Ora andiamo oltre
[scrive ancora Dino Provensal in questo suo fondamentale studio su L. Adimari].
Il di 8 giugno il Gran
duca Cosimo ricevette questa lettera inviatagli
in gran segretezza dal Principe di Carrara:
"Ser.mo Sig. mio Pron. Col.mo/
Fece hieri ricorso alla presenza mia per mezzo di questo Padre Guardiano de' Cappuccini,
capitato a caso a Pietra Santa, la Moglie del S.
Lodovico Adimari, rappresentando le violenze
del Marito che seco più volte si era dichiarato
di volerla morta; et acciocché non apparisse la
violenza, ha asserito la medesima al detto P.
Guardiano, che da qualche giorno in qua la forzava col ferro alla mano a prendere sera, e mattina certa bevanda. Considerato da me caso tanto
deplorabile, risolsi questa mattina spedire al Sig.
Maggiore Navarrette un mio confidente con lettera remissiva, come nell' annessa copia, rimet
tendomi poi all'istesso circa il prendere le riso
lutioni, che più havesse stimato opportune la sua
prudenza per assicurare la Vita alla Dama, che
poi mi sarei pigliato l' assunto di raguagliare V.
A. dell' urgenza del caso, che mi haveva indotto a ricorrere a lui per il pronto rimedio cosi richiedendo la qualità dell' affare, già che a mio
credere la reiterata bevanda, et il cattivo stato
della Dama non dava tempo di spedire a V.
A. In questo punto ricevo dal S. Navarrette
la risposta con la notitia dell' esecutione che per
maggior distintione rimetto a V. A. per staffetta; supplicando humilmente l' A. V. a gradire in
questo fatto la riverentissima attentione e li riflessi verso le angustie della Dama suddita di
V. A. che supplico per il totale sollievo compartirle l'efficacissima sua protetione, e sicurezza,
non solo per lei stessa, quanto per il soggietto,
per il quale è insorta la gelosia mentre questo
pure può rimanere sottoposto a pericolo di Vita,
stante le dichiarationi che si presentono ne habbia tatto il med.o S. Adimari. Degnisi V. A. non
farmi autore di tali notitie, et honorarmi di molti
comandi e della continuata buona gratia. Fa
cendo intanto all' A. V.ra hum.a riv.ia/
Di Massa Li 8 Giugno 1685/
Di V. A. Ser.ma/
Um.mo Dev.mo et oblig.mo Ser.e/
Il Principe di Carrara./
[Nota = Questa lettera è contenuta nel R. Arch. di St. di Firenze.
(Archivio Metliceo S. A, S, Baroni e SS.ri d' Ecc.za 1683-87.
Lettere e Minute. i044, 290). La minuta della lettera è nel R.
Arch. di St, di Massa, Sezione Arch. Ducale: Carteggio del Sig.
Carlo II, principe di Carrara ad annum. (Col nome di Principe di Carrara designavasi l' erede presuntivo del Duca di Massa). La minuta è uguale alla lettera, salvo differenze insignificanti: in luogo di maggiore Navarrette è¨ scritto signor N.]
E quest'altra vi era acclusa:
(Copia)
"Ill. Sig.e /
Si tratta di un caso di urgentiss.ma qualità ,
che ha bisogno della Divina mano, e della gran
prudenza di V. S. per impedirne l' effetto, al
quale vi è¨ poco tempo per il rimedio. Al Cancelliere Colombi che ne resta pienamente da me
informato in tutta confidenza, si compiaccerà V.
S. prestar intiera fede pregandola di custodire
in sommo secreto l'affare. Si contenti adunque
adoprarsi in tutte le maniere a lei possibili perché alla sua risposta raguaglierà poi il Ser.mo
Gran Duca, acciò dall'autorità di S. A. si piglino li ripieghi, e si proceda nei modi più proprij.
Attendo quanto prima risposta per scrivere a Fiorenza adeguatamente, e rappresentare alla
med.a A. li giusti motivi dell' instanze, che a V. S. ne faccio; mentre humilmente confido, che la
sua somma bontà , e benignità sia per degnarsi
non solo di gradirli, ma ancora approvarli. Prego inoltre la gentilezza di V. S. non farmi autore, nè consapevole della presente materia per
restarle infinitamente obligato, e le bacio le mani./
Massa li 5 Giugno 1685./
Ser.re Il Prin. di Carrara./
[Nota =
R. Arch. di St. di Firenze. Filzi cit., e. 291.]
Ecco ora la lettera del Navarrette al Princicipe di Carrara:
"Ecc.mo Sig.re Sig.re e Pad.ne Col.mo/
In esecutione delli cenni di V. Ecc.za convenni
con questo Sig. Commissario del modo di rimediare all'inconveniente accennatomi, onde subito
fu posto in carcere il Sig. Lodovico Adimari, et
in questo punto sono andati li famigli per fermare
anche la cameriera (che credo seguirà ) et acciò la
moglie del suddetto signore non resti sola, ha
havuto il medesimo Sig.re Commissario la bontà
di mandarci subito la sua suocera, quale l' assi
sterà , et intanto si farà visitare dal medico per
remediare a quello si potrà . Suppongo che V.
Ecc.za haverà la bontà di dar parte al Ser.mo
Gran Duca per espresso, che cosi risolvendo. La
supplico che voglia compiacersi ordinare alla
staffetta, che mi faccia motto, acciò con tale
pronta occasione possa ancor io adempiere al
mio debito con raguagliare del tutto S. A. Ser.ma
et in caso la staffetta passi di notte potrà picchiare a questa porta della Terra, ch' io spedirà
per farla introdurre; e troverà le lettere pronte.
Non so se cosi haverò ben servita l'Ecc.za V.ra
alla quale facendo humil.ma riverenza, con il più
humile ossequio l'accerto viverà sempre
l'opera della giustizia.
di Pietra Santa li 8 giugno 1685 ore 23./
Di V. Ecc.za alla quale soggiungo che anche/
la cameriera è prigione/
Umil.mo et Obbl.mo Ser.re/
Fernando Navarrette/
[Nota = L' originale di questa lettera si trova nel R. Archivio di
Stato di Massa, Carteggio cit. Nello stesso Carteggio noto la seguente lettera trascrittami insieme agli altri documenti di Massa
dal conte d.r Luigi Staffetti al quale mi piace render le più vive
grazie per la sua cortesia squisita :
"Ecc.mo Sig.re/
Ricevuta ora la lettera delT E. V. subito son partito per Pietrasanta e con la maggiore segretezza possibile ho la medesima
recquietata alle mani del Sig. Comandante Navar retti, quale incontinenti ha mandato a chiamare questo Sig. Commissario in
Rocca, e discorsi colà molti modi per sortir l' intento dall' E. V.
bramato, si è fermato, di fare arrestare col braccio della Giustizia il Sig. Adimari, qui porre in sicuro la sua Sig.ra Consorte; e dati dal Sig. Commissario gli ordini opportuni è riuscito
farlo prigione nel palazzo di Giustizia, e poscia fatte pigliare le
donne che accudivano al servizio della Signora: e la medesima
è¨ stata posta in sicuro nella mia casa dove habito, servita e
guardata dal Sig. Commissario, sua Sig.ra suocera e consorte;
ne porto pertanto a V. E. le notizie per il presente espresso,
non havendo havuto luogo di farlo con lo spedito dal Sig. Comandante perché mi è convenuto per salvare l' apparenza tornare
a Pietra in calesse ad incontrare le mie sorelle per essere creduto tornare con esse mentre col fine resto col baciarle humilmente le vesti. /
Di V. E. Humil. mo Servitore devot. mo /
Battista Colombi. /
Pietra Santa addi 18 Giugno 1685".]
La lettera seguente, scritta al Principe di
Carrara, muta ad un tratto quanto pareva risultare dai documenti veduti finora:
" Ecc.mo Sig.re Sig.re e Padrone Col.mo/
Comparve questa notte alle ore cinque la
staffetta di V. Ecc.za, lessi la spedizione, e sigillata la riconsegnai alla medesima, con lettera
scritta da questo Sig. Commissario, e me assieme, diretta all'Ill.mo Sig. Segretario Panciatichi,
che conteneva l' instanza fattami da V. Ecc.za et
il deposto del Sig. Cancelliere Colombi. A suo
tempo non mancherò rappresentarle quello ricaverò dalla risposta, credendo certo, che il Ser.mo
Gran Duca approverà il fatto, essendo tutto a
fine di bene. La dama si è fatta condurre in casa il Sig. Commissario, dove sarà ben governata, e iersera la feci visitare da questi medici,
quali trovai già informati, in parte, del fatto ;
ben è vero che dissero non credevono che vi
fusse novità di veleno e tra tanto li ordinarono
robba infrescativa. Che V. Ecc.za habbia la bontà
di ringraziarmi dell'operato, lo riconosco dalla
di lei grande generosità d'animo, che compartisce simile honore.a chi non ha merito alcuno,
ma solo l'obbligo di servirla, come sempre farà.
Che quanto in risposta delle due humanissime
sue mi resta il supplicarla dell' honore delli suoi
da me stimat.mi comandi, che cosi conoscerò havere la grazia di V. Ecc.za. Alla quale soggiungo, che il negozio non lo sa che il Sig. Commessario et io, e si terrà celatissimo. E facendole humil.ma riverenza l'accerto che sarà sempre ambizioso di vivere di V. Ecc.za/
Di Pietra Santa adi 9 Giugno 1685 /
Humil.mo et Obb.mo Sev.re/
Fernando Navarrette"
Dunque l' Adimari era innocente e sua moglie una perfida calunniatrice? Prima di rispondere a questa domanda, dovremo esaminar qualche documento ancora. L' 11 giugno lo zelante
Navarrette cosi scriveva al Principe:
" Ecc.mo Sig.re Sig.re e Pad.ne Col.mo/
La risposta del negozio consaputo da V.
Ecc.a è stata diretta a questo Sig. Commessario, che però egli ha potuto prima di me avvisarli quanto in quella si conteneva (come il medesimo mi dice haver fatto). Non ostante per
mio debito le do parte come non solo il Padrone Ser.mo ha approvato quanto qui s'è operato
nel medesimo negozio, ma di più ordinato se ne
faccia processo, come già si è¨ cominciato a fare,
con porre in sicuro anche tutti li familiari del
Cancelliere consaputo. Nella medesima lettera
scritta al Sig. Commessario, impone al medesimo
che mi dica, io voglia avvisare a V. Ecc.a , come non ha il Ser.mo Gran Duca potuto prontamente risponderle, ma che lo haverebbe fatto
con il primo ordinario. Questo è¨ quanto posso
per adesso accennarle, in esecuzione delli di lei
comandi, delli quali mentre umilmente la supplico, con il più humil ossequio, mi confesso indelebile di V.a Sig.a Ecc.a/
Di Pietra Santa il di 11 giugno 1685 /
Humil.mo et Obblig.mo Servitore/
Fernando Navarrette"
E finalmente abbiamo la parola del Granduca
il quale scriveva al Principe di Carrara:
"Ill.mo et Ecc.mo Signore. /
Con la staffetta speditami da V. Ecc.za ricevei la sua lettera delli 10, e gli altri fogli a
quella uniti, onde compresi la natura del Caso
di Pietrasanta, che diede all' Ecc.za V. motivo di
interporvi la cortese efficacia del suo zelo, col
fine lodevolissimo di cooperare al rimedio di
maggior male. Anche il Maggior Navarretti ha
dato parte di ciò ch'era seguito per gli Atti di
quel Tribunale, né ho io potuto non approvarli,
mentre sono conformi alle regole di giustizia, e
si tratta di cosa grave, che richiedeva prontezza
d'espedienti, e di cautele. S'andrà adesso procedendo in causa secondo l'esigenza della materia:
e sia pure certa V. Ecc.za che non verrà punto
cimentato il suo nome, e ch'io saprò custodire,
come conviene, la confidenza da lei usatami per
tutti quei rispetti che la qualitò sua, e il fatto
stesso persuadono. Mentre dandole grazie dell' obbligante pensiero, ch'ella volse avere di conformarsi in ciò pure a' miei sentimenti, saranno questi sempre disposti a ricambiare in ogni opportunità di suo servizio una si gentil premura;
e con la stima che devo al suo merito, resto
augurando all' Ecc.a V. dal cielo tutte le più felici avventure/
Dalla Pietraia 12 giugno 1685/
Aff.mo di V. Ecc.za/
Il Gran Duca di Toscana".
Che cosa disse la voce pubblica di un fatto
cosi strano e grave, l'arresto di un Capitano
nella sede stessa del suo Capitanato?
Ecco quanto si legge nel Diario del Sausier:
"Ricordo come nel mentovato mese ed anno fu
d'ordine del Gran Duca esiliato dagli Stati di
S. A. S. sotto pena della testa il .Sig. Lodovico
Adimari Gentiluomo Fiorentino di bellissimo ingegno, ma di pochissimo cervello, il quale era
in governo a Pietra Santa. La causa non si poté¨
mai chiaramente sapere: si disse però pubblicamente, che egli aveva tentato di avvelenar la
moglie ed ella lo querelò, e fu processato. La
cagione per che egli tentò d'avvelenarla fu l'essere egli innamorato d' una vedova di quel
luogo della quale si disse, ch' egli aveva avuto
un figliuolo, il quale aveva fatto morire con
aver anco promesso a detta vedova di volerla
sposare, ogni volta che gli venisse dinnanzi la
moglie la quale in effetto s' ammalò di gravissima infermità . Al qual tempo d'ordine di S.
A. egli fu fatto prigioniero in detto luogo, e vi
fu tenuto Anche la moglie fu risanicata, e ritornata in Firenze a casa del Zio che era un Cerbini Cancelliere della Curia del Nunzio, e poco
dopo entrò in un Convento, e l' Adimari, scarcerato ed esiliato, se n'andò a Lucca dove tutta
via dimora. Questo Adimari è l'ultimo avanzo
di quei IV Gentiluomini, che nella Chiesa di S.
Francesco di Paola fecero scendere di Pulpito
uno di quei padri che predicava, essendo gli altri tre stati ammazzati, che uno fu il Cav. Giuliano Ricasoli Rucellai, l' altro l' Abate Cepperelli et il Sig. Bartolomeo Tornaquinci."
Abbiamo citato il diario del Sausier perché
¨ quello che narra il fatto più diffusamente. I
diarii del Settimanni, del Pastoso e del
Bonazzini raccontano il fatto quasi con le
stesse parole. [Nello stesso diario del Sausier è scritto: " il 21 marzo 1669
l' abate Cepperelli fu ammazzato dicesi dal Cav. Giovanni Antonio Rossi nel canto di Via delle Carrette e di via Fiesolana." -
Diario del Sausier ms. nella Biblioteca Moreuiana di
Firenze, Voi. VI. -
Vol. XII, pag. 497. -
Ms. Palatino-Capponiano 55 della Nazionale di Firenze,
pp. 296-97. Questo diario va dal 10 dicembre 1640 al 5 giugno
1690. Il Pastoso è mons. Piero Dini arcivescovo di Fermo. Di
questo diario dà un' accurata notizia pubblicandone due aneddoti Pietro Bioazzi (Esercitazioni bibliografiche. Firenze, Le
Mounier, 1859. II, V.). -
Bisdosso già cit., pp. 382-83. ].
Soltanto, prima di ricordare l'altra marachella dell'Adimari, l'ingiuria fatta contro il predicatore, il Settimanni avverte: "Questo Adimari era un Gentiluomo letterato, e ottimo Dicitore in Rime eziandio all' improvviso ma
altiero, e di cattivi costumi". [Nota = E curioso che tutti i diaristi pongano il fatto nel mese
di luglio, meutre avvenne indubbiamente nel giugno, come risulta dalle lettere scambiate fra il Granduca e il Principe di
Carrara. Penso che l' errore di un diarista il quale scriveva
qualche tempo dopo il fatto sia stato riprodotto da tutti gli altri, poiché, come ho detto, quei diarii narrano il fatto quasi con
le stesse parole].
Avendo finora udito prima l' Adimari, poi i
suoi accusatori, poi la voce pubblica, è giusto
che parli anche la difesa.
Cosi Pier Capponi, gentiluomo e amico intimo dell'Adimari, scriveva a Caril Antonio Gondi,
uno dei segretarii del Granduca:
Ill.mo Sig.re mio Pron. Col.mo/
Con il più vivo sentimento dell' animo sono
a dar parte a V. S. Ill.ma come questa mattina
è venuto a mia notizia, che la sera degl' 8 del
corrente alle 23 ore in pubblica piazza di Pietra
Santa dal Bargello di quel luogo fu fatto prigione il Sig Adimari (per quanto disse) d'ordine di S. A. S. Quale io sia rimasto, non mi
diffonderà a significarlo a V. S. III.ma alla quale
basterà dire, che è mio Amico, e per tale lo riconosco fin tanto, che non mi costi [sic] esser reo di
cose che mi obblighino a scordarmi, ch'egli sia
stato tale; la pratica però, che per quasi diciotto
anni ho havuta con lui, non mi lascia credere, ch'egli possa haver fatte cose indegne, voglio ancora
sperare, che non habbia commesso delitti capitali, onde si deva procurare, che la pena non
sia tale, come senza fallo diverrà con la sola
ritenzione in segrete in tale stagione in Pietra
Santa in suggetto ancora convalescente. La stima che V. S Ill.ma ha dimostrato di questo povero Cav."* mi fa pigliare la confidenza di supplicarla a volere indagare la causa di questa
resoluzione, e somministrarmi qualche lume et
aiuto per soccorrere un amico (se però è tale,
et in grado che cosi possa continuarlo a chiamare) assicurando V. S. III.ma che la perdita
d' un tal soggetto, non sarebbe tanto piccola da
non compiangersi ancora da chi con lui non ha
interesse alcuno; Piaccia al Sig.re Dio, che sia
luogo alla clemenza del Ser.mo P.rone, acciò possa
compassionare un povero Cav.re con tre piccoli
flgliolini [Nota: Due maschi e una bambina: di questa finora non avevamo avuto notizia: la prima notizia intorno ad essa è data da un
documento lucchese da noi pubblicato più innanzi a p. 101] senza altro assegnamento che le sue
virtù. Starò attendendo qualche avviso dalla benignità di V. S. Ill.ma almeno di consiglio per
sapere come posso contenermi e facendoli umiliss.ma reverenza resto/
Di V. S. Ill.ma/
Firenze 12 Giu. 1685.
Dev.mo et Obblig.mo Ser. Vero
Pier Capponi" [Questa lettera si trova nella filza Medicea 1609, Carteggio del Segretario Carl' Antonio Gondi (R. Arch. di Stato di
Firenze)].
C'è ¨ tutto il doloroso stupore, lo sbalordimento, direi, di chi ode accusare una persona
reputata assolutamente onesta.
E ora diciamo poche parole noi. Può far sorridere leggere nel diario del Salvini (questi era
amico dell' Adimari) a proposito del ritorno dall' esilio del nostro poeta:
"... venne in Firenze Lodovico Adimari che
era stato alcuni anni in esilio per alcune minchionerie fatte [Diario di Salvino Salvini. (Ms. Marucelliauo A. 139)].
Si, veramente si trattava
di minchionerie!
Ma si noti che il Salvini stesso, pur adoprando la parola più mite che fosse possibile,
non nega la colpa dell' Adimari. Si noti ancora
quel che abbiamo fatto rilevar prima, cioè¨ che
il contegno dell' Adimari verso la vedova pareva
strano assai e più indulgente che a buon giudice non convenga: e più strano ancora è¨ l'accanimento suo contro quel povero diavolo che
aveva avuto il coraggio di lanciare il suo j' accuse sfidando tutto e tutti. Inoltre il lettore avrà
forse osservato che l' Adimari si serve sempre
della signora Brigida Gerini per esaminare la
donna, di quella signora Gerini la quale (v. lett.
21 giugno 1684) par che fosse sua amica e che
questa dapprima non ottiene alcuna confessione
non solo, ma pare anche possa accertare che
l'imputata non è incinta (lett. 27 agosto 1684).
Poi ad un tratto, quando l'aborto è già avvenuto, non si sa come la vedova confessi tutto
molto facilmente alla Gerini.
Tutto questo noi diciamo perché le lettere
relative alla vedova di Bozzano e l'accusa terribile che piomba sul capo dell' Adimari ci sembrano essere in relazione stretta: altrimenti non
avremmo neppure pubblicato quelle lettere le
quali darebbero poca luce per chi come noi
vuole studiare la vita dell' Adimari. Ma la relazione fra quelle lettere e l'accusa fatta a Lodovico a noi pare, come abbiam detto, assai stretta:
giudichi in ogni modo chi legge. ([Nota = Alcuno osserverà che, a quanto pare dalla lettera senza
data che comincia " Dopo la diligenze etc." la vedova avrebbe
confessato di essere stata l' amante del prete[scrive ancora Dino Provensal in questo suo fondamentale studio su L. Adimari]. E' vero, ma poiché noi qui raccogliamo le prove e gli indizii per un processo
relativo all' Adimari, dobbiamo anche ammetter la possibilità di
una menzogna di lui].
Rimane l'altro fatto non meno grave: il tentato
uxoricidio. Anche qui abbiamo gravi dubbii. Tutte
le prove in favore ed a carico dell' Adimari già
le abbiamo esposte pubblicando i documenti. Certo
è¨ notevole che i medici dicessero "che non vi
fusse novità di veleno" e si contentassero di
dare alla donna "robba rinfrescativa" . [ Lett. del Navarrette (9 giugno 1685) a p. 87. -
V. lett. del Principe di Carrara (8 giugno) a p. 83] .
Ma
poichè, come risulta dalla testimonianza della
Maria, il veleno le era stato propinato solo " da
qualche giorno" e per l'appunto nel giorno
in cui era stata visitata dai medici non lo aveva
bevuto [ota = Infatti il giorno 8 giugno (v. lett. del Navarrette a p. 85)
era stato incarcerato l'Adimari il quale, secondo la testimonianza
della Maria, soleva dare a questa il veleno ogni sera e la donna
fu visitata dai medici la sera di quel giorno 8 (hiersera dice
la lettera scritta il dì 9 dal Navarrette e pubblicata da noi a
p. 83)].Può darsi che i medici non abbiano
saputo scoprire Fazione venefica: Inoltre sarebbe
strano che fossero inventate le minacce di morte
fatte dall' Adimari alla moglie non solo, ma al
supposto suo amante [Nota = V. lett. del Principe di Carrara (8 giugno) a p. 87].
Vogliamo per debito d' imparzialità riferire
non una testimonianza, (che ormai non ne abbiamo più) ma un giudizio personale, secondo
noi di pochissimo valore, dato dal Passerini in
torno al fatto [Mss, Passerini nella Bibliot. Naz. di Firenze, n. 157 = "Fondo Passerini":
collezione donata nel 1877 da Luigi Passerini, comprende 235 mss., 4438 voll. e 2640 opuscoli.
Collezione genealogica Passerini. Indice delle famiglie nobili (Sala Mss. Cat. 8)
Inventario topografico a schede, fino al n° 230 (Uff. Mss. Cassetta 44) -
(M. Scarlino), Repertorio numerico compilato in data 25 agosto 1976 Sala Mss. Vacchetta, cc.22-25.
P. O. Kristeller, Iter italicum, I (London-Leiden 1963), p. 169]
Il Passerini il quale, non sappiamo con quanto fondamento, dice che l' Adimari
con la moglie visse in continua discordia
così narra il fatto di cui ci occupiamo: Per
opera di lei [della moglie] Lodovico fu esiliato
nel 1685, appena tornato dal governo di Pietradera, accusato di averle propinato il veleno per
sbarazzarsene, a fine di sposare una donna plebea che lo aveva reso padre di un figlio che
era stato soffocato in culla. Ma sembra pure
che la moglie accusatrice non fosse innocente
perché ad istanza di lui fu racchiusa nel Convento di San Girolamo sulla Costa.
Abbiamo detto che il giudizio ci sembra di
poco valore, in primo luogo perché non era
strano in quei tempi che una giovine donna separata dal marito si rinchiudesse in convento
per iscansare i pericoli del mondo [Nota = Meno strano poi è il caso trattandosi della Maria Cerbini Buonaccorsi che era, come dicono i diaristi, nipote del Cancelliere
della Curia del Nunzio]
; secondariamente perché la vita dell' Adimari scritta dal
Passerini ha non pochi errori di fatto [Il Passerini erra, per esempio, quando dice che l Adimari mori il 22 luglio 1708 mentre tutti i diaristi contemporanei
pongono la data della morte ai 23 giugno, data ripetuta poi
dal Negri e dagli altri biografi. Inoltre dice, senza citar la fonte,
che l' Adimari ad istanza di Luigi XIV fu richiamato dall'esilio; notizia di dubbia autenticità ; e non cita neppur la fonte asserendo (egli solo) che fra i due coniugi ci fu continua discordia.
Cosi ancora erra il Passerini dicendo che la moglie dell' Adimari
mori nel 1722, mentre mori (secondo il Registro di Morti magliabechiano cit. e tutti i genealogisti) il 23 dicembre 1723. Un altro
errore fa circa il secondo matrimonio della Maria Cerbini: ma
di ciò a suo tempo. Del resto, se accettassimo la testimonianza
del Passerini, l' Adimari non solo non sarebbe scagionato delle
colpe appostegli, ma apparirebbe per di più infanticida o complice per infanticidio].
E
poi, l' accusare la moglie salva forse il marito?
A noi pare piuttosto che l' infedeltà della donna
sia un motivo per creder possibile la gelosia
dell' Adimari con le delittuose conseguenze.
E qui siamo costretti ad abbandonare la questione perché non abbiamo alcun'altra prova od
indizio da porre innanzi. Il processo dell' Adimari
fu vanamente cercato e fatto cercare da noi negli archivi di Firenze, di Pisa, di Lucca, di Massa,
di Pietrasanta. In tutti questi archivii abbiamo
rinvenuto qualche notiziola che riferiamo lungo
il corso del nostro studio, ma il processo pare
introvabile. Fu soppresso per ordine del Gran
duca trattandosi di un gentiluomo di famiglia
illustre [quindi in funzione dei previlegi di casta e foro]? Non possiamo rispondere con sicurezza
a questa domanda perché¨, com'è¨ noto, troppo
incompleto è¨ ancora l' ordinamento interno dei
nostri archivii perché¨ qualche documento cercato a lungo invano non possa ad un tratto venir fuori. Del resto, come vedremo, questa non
è¨ la sola lacuna che noi abbiamo riscontrato là
ove credevamo sicuramente di dover trovare carte
relative all' Adimari.
Non abbiamo dunque più né prove né indizii, ma non possiamo fare a meno di osservare
una coincidenza veramente singolare fra l'accusa fatta all' Adimari e un passo delle satire
di lui.
Prima e dopo l' Adimari [scrive ancora Dino Provensal] da 'parecchi scrittori misogini è¨ stato detto che la donna dev'esser bastonata, parecchi han detto che è dolce
la morte della moglie, come il mordace poeta
greco, (Ipponatte) qualcuno, in ischerzo però, può anche
aver consigliato di ucciderla. Ma chi può mai,
con l'intento di apparire scrittore morale e con
fine educativo, consigliare di avvelenare la moglie? Non so se tale idea sia mai venuta in mente
ad alcuno di quei tanti drammaturghi i quali
hanno preso a tema l' infedeltà della donna e
l' uxoricidio. La morte altrui cagionata con un'arme può approvarsi da chi conserva in sè per
atavica trasmissione i più barbari pregiudizii.
Ma il veleno? Ebbene, Lodovico Adimari così
scrive nelle sue satire:
Quando femmina rea la man si toglie,
Debbe il marito oprar fune e balestra.
Ferro e Veleno a rintuzzar sue voglie;
E se il pugnai vien manco alla sua destra,
Se fia poco il bastone al fiero assalto.
Non fia che manchi in casa una finestra
[Adimari. Satire. Londra (Livorno) 1788, pp. 86-87 =
(noi ci valiamo della II edizione delle "Satire" del 1764). Queste parole furon male intarpretate per una evidente svista dal
chiaro prof. A. Belloni nel suo bel lavoro II Seicento (Milano,
Vallardi, s. a., p. 215). Egli infatti scrive: ... ai mariti [secondo l' Adimari] non resta altro scampo che di gettarsi dalla
finestra: (Sat. II). Ora, i vv. della satira ii che noi abbiamo
riportato nel testo hanno certamente il significato attribuito loro
.da noi e non quello supposto dal Belloni. Per chi non ne fosse
persuaso, citiamo qui i versi che seguono a quelli riportati sopra e che spiegano ancor meglio il concetto dell' Adimari:
Donna che poggia con l' ardir troppo alto,
Che ha lieve il capo ed al cervello ha 'l'ale,
Da Planzio impari a far d' Apronia il salto]
Ferro e veleno dice l' Adimari, E il Principe
di Carrara scrive: ... la forzava col ferro al
la mano a prendere sera e mattina certa bevanda [ V. la lett. del dì 8 giugno a p. 82] .
Ecco (se nuovi documenti accerteranno la
colpa dell' Adimari) un caso veramente curioso
di coincidenza fra la vita e l'opera letteraria
di uno scrittore.
Nel 1685 dunque l' Adimari batteva la via
dell' esilio. Usciva da Firenze con un' accusa infamante e non crediamo che nell' andarsene lasciasse ogni cosa diletta più caramente. Della
moglie non doveva importargli gran che, sia
ch'egli veramente ne avesse voluto la morte,
sia che ella lo avesse calunniato, la qual cosa
certo non doveva renderla cara a lui. Quanto
ai bambini, essi non rimasero abbandonati. Buonaccorso segui il padre nell' esilio : Smeraldo fu
accolto amorosamente da Pier Capponi, l' amico
fedele dell' Adimari: Allegra, una bambina
nata non sappiamo ben quando, fu posta in un
convento di Lucca. [Nella dedicatoria della Parafrasi dei Sette Salmi Penitenziali che si legge nelle Poesie sacre e morali (Firenze, Cecchi. 1696), l' Adimari, volgendosi alla Marchesa Lucrezia Medici
nei Capponi, loda la volontaria tutela incaricatasi [da Pier
Capponi] del suo figliuolo nell" assenza del padre dalla Toscana,
da lui riguardato come suo proprio. Certamente questo figliuolo
era quello Smeraldo che visse fino al 25 settembre 1722 (v. l' Indice delle Famiglie Fiorentine Marucelliano C. 45, p. 252), poiché Buonaccorso morì a Lucca bambino come si vede dal sonetto
in morte di lui (Poesie sacre cit., p. 103)].
Della sua vita d'esilio poco possiamo dire.
Abbiamo cercato di seguir 1' Adimari passo per
passo, nelle varie città , ma ad onta di tutti i
nostri sforzi non abbiamo potuto colmare parecchie vaste lacune [Nota = Non abbiamo potuto recarci che io cinque o sei delle
città ove fu l' Adimari e non sempre, dove non potemmo recarci
personalmente, trovammo bibliotecarii ed archivisti cortesi. Da
Genova, ad es., non potemmo mai avere risposta. Le lacune che
noi abbiamo dovuto lasciare saranno colmate da qualcun altro,
se, come a noi, ad alcun altro sembrerà che questo singolare
personaggio del secolo XVII meriti la fatica di qualche ricerca].
Secondo la testimonianza di tutti i diaristi,
Lodovico riparò a Lucca appena fu cacciato in
esilio.
Che cosa facesse a Lucca non sappiamo: certo
non doveva essere molto ben veduto se per tre
volte noi troviamo che le autorità si occupavano
di lui invigilandone sospettosamente gli atti.
Il 15 giugno 1686, sabato sera, il Gonfaloniere lucchese diede una notizia un po' dubbia
al Magistrato dei Segretarii.
" Li [al Magistrato] fu data parte da S.[ua]
E.[ccellenza] che nell' E.[ccellentissimo] C.[onsi
glio] si era trattato della persona dell' Adimari
fiorentino, dimorante in questa Città , per fre
quentare il convento di S. Giovannetto, dove si
sente che habbia una figlia ia educatione, e
restorno di pigliarne informatione" [Nota = R. Archivio di Stato di Lucca. Magistrato dei Segretarii, Deliberazioni, N. 33 (15), anni 1683-94, p. 21. Questa è la
prima notizia che abbiamo della figliuola dell' Adimari]
Si capisce che non dovesse piacer troppo la
presenza dell' Adimari in un convento di monache !
Passato un mese, il Consiglio Generale di
Lucca in una sua adunanza segreta trovava a
ridire su qualche altro atto dell'esule florentino:
" A dì 16 Luglio 1686. Martedì mattina, /
fu detto, che potesse dar fastidio, che Lodovico
Adimari fiorentino habitante in questa città procurasse ricavare notitie antiche; sopra di che
fu detto che haveva ricercato un libro delle armi
Nobili di quella Città, e si messe a parte questo
particolare, havendo detto S. Ecc.a che il Magistrato de' Secretarli haverebbe invigilato gli andamenti di d. Adimari" [R. Archivio di Stato di Lucca, Riformazioni Segrete,
Consiglio Generale, 394, anni 1685 - 1687, p. 125] .
Insomma è chiaro che a Lucca non ce lo
volevano. Egli vi rimase, non ostante ciò, fino
agli ultimi mesi del 1687. Dopo questo tempo,
mentre egli si era recato a Genova per farvi un
breve soggiorno, gli fu data notizia che era stato
cacciato anche da Lucca. Infatti vediamo:
"A di 9 Nov.re 1687. Dom.ca il giorno. In/
Nome D.ni Amen. L' III.mo Mag.to in pieno numero./
Sentita la lettera di Mons.r Vicario, e le notitie che si sono havute di qualche pericolo di
scandalo in qualche Monastero di Monache per
la permanenza in questa Città di Lod.o Adimari
fiorentino, resolsero che si facesse prohibitione
al med.o Adimari di ritornare in questa Città e
Stato, con scriversili da me a Genova dove si
ritrova presentemente notificandoli la d.a prohibitione, e che si inviasse la lettera a M.r Miche
langelo Bendinelli per il securo recapito".
(In margine del foglio è scritto: " Presentata
la lettera in proprie mani, di detto S.r Adimari
dal serv.re del S.re Michelangelo Bendinelli come
per sua lettera dei 15 Nov.e 1687 che sarà in
filza) [Nota = Noi tuttavia non abbiamo potuto trovare questa lettera
del BandinelIi; non crediamo però di aver fatto una gran perdita
poiché già ne conosciamo il contenuto]
Ricominciava dunque per l' Adimari la vita
raminga resa più dolorosa dalla perdita del suo
Buonaccorso a cui pare volesse bene. [Nota = Induciamo che intanto fosse morto Buonaccorso poiché il
padre, nel sonetto in morte di questo bambino, dice che lo aveva
perduto a Lucca (v. Poesie sacre e morali cit., p. 103). Dunque
è presumibile che sia morto prima dell' esilio dell Adimari da
Lucca: quando troviamo ch' egli era di nuovo in questa città
(probabilmente di passaggio) il figlio era già morto. Infatti dalla
lettera di Pier Capponi in data 24 gennaio 1691 appare che Lodovico era a Lucca, ma da una lettera antecedente (3 aprile
1690) dello stesso Capponi (ambedue le lettere son pubblicate più
innanzi) risulta che l' Adimari aveva ormai un solo figlio].
A Genova non sappiamo quanto tempo si
trattenesse ; per tre anni non abbiamo alcuna
notizia di lui [Nota = Soltanto sappiamo che prima del 1687 fu ascritto all'Accademia dei Concordi di Ravenna poiché figura nel Catalogo
degli Accademici Concordi viventi nel 1687 premesso alla Miscellanea poetica degli Accalemici Concordi di Ravenna (Bolo
gna, Benacci, 1687)] e per la prima volta ne ritroviamo il nome il 3 aprile 1690 in una lettera
del senatore Pier Capponi, il suo amico fedele.
Cosi il Capponi scrive al Segretario del Granduca Cari' Antonio Gondi :
"Ill.mo Sig.r mio P.ne Col.mo/
E' noto a V. S. Ill.ma quanto io habbia sempre compatito il povero Sig.re Lodovico Adimari
nelle sue disgrazie in riguardo della mia amicizia, ma ancora per vedere andare in malora
una famiglia nobile e delle buone del nostro
paese; ora a questo s' apre la strada a qualche
sollievo per tirare avanti la vita sua, e del figliolo, che s' alleva nel seminario di Prato per
non poter fare maggiora spesa la quale ancora
a dirla a V. S. III.ma confidentemente esce la
maggior parte dalla mia borsa, cosi contentandomi per qualche tempo per che questo ragazzo
non vadi in malora con tutto il suo bello spirito, non inferiore punto a quello del padre,
mentre nell'età di otto in nove anni haveva fatto
tutto il corso della grammatica con ammirazione
del Maestro, quello dunque che si rappresenta
al Sig.re Adimari è che il Duca di Mantova lo
vorrebbe al suo servizio, e glien' ha data intenzione, riserbandosi di informarsi segretamente se
ciò possa essere con buona grazia del P.ne Ser.mo
benché egli confidi nella Clemenza di S. A., ad
ogni modo mi si raccomanda acciò procuri di
assicuramelo maggiormente: onde io supplico
V. S. Il.ma di parlare al Sig.r Bassetti, al quale
credo che sarà scritto acciò lo favorisca e l'aiutij;
quando tal negozio poi capitassi a lei non dico
niente perché so quanto da V. S. posso
sperare. Quando poi bisognasse parlare al Sig.r
Panciatichi ancora dico mi rimetto alla sua prudenza. Mi perdoni deil' incomodo, ma so che V.
S. Ill.ma mi avrà buono amico dell'amico, so che
questa è una grazia involla in molta giustizia,
ma tulio si piglierà per una grande elemosina. Mi onori de' suoi reveriti comandi e della
sua stimat.ma grazia, che sono e sarò sempre /
Di V. S. Ill.ma/
Firenze 3 aprile 1690/
Dev.mo et Obbl.mo Ser. Vero
Pier Capponi"[Nota = Si notino queste parole coraggiose (trattandosi dell' Adimari caduto in disgrazia del Granduca) le quali dimostrano che
il Capponi non aveva creduto mai alla colpa dell' amico suo.
Tuttavia bisogna credere che il Capponi avesse ben poca speranza nella riabilitazione dell' Adimari, perché¨ dopo la lettera
del 12 giugno 1685, nelle sue frequenti lettere al Gondi il Capponi
non parla più della cosa =
R. Arch. di Slato di Firenia. Lettere al Segretario
Carl' Antonio Gondi. (Arch. Mediceo, fil.B 1609)].
Noi crediamo che il Granduca dovesse trovarsi in un grave impiccio. Certo non avrebbe
fatto un bel servizio al Duca di Mantova nascondendogli l' accusa tremenda che pesava sul capo
dell' Adimari e la condanna che perciò gli era
stata inflitta.
Qui si presenta un quesito difficilissimo a
sciogliere e si affaccia un nuovo sospetto circa
la condotta già dubbia assai di Lodovico Adimari.
II Negri, il Mazzuchelli, il Passerini,
per citare soltanto i più autorevoli biografi, ci
dicono che l' Adimari "servì qualche tempo il
Duca Ferdinando Carlo di Mantova in qualità
di gentiluomo di camera, e si fece conoscere per
uomo dotto e ne riscuote estimazione per lo suo
sapere e per le sue nobili qualità, amore" [Note = Scritt. d' Italia, T. I, Parte I, pp. 142-44.
- Ms. più volte cit. -
Ist. degli Scritt. Fior. cit. p. 362]
Abbiamo citato le parole del Negri, ma il
fatto è narrato da tutti e tre quei biografi e
quindi ripetuto da quanti per incidenza si occuparono dell' Adimari.
A noi, come abbiamo osservato, pareva strano che il Granduca avesse raccomandato presso
il Duca di Mantova un uomo cacciato in esilio
per gravissima colpa. Ma d' altra parte, poiché
tutti dicono che l'Adimari servi in corte di Mantova e aggiungono che dal Duca egli ebbe il titolo di marchese, parrebbe che il Granduca poco
onestamente fevorisse l' Adimari fosse pure a
danno del Duca. Poi, vedendo che l'Adimari nei
frontespizii di tutte le sue opere posteriori al
1690 pone il titolo di marchese (titolo che gli
Adimari non avevan prima di lui) dovremmo
credere che veramente il Duca mantovano conferisse al poeta la dignità marchionale.
Ebbene, non solo non abbiamo trovato alcun
documento che dimostri la permanenza dell' Adimari alla corte di Mantova; ma nell'Archivio
Gonzaga non v' ha cenno del titolo di marchese
dato all' Adimari nel Registro dei Decreti ducali
che va, senz' alcuna interruzione, dall'anno 1669
al 1708. E le accurate ricerche fatte a Mantova
in parte da chi scrive queste pagine, in parte da
persone dotte di cose mantovane
[Nota = Fra queste ci piace render vive grazie all'illustre dott.
Alessandro Luzio e al sig. Alberto Mangili il quale ultimo estese
le sue ricerche anche al di fuori dell' Archivio] non hanno
approdato a nulla.
Dunque? Dovremmo credere che l' Adimari
avesse l' audacia d' inventar di sana pianta la
sua permanenza a Mantova e gli onori ivi ricevuti? Dovremmo credere che egli il quale, come
vedemmo, faceva a Lucca sospette ricerche d'araldica, si fosse arbitrariamente preso il titolo di
marchese? In tal caso non si sarebbe mostrato
indegno congiunto di quell'altro pseudo - Adimari
(il Consigliere Don Biagio) che andò a rischio
di esser pugnalato per la velleità di apparir di
scendente degli Adimari fiorentini.
Ma certo in questo fatto Lodovico avrebbe
dimostrata una cosi pericolosa audacia che la
cosa pare. incredibile. E' una delle tante questioni
che noi non siamo riusciti a risolvere ed il
lettore ci perdoni se lo conduciamo per una selva
di dubbii, poiché abbiamo fatto quanto stava
in noi per seguire ogni barlume ed ogni traccia [Note = dobbiamo però osservare che se anche l' A. fu a Mantova vi dovett'assere per un tempo brevissimo, poiché il 3 aprile
1690 il Capponi chiedeva per l'amico suo la commendatizia dal
Granduca, il 10 ottobre 1690 l'Adimari era a Bologua (v. la lettera al Balì Gondi di cui diramo tra poco), e nel '91 lo troviamo
prima a Lucca (24 gennaio, lett. del Capponi pubblicata più in
nanzi) poi a Bologna (v. la "Serenata a Filli"). Nel '92, come vedremo, l' Adimari tornò a Firenze]
Verso la fine dell'anno 1690 troviamo una
notiziola che ha solo un'importanza relativa. Nel
fascio delle lettere del Balì Gondi [Note = Arch. di St. di Firenze. Filze Medicee, n. 1609] v'è la copia d'una lettera di Lodovico. In questa lettera,
scritta da Bologna il 10 ottobre 1690, l'Adimari
prega il Marchese Gerini Maestro di Camera
della Principessa di Toscana di fargli avere dal
Granduca una lettera al Cardinal De Angelis in
favore di un D. Giacomo Mantovani.
L'Adimari, il quale come Capitano di Pietrasanta era stato soggetto immediatamente al Granduca, non si rivolge ora a lui direttamente ed è
naturale, poichéegli era ancora in esilio per
un'accusa infamante. Ma se aveva l'ardire di
cercare un favore dal Granduca, sembra che
alla Corte di Toscana cominciasse a spirare un
vento favorevole per lui e ch'egli lo sapesse. E
infatti la sua domanda venne accolta favorevolmente dal Gerini, il quale, pregando il Gondi di
fargli ottenere quella lettera di raccomandazione,
comincia cosi: "Volendo il Serenissimo Sig. Principe Padrone compiacere benignamente le supplicazioni del Sig.re Lodovico Adimari.... " [Note = Arch, di Stato di Firenze. Filze Medicee, ibid.]
Da Bologna il nostro poeta dovette recarsi
a Lucca, sia nascostamente, sia avendone ottenuto il permesso: e preferiamo la prima ipotesi
poiché nessun documento dell'Archivio di Lucca
accenna alla grazia ottenuta dall' Adimari.
A Lucca ebbe ancora qualche fastidio come
appare da questo frammento di una lettera scritta
da Pier Capponi al Gondi:
"III.mo Sig.r mio P.ne Col.mo/
Con tale occasione non voglio tralasciare di
rappresentare a V. S. Ill.ma quello, che accadde
al povero Sig.re Lodovico Adimari pure in Lucca
il quale con la solita sua amorevolezza verso di
me compose una Canzone sopra il mio viaggio
in Inghilterra, la fece stampare e mandommi un
fagotto d'esemplari a Firenze, ma prima che
questo mi giungesse, mi pervenne una lettera
dell' Adimari, con la quale mi pregava di non
dar fuori tal composizione per non rovinare Io
stampatore al quale era stato negato dall' istesso
magistrato di Lucca il Publicetur, per le cause
che a suo tempo mi havrebbe detto a bocca come poi fece, e la causa della negativa fu, perché havevano osservato che il Poeta toccando la
Missione ch'il Ser.mo Gran Duca haveva di me
fatto al Re d'Inghilterra, haveva detto:
Da un Re grande
A Regnator Maggiore
Se l'Adimari disse bene se lo può V. S. Ill.ma
immaginare, e piaccia a Dio, che i! suo lamentarsi con grande zelo molto non li pregiudicasse:
come torno, farò a V. S. Ill.ma veder la composizione che ancor vive segreta... /
Pisa 24 Genn. 1690-91/
Di V. S. Ill.ma/
Dev.mo Obbl.mo Ser. Vero/
Pier Capponi"
A Bologna invece, ove tornò dopo queste
brevi gite a Lucca e a Pisa, l'Adimari era ben
accolto e rispettato. L'accusa che lo aveva fatto
fuggire da Firenze o non era nota o non dovette
essere creduta giusta poiché vediamo che il
poeta fiorentino è ricevuto con tutti gli onori
nei saloni aristocratici.
Una sera fra le altre, in occasione della fiera
del '91, i conti Calderini diedero proprio a lui
l'incarico di comporre una serenata per diver
tire le dame. E l' Adimari, quegli che più tardi
doveva diventare notissimo come poeta misogino, se la cavò egregiamente dovendo fare il galante.