informat. a c. di B. Durante

NELL'IMMAGINE SI VEDONO REPERTI ARCHEOLOGICI CARTAGINESI A KERKUANE, IN TUNISIA NELLA REGIONE DEL CAPO BON: I SITI PUNICI O CARTAGINESI NELL'OCCIDENTE DELLA COSTA NORD-AFRICANA DIEDERO IL CAMBIO ALLE COLONIE FENICIE MA LE RELAZIONI CULTURALI DI CARTAGINE (GIA' COLONIA DELLA FENICIA TIRO LA GRANDE E POTENZA EGEMONE NEL MEDITERRANEO CHE SI CONTRAPPOSE A ROMA E FU ALLEATA DI PARTE DEI LIGURI ANTICHI ) RESTARONO NOTEVOLI CON LA ORIGINARIA MATRICE FENICIA E LEVANTINA. AL PROPOSITO GIOVA RIPROPORRE QUI PARTE DI QUANTO SCRISSE HENRI DE SAINT-BLANQUAT NEL SUO SAGGIO SULLE ORME DEI FENICI IN "NS, NUOVA SCIENZA", 12, 1988, PP. 48-53 A COMPLEMENTO E COMMENTO DELLA MOSTRA DI VILLA GRASSI A VENEZIA APPUNTO DEDICATA AI FENICI









Sono molto rare le società antiche altrettanto celebri e di cui si possa dire così poco degli oggetti che le hanno caratterizzate.
Eppure circa un migliaio di oggetti fenici o legati ad essi è stato riunito nella sontuosa mostra di Venezia.
I fenici sono ritenuti una civiltà a sé, come i cretesi e i sumeri.
Questi famosissimi navigatori e commercianti dei tempi antichi sfuggono alle definizioni abituali.
La ceramica fenicia non si limita alla Fenicia.
Non si è affermata un'arte fenicia originale come quella della Mesopotamia, d'Egitto o di Grecia.
Gli oggetti rinvenuti nei siti di Tiro, Sidone, Biblo non delimitano un complesso archeologico specifico ma si possono incontrare anche nei siti dell'interno, in Siria, Israele, perfino in Egitto secondo i casi.
Nell'eposizione di palazzo Grassi abbiamo ammirato anche pezzi assiri, persiani, egiziani e greci.
Invano si è cercato uno stile locale che desse qualche unità alla disperata riunione.
Sono esistiti senza dubbio sulla costa levantina alla fine del II millennio prima di Cristo porti più o meno importanti che inviarono per gradi nel navi nel Mediterraneo.
Uno di essi, Biblo, aveva già da lungo dei traffici con l'Egitto.
Sembra che i porti del Levante abbiano approfittato della scomparsa dei micenei, che avevano stabilito delle colonie non solo nell'Egeo ma in Italia, a Cipro e sulla costa siriana.
La grande epoca della prosperità di Tiro, Sidone e altre città si pone nei primi secoli del primo millennio, quando le ex grandi potenze sono scomparse (Micene, gli ittiti) o si sono provvisoriamente o definitivamente offuscate (assiri, egiziani). I marinai mercanti di questi porti vanno loro stessi a fondare delle colonie su quasi tutte le coste mediterranee, spingendosi piu lontano di quanto non si fosse mai fatto, passando perfino lo stretto di Gibilterra per insediarsi in Spagna a Cadice, in Marocco fino a Mogador.
Ma chi erano veramente?
Non ci è noto il nome che si davano. Quello che noi attribuiamo loro viene dai greci e ancora si discute su che cosa volesse dire.
Phoinikes è spesso legato alla conchiglia di murice -phoinix— da cui si ricavava la porpora e che serviva come supporto a una delle grandi industrie fenicie.
I greci avrebbero dunque batezzato genti della porpora questi marinai-mercant che venivano ad offrire loro, fra l'altro, degli splendidi tessuti rossi.
Ma il termine phoinos designa più in generale una certa sorta di rosso, un rosso-bruno, e l'ellenista Pierre Chantraine si è chiesto se i greci non avessero semplicemente chiamato rossi o bruni questi uomini di un colore di pelle un po' diverso dal loro.
I nubiani si erano allo stesso modo trovati denominati etiopi da aethiaps, i bruciati.
Per i greci, fenici erano forse semplicemente gli abbronzati.
Ma non possiamo proprio sapere che nome si dessero questi abbronzati che hanno percorso l'intero Mediterraneo? E' difficile. Certe iscrizioni fenicie rievocano gli Tsidonim (sidoniani) senza un riferimento ai soli ahitanti di Sidone.
Un'estensione analoga si è avuta un po' più tardi per il nome dei romani.
Ma nulla prova che sidoniani o fenici avessero una coscienza nazionale.
Gli annali assiri non li citano mai in blocco ma sempre come abitanti di una città particolare. "Nulla ci consente di dire che avessero mai avuto coscienza di formare un popolo" dice Maurice Sznycer, direttore alla scuola des Hautes Etudes e, al College de France, di un gruppo di ricerche sulle iscrizioni e la lingua fenicie.
"Durante la loro storia, le città non si sono mai unite in confederazione come le città greche o le aramaiche per lottare contro gli assiri.
Si direbbe anzi che le città fenicie abbiano preferito agire in contraddizione o addirittura in constrasto reciproco.
"Particolarmente di fronte alle minacce esterne: quando Alessandro arriva nel 333 in Oriente dopo due vittorie sui persiani, il re di Sidone gli apre le porte e chiede di essere sostituito da un altro, a scelta del conquistatore.
Tiro invece gli rifiuta l'ingresso, chiude le porte e resisterà sino alla morte.
Queste due città erano distanti meno di trenta chilometri ma separate senza dubbio da secoli di rivalità.
Eshmun, divinità suprema di Sidone, a Tiro era solo una divinità subalterna, dove si adorava Baal.
Fra Tiro e Sidone, nella località attuale di Um E1 Hammid, è stato trovato un santuario dedicato a Baal, Eshmun e Milkashtart, essendo quest'ultimo il dio supremo del luogo.
Potremmo vedere qui, come presso i greci o gli europei, solo un effetto di vicinanza fra genti che si conoscessero troppo e si assomigliassero, un fenomeno noto e che le tracce di guerre fra tali città non farebbero che confermare.
Ma né in Grecia, né in Egitto gli dei locali si permettono di sconvolgere le gerarchie del pantheon.
Inoltre, fra queste città esistevano altre differenze.
Biblo, una delle più antiche del litorale, aveva più delle altre relazioni con I'Egitto.
E' una vecchia storia che risale al III millennio (un tempio egizio vi era stato costruito allora).
In quanto a Tiro, era la grande colonizzatrice: la maggioranza delle colonie fenicie, fra cui CARTAGINE, sono creazioni di Tiro.
Nessuna è opera di Biblo.
Tanto che l'espansione fenicia, di cui si parla sempre, è stata essenzialmente espansione di Tiro, almeno per lo sciamare delle filiali.
Per quanto riguarda le altre città, o avevano la loro specialità come Biblo, o si inserivano in tale espansione o si limitavano a spedizioni di minore ampiezza.
La letteratura greca non manca di episodi in cui i commercianti sidoni attirano la gente sulle spiagge proponendo belle cose, per rapirla e venderla come schiava.
Comunque, i fenici si perdono in dissolvenza ancora una volta.
Andavano per mare, ma forse con mete, ragioni e metodi diversi secondo le città.
Per tutte queste discordanze, ci illustra Maurice Sznycer, "i fenici sono inafferrabili come popolo. Rappresentano un concetto, una realtà storica".
Fra tante città innanzitutto rivali sparse sulla costa levantina -Arad, Simira, Biblo, Beirut, Sidone, Tiro, Arvad, Akko- il solo legame visibile è la lingua.
Una lingua che si ritrova identica nelle iscrizioni di vari siti: ramo delle lingue semitiche occidentali appartiene al gruppo cananaico.
E' pertanto vicina all'ebraico ma non vi si identifica: èdiversa come può esserlo per esempio l'italiano dal francese.
"Gli studi fenici" ci dice Maurice Sznycer "sono del resto stati falsati al principio dal ricorrere alla Bibbia ebraica, piena di 'finti amici', parole cioè identiche in due lingue vicine ma con significato diverso".
E' dunque esistita una lingua usata a quel tempo su 100 o 150 km a nord e a sud di Beirut, una lingua che leggiamo nelle iscrizioni.
Si manifesta con un modo di scrivere allora del tutto nuovo.
Alla scrittura con parole o sillabe praticata in Mesopotamia e in Egitto, le genti di questa regione sostituiscono una scrittura di lettere distinte, o meglio di consonanti.
E' un'invenzione di primo piano, l'abbozzo dell'alfabeto.
Basta una trentina di segni, mentre le vecchie scritture ne richiedevano almeno 500.
La scrittura diventa accessibile a più persone, al mercante, all'ufficiale, come prima non accadeva.
La maggiore facilità deve averne ampliato usi e utenti.
Ma purtroppo la scrittura fenicia si scopre con avarizia.
Rimangono solo testi brevi, iscrizioni su monumenti, stele e sigilli.
Con una 'letteratura' così all'osso diventa ancora piu difficile decifrare quel mondo lontano.
Non diciamo che i fenici hanno scritto poco.
Da rare scoperte, in particolare a Elefantina in Egitto, e da testimonianze di antichi autori come Flavio Giuseppe, sappiamo che esistevano mitologie scritte.
Che a Tiro c'erano anche degli annali.
Ma purtroppo, per la conservazione di tali opere, esse non erano scritte nell'argilla e cotte, non incise in pietra o dipinte come nei templi o nelle tombe egizie.
Erano su papiri e il papiro si conserva solo sulle rive del Nilo.
E' scomparsa dunque un'intera letteratura, un mondo.
Immaginate una Mesopotamia di cui non ci restasse nessuna tavoletta? Che cosa ne sapremmo?
Ma le iscrizioni qualcosa raccontano.
Segnano prima di tutto l'appartenenza di un sito all'universo fenicio — al mondo tirosidonio, se si tratta di una lontana colonia.
Autorizzano poi delle datazioni, con la forma delle lettere cambiata lungo i secoli.
La 'M' per esempio: rovesciata, una specie di zig-zag verticale, è certo anteriore all'800.
La paleografia consente in genere di datare un'iscrizione con circa cinquant'anni di precisione.
Ci fa sapere a quale dio un tempio fosse dedicato.
Un tempio a Malta, secondo il greco Tolomeo, era stato consacrato a Melqart di Tiro e di Cartagine.
Ora, la seconda iscrizione fenicia rinvenuta recava il nome di Astarte, la grande dea.
Dunque Tolomeo si era ingannato.
Alla fine del IV secolo un ammiraglio sidonio venne ad attraccare con la sua flotta all' isola di Kos.
Nell' occasione fece incidere un'iscrizione bilingue, in fenicio e greco.
Al servizio del nuovo re d'Egitto Tolomeo, ex generale di Alessandro, si dichiarava figlio del re di Sidone Abdalonimos, colui che Alessandro aveva denominato.
L'iscrizione in greco era dedicata ad Afrodite di Kos, protettrice dei marinai, in fenicio alla grande Astarte.
Frammento dopo frammento, le storie si ricompongono.
Nelle città vediamo apparire congregazioni di artigiani, con un capo degli scribi, un capo dei vasai.
Ovviamente è poco in confronto ai dettagli forniti con abbondanza dai testi della Mesopotamia o dell'Egitto.
E' anche un po' frustrante.
Capita perfino che, nella sete di sapere di più, alcuni esperti aggiungano qualcosa.
Lo si è visto a Nora, sito del sud della Sardegna, dove un'iscrizione alla quale mancavano le prime tre o quattro righe venne 'completata' da un esperto americano.
La tavoletta cominciò a narrare la storia di un generale fenicio di ritorno dalla conquista di Tartesso, l'enigmatico regno di là dalle colonne d'Ercole di dove i cittadini di Tiro portavano i metalli.
In realtà, l'iscrizione permetteva solo di dire che un tempio era stato costruito a Nora verso l'anno 900.
Rimangono i siti stessi.
Altra delusione.
Sulla costa del Levante non sono affatto ben conosciuti.
In Libano tutto è bloccato da tempo.
L'unica grande città sottoposta a scavi un po' estesi è Biblo.
Per i periodi più antichi ha rilevato un 'tempio dagli obelischi', in pietre levigate, e vaste tombe reali scavate sul fondo di grandi pozzi.
A Biblo è stato rinvenuto il sarcofago di re Ahiram, celebre perchè reca una delle più antiche iscrizioni in scrittura consonantica.
Ma si tratta di ricerche già vecchie.
Gli scavi, a Sidone, non hanno ovviamente potuto distruggere la moderna Saida e hanno dovuto limitarsi alla necropoli e al tempio di Eshmun, situato fuori città.
A Tiro (Sur) si è rimasti ai livelli romani.
Sulle coste del Libano tutto è per ora logicamente fermo.
Le ricerche recenti sono state fatte nelle filiali, nelle colonie, e perciò nei domini di Tiro e di Cartagine.
E alla riunione organizzata dall'Accademia delle iscrizioni in luglio, a proposito dell'esposizione veneziana, si è parlato di 'esplosione'.
Da Cipro al Marocco, equipe di archeologi tallonano i Tiri.
A Cipro sono apparsi i resti di un grande tempio, con iscrizioni che lo datano all'850 a.C..
Le equipe italiane dell'istituto diretto da Sabatino Moscati hanno fatto scavi in Sicilia, Sardegna, Malta.
Nell'isola di Mozia, all'estremità occidentale della Sicilia, hanno liberato porte di recinzioni, frammenti di strade, basi di case, un quartiere di artigiani, una necropoli, un santuario a cielo aperto con stele votive.
La piccola isola (45 ettari) doveva avere tutto intorno una cinta.
Una scogliera sommersa la collegava al 'continente' siciliano.
Parecchi scavi hanno avuto luogo in Sardegna, dove si enumerano più di sessanta siti fenici o cartaginesi nelle zone ovest e sud dell'isola.
Gli archeologi italiani, a Malta, dove si conta una quindicina di siti, hanno effettuato scavi nel santuario di Tas Silg dedicato ad Astarte.
Sappiamo dalle scoperte di Tekke a Creta che i Tiri avevano una base nell'isola nel decimo secolo.
CARTAGINE, che era un mondo a sé e richiede studi particolari, si rivela sempre più come fondata dai TIRI alla fine del nono secolo, proprio come dicono gli storici.
Le scoperte in Spagna si moltiplicano.
La più recente è quella di un'intera stratigrafia fenicia del nono e ottavo secolo a Cadice, la Gadir dei Tiri (Gadir = cinta).
Da qualche parte nel sud della Spagna si trovava il famoso e semileggendario reame di Tartesso, sfavillante di metalli e il cui re, secondo i testi, si chiamava del resto Argentonios.
I possedimenti di Cadice erano su un'isola come quelli di Mozia, come quelli di Mogador, laggiù, nella più lontana colonia conosciuta; e come TIRO stessa.
In luoghi più sicuri, contro predatori e conquistatori.
Ecco che si ripresenta la medesima organizzazione in varie località.
Ouando i banchi e le colonie non sono punici, cartaginesi, ci rimandano a TIRO.
E' soprattutto TIRO che si dovrebbe conoscere meglio, città che ha dominato la Fenicia e il Mediterraneo per secoli.
Contro di essa si scaglia il profeta Ezechiele al principio del sesto secolo, dandoci molte precisazioni sugli scambi che vi si facevano e soprattutto circa il modo in cui i commercianti della città erodevano le risorse dei paesi circostanti.
Le strade dei Tiri erano infatti anche terrestri.
Greci e occidentali in genere vi acquistavano i prodotti di Tiro con il loro ferro, argento, stagno e bronzo.
Ezechiele ricorda anche cavalli e muli d'Armenia, ricami, rubini, vini e lane portati dagli aramaici.
Da Israele venivano grano, cera, miele, grasso e balsamo.
Gli arabi vicini e lontani vi approdavano a scambiare ferro forgiato, giunchi, coperte di cavallo e agnelli, capretti, ma anche aromi e pietre preziose.
I mercanti assiri vi acquistavano corde, stoffe, abiti e ricami.
Si commerciano ebano e zanne d'avorio.
Si indovina dunque tutta una rete, questa volta terrestre, che ragginnge anch'essa regioni lontanissime.
Ezechiele cita ancora gli abitanti delle altre città della costa per dire che servivano Tiro come soldati o come rematori.
Evocazioni forse poetiche, ma non solo.
Si dovrebbe proprio studiare Tiro, la grande, che ha tenuto testa alle armate babilonesi con un assedio durato tredici anni e che si è difesa per nove mesi, sino alla morte, contro la potenza dei greci di Alessandro.
I suoi livelli fenici, ancora intatti, forse permetterebbero di capire finalmente questo mondo insieme nitido e inafferrabile.