quindi erano cosi disse: "Signori quale e quanto sia sempre stato l'affetto della Rep.ca verso questa fedelissima Città, più voi, che l'avete provato potete immaginarvelo, che io esprimerlo; E' piaciuto alla bontà Divina in odio de peccati nostri di metter questa Rep.ca in dubbio, trovandosi ancor Genova Capo di questa in estremo pericolo, con tutto ci6 a guisa di pietosa Madre, e di sollecito Pellicano, ha voluto consquarciarsi il seno col sangue di questi 600 soldati, che tanto sarebbero necessarij per mettere alla fronte di quel nemico, che calando giù per la Ponzevera [per "Polcevera" una delle tre grandi Podesterie di Genova: N.d.R.] già minaccia crudelissima servitù alla comune Patria, e madre, non e dubbio, che essendoseli di recente levata crudelissima guerra contro, non ha per brevità di tempo potuto procacciare quei recapiti, che alla guerra esser necessarij ci ha dimostrato l'esperienza. Pur non vi sgomentate, che Dio ci aiuterà.
E' cosa molto difficile col numero delle genti, che ho qui condotto difendere Città di tal circuito, come e' questa, sono le mura deboli, la Rep.ca vuole vivi tutti i sudditi. Ho ordine, (che poi mostro) che non potendosi difender, che vi rendiate, vi assolve il Principe dal giuramento, questo solo vi prego, che quell'amore, che sempre professaste di portare alli Padroni, che l'istesso passando sotto l'altrui Dominio, come oro nella fornace si purifichi, ma non si consumi".

Le strida, nelle quali proruppero i Cittadini, che in gran numero si trovarono in Casa del Vescovo desiderosi di sentire il successo di quella adunanza, averebbe rese pietose le Tigri.
Ben diedero ad intendere senza fin spiacerli, che quest'officio, che combattendo speravano dovessero forte le mani combattendo difendendosi, fosse con sì dolorosa metamorfosi trasformato in servizio di rasciugare l'infinite lagrime, che in guisa di vivi sorgevano dagl'occhi di ciascheduno; li sospiri delle fanciulle, il stracciarsi i crini [per "capelli":N.d.R.], i sassi, non che gli uomini commuoveva.

Fu finalmente con il consiglio di detto Signor Generale e del Signor detto Commissario conchiuso di cedere alla fortuna e mentre si cercava no due Cittadini principali per andare dal detto Principe corse voce, che in ogni modo voleva i Signor Generale imbarcar l'artiglieria, causò tal voce tanta alterazione nelli villani, che a guisa di forsennati armandosi di tutto punto correvano senza giudizio con stride spaventose per le pubbliche strade gridando a Viva S. Giorgio, non bastò la presenza del detto Signor Generale, l'autorità del Signor Commissario a raffrenarli a segno, che uccidendo uno Sbirro, e ferendo il Cancelliere della Corte non entrassero nelle Case di quelli Cittadini, che ancor nel Palazzo Episcopale piangendo stavano, e i quali appresso di loro erano ribelli, e traditori.

Entrarono questi Scellerati in molte case de Cittadini, e quelle sotto pretesto di attaccar Savoiardi, e Francesi saccheggiarono, rubavano denari, e mobili, stracciavano libri de creditori; ciò ch'era difficile a sopportarsi rompevano.
Correva a guisa di torrente per le strade il vino, e l'olio.
Invano per Divina clemenza spararono varie moschettate alle Case de suddetti, era la Strada della Piazza piena di mobili, scritture, farine, etc.
Si vide più volte il Commissario, e il Generale in manifesto pericolo, non ardivano gli officiali di lasciarsi vedere. Perderono questi empii il rispetto all'istesso Dio, poiché con scuri, et altri istromenti fecero forza di gettare a terra una porta del Palazzo Episcopale, che va in Chiesa, onde non stimandosi Monsignor Vicario in Casa, aprì con gran coraggio la detta Porta, e ritardando più tosto, che reprimendo l'ardore di quelli iniqui diede di mano al Santissimo, e quello portandolo sopra la porta, accompagnato da gran numero di persone mostrava al popolo a gridar misericordia.

Fucci profana Lingua, che ebbe a dire, non esser più questo tempo di misericordia, e ben si conobbe questo , imperoché non ammolendosi il cuore di quei, convenne portare il Santissimo in casa del Signor Battaglino Orengo Alfiere della Città, a cui avendo maltrattata la madre Silvia Doria Sperona in Chiesa, e cercando Lui, che miracolosamente nella cappella nuova dal Signor Giovanni Battista Giudice, che al l'ora fabbricavasi, erasi nascosto, per ucciderlo, non trovandolo saccheggiarono la di lui casa.

Seguì un caso assai sconcio mentre Monsignor Vescovo entrava col Santissimo nella sua Casa, uno delle Ville gli toccò il braccio e fu causa di far cadere la cupola del vaso.
Non cessavano gli empi di far ogni danno fimo a tanto, che essendo imbarcati li 600 fanti, e videro avvicinarsi l'inimico in numero di 6000 soldati, et allora se ne fuggirono carichi di preda, restando nella Città di loro appena cento.
Fu risoluto allora trovandosi senza gente di mandar due Padri di S.t Agostino al Principe quali da Sua Altezza Reale ottenessero salvacondotto per due Cittadini, che per Ambasciatori voleva mandar fuori Città con facoltà di rendersi.
Partirono i Padri alle due ore di notte, e andarono al Campo ne mico, il quale faceva moltissimi fuochi, che furono necessitati ad estinguere, stante che le Galere li tormentavano con il Cannone, furono spediti i Padri, e subito si mandò dalla Città il Magnifico Gio Batta Aprosio, e il Magnifico Gio Batta Porro, et avendo compositato con onorati capitoli, concordarono, che la Città dovesse pagar 6000 Doppie.
Tornati i nostri s'apparecchiarono i viveri per il Campo, che il giorno seguente venne nella Città; essendosi accresciuto a questi il Marchese Dogliani Governatore di Nizza con 4000 fanti, et altri infiniti i quali non credendosi che la Città si dovesse subito rendere per esservi le Galere, e buon presidio, vennero moltissimi dal Contado di Nizza, credendosi sicuro il sacco della Città, entrarono nella Città, ove non si vedeva altro, che alloggiamenti, e forestieri.

Entrò il detto Principe il mercordì delle tempore dopo la Pente coste, non essendo stata fatta alcuna dimostrazione d'applauso, ne essendo stato, come si credeva il giorno del Corpus Domini favorito dalla vista delle principali Cittadine ebbe a dire che questi novelli sudditi ci riuscirebbero mali Cristiani, alludendo al giuramento di fedeltà, che dovevano prendere.
Dava al detto Duca non poco fastidio la presa de Castello che essendo sopra un alto et elevato poggio con bellissima pianta situato, dimostrava maggior fortezza in apparenza, di quello era in effetto, poiché fu il detto Castello per dobio della mina dopo 9 giorni, avendo aspettato il Cannone, necessitato a rendersi al nemico, il quale avendo nel tagliar le raccolte del grano e biade per pasti de Cavalli non poco dannificato le nostre campagne, assai presto vittorioso tornossene trionfante in Piemonte, che sì come è cosa solita, e naturale quasi, che con minor difficoltà s'acquistino le provincie, e Regni, di quello che si conservino così poco durarono queste Vittorie, e trionfi, ripigliando la Serenissima Repubblica fra brevi giorni tutto il suo stato solo restando dopo la presa del Porto Maurizio, e riviera tutta in loro bailia, e poter questa desolata Città esempio di ogni miseria.
Aggravarono la Città di nuova contribuzione di Doppie 1480 per stipendij de soldati sotto pretesto di andar a far riverenza a Don Felice naturale del Duca di Savoia, inviarono a Sospello, ove era quel Duca 10 Cittadini per ostaggio, Roberto Aprosio, Giuseppe Riccobono, Gio Batta Orengo, Giuseppe Covenda, Lodovico Aprosio, Casanova, Emmanuele Porro, Guido Ascanio Galeano, e Clemente Orengo, ed ivi credendosi esser licenziati fra breve, li tennero dalli 9 sino alli 25 d'Agosto sotto color di voler buttar giù le mura della Città contro i primi accordi, li necessitarono a pagar nuovo presidio di cento fanti a quali pagò la Città quasi per due Mesi cento Pezzi da otto il giorno, e d'ordine di Don Felice furono mandati a Nizza, onde mentre per spedirsi sollecitavano i conti, s'intese essere con una truppa di Cavalleria avesse il Barone Vuatvilla Generale di quella per Genovesi alli 25 del detto inviato trombetta a chieder in nome loro quella Città, che essendogli in apparenza negata, le fu però data speranza, poiché il giorno seguente di S. Secondo Protettore della Città di consenso del Governatore, che v'era per l'Altezza di Savoia, furono in nome della Città, e sue Ville mandati a S. Remo a capitolare col detto Barone il Signor Fran.co Riccobono, e Signor Marco M.a Sapia Notaio, e furono ricevuti con segni d'affetto, e mentre si trattenevano questi in S. Remo, andò detto Barone per facilitarsi l'impresa a levar i soccorsi, ad espugnar Pigna, indi tornò con l'esercito a Ventimiglia, ove il giorno dell'esaltazione della S.ta Croce 14 Settembre comparvero i due mandati, e fingendo i Savoiardi volersi difendere mandando i Genovesi l'artiglieria bene presto si arresero, e andando a Capitolare Gio Batta Aprosio, Riccobono Sudetto, Gio Batta Giudice, e Gio M.a Fenoglio tutti Cittadini, e restando il Riccobono, Fenoglio per ostaggi tornarono i due primi dentro a ragionare, e dopo lungo trattato fu concluso, che con la tregua d'un giorno i Savoiardi si ritirassero in Castello, onde entrò l'esercito Genovese numeroso di 10/m(ila) fanti fra Corsi, Spagnoli, Italiani, e Napoletani, e in appresso venne il soccorso di 4/m(ila) tedeschi, che restarono di retroguardia fuori delle mura.
Si pose l'istessa sera l'artiglieria a posto, e la seguente mattina principiò la batteria contro il Castello, il quale dopo un grosso numero di Cannonate si resse, e gli fu concesso libero passaggio per il loro paese.
Non si poté il popolo raffrenare di non ingiuriarli, e di non tirargli de Sassi, talché quei poveri Savoiardi maledicevano l'ora, che avevano visto questo paese.
Furono rese grazie a Dio d'esser liberi da Nemici, e di trovarsi sotto il primiero governo.
Seguì nella presa di questo Castello un caso veramente miracoloso, e fu che fra li molti, e spessi colpi d'Artiglieria, che venivano da esso, una palla di questi tirata andò in Chiesa, ove con il Marchese S.ta Croce era il Signor Duca di Tursi con due Senatori ad udir la S.ta Messa, e rompendo il Ciborio gett6 con esso a terra il Sacro Vaso, e correndo per il Coro quella palla andò a piedi del Signor Can.co Stornello, e Cantore detta Cattedrale senza fargli altro male, che bruggiarli il Lembo della veste, fu pigliata quella dal Signor D. Carlo Doria, quale ringraziando S.D.M. di aver pigliato in se stesso il colpo di quella, che doveva Lui per i suoi peccati privato di vita; per memoria del beneficio la volse seco.

Non contenti i Savoiardi, dopo esser stati scacciati da Ventimiglia andavano depredando la campagna, et essendosi uniti circa settantadue si accordarono di pigliar la Torre d'un certo Ant.o Viale, che si bene seppe difendersi, che con morte di uno, e con aver ferito 3 o 4 li costrinse abbandonar l'impresa.....