cultura barocca
INFORM. DURANTE

GERUSALEMME DAL MONTE DEGLI ULIVI IN UNA STAMPA ANTIQUARIA DALLA STESSA FONTE OTTOCENTESCA (INC. MIGLIAVACCA): VEDI ORA UN'OTTOCENTESCA PARTIZIONE DELLA TERRA PROMESSA DALLO STESSO VOLUME.






















































SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
Convocato dall'imperatore Giustiniano I.
8 sessioni dal 5 maggio al 2 giugno 553.
Papa Vigilio (537-555).
Condanna dei "Tre capitoli" dei nestoriani.
INDICE TEMATICO
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SENTENZA CONTRO I TRE CAPITOLI
-ANATENIATISMI CONTRO I TRE CAPITOLI

























SENTENZA CONTRO I TRE CAPITOLI
Il grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, secondo la parabola riferita dai Vangeli (1), distribuisce i talenti secondo le capacità di ciascuno, ed esige a suo tempo da essi il frutto proporzionato. Se, quindi, chi ha ricevuto un talento e l'ha conservato senza alcuna perdita, per non averlo trafficato e per non aver aumentato quanto aveva ricevuto viene condannato, come non sarà soggetto a più grave e terribile giudizio chi non solo l'avrà trascurato, ma sarà stato causa di scandalo anche per gli altri? E’ chiaro, infatti, a tutti i fedeli che quando si tratta della fede, non solo l'empio è condannato, ma anche colui, che, potendo impedire l'empietà, trascura la correzione degli altri.
E’ per questo che noi, a cui è stato affidato il compito di governare la chiesa di Dio (2) temendo la maledizione minacciata a coloro che fanno con negligenza le cose di Dio (3), facciamo di tutto per conservare puro il buon seme della fede dalla zizzania dell'empietà, che viene seminata dal nemico (4). Vedendo, dunque, che i seguaci di Nestorio hanno tentato di gettare sulla chiesa di Dio la loro empietà per mezzo dell'empio Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia, ed i suoi empi scritti, ed inoltre per mezzo di ciò che empiamente scrisse Teodoreto, e della infame lettera, che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, siamo sorti prontamente per correggere quanto è accaduto, e per volontà di Dio e per comando del nostro piissimo imperatore, ci siamo riuniti in questa città imperiale.
E poiché il piissimo Vigilio è presente in questa imperiale città, si sta occupando di tutto ciò che è stato scritto su questi tre capitoli, e li ha spesso condannati sia a voce che per iscritto; e poiché in seguito ha anche acconsentito a partecipare al concilio e a discutere su di essi insieme con noi, il piissimo imperatore - come si era convenuto - ha esortato sia lui che noi a radunarci insieme, dicendo che era conveniente che i sacerdoti portassero insieme a conclusione le questioni comuni. Fummo quindi costretti a chiedere che la sua riverenza volesse adempiere le sue promesse scritte, non sembrando giusto che dovesse lo scandalo dei tre capitoli crescere sempre più, con turbamento della chiesa. A favore di ciò gli ricordammo i grandi esempi degli apostoli, e le tradizioni dei padri. Quantunque, infatti, la grazia dello Spirito santo abbondasse in ognuno degli apostoli, e non avessero bisogno del consiglio degli altri per sapere ciò che dovessero fare, tuttavia sulla questione che allora si agitava, cioè se i pagani dovessero essere circoncisi, non vollero pronunciarsi prima di essersi riuniti in comune e aver confermato con le testimonianze delle divine Scritture ciascuno la propria opinione. Pertanto emisero su ciò una sentenza comune, scrivendo alle genti: E’ sembrato bene allo Spirito Santo e a noi non imporvi altro Peso che quello che è necessario, e cioè: che vi asteniate dalle carni immolate dinanzi ai simulacri (degli dèi), dal sangue, dagli animali soffocati, e dalla fornicazione (5).
Anche i santi padri, lungo i secoli, si radunarono nei quattro santi concili, e, seguendo gli esempi degli antichi, presero insieme le decisioni relative alle eresie che erano sorte e ad altre questioni, avendo per certo, che nelle discussioni comuni, quando cioè si affrontano problemi che interessano l'una e l'altra parte, la luce della verità fuga le tenebre della menzogna.
Nelle comuni dispute sulla fede, infatti, non è possibile che la verità si manifesti in modo diverso; perché ciascuno ha bisogno del suo prossimo, come afferma Salomone nei suoi Proverbi: Il fratello che aiuta il fratello, sarà esaltato come una città fortificata, ed è saldo come un regno dalle solide fondamenta (6). Dice ancora nell'Ecclesiaste: Due sono assai meglio che uno,- ed avranno abbondante compenso per il loro lavoro (7).
Del resto, il Signore stesso dice: In verità, in verità, vi dico: se due di voi si raccoglieranno, sulla terra, qualsiasi cosa chiederanno, verrà loro concessa dal Padre mio che sta nei cieli. Dovunque, infatti, due o tre saranno radunati in mio nome, sarò con loro, in mezzo ad essi (8).
Da noi tutti spesso invitato, mandati a lui dal nostro piissimo imperatore dei messi nobilissimi, Vigilio promise di esprimere personalmente il suo parere sulla questione dei tre capitoli. A questa risposta noi, memori, in cuor nostro, dell'ammonimento dell'Apostolo che ciascuno renderà ragione a Dio di se stesso (9), e temendo, nello stesso tempo, anche il giudizio che sovrasta coloro che scandalizzano anche uno solo dei più piccoli (10) - e quanto più, dunque, un imperatore così profondamente cristiano e popoli e chiese intere - memori anche di quanto fu detto da Dio a Paolo: Non temere; parla e non tacere, Perché io sono con te, e nessuno potrà nuocerti (11), noi, radunati insieme, prima di tutto ci siamo proposti di attenerci a quella fede che il signore nostro Gesù Cristo, vero Dio, ha trasmesso ai suoi santi apostoli, e, per mezzo di loro, alle sante chiese, e che i santi padri e dottori della chiesa, che vennero dopo di essi, trasmisero a loro volta ai popoli loro affidati.
Abbiamo dichiarato di conservare intatta e di predicare alle sante chiese questa fede che hanno esposto più abbondantemente i 318 santi padri raccolti a Nicea, i quali ci hanno trasmesso il santo simbolo. Anche 150 radunati a Costantinopoli lo professarono e seguirono anch'essi la stessa fede e la chiarirono. Professiamo quella fede in cui convennero perfettamente i 200 santi padri raccolti la prima volta ad Efeso; e ciò che fu definito dai 630 a Calcedonia, intorno all'unica e medesima fede, che essi seguirono e predicarono. Abbiamo dichiarato, inoltre, di considerare condannati e anatematizzati quelli che, secondo le circostanze, sono stati condannati e anatematizzati dalla chiesa cattolica e dai quattro concilii ricordati.
Fatta questa generale professione di fede, abbiamo iniziato l'esame dei tre capitoli [ ... ].
Richiamate, dunque, le cose da noi fatte, dichiariamo ancora che accettiamo i quattro santi concili: Niceno, Costantinopolitano, Efesino primo, Calcedonese e che quello che essi definirono della stessa e medesima fede, noi abbiamo predicato e predichiamo. Giudichiamo estranei alla chiesa cattolica quelli che non accettano queste cose. Condanniamo e scomunichiamo, con tutti gli altri eretici che sono stati condannati e scomunicati dai predetti quattro concili e dalla santa e apostolica chiesa, Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia e i suoi empi scritti; condanniamo e scomunichiamo quello che Teodoreto ha scritto ampiamente contro la retta fede, contro i dodici capitoli di s. Cirillo contro il primo concilio di Efeso, e quanto ha scritto a difesa di Teodoro e di Nestorio. Anatematizziamo, inoltre, l'empia lettera che si dice Iba abbia scritto a Mari, persiano: essa nega che Dio Verbo, incarnatosi dalla S. Madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo; essa accusa di eresia Cirillo, di santa memoria, che invece insegna rettamente, anche quando scrive ad Apollinare. Questa lettera mentre accusa il primo concilio Efesino di aver deposto Nestorio senza sufficiente esame e discussione e chiama empi e contrari alla sacra fede i dodici capitoli di Cirillo, difende poi Teodoro e Nestorio e i loro dogmi scellerati e i loro scritti.
Noi, dunque, anatematizziamo i tre predetti capitoli, cioè: l'empio Teodoro di Mopsuestia con i suoi scritti malvagi, quello che scrisse empiamente Teodoreto, l'iniqua lettera attribuita ad Iba, i loro difensori e quelli che scrissero o scrivono a loro difesa, o si peritano di definire rette le loro dottrine, o hanno preso o prendono addirittura le difese della loro empietà, adducendo l'autorità dei padri o del santo concilio di Calcedonia [ ... ].
ANATENIATISMI CONTRO I TRE CAPITOLI
I. Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi, o persone, sia anatema. Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose (12). II. Se qualcuno non confessa che due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l'altra in questi nostri ultimi tempi (13), quando egli è disceso dai cieli, s'è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia anatema.
III. Se qualcuno afferma che il Verbo di Dio che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha sofferto, o anche che il Dio Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o che egli è in lui come uno in un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al quale appartengono sia le meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha sopportato nella sua carne, costui sia anatema.
IV. Se qualcuno dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione, o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato, come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione.
V. Se qualcuno intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo come implicante più sussistenze, e con ciò tenta introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due persone, da lui introdotte, parla di una secondo la dignità l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo concilio di Calcedonia, quasi che abbia usato l'espressione "una sola sussistenza", secondo questa empia concezione; e non ammette, piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne secondo Ripostasi e che, quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola persona; e che così anche che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del Signore nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto l'aggiunta di una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo, uno della santa Trinità.
VI. Se qualcuno afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo impropriamente e non secondo verità è madre di Dio, o che ella lo è secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei un semplice uomo, e non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi riferire, secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente all'uomo che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare la vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con ciò che Cristo non sia Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre di Dio, per essersi incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio, generato dal Padre prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di Calcedonia l'ha ritenuta madre di Dio, costui sia anatema.
VII. Se qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità e nella umanità si deve riconoscere il solo signore nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra, infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi l'unione secondo ipostasi; se costui, dunque, intende tale espressione come una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno, infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza, costui sia anatema. VIII. Se uno confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta l'unione, o ammette una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo il senso dei santi padri, cioè che, avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura divina e della natura umana, un solo Cristo ne è stato l'effetto; ma con questa espressione tenta introdurre una sola natura o sostanza della divinità e della carne di Cristo, costui sia anatema. Dicendo, infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo l'ipostasi, noi non affermiamo che si sia operata una confusione scambievole delle nature, ma che, rimanendo l'una e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per questo, la chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono o separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo, sia coloro che le confondono.
IX. Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo .Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.
X. Se qualcuno non confessa che il signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria ed uno della santa Trinità, costui sia anatema.
XI. Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema.
XII. Se qualcuno difende l'empio Teodoro di Mopsuestia, il quale dice altro essere il Verbo di Dio ed altro il Cristo, sottoposto alle passioni della anima e ai desideri della carne, che si è liberato a poco a poco dai sentimenti inferiori, è migliorato col progresso delle opere, ed è divenuto perfetto nella vita; che è stato battezzato come semplice uomo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, e attraverso il battesimo, ha ricevuto la grazia dello Spirito santo ed è stato stimato degno dell'adozione di figlio, e che, a somiglianza di una immagine dell'imperatore, viene adorato nella persona del Dio Verbo, e dopo la risurrezione è divenuto immutabile nei suoi pensieri e del tutto impeccabile. L'empio Teodoro ha anche detto che l'unione del Verbo di Dio con il Cristo è tale, quale l'apostolo afferma per l'uomo e per la donna: Saranno i due in una sola carne (14). Con altre innumerevoli bestemmie, egli ha osato dire che dopo la resurrezione il Signore quando soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito santo (15), non diede ad essi lo Spirito santo, ma soffiò solo simbolicamente. Egli ha detto anche che la confessione di Tommaso, quella che fece quando, palpate le mani e il costato del Signore, dopo la resurrezione, esclamò: Mio Signore e mio Dio (16), non è stata fatta da Tommaso nei riguardi di Cristo, ma che Tommaso, meravigliato per il miracolo della risurrezione, ha glorificato Dio che aveva risuscitato Cristo. E, ciò che è peggio, anche nel commento da lui fatto agli Atti degli apostoli, lo stesso Teodoro, paragonando il Cristo a Platone, a Mani, ad Epicuro, a Marcione, afferma che, come ciascuno di questi, trovata una propria dottrina, fece sì che i suoi discepoli si chiamassero Platonici, Manichei, Epicurci, Marcioniti, allo stesso modo avendo trovato il Cristo una dottrina, da lui hanno preso il nome i cristiani. Se quindi, qualcuno difende l'empio Teodoro, che sopra abbiamo nominato, e i suoi empi scritti, nei quali egli ha riversato le bestemmie cui abbiamo accennato ed altre innumerevoli contro il grande Dio e signore nostro Gesù Cristo; e non condanna lui e i suoi malvagi scritti, e quelli che lo accettano e lo scagionano, o affermano che ha esposto rettamente la dottrina, quelli che hanno scritto a suo favore e dei suoi empi scritti, quelli che la pensano o la pensarono un tempo come lui, e perseverarono in tale eresia fino alla morte, sia anatema.
XIII. Se alcuno difende gli empi scritti che Teodoreto scrisse contro la vera fede, contro il primo, santo concilio di Efeso, contro s. Cirillo e i suoi dodici anatemi, e tutto ciò che egli compose in difesa di Teodoro e di Nestorio, empi, e degli altri che professano le loro idee, e li accettano, e accettano la loro empietà, e a causa di essi chiama empi i dottori della chiesa, quelli, cioè, che professano l'unione secondo l'ipostasi del Verbo di Dio; se, dunque, costui non anatematizza gli empi scritti suddetti, e coloro che hanno principi simili a questi, o li hanno avuti, e quanti hanno scritto contro la retta fede, e contro Cirillo, uomo santo, e i suoi dodici capitoli, e chi muore in tale empietà, costui sia anatema.
XIV. Se qualcuno difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo, incarnatosi nella santa madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo, e afferma che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in modo che altro sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il quale ha predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere scritto come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di Efeso, quasi che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato Nestorio e definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta fede, questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di Nestorio e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende questa lettera, e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti dicono che essa, o anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e scrivono in suo favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano di giustificarla con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia anatema. Fatta, dunque, a questo modo la professione delle verità, che abbiamo ricevuto sia dalla divina Scrittura, sia dall'insegnamento dei santi padri, e da quanto è stato stabilito intorno all'unica e vera fede dai predetti quattro sinodi; e pronunciata anche la condanna contro gli eretici e la loro empietà, e inoltre contro quelli che o hanno scusato o tentano di scusare i tre capitoli di cui abbiamo parlato, e che hanno perseverato e continuano a perseverare nel proprio errore; se qualcuno tentasse di trasmettere, insegnare, o scrivere alcunché in opposizione con quanto noi abbiamo disposto, se questi è vescovo o chierico, poiché agisce in modo alieno da quello proprio dei sacerdoti e dello stato ecclesiastico, sarà spogliato della sua dignità vescovile o di chierico; se poi fosse monaco o semplice laico, sarà anatema.
Note
1 Mt 25, 14-30
2 At 20, 28
3 Ger 48, 10
4 Mt 13, 36-43
5 At 15, 28-29
6 Pro 18, 19
7 Eccle 4, 9
8 Mt 18, 19-20
9 Rm 14, 12
10 Mt 18, 6
11 At 18, 9-10
12 I Cor 8, 6
13 Eb 1, 2
14 Ef 5, 31
15 Gv 20, 22
16 Gv 20, 28

























TERZO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
Dal 7 novembre 680 al 16 settembre 681.
Papi: Agatone (678-681) e Leone II (682-683).
Convocato dall'Imperatore Costantino IV.
16 sessioni. Condanna della dottrina di una volontà in Cristo (monotelismo); questione di Onorio.
INDICE TEMATICO
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ESPOSIZIONE DELLA FEDE























ESPOSIZIONE DELLA FEDE
L'Unigenito figlio e verbo di Dio Padre, fattosi uomo, in tutto simile a noi fuorché nel peccato, Cristo, il vero nostro Dio, predicò apertamente nel Vangelo: Io sono la luce del mondo. Chi mi segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà il lume della vita (1); e di nuovo: Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace (2). Guidato dunque divinamente da questa celeste dottrina della pace, il nostro mitissimo imperatore, propugnatore della retta dottrina, avversario dell'errore, convocando questo nostro universale concilio, ha riunito l'intera compagine della chiesa. Questo santo ecumenico sinodo, dunque, rigettando l'empio errore che da qualche tempo va serpeggiando, e seguendo senza tentennamenti la retta via segnata dai santi ed eccellenti padri, approva in tutto, piamente, i cinque santi, ecumenici concili e, cioè, quello dei trecentodiciotto santi padri, raccoltisi a Nicea contro il folle Ario; dopo di questo, quello di Costantinopoli dei centocinquanta padri ispirati da Dio, contro Macedonio che impugnava lo Spirito, e l'empio Apollinare; similmente, il primo di Efeso, contro Nestorio, di mentalità giudaica, dove si radunarono duecento venerabili uomini; quello di Calcedonia, di seicentotrenta padri divinamente ispirati, contro Eutiche e Dioscoro, odiatori di Dio; e oltre questi, approva anche l'ultimo di essi, il quinto santo concilio, radunato proprio qui contro Teodoro di Mopsuestia, Origene, Didimo ed Evagrio, e contro le opere di Teodoreto, che egli scrisse contro i dodici capitoli del celebre Cirillo, e la lettera di Iba che si dice essere stata scritta a Mari il Persiano. Rinnovando quindi, in tutto, gli immutabili decreti della pietà, e scacciando le profonde dottrine dell'empietà, anche questo santo ed universale sinodo ispirato da Dio, suggella il simbolo emesso dai trecentodiciotto padri, e poi confermato dai centocinquanta, dalla mente divinamente ispirata, simbolo che anche gli altri santi concili accolsero con gioia e confermarono, per estinguere ogni pestifera eresia.
Crediamo in un solo Dio... [seguono i simboli Niceno e Costantinopolitano].
Il santo e universale sinodo disse: Alla perfetta conoscenza e conferma della retta fede sarebbe stato sufficiente questo pio e ortodosso simbolo della grazia divina. Ma poiché non restò inattivo colui che fin dall'inizio fu l'inventore della malizia e che, trovando un aiuto nel serpente, per mezzo di esso introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli istrumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Fara; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell'antica Roma; a Ciro, che fu vescovo di Alessandria, e a Macario, recentemente vescovo di Antiochia, e a Stefano, suo discepolo; trovati, dunque, gli istrumenti adatti, non si astenne, attraverso questi, dal suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell'errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio; e cercò in tutti i modi di toglier di mezzo con ingannevole invenzione la perfezione dell'incarnazione dello stesso ed unico signore Gesù Cristo, nostro Dio, e introdusse, quindi, funestamente una carne senza volontà e senza operazione propria, benché fornita di vita intellettuale.
Per questo Cristo, nostro Dio, ha suscitato un fedele imperatore, un nuovo David, avendo trovato un uomo secondo il suo cuore (3), il quale, conforme a quanto dice la Scrittura, non concede sonno ai suoi occhi, e riposo alle sue palpebre (4), fino a che non ha trovato, per mezzo di questa sacra adunanza voluta da Dio, una proclamazione perfetta della vera fede, secondo la parola del Signore: dove sono radunati dite o tre nel mio nome, io sono in mezzo ad essi (5).
Il presente santo e universale concilio, accoglie con fede e saluta a braccia aperte la relazione del santissimo e beatissimo papa dell'antica Roma, Agatone, al piissimo e fedelissimo nostro imperatore Costantino [IV], che rigetta, nominatamente, quelli che hanno predicato e quelli che hanno insegnato, come è stato mostrato sopra, una sola volontà ed una sola operazione nel mistero dell'incarnazione di Cristo, vero nostro Dio; ammette, similmente, anche l'altra relazione sinodale, mandata dal santo sinodo dei centoventicinque vescovi, cari a Dio, tenuto sotto lo stesso santissimo papa, per contribuire alla tranquillità, dono di Dio. Il concilio le accoglie inquantoché sono in armonia sia col santo concilio di Calcedonia, sia col torno del santissimo e beatissimo papa della stessa antica Roma, Leone, mandato a Flaviano, uomo santo, che quel sinodo chiamò "colonna dell'ortodossia". Esse sono anche conformi alle lettere sinodali scritte dal beato Cirillo contro l'empio Nestorio e ai vescovi dell'Oriente.
Seguendo i cinque santi concili ecumenici, e i santi ed eccellenti padri, in accordo con essi definisce e confessa il signore nostro Gesù Cristo, nostro vero Dio, uno della santa, consostanziale e vivificante Trinità, perfetto nella divinità e perfetto nella umanità; veramente Dio e veramente uomo, composto di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità e, nello stesso tempo, consostanziale a noi nella sua umanità; simile a noi in tutto, meno che nel peccato (6), generato dal Padre, prima dei secoli, secondo la divinità, in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza (è nato) dallo Spirito santo e da Maria vergine, nel più vero senso della parola madre di Dio, secondo l'umanità; un solo e medesimo Cristo, figlio unigenito di Dio, da riconoscersi in due nature senza confusione, mutamento, separazione, divisione; senza che in nessun modo venga soppressa la differenza delle nature per l'unione, ma salvaguardando la proprietà dell'una e dell'altra, e concorrendo ciascuna a formare una sola persona e sussistenza; non diviso e scomposto in due persone, ma uno e medesimo figlio unigenito, Verbo di Dio, signore Gesù Cristo, come un tempo i profeti ci rivelarono di lui, e lo stesso Gesù Cristo ci insegnò, e il simbolo dei santi padri ci ha trasmesso.
Predichiamo anche, in lui, due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri. Due volontà naturali che non sono in contrasto fra loro (non sia mai detto!), come dicono gli empi eretici, ma tali che la volontà umana segua, senza opposizione o riluttanza, o meglio, sia sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente. Era necessario, infatti, che la volontà della carne fosse mossa e sottomessa al volere divino, secondo il sapientissimo Atanasio (7). Come, infatti, la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la naturale volontà della carne si dice ed è volontà propria del Verbo di Dio, secondo quanto egli stesso dice: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato (8), intendendo per propria volontà quella della carne, poiché anche la carne divenne sua propria: come, infatti la sua santissima, immacolata e animata carne, sebbene deificata, non fu distrutta, ma rimase nel proprio stato e nel proprio modo d'essere, così la sua volontà umana, anche se deificata, non fu annullata, ma piuttosto salvata, secondo quanto Gregorio, divinamente ispirato, dice: "Quel volere, che noi riscontriamo nel Salvatore, non è contrario a Dio, ma anzi è trasformato completamente in Dio" (9).
Ammettiamo, inoltre, nello stesso signore nostro Gesù Cristo, nostro vero Dio, due naturali operazioni, senza divisioni di sorta, senza mutazioni, separazioni, confusioni; e cioè: un'operazione divina e un'operazione umana, secondo quanto apertissimamente afferma Leone, divinamente ispirato: "Agisce, infatti, ciascuna natura in comunione con l'altra secondo ciò che ha di proprio; il Verbo opera ciò che è proprio del Verbo, il corpo compie ciò che è proprio del corpo" (10). Non ammetteremo, certamente, una sola naturale operazione di Dio e della creatura, perché non avvenga che attribuiamo all'essenza divina ciò che è stato creato, o riduciamo l'eccellenza della natura divina al rango di ciò che conviene alle creature: riconosciamo, infatti, dello stesso e medesimo Cristo i miracoli e le sofferenze secondo questo o quell'elemento delle nature da cui proviene e in cui bi l'essere, come disse il divino Cirillo. Insomma, restando fermo il concetto di inconfuso e di indiviso, riassumiamo tutto in quest'unica espressione: Credendo che uno della santa Trinità, e, dopo l'incarnazione, il signore nostro Gesù Cristo, è il nostro vero Dio, affermiamo che due sono le sue nature che risplendono nella sua unica sussistenza; in essa egli, durante tutta l'economia della sua vita, operò prodigi e soffrì dolori; e ciò in modo non apparente, ma reale, mentre la differenza delle nature in quell'unica sussistenza può conoscersi solo dal fatto che ciascuna natura, in comunione con l'altra, voleva ed operava conformemente al proprio essere. In questo modo, noi ammettiamo anche due naturali volontà ed operazioni, che concorrono insieme alla salvezza del genere umano.
Stabilite, quindi, queste cose con ogni possibile diligenza e cura, definiamo non esser lecito ad alcuno presentare, ossia scrivere, comporre, credere, altra formula di fede, o insegnarla ad altri. Quelli poi,che osassero o comporre una diversa formula, o presentare, o insegnare, o trasmettere un altro simbolo a quelli che volessero convertirsi alla conoscenza della verità dall'Ellenismo, dal Giudaismo, o da qualsiasi altra setta; o tentassero di introdurre nuove voci, ossia nuovi modi di dire, per sconvolgere quanto da noi è stato definito, questi tali, se sono vescovi o chierici, decadono, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla dignità di chierici; se poi si tratta di monaci o di laici, siano anatematizzati.
Note
(1) Gv 8, 12
(2) Gv 14, 27
(3)At 13, 22
(4) Sal 131, 4
(5) Mt 18, 20
(6) Eb 4, 15
(7) Trattato perduto
(8) Gv 6, 38
(9) GREGORIO NAZIANZENO, Oratio, 30, 12 (PG 36, 117)
(10) Lettera a Flaviano























SECONDO CONCILIO DI NICEA
Dal 24 settembre al 23 ottobre 787.
Papa Adriano I (772-795).
Convocato dall'Imperatrice Irene.
8 sessioni. Significato e liceità del culto delle immagini. 22 canoni.
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DEFINIZIONE
-ANATEMI RIGUARDO ALLE SACRE IMMAGINI
-CANONI
-Bisogna osservare in tutto i sacri canoni.
-Chi viene ordinato vescovo prometta di osservare i sacri canoni, altrimenti non deve essere ordinato.
-I principi non devono eleggere un vescovo .
-I vescovi si devono astenere da ogni baratto.
-Chi schernisce i chierici ordinati senza donativi sia punito.
-Che ogni anno si celebri il sinodo locale.
-Bisogna completare le nuove chiese, consacrate senza le reliquie dei santi.
-Non bisogna accogliere gli Ebrei che non si convertono sinceramente.
-Non si nasconda alcun libro dell'eresia che calunnia i cristiani.
-Un chierico non deve lasciare la propria Parrocchia per un'altra, all'insaputa del vescovo.
-Negli episcopi e nei monasteri debbono esservi degli amministratori.
-Chi viene ordinato vescovo prometta di osservare i sacri canoni, altrimenti non deve essere ordinato.
-Sono degni di condanna quelli che riducono i monasteri a comuni abitazioni.
-Senza imposizione delle mani non si può leggere dall'ambone nelle liturgie.
-Un chierico non dev'essere addetto a due chiese.
-Un sacerdote non deve indossare vesti preziose.
-Non deve costruire un oratorio chi non avesse i mezzi per condurlo a termine.
-Le donne non dimorino negli episcopi o nei monasteri maschili.
-Che le professioni dei sacerdoti, monaci e monache debbano farsi senza doni.
-Non devono più costituirsi monasteri doppi.
-I monaci non devono lasciare i propri monasteri per recarsi in altri.
-I monaci, se mangiano con donne, lo facciano con riconoscenza (a Dio), con moderatione e con cautela.

























DEFINIZIONE
Il santo, grande e universale concilio, per grazia di Dio e per decreto dei pii e cristiani nostri imperatori Costantino ed Irene, sua madre, riunito per la seconda volta nella illustre metropoli di Nicea in Bitinia nella santa chiesa di Dio del titolo di Sofia, seguendo la tradizione della chiesa cattolica, definisce quanto segue.
Cristo, nostro Dio, ci fece dono della sua conoscenza e ci liberò dalle tenebre e dal furore degli idoli. E dopo aver fatta sua sposa la sua chiesa, senza macchia e senza ruga (1) promise di conservarla e confermò questa promessa dicendo ai suoi discepoli Io sono con voi ogni giorno, fino alla fine dei secoli (2). Ma questa promessa egli non la fece solo a loro ma anche a noi, che attraverso loro abbiamo creduto nel suo nome (3).
Alcuni, dunque, incuranti di questo dono, come se avessero ricevuto le ali dal nemico ingannatore, hanno deviato dalla retta ragione opponendosi alla tradizione della chiesa cattolica, non hanno più raggiunto la conoscenza della verità. E, come dice il proverbio, sono andati errando per i viottoli, del proprio campo e hanno riempito le loro mani di sterilità; hanno tentato, infatti, di screditare le immagini dei sacri monumenti dedicati a Dio; sacerdoti, certo, di nome, ma non nella sostanza. Di questi il Signore dice cosi nella profezia: Molti Pastori hanno devastato la mia vigna; hanno contaminato la mia parte (4), seguendo, infatti, uomini scellerati, e trascinati dalle loro passioni, hanno accusato la santa chiesa, sposata a Cristo Dio, e non distinguendo il sacro dal profano (5), hanno messo sullo stesso piano le immagini di Dio e dei suoi santi e le statue degli idoli diabolici.
Non potendo, quindi, il Signore Dio sopportare che i suoi sudditi venissero corrotti da una tale peste, ha convocato con la sua divina volontà, noi da ogni parte; noi, ossia i responsabili del sacerdozio, attraverso lo zelo religioso e l'invito di Costantino e di Irene, nostri fedelissimi imperatori: tutto ciò perché la divina tradizione della chiesa cattolica riuscisse rafforzata da un voto comune. Dopo ricerche, quindi, e discussioni diligentissime, con l'unico scopo di seguire la verità, noi né togliamo né aggiungiamo cosa alcuna; vogliamo solo conservare intatto tutto ciò che è (proprio) della chiesa cattolica. Seguendo, perciò, i santi sei concili ecumenici, e specialmente quello che fu tenuto nella nobile metropoli dei Niceni; ed inoltre quello celebrato dopo di esso nella città imperiale, cara a Dio:
Crediamo in un solo Dio... [segue il simbolo Niceno- Costantinopolitano].
Detestiamo e anatematizziamo Ario ed i suoi seguaci, e quelli che hanno in comune con lui la sua insana dottrina; cosi pure Macedonio ed i suoi, ben a ragion chiamati "pneumatomachi", cioè gente che combatte lo Spirito. Confessiamo anche la signora nostra, la santa Maria, come vera e propria madre di Dio: essa, infatti, ha partorito nella sua carne una persona della Trinità, Cristo, nostro Dio, come ha insegnato anche il primo concilio di Efeso, che scacciò dalla chiesa l'empio Nestorio, e quelli che ne seguono il pensiero, perché introducevano un dualismo di persone (in Cristo). Confessiamo inoltre anche le due nature di colui che si è incarnato per noi dall'immacolata madre di Dio e sempre vergine Maria, riconoscendo in lui un perfetto Dio e un perfetto uomo, come ha proclamato anche il concilio di Calcedonia, scacciando dalla chiesa Eutiche e Dioscoro, blasfemi. Accomuniamo ad essi Severo, Pietro, e il poliblasfemo loro codazzo, intrecciati l'uno all'altro. Con essi anatematizziamo le favolose invenzioni di Origene, di Evagrio, e di Didimo, come fece anche il quinto concilio riunito a Costantinopoli. Predichiamo, inoltre, in Cristo due volontà e due operazioni, secondo la proprietà delle nature, come solennemente dichiarò il sesto sinodo di Costantinopoli, sconfessando Sergio, Onorio, Ciro, Pirro, Macario, negatori della pietà, e i loro accoliti. In poche parole, noi intendiamo custodire gelosamente intatte tutte le tradizioni ecclesiastiche, sia scritte che orali. Una di queste, in accordo con la predicazione evangelica, è la pittura delle immagini, che giova senz'altro a confermare la vera e non fantastica incarnazione del Verbo di Dio, e ha una simile utilità per noi infatti, le cose, che hanno fra loro un rapporto di somiglianza, hanno anche senza dubbio un rapporto scambievole di significato.
In tal modo, procedendo sulla via regia, seguendo in tutto e per tutto l'ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica riconosciamo, infatti, che lo Spirito santo abita in essa noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di incenso e di lumi, com'era uso presso gli antichi. L'onore reso all'immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto.
In tal modo si rafforza l'insegnamento dei nostri santi padri, ossia la tradizione della chiesa cattolica, che ha accolto il Vangelo da un confine all'altro della terra; in tal modo siamo seguaci di Paolo, del divino collegio apostolico, e della santità dei padri, tenendoci stretti alle tradizioni che abbiamo ricevuto (6); così possiamo cantare alla chiesa gli inni trionfali dei profeti: rallegrati molto, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci, con tutto il cuore; il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male (7), e la pace porrà in te la sua dimora in eterno.
Chi, perciò, oserà pensare o insegnare diversamente, o, conformemente agli empi eretici, o oserà impugnare le tradizioni ecclesiastiche, o inventare delle novità, o gettar via qualche cosa di ciò che è consacrato a Dio, nella chiesa, come il Vangelo, l'immagine della croce, immagini dipinte, o le sante reliquie dei martiri, o pensare con astuti raggiri di sovvertire qualcuna delle legittime tradizioni della chiesa cattolica; o anche di servirsi dei vasi sacri come di vasi comuni, o dei venerandi monasteri (come di luoghi profani), in questo caso, quelli che sono vescovi o chierici siano deposti, i monaci e i laici, vengano esclusi dalla comunione.
ANATEMI RIGUARDO ALLE SACRE IMMAGINI
Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa esser limitato, secondo l'umanità, sia anatema.
Se qualcuno rifiuta che i racconti evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema.
Se qualcuno non saluta queste (immagini), (fatte) nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema.
Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema.
CANONI
I. Bisogna osservare in tutto i sacri canoni.
Quelli che hanno avuto in sorte il sacerdozio, hanno il criterio costituito dalle testimonianze e dalle indicazioni delle prescrizioni canoniche. Noi le accettiamo con gioia, e cantiamo con Davide divinamente ispirato, dicendo a Dio: Mi sono dilettato dei tuoi comandamenti, come di ogni ricchezza (8). E hai emanato i tuoi comandamenti con giustizia in eterno; dammene l'intelligenza e vivrò (9). Se, dunque, la voce dei profeti ci comanda di osservare in eterno i comandamenti di Dio, e di vivere in essi (10), è chiaro che essi devono rimanere intatti e stabili. Anche Mosè, infatti, che vide Dio, dice cosi: In essi non vi è nulla da aggiungere e nulla da togliere (11). E il divino apostolo, gloriandosi in essi, grida: In essi gli angeli desiderano ardentemente di volgere lo sguardo (12); e: Se un angelo vi annunzia (qualche cosa) oltre quello che voi avete ricevuto, sia anatema (13).
Convinti di ciò ne facciamo professione e ce ne rallegriamo come uno si rallegra di abbondanti spoglie (14), gioiosamente accogliamo nel nostro cuore i divini canoni, e conserviamo integre e certe le loro prescrizioni, sia quelle emanate dai lodevolissimi apostoli, trombe dello Spirito, che quelle dei sei concili universali e dei concili locali, raccolti per esporre questi decreti, e dei nostri santi padri. Illuminati, infatti, da un solo e medesimo Spirito, stabilirono quanto era utile. Sicché quelli che essi hanno anatematizzato lo sono anche per noi; quelli deposti lo sono anche per noi; quelli giudicati degni di segregazione, lo sono anche per noi; quelli sottoposti a pene, lo sono anche per noi allo stesso modo. Il vostro modo di vivere non sia amante del denaro, ma contentatevi di quanto avete (15): cosi esclama con chiara voce il divino Paolo, colui che sali al terzo cielo e ascoltò parole ineffabili.
II. Chi viene ordinato vescovo prometta di osservare i sacri canoni, altrimenti non deve essere ordinato.
Poiché cantando i salmi promettiamo a Dio: Mediterò i tuoi comandamenti; non dimenticherò le tue parole (16), è certamente salutare che ogni cristiano osservi tutto ciò; ma in modo particolare coloro che hanno conseguito la dignità sacerdotale. Stabiliamo, perciò, che chiunque sia promosso all'episcopato, debba conoscere a memoria il Salterio, sicché possa ammonire tutto il clero, che da lui dipende, a istruirsi allo stesso modo. Il metropolita indaghi diligentemente l'ordinando se egli legge volentieri, e non di corsa, ma con attenzione sia i sacri canoni e il santo Vangelo, sia il libro del divino apostolo, e tutta la sacra Scrittura; se si comporta secondo i divini precetti, e istruisce cosi il suo popolo. Le parole divine, ossia la vera conoscenza delle sacre Scritture, sono sostanza, infatti, del nostro sacerdozio, come afferma il grande Dionigi (17). Che se egli non fosse d'accordo, e non fosse disposto a comportarsi e ad insegnare cosi, non sia ordinato. Dice, infatti, Dio per mezzo dei profeti: Tu hai respinto la scienza, io respingerò te, perché tu non sia mio sacerdote (18).
III. I principi non devono eleggere un vescovo
Ogni elezione di un vescovo, di un sacerdote, di un diacono, fatta dai principi secolari è invalida, secondo il canone: "Se un vescovo con l'appoggio dell'autorità secolare ha ottenuto una chiesa sia deposto e siano segregati tutti quelli che comunicano con lui" (19). Bisogna, infatti, che chi dev'essere promosso all'episcopato, sia eletto da vescovi, com'è stato stabilito dai santi padri di Nicea, nel canone: "E’ sommamente conveniente che il vescovo sia eletto da tutti i vescovi della provincia; se ciò fosse difficile per una urgente necessità o per le distanze, almeno tre, raccoltisi nello stesso luogo, non senza che i vescovi assenti abbiano dato il loro parere per iscritto, facciano l'ordinazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata, in ciascuna provincia, al metropolita" (20).
IV.
I vescovi si devono astenere da ogni baratto.
Il banditore della verità, il divino apostolo Paolo, stabilendo quasi una norma per i presbiteri di Efeso, o meglio, per tutto il clero, dice con estrema libertà: io non ho desiderato né l'argento, né l'oro, né la veste di nessuno. Vi ho mostrato in ogni maniera che cosi, lavorando, bisogna aiutare i deboli, stimando più felice il dare (21).
Anche noi, quindi, istruiti da lui, stabiliamo che in nessun modo per turpe lucro un vescovo adducendo scuse ai suoi peccati (22) possa chiedere oro, argento, o altra cosa, ai vescovi, ai chierici, o ai monaci che sono sotto di lui. Dice, infatti, l'apostolo: Gli ingiusti non avranno in sorte il regno di Dio (23) e: I figli non devono accumulare per i genitori, sono piuttosto questi che devono metter da parte per i figli (24).
Se, perciò, qualcuno, volendo denaro o qualsiasi altra cosa, o per innata passione allontanasse o escludesse qualcuno dei suoi chierici dal suo ministero, o chiudesse il tempio venerando, cosi che non potesse più tenersi in esso il divino servizio, spingendo la sua pazzia a cose insensate, poiché si mostra davvero insensato, sarà soggetto a pena analoga, che ricadrà sul sito stesso capo (25) poiché si rende trasgressore di un precetto di Dio e delle prescrizioni apostoliche. Comanda, infatti, anche Pietro, il principale tra gli apostoli: Pascete il gregge di Dio, che è in mezzo a voi, non forzatamente, ma volentieri, conforme alla volontà di Dio, non per volgare desiderio di guadagno, ma con zelo, non come chi vuole signoreggiare il clero, ma trasformandosi in modelli del gregge,e quando apparirà il Pastore dei pastori, riceverete la corona di gloria che non marcisce (26).
V. Chi schernisce i chierici ordinati senza donativi sia punito.
Il peccato conduce alla morte (27) quando qualcuno, dopo aver peccato, non si corregge. Peggio ancora, se qualcuno si erge arrogantemente contro la pietà e la verità, amando mammona più dell'obbedienza a Dio, e non tenendo in nessun conto i suoi precetti canonici. In loro non abita il Signore Dio (28), a meno che, umiliati per il proprio errore, non si correggano: bisogna, infatti che essi si avvicinino maggiormente a Dio, e con cuore contrito gli chiedano la remissione di questo peccato e la sua indulgenza, piuttosto che vantarsi di donativi illeciti: poiché Dio è vicino a quelli che sono contriti di cuore (29).
Quelli dunque che si gloriano di essere stati ordinati per una chiesa per mezzo del denaro e pongono le loro speranze in questa loro prava consuetudine, che aliena da Dio e da ogni sacerdozio, e che, per di più, impudentemente e sfacciatamente hanno espressioni offensive contro chi per la propria vita virtuosa è stato scelto e costituito (nel sacerdozio) dallo Spirito santo senza denaro; quelli, dunque, che fanno ciò, prima siano posti all'ultimo gradino del loro ordine; se poi insistessero, siano assoggettati alle pene ecclesiastiche.
Se poi nell'ordinazione si venisse a sapere che qualcuno in passato avesse fatto ciò, si agisca secondo il canone apostolico, che dice: "Se un vescovo, un presbitero o un diacono, hanno ottenuto la loro dignità col denaro, siano deposti, loro e chi li ha ordinati, e siano in ogni modo privati della comunione, come Simon mago da me Pietro" (30). Ciò anche conformemente al secondo canone dei nostri santi padri di Calcedonia, che dice: "Se un vescovo facesse una sacra ordinazione per denaro, e riducesse ad una vendita quella grazia che per sua natura non si può vendere, e consacrasse per denaro un vescovo, un corepiscopo, un presbitero, un diacono, o un qualsiasi altro membro del clero; o, sempre per denaro, nominasse un amministratore, o un pubblico difensore, o una guardia, o, insomma, uno qualsiasi del clero, per vile guadagno; chi, dunque, avrà realmente fatto ciò, metterà in serio pericolo il suo posto. Colui poi che è stato consacrato, non dovrà ricavare nessun utile da una consacrazione fatta per commercio e dalla sua promozione; sia considerato, invece, estraneo alla sua dignità e all'ufficio, che ha ottenuto col denaro. Se poi si venga a sapere che qualcuno ha fatto da mediatore in cosi vergognosi e illeciti guadagni, anche costui, se fosse un chierico decada dalla propria dignità, se fosse un laico o monaco, sia scomunicato" (31).
VI. Che ogni anno si celebri il sinodo locale.
Vi è un canone che dice: "Due volte all'anno bisogna riunire i vescovi di ogni provincia per discutere i problemi" (32). Però per il disagio, o perché i vescovi che devono riunirsi sono sempre in difficoltà quando devono mettersi in cammino, i santi padri del sesto sinodo hanno stabilito che "assolutamente e senza scuse si tenessero almeno una volta all'anno, per riformare ciò che ne ha bisogno" (33). Questo canone lo riconfermiamo anche noi; se poi vi sarà qualche autorità (civile) che intenda impedire ciò, sia privata della comunione; e se un metropolita, senza necessità, né impedimenti, né plausibili motivi, trascurasse di mettere in pratica questa prescrizione, sia assoggettato alle pene canoniche.
Quando poi il Sinodo tratta le questioni riguardanti i sacri canoni e gli Evangeli, i vescovi riuniti devono avere la massima cura di osservare i divini e vivificanti comandamenti di Dio: Nell'osservarli, infatti, è posta una grande ricompensa (34); perché il comandamento è una lucerna, e la legge una luce, e la correzione e la disciplina è la via della vita (35): il comandamento di Dio è luminoso e illumina gli occhi (36). Il metropolita non ha il diritto di esigere qualche cosa di quelle che un vescovo avesse portato con sé, sia essa un giumento o altro. Se sarà provato che l'ha fatto, restituirà quattro volte tanto.
VII. Bisogna completare le nuove chiese, consacrate senza le reliquie dei santi.
Dice il divino apostolo Paolo: I peccati di alcuni uomini si manifestano prima, quelli di altri dopo (37). Quindi ai peccati precedenti, seguiranno altri peccati. Per questo, all'empia eresia dei calunniatori dei cristiani, sono seguite altre empietà. Come infatti hanno tolto dalla chiesa la vista delle venerande immagini, cosi hanno abbandonato anche altre consuetudini, che bisogna ripristinare secondo la legislazione sia scritta, che solo tramandata.
Comandiamo che nelle chiese che sono state consacrate senza le reliquie dei santi martiri, venga fatta la deposizione delle reliquie, naturalmente con la consueta preghiera. Da oggi in poi un vescovo che consacrasse una chiesa senza reliquie, sia deposto per aver trasgredito le tradizioni ecclesiastiche.
VIII. Non bisogna accogliere gli Ebrei che non si convertono sinceramente.
Poiché quelli che appartengono alla religione ebraica, errando, credono di potersi far beffe di Cristo Dio, fingendo di vivere da cristiani, e invece lo negano, celebrando di nascosto i loro sabati e seguendo altre pratiche giudaiche, disponiamo che costoro non debbano essere ammessi né alla comunione, né alla preghiera, né in chiesa. Siano apertamente Ebrei, secondo la loro religione! Stabiliamo anche che non si devono battezzare i loro figli, e che essi non possono acquistare né possedere servi. Se qualcuno di loro però, si convertirà con fede e con cuore sincero, e crederà con tutto il suo cuore, abbandonando i loro costumi e le loro azioni affinché anche altri possano essere ripresi e corretti, egli e i suoi figli potranno essere accolti, battezzati e aiutati perché si astengano dalle superstizioni ebraiche; altrimenti non siano ammessi.
IX. Non si nasconda alcun libro dell'eresia che calunnia i cristiani.
Tutti i giuochi da bambini, sciocchi baccanali e falsi scritti, composti contro le sacre immagini, devono essere consegnati all'episcopio di Costantinopoli, perché siano sequestrati con gli altri libri eretici. Se si scoprirà che qualcuno li avrà nascosti, sia deposto, se vescovo, sacerdote o diacono; se laico o monaco, sia anatematizzato.
X. Un chierico non deve lasciare la propria Parrocchia per un'altra, all'insaputa del vescovo.
Poiché alcuni chierici, eludendo le disposizioni canoniche, lasciano la loro parrocchia e corrono ad altre, specie in questa imperiale città cara a Dio e stanno presso i potenti, officiando le loro cappelle, essi senza il permesso del loro vescovo e di quello di Costantinopoli non devono essere accolti in nessuna casa o chiesa. Se qualcuno farà ciò, qualora perseverasse, sia deposto.
Quelli che col consenso dei suddetti vescovi fanno ciò non possono però occuparsi di affari mondani o secolari, lo proibiscono i sacri canoni. E se qualcuno avesse accettato le funzioni di maggiordomo la smetta o sarà deposto. Molto meglio sarebbe che costui istruisse i fanciulli e i domestici, leggendo loro le sacre Scritture: per questo, infatti, è stato fatto sacerdote.
XI. Negli episcopi e nei monasteri debbono esservi degli amministratori.
Obbligati ad osservare tutti i sacri canoni, dobbiamo conservare immutato anche quello per cui vi deve essere in ogni chiesa un amministratore. Se, quindi, ogni metropolita costituisce questo economo nella sua chiesa, bene, altrimenti il vescovo di Costantinopoli ha il potere di imporre d'autorità a tale chiesa l'economo. Lo stesso possono fare i metropoliti nei riguardi dei vescovi loro sottoposti. La stessa norma deve essere osservata anche nei monasteri.
XII. Il vescovo e l'abate non devono alienare i fondi della chiesa.
Se un vescovo o un abate dà una parte dei beni del vescovado o del monastero alle autorità o a qualche altra persona, la donazione è nulla, secondo il canone dei santi apostoli, che dice: "Il vescovo abbia cura di tutti i beni ecclesiastici, e li amministri come se Dio lo vedesse. Non gli è permesso appropriarsene o donare ai propri parenti le cose di Dio. Se essi sono poveri, provveda ad essi come poveri; ma non avvenga che, con la scusa di essi, venda i beni della chiesa" (38).
Se poi adducesse la scusa che la proprietà non dà alcun frutto, neppure in questo caso può darla ai signori temporali, ma solo a dei chierici o a dei contadini. Se poi il signore, con riprovevole astuzia comprasse la proprietà dal contadino o dal chierico, neppure cosi l'acquisto sarà valido e dovrà essere restituito al vescovado o al monastero. Il vescovo o l'abate che hanno operato in questo modo siano cacciati, hanno dissipato, infatti, quanto non avevano raccolto.
XIII. Sono degni di condanna quelli che riducono i monasteri a comuni abitazioni.
Durante la calamità che ha colpito le nostre chiese a causa dei nostri peccati, alcuni episcopi e monasteri sono stati ridotti a comuni abitazioni di proprietà privata. Se i possessori credono di restituirle, perché siano riportate alla loro destinazione originaria, ottimamente!; in caso contrario, essi appartengono al clero, siano deposti; se sono monaci o laici, siano scomunicati: sono, infatti, già condannati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito santo; e siano destinati là dove il verme non muore, e il fuoco non si spegne (39), perché si oppongono alla voce del Signore: Non trasformate la casa del Padre mio in un mercato (40).
XIV. Senza imposizione delle mani non si può leggere dall'ambone nelle liturgie.
L'ordine deve regnare nelle cose sacre e pertanto si osservino con diligenza i vari livelli del sacerdozio.
Dato che alcuni, che fin da bambini hanno ricevuto la tonsura clericale, senza altra ordinazione da parte del vescovo, leggono dall'ambone nelle adunanze liturgiche, contro i sacri canoni, ordiniamo che da questo momento ciò non sia più consentito, neppure ai monaci.
Tuttavia ciascun superiore di un monastero potrà creare un lettore nell'ambito del proprio monastero, se però egli stesso ha ricevuto l'imposizione dal vescovo ed è sicuramente prete. Ugualmente bisogna che i corepiscopi, secondo l'antica consuetudine, promuovano i lettori solo per comando del vescovo.
XV. Un chierico non dev'essere addetto a due chiese.
D'ora in poi, un chierico non potrà essere addetto a due chiese: ciò, infatti, è proprio di chi desidera far commercio e turpe guadagno, ed è alieno dalle consuetudini ecclesiastiche. Abbiamo ascoltato, infatti, dalla stessa voce del Signore che uno non può servire due padroni,- o odierà uno e amerà l'altro, ovvero sarà favorevole all'uno, disprezzando l'altro (41). Quindi ognuno, conforme alla voce dell'apostolo: in ciò a cui fu chiamato, in questo rimanga (42), deve servire in una sola chiesa: quanto, infatti, nelle cose ecclesiastiche viene fatto per turpe guadagno è alieno da Dio. Per le necessità della vita, vi sono molte occupazioni: da queste, se uno vuole, si procuri ciò che è necessario alla vita. Dice, infatti, l'apostolo: Alle mie necessità e a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mani (43).
Queste disposizioni valgono per questa città, che Dio ha in custodia. Per gli altri luoghi, considerata la penuria di soggetti, si sia più indulgenti.
XVI. Un sacerdote non deve indossare vesti preziose.
I raffinati ornamenti del corpo sono estranei allo stato sacerdotale, perciò i vescovi e i chierici che si ornano con vesti lussuose e appariscenti, devono smetterla, altrimenti siano puniti. Ugualmente si dica di quelli che usano profumi.
Poiché la radice velenosa (44), lussureggiando ha contaminato la chiesa cattolica - intendiamo l'eresia di quelli che diffamano i cristiani - e quelli che l'hanno fatta propria non solo hanno in abominazione immagini dipinte, ma hanno rinunziato ad ogni segno di riverenza e detestano quelli che vogliono vivere religiosamente e piamente (e si avvera in essi ciò che è scritto: La Pietà à abominazione per il peccatore) (45); dunque, quelli che deridono chi indossa vesti semplici e sacre, siano puniti. Fin dai tempi antichi, i preti usarono vesti modeste e umili, perché tutto ciò che si usa non per necessità, ma per eleganza, non sfugge all'accusa di "frivolezza", come afferma Basilio Magno (46). Allora non si usava neppure una veste di seta variopinta, né si ornavano i bordi dei vestiti con aggiunte di vario colore, attenti a ciò che Dio stesso aveva detto: quelli che sono vestiti mollemente, stanno nei Palazzi dei re (47).
XVII. Non deve costruire un oratorio chi non avesse i mezzi per condurlo a termine.
Alcuni monaci, smaniosi di comandare e senza alcuna voglia di obbedire, lasciano i loro monasteri e cominciano a costruire degli oratori, senza avere i mezzi per condurli a termine. Se qualcuno, quindi, tentasse di fare ciò, gli sia impedito dal vescovo del luogo; se però ha il necessario per terminare la costruzione, gli si lasci fare quanto ha in animo. La stessa norma vale per i laici e i chierici.
XVIII. Le donne non dimorino negli episcopi o nei monasteri maschili.
Siate irreprensibili, anche con gli estranei, dice il divino apostolo (48). Che le donne dimorino negli episcopi o nei monasteri è causa di scandalo. Se perciò un vescovo o un abate hanno acquistato una serva o una libera per un qualsiasi servizio nell'episcopio o nel monastero, questi sia ripreso. Se persevera, sia deposto. Se poi le donne fossero nelle proprietà di campagna e il vescovo o l'abate volessero recarsi là, in quella circostanza non sia assolutamente permesso ad una donna di compiere il suo servizio presente il vescovo o l'abate, ma se ne stia in luogo appartato, finché se ne siano andati, perché non vi sia nulla da dire.
XIX. Che le professioni dei sacerdoti, monaci e monache debbano farsi senza doni.
Taluni rettori di chiese, anche alcuni che sono ritenuti pii, uomini e donne, dimenticando i comandamenti di Dio sono accecati dall'avidità al punto da ammettere sia al sacerdozio che allo stato di monaco per denaro. E quelli che hanno male incominciato, proseguono peggio, secondo l'espressione di Basilio Magno (49). Non si può servire Dio, infatti, per mezzo di mammona (50). Perciò se un vescovo o un abate o qualsiasi altro del ceto sacerdotale agsce cosi o cessi o sia deposto, in conformità del canone secondo del sacro concilio di Calcedonia. In caso poi che si tratti di una badessa sia cacciata dal monastero e sia relegata in un altro monastero, sottoposta ad altri. Cosi vengano trattati anche gli abati, che non sono sacerdoti.
Per ciò che i genitori danno come dote ai figli che entrano in monastero o per quanto essi portano, dichiarando di consacrarlo a Dio, stabiliamo che tali beni restino nel monastero, secondo la promessa fatta, sia che essi rimangano sia che se ne vadano, a meno che non vi sia colpa del superiore del monastero.
XX. Non devono più costituirsi monasteri doppi.
Stabiliamo che d'ora in poi non possano più fondarsi monasteri misti; ciò, infatti, si risolve per molti in scandalo e disorientamento. Se vi sono dei congiunti che intendono rinunziare insieme al mondo per la vita monastica, gli uomini devono andare in un monastero maschile, le donne in uno femminile, perché cosi piace a Dio.
I monasteri per uomini e donne esistenti, si attengano fedelmente alla regola del nostro santo padre Basilio (51), e si conformino alle sue disposizioni. Non vivano in uno stesso monastero monaci e monache, perché l'adulterio suole accompagnare la coabitazione. Il monaco e la monaca non abbiano possibilità parlarsi a tu per tu. Un monaco non dorma presso il monastero delle monache, e non si trattenga a mangiare da solo con una monaca. E quando da parte maschile devono esser fatti pervenire alle monache i generi necessari alla vita, questi siano presi in consegna dalla badessa del monastero delle donne fuori della porta, alla presenza di una monaca anziana. Anche nel caso che un monaco volesse vedere una sua parente, parli con lei alla presenza della badessa, con poche e brevi parole, e subito si ritiri.
XXI. I monaci non devono lasciare i propri monasteri per recarsi in altri.
Un monaco o una monaca non devono lasciare il proprio monastero per recarsi in un altro. Se ciò avvenisse si deve ospitarli, ma non accoglierli stabilmente, senza il consenso del loro superiore.
XXII. I monaci, se mangiano con donne, lo facciano con riconoscenza (a Dio), con moderatione e con cautela.
E’ gran cosa offrire tutto a Dio e non servire ai propri desideri. Sia, infatti, che mangiate, sia che beviate, dice il divino apostolo, fate ogni cosa a gloria di Dio (52). Cristo, nostro Dio, ci ha comandato nei suoi Evangeli di recidere gli inizi dei peccati: non solo ha proibito l'adulterio, ma ha condannato anche il moto del pensiero che tende all'adulterio. Dice, infatti, il Signore: Chi guarda una donna desiderandola, nel suo cuore ha già commesso adulterio con essa (53).
Ammaestrati da ciò, dobbiamo purificare i nostri pensieri: poiché se tutto è lecito, non tutto però è conveniente (54), come insegna la voce dell'Apostolo. E’ necessario, che ognuno mangi per vivere. Quelli che vivono nel matrimonio, hanno figli, e sono laici vivono insieme tra uomini e donne senza dare adito a critiche. Basta che ringrazino chi dà loro il cibo e non con spettacoli teatrali, con canti satanici, con chitarre e movimenti flessuosi delle membra degni di meretrici; questi saranno colpiti dalla maledizione del profeta: Guai a quelli che bevono il vino con suoni e canti, e non badano alle opere del Signore, né comprendono le opere delle sue mani (55). Se tra i cristiani vi è chi si comporta cosi, si corregga, altrimenti siano applicate loro le norme tradizionali.
Quelli, invece, che conducono una vita modesta e solitaria, perché hanno promesso al Signore di prendere su di sé un giogo singolare, questi se ne stiano fermi e in silenzio (56). Ma neppure a coloro che hanno scelto la vita ecclesiastica, è assolutamente lecito mangiare da soli con le donne; a meno che non sia presente qualcuno, pio e timorato di Dio, o qualche donna, di modo che lo stesso mangiare giovi al progresso spirituale. Identica norma si osservi con i parenti. Se però capita che in viaggio un monaco o un chierico non abbiano portato il necessario e, quindi deve alloggiare in un albergo o in casa di qualcuno, costui è libero di farlo, perché spinto dalla necessità.
Note
(1) Ef 5, 27
(2) Mt 28, 20
(3) Gv 17, 20
(4) Ger 12, 10
(5) Ez 22, 26
(6) II Ts 2, 15
(7) Sof 3, 14-15
(8) Sal 118, 14
(9) Sal 118, 138 e 144
(10) Sal 118, 88
(11) Dt 12, 32
(12) I Pt 1, 12
(13) Gal 1, 9
(14) Sal 118, 162
(15) II Cor 12, 2-3
(16) Sal 118, 16
(17) DIONIGI AEROPAGITA, hierarchia coelestis, 1, 4 (PG 3, 389)
(18) Os 4, 6
(19) Canoni degli apostoli, 30
(20) Concilio di Nicea, c. 4
(21) At 20, 33 e 35
(22) Sal 140, 4
(23) I Cor 6, 9
(24) II Cor 12,14
(25) Sal 7, 17
(26) I Pt 5, 2-4
(27) I Gv 5, 16-17
(28) Nm 16,3
(29) Sal 33,19
(30) Canoni degli apostoli, 29
(31) Concilio di Calcedonia c. 2
(32) Concilio di Nicea, c. 5; Concilio di Calcedonia, c. 19
(33) In realtà si tratta del C. 8 del concilio quininsesto o Trullano (692)
(34) Sal 18, 12
(35) Pr 6, 23
(36) Sal 18, 9
(37) I Tm 5, 24
(38) Canoni degli apostoli, 38
(39) Mc 9, 47
(40) Gv 2, 16
(41) Mt 6, 24
(42) I Cor 7, 20
(43) At 20, 34
(44) Dt 29, 17; Eb 12, 15
(45) Sir 1, 32
(46) reg. fus.22 (PG 31, 977)
(47) Mt 11, 8.
(48) I cor 10, 32; col 4,5; I Ts 4, 12.
(49) De ieiunio hominis, II (PG 31,192)
(50) Mt 6, 24
(51) Reg. fus., 33 (PG31,997)
(52) I Cor 10, 31
(53) Mt 5, 28
(54) I cor 6, 12; 10, 23
(55) Is 5, 11-12
(56) Lam 3, 27-28

























QUARTO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
Dal 5 ottobre 869 al 28 febbraio 870
Sessione X, 28 febbr. 870: Canoni
(Originali greci smarriti. Versione del bibliotecario Anastasio)
INDICE TEMATICO
-
LA TRADIZIONE COME CRITERIO DELLA FEDE
-LA VENERAZIONE DELLE IMMAGINI SACRE
-UNICITA' DELL'ANIMA UMANA
-LA LIBERTA' NEL GOVERNO DELLA CHIESA
-IL PRIMATO ROMANO FRA LE SEDI PATRIARCALI

































LA TRADIZIONE COME CRITERIO DELLA FEDE
Can. 1. Per camminare senza intoppi sulla via dritta e regale della divina giustizia, noi dobbiamo custodire le prescrizioni e il pensiero dei nostri santi padri come lampade splendenti che illuminano i nostri passi conformi a Dio.
Perciò noi, stimandoli, secondo del grande e sapiente Dionigi, come una seconda parola di Dio, canteremo senza indugio con il divino Davide: "i comandi del Signore sono limpidi. danno luce agli occhi" (Sal 19,9; vengono citati anche: Sal 119,105; Pro 6,23; Is 26,9: Sept.) …Con verità infatti le esortazioni e i divieti dei sacri canoni sono paragonati alla luce, perché grazie ad essi si discerne il meglio dal peggio, e si distingue ciò che è vantaggioso e proficuo da ciò che non è utile, ma addirittura dannoso.
Perciò promettiamo di osservare e custodire i canoni che sono stati trasmessi alla chiesa santa cattolica e apostolica sia dai santi e gloriosi apostoli, sia dai concili universali e locali dei vescovi ortodossi, sia da ogni padre, portatore della parola di Dio e dottore della chiesa.
Secondo questi canoni noi regoliamo i nostri comportamenti e la nostra vita e stabiliamo che tutti i membri del clero, come anche tutti coloro che portano il nome di cristiani, siano soggetti, secondo la legge ecclesiastica, alle pene e alle condanne, come pure alle condizioni di giustificazione e assoluzione stabilite dai canoni.
E infatti il grande apostolo Paolo ci amnonisce chiaramente a conservare le tradizioni, che abbiamo appreso così dalla parola come dalla lettera (cf 2Ts 2,15) dei santi che brillarono nel passato.
LA VENERAZIONE DELLE IMMAGINI SACRE
Noi stabiliamo che la sacra immagine di nostro signor Gesù Cristo, liberatore e salvatore di tutti gli uomini debba essere venerata con altrettanto onore che il libro dei santi evangeli.
Perché nello stesso modo in cui, grazie alle parole contenute nel libro tutti otterranno la salvezza, cosi’, grazie all’influsso che esercitano queste immagini con i loro colori, tutti, sapienti e ignoranti, riceveranno senza indugio un utile profitto. Ciò che ci viene comunicato con le parole, l’immagine ce lo annuncia e ce lo consegna mediante i colori.
E’ dunque conveniente, in conformità alla ragione e alla tradizione più antica che, poiché l’onore è riferito al soggetto principale, le immagini siano onorate e venerate con un culto secondario come il libro sacro dei santi vangeli e come l’immagine della preziosa croce.
Se dunque qualcuno non venera l’immagine di Cristo salvatore, non Solo non vedrà il suo volto quando verrà nella gloria del Padre per essere glorificato e glorificare i suoi santi (cf. 2Ts 1.10}, ma sia escluso dalla Sua comunione e dalla sua luce.
Noi diciamo la stessa cosa per coloro che non venerano l’immagine di Maria, sua madre immacolata e madre di Dio. Noi dipingiamo anche le immagini dei santi angeli, come sono descritti nelle parole della divina Scrittura. Onoriamo e veneriamo inoltre le immagini degli apostoli così degni di lode, dei profeti, dei martiri, dei santi personaggi illustri come quelle di tutti i santi.
E coloro che non assumono questo atteggiamento, siano maledetti dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
UNICITA' DELL'ANIMA UMANA
Can. 11. Mentre l’Antico e il Nuovo Testamento insegnano che l’uomo ha una sola anima razionale e intellettuale e tutti i padri e dottori della chiesa divinamente ispirati sostengono la stessa dottrina, alcune persone, dedite all’invenzione del male, arrivarono a un tal grado di empietà da affermare spudoratamente come dogma l’esistenza di due anime nell’uomo, cercando di provare la propria eresia ...
Perciò questo santo concilio ecumenico ... colpisce a gran voce con l’anatema gli autori e i fautori di una tale empietà e i loro seguaci.
Inoltre stabilisce e promulga che nessuno deve più avere o conservare in alcun modo le affermazioni scritte degli autori di questa empia dottrina.
Se qualcuno oserà agire in opposizione a questo grande e santo Concilio sia condannato e escluso dalla fede e dal culto cristiano.
LA LIBERTA' NEL GOVERNO DELLA CHIESA
Can.12. [Testo greco assente} I canoni apostolici e sinodali vietano nella maniera più assoluta le nomine e le consacrazioni di vescovi fatte sotto la pressione o per ordine delle autorità secolari; in accordo con tali canoni anche noi stabiliamo e decidiamo che, se un vescovo ha ricevuto la consacrazione a tale dignità per astuzia o imposizione dei potenti, deve essere assolutamente posto in quanto, non dalla volontà di Dio e secondo la disciplina e la legge della chiesa, ha voluto o ha accettato di possedere la casa [COD: il Dono) di Dio, ma piuttosto dalla volontà della carne, dagli uomini e per la mediazion degli uomini.
Can. 17 [lat.] D’altra parte non abbiamo nemmeno voluto ascoltare l’abominevole affermazione fatta da gente ignorante secondo la quale il Sinodo non può essere celebrato senza la presenza dell’autorità secolare; mai fino ad oggi i sacri canoni hanno prescritto la convocazione dei principi secolari ai sinodi, bensì soltanto quella dei vescovi. Così noi costatiamo che essi non furono mai presenti ai sinodi, salvo che non si trattasse di concili ecumenici: infatti non è conveniente che le autorità secolari siano testimoni di ciò che talvolta può accadere ai sacerdoti di Dio.
IL PRIMATO ROMANO FRA LE SEDI PATRIARCALI
Can. 21. [Testo greco assente} La parola di Dio che Cristo ha rivolto ai santi apostoli e ai suoi discepoli: "Chi accoglie voi accoglie me" [Mt 10,40], e "chi disprezza voi disprezza me" [Le 10,16], noi crediamo sia stata rivolta anche a tutti coloro che, dopo di loro e a loro somiglianzà, sono divenuti sommi pontefici e principi dei pastori nella chiesa cattolica. Pertanto ordiniamo che nessuno dei potenti di questo mondo oltraggi o tenti di rimuovere dalla propria sede coloro che occupano la carica di patriarca, ma al contrario accordino loro onore e rispetto: in primo luogo al santissimo papa dell’antica Roma, poi al patriarca di Costantinopoli, e infine a quelli di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. E nessuno altro rediga scritti o discorsi contro il santissimo papa dell’antica Roma, sotto il pretesto di crimini da lui commessi, come ha fatto recentemente Fozio e molto prima di lui Dioscoro.
Chiunque si comporterà con tanta insolenza e audacia da recare ingiuria per scritto o a voce, seguendo l’esempio di Fozio e Dioscoro, contro la sede di Pietro, il principe degli apostoli, riceverà una condanna uguale e identica alla loro.
Se poi qualche autorità civile o qualche potente tentasse di cacciare il papa dalla sede apostolica o qualcuno degli altri patriarchi, sia colpito da anatema.
Inoltre se sarà convocato un concilio ecumenico e vi sarà qualche sospetto o controversia nei riguardi della santa chiesa di Roma, converrà, con il dovuto rispetto e deferenza, informarsi sul punto controverso e accogliere una soluzione che giovi a sé o agli altri, ma mai avere l’audacia di pronunciare una sentenza contro i sommi pontefici dell’antica Roma.
[Redazione greca abbreviata]
1. Volendo percorrere irreprensibilmente la via diritta e regale della divina giustizia, dobbiamo mantenere quali fiaccole sempre splendenti le definizioni dei santi padri; perciò professiamo di custodire e di seguire gli statuti trasmessi nella chiesa cattolica e apostolica sia dai santi e da tutti lodati apostoli, sia dai sinodi ecumenici e locali, oppure anche da un qualche padre maestro della chiesa che ha parlato da Dio; infatti Paolo, il grande apostolo, raccomanda espressamente di mantenere le tradizioni che abbiamo ricevuto sia con la parola che con le lettere [cf. 2Ts 2,15} dai santi, che hanno rifulso in precedenza.
3. Stabiliamo che la sacra immagine del Signore nostro Gesù Cristo venga venerata con onore eguale (a quella) del libro dei santi vangeli. Come infatti attraverso le parole contenute in esso tutti conseguiamo la salvezza, così attraverso l’opera iconica dei colori sia tutti i sapienti che i semplici traggono frutto dell’utilità di quanto è alla portata di mano; quanto infatti il discorrere (fa) in parole, ciò (l’)annuncia e (lo) presenta anche la scrittura in colori.
Se qualcuno perciò non venera l’immagine del Salvatore Cristo, non veda neppure la sua figura nel suo secondo avvento.
Similmente poi onoriamo e veneriamo anche l’immagine della sua immacolata Madre e le immagini dei santi angeli così come li rappresenta con le parole la Scrittura santa, e inoltre (l’immagine) di tutti i santi; e coloro che non pensano cosi, siano anatema.
10. Pur insegnando l’Antico e il Nuovo Testamento che l’uomo ha una sola anima ragionevole e intelligente e avendo confermato tutti i padri e i maestri che hanno parlato da Dio questo stesso giudizio, ci sono alcuni che reputano che egli abbia due anime, e con alcuni sforzi illogici rafforzano la propria eresia; perciò questo concilio ecumenico anatematizza ad alta voce gli autori di una tale empietà e coloro che sentono come loro; e se qualcuno in futuro tollererà di dire il contrario, sia anatema.
12. [gr.] È pervenuta ai nostri orecchi (l’affermazione) che un sinodo non può aver luogo senza la presenza dei governanti. In nessun passo però i canoni divini stabiliscono che i governanti secolari convengano nei sinodi, ma i soli vescovi; perciò non riscontriamo neppure che ci sia stata la loro presenza, eccetto nei concili ecumenici. In realtà non è per nulla giusto che i governanti secolari siano testimoni di fatti che son di competenza dei sacerdoti di Dio. 13. Se qualcuno usasse una tale temerarietà da sollevare secondo (il modo di) Fozio e Dioscoro per scritto o verbalmente reazioni eccessive contro la cattedra di Pietro, il principe degli apostoli, riceva la stessa condanna (espressa) a quelli; se poi, essendo stato convocato un concilio ecumenico, è risultato un qualche dubbio circa la chiesa dei romani, si può con prudenza e con la dovuta modestia porre domande intorno alla questione in ballo e accogliere la soluzione e o essere aiutati o aiutare, non tuttavia alzare audacemente accuse contro i sommi sacerdoti della Roma più antica.