BALESTRA

La balestra e un'arma comparsa in Cina al termine del III sec. a.C. sotto la dinastia Chou; era un miglioramento dell'arco che, fissato ad un teniere ("l'impugnatura"), poteva essere più robusto e potente pur a scapito della cadenza di tiro.
In Medio Oriente e in Occidente l'arme forse era usata già nell'antichita classica, e sicuramente a Roma nel tardo periodo imperiale (Flavio Renato Vegezio, intorno al 370-390 nell'Epitome dell'arte militare -quasi certamente dedicata a Teodosio- disse di non averne trattato essendo arma notissima), ma non è sicura certa una sua diretta provenienza dal modello cinese (che non è noto in tutto ma di cui restano alcune immagini scolpite e riproduzione di bronzo).
La balestra era però ignota a Bisanzio, dove essa fu considerata novità barbarica, come ne scrisse poi Anna Comnena, quando con la prima Crociata vi apparve nel 1096.
Ciò indicherebbe che l'arma non venisse molto usata né nei territori piu vicini all'lmpero d'Oriente (quelli mediterranei) nè in quelli piu lontani con cui commerciava (il Nordeuropa e le Russie), senza dimenticare che la Guardia imperiale contava reparti di Variaghi -accolti dopo Hastings—fuoriusciti danesi e sassoni (e le più antiche balestre vengono da Lillo, presso Krstianstad).
Inoltre con la decisione del Concilio Laterano I, nel 1139, la balestra venne messa fuori legge e dichiarata usabile solo contro gli Infedeli.
Se ne deduce che era diventata di uso generale, e temuta. E' quindi credibile che la balestra si sia affermata quale arme moderna—in Occidente—tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo.
I BALESTRIERI LIGURI, destinati a diventare celebri (tanto che tuttora varie associazioni -tra cui prestigiosa quella dei "Balestrieri di Ventimiglia"- in ricordo anche del famoso passato militare degli avi hanno ripreso in forma di sport l'arte di maneggiare questa arma), per gran parte della storia antica della Repubblica di Genova diedero prova di valore contro ogni nemico sì da essere richiesti come soldati fra le fila degli eserciti di vari sovrani stranieri.
Mediamente si fanno iniziare le loro gesta dal 1173, da quando fu cioè redatto un accordo tra Genova e Gavi anche se è probabile che i Liguri abbiano appreso questa tecnica di guerra almeno un secolo prima visti i continui contatti con il Medio Oriente.

Balestre da tendere a mano non sono in pratica mai esistite (per es. i celebri balestrieri genovesi ricorrevano al CARICAMENTO A STAFFA.
Vista la tensione della corda e le dimensioni ridotte dell'arco sorse la necessita di esercitare un grande sforzo per caricare l'arma, usando qualche strumento adatto.
Dapprima si usarono leve di legno col fulcro impostato applicato al teniere o alla sua testa, e poi ganci di cintura da passare sotto la corda che veniva tesa risollevando il busto. La corda era trattenuta da un noce girevole bloccata da una fermezza interna controllata da una manetta; un gioco di rinvii a leva consentiva, premendo la manetta, di sbloccare la noce liberando l'arco.
Questo dapprima era di legno—in genere frassino o tasso, come negli archi semplici—poi fu costruito molto robustamente compensando strati di legno con altri di osso e impiego di minugia.
La sezione era massiccia, circa a forma di un 'D' con la convessità in avanti, e in avanti l'arco tendeva a disporsi quando non era incordato; tal struttura faceva si che l'arco avesse gia una sua tensione iniziale interna già prima di essere cimentato dall'applicazione della corda.
Balestre con archi di questo tipo — poi sostituiti da quelli metallici a partire dal primo '300— furono usati fino ai primi del '500 seppur con varianti di caricamento

L'adozione di una STAFFA alla testa del teniere consentiva di fermare l'arma passandovi dentro un piede mentre si tendeva l'arco col gancio o, più tardi, con una leva a piede di capra impostata su 2 pironi trasversali al teniere o con un martinetto.
La leva, come il gancio o il martinetto, era staccata dopo l'operazione, prima di mettere in sede il dardo (assai piu corto delle frecce degli archi).

Il dardo—come tutto il saettame—ebbe presto impennaggi fissati diagonalmente in modo da imprimere una rotazione iniziale che determinava una traiettoria regolare.
L'asticella del dardo posava su una scanalatura del teniere oppure— come si preferiva in ambito tedesco— solo la sua cuspide stava locata su una apposita placchetta d'osso.
La balestra si usava anche per cacciare e costituiva anzi un'eccellente arma, preferita anche alle armi da fuoco: le sue cuspidi divennero molto specializzate, a seconda che servissero per guerra o caccia e in caso di cuspidi da caccia si davano loro le forme adatte alla selvaggina e al tipo di colpo che si voleva portare a bersaglio.

Balestra a pallottole era quella che tirava la piccola ballotta di creta tenuta in una tasca di pelle sistemata tra le 2 sottili corde parallele che tendevano l'arco, sempre metallico e molto sottile.
Era l'unico di balestra armabile a mano, ma di potenza e portata relative.
Non mancava di precisione, notevole entro il limite utile, tanto che quest'arma fu usatissima nelle cacce ai volatili.
La balestra a pallottole è evoluzione dell'arco ballottaio, arma attestata dalla I metà del '300 (a Londra nel 1327 i giovinastri disturbavano la gente con archi e balestre a pallottole).
Giovanni Villani citò un fatto guerresco del gennaio 1300: i Tartari avrebbero usato saette prive di cocca("tacca praticata nella freccia per innescarla sulla corda") sì che i loro nemici saraceni non riuscissero a riscagliarle contro di loro, e per poterle tirare posero pallottoliere alle corde dei loro archi.
Balestre che scagliavano pallottole sono menzionate nelle gabelle di Perugia del 1391, e in quanto la tassa si riferisce anche a some non si può pensare che ci si riferisse ad armi collettive.
Sulle balestre a pallottole i documenti fan comunque pensare ale armerie di Firenze di I metà del '500. In un manoscritto del 1518 si legge che " si trovò il modo di fare le balestre a pallottole" e si attribuì l'invenzione a tal Giovanni di Mona Piera del Mucione, "che poi si chiamò sempre Giovanni delle Balestre".
Nel Bando sopra le Balestre a pallottole (Firenze, 1538) si legge gli "spettabili Signor conservadori di leggi della Città di Firenze, atteso, et considerando el danno et disordine grande che nasce et segue per le Balestre che da qualche tempo in qua si sono cominciate a usare vulgarmente dette le Balestre a pallottole, con le quali s'e uisto et uede ogni giorno far grandissimi danni con l'ammazzare colombi, et altri uccelli de' quali maggiore abbondanza assai sarebbe se da simil cose guasti et morti non fussino [...] nondimeno per esser questo modo di Balestre da non molti anni in qua trovato et moltiplicato assai , proibiscono a ciascuna persona di qualunque stato, grado e condizione si sia [...] portare, usare né etiandio tenere in casa, o altrove dette Balestre a pallottole".
Questo bando si lega bene alla notazione del cronista di vent'anni prima, e sembra dimostrare che queste armi, almeno per quel che riguarda la loro versione meglio nota, siano state rielaborate a Firenze in quegli anni. La più famosa appartenne a Caterina de' Medici [conservata a Parigi (Musee de l'Armee L 115)] e venne costruita prima del 1547 con probabilità a Firenze.
In questa città, presso il Bargello, lo Stibbert e il Bardini si conservano circa 50 balestre e balestrini a pallottole.
II teniere di tali armi, negli esemplari antichi, risultava intagliato con cura e abilità: sul dorso una voluta, spesso in forma di delfini o mostri fantastici, dava appoggio per un buon tiro.
Un traguardo ad archetto era imperniato alla nocca del teniere, che di li formava una concavita saliente poi verso la testa della balestra che in questi tipi recava il traguardo metallico bicorne (che serviva fermo per la levetta con la noce quando rialzava sotto il lavoro delia corda) e una puntazza anch'essa metallica.
La manetta funzionava come in tutte le altre balestre; data la leggerezza e flessibilità dell'arco non si sentiva bisogno dello scatto di precisione. II meccanismo era semplice: premendo la manetta la sua estremità anteriore liberava la coda della levetta con la noce.

Il Martinetto entrò in uso circa nel terzo quarto del XV sec. per armare la balestra militare dall'arco molto potente.
Non fu tuttavia un' invenzione ma in certo modo un all'antico in quanto ingranaggi per diminuire lo sforzo necessario a tendere gli archi fortissimi erano già stati applicati alle grandi balistae' dell'antichità romana.
Dall'uso di guerra lo strumento entrò in quello di caccia e il martinetto fu usato per le balestre da diporto in quanto a pari ingombro consentiva di poter usare archi più robusti e quindi di migliorare l'efficacia dell'arma.
Il martinetto è un demoltiplicatore di sforzo che funziona sul principio del rapporto tra 2 ingranaggi a disco di diametro diverso: la forza si applica al minore e vien trasmessa al maggiore, come in un paranco o in un cricco. Così a parità di sforzo il risultato è maggiore e in funzione della differenza dei diametri.
Nei martinetti da balestra la manovella è solidale con l'asse dell'ingranaggio minore, che ha un diametro 4 o 5 volte inferiore all'altro; questo gira nella scatola trascinando il braccio passante indentato sì che il moto rotatorio si trasforma in lineare, permettendo di trarre indietro il piede di gatto che agisce sulla corda dell'arco.
II fermo che permette la trazione vien dato da un cordame applicato al martinetto e dentro il cui cappio si fa passare il teniere fin a quando il cordame si arresta contro i 2 pironi laterali che— uno per banda— sporgono dal teniere.
A tal punto il martinetto è bloccato; si agguanta allora la corda col suo gancio e si fa ruotare la manovella.
Finalmente teso l'arco il martinetto viene allentato e sfilato e quindi si colloca il dardo sull'arma ormai pronta.
Tirando la manetta lo scatto libera la noce che non trattiene più la corda; I'arco si distende scagliando il dardo verso l'obbiettivo.