I NELLA SOLENNE CORONAZIONE DEL SERENISSIMO DOGE DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA ORAZIONE DEL P. ALFONSO NICCOLAI DETTA NELLA METROPOLITANA IL 28 GIUGNO 1767
cultura barocca
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ELENCO DEGLI ESEMPLARI DI QUESTA OPERA DEL NICCOLAI E DEI LUOGHI DI CUSTODIA DEGLI STESSI SECONDO IL SERVIZIO BIBLIOTECARIO NAZIONALE = Nella solenne coronazione del serenissimo Marcello Durazzo doge della serenissima Repubblica di Genova. Orazione del p. Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesù detta nella Metropolitana il 28. Giugno 1767 Pubblicazione Genova : stamperia Gesiniana Descrizione fisica XL p. ; 2° Note generali · Segn.: a² b-e4 f² · Probabile data di pubblicazione tratta dal titolo · Sul front. stemma calc. dei Durazzo conservazione = Biblioteca Universitaria - Genova - GE Nella solenne coronazione del serenissimo Marcello Durazzo doge della serenissima repubblica di Genova Orazione del p. Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesu detta nella metropolitana il 28. Giugno 1767 Pubblicazione Genova : Stamperia Gesiniana Descrizione fisica XLIV p. ; fol. Note generali · La presunta data di pubblicazione si ricava dal tit. · Cors. ; rom. · Stemma del doge sul front. stampato in rosso e nero · Vignetta ed iniz. calcogr. a c. a1r · Pagina 40 numerata LX conservazione = - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI - [consistenza] 1 esemplare - Biblioteca Universitaria - Genova - GE - Biblioteca Statale - Lucca - LU - Biblioteca Casanatense - Roma - RM - [consistenza] 1 esemplare - [tipo di digitalizzazione] integrale - copia digitalizzata Nella solenne coronazione del serenissimo Marcello Durazzo doge della serenissima Repubblica di Genova orazione del p. Alfonso Niccolai della compagnia di Gesù, detta nella Metropolitana il 28 giugno 1767 Edizione = Seconda edizione Pubblicazione In Pisa ; si vendono in Genova : da Pietro-Paolo Pizzorno Descrizione fisica XX p. ; 2° Note generali · Pubbl. prob. nel 1767 conservazione = Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI - [consistenza] 1 esemplare - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI - [consistenza] un esemplare - Archivio storico civico e Biblioteca trivulziana - Milano - MI - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - PG - [consistenza] 1 esemplare - Biblioteca Palatina - Parma - PR - [consistenza] 1 esemplare CLICCA PER VOLTARE PAGINA =BIBLIOGRAFIA = VEDI Arcadia : Colonia ligustica Prima ragunanza degli Arcadi della Colonia Ligustica . In Genoua : per Gio. Battista Scionico, nella Piazza di Banchi, li 15. settembre 1705 26 E CONSULTA LA RECENTE OPERA DI Andrea Zanella, 3 Centenario dell'Arcadia : Convegno di studi, 15-18 maggio 1991 (con riferimenti alla Colonia Ligustica) Roma :, stampa 1995















NICCOLAI, Alfonso è trattato magistralmente nel qui proposto saggio di Sabina Pavone tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani (2013)
"NICCOLAI (o Nicolai), Alfonso. – Nacque il 31 dicembre 1706 a Lucca. Il fratello maggiore Giambattista fu anch’egli gesuita e teologo presso il collegio di Arezzo, dove insegnò teologia morale, e fu esaminatore per il clero per il granduca di Toscana. Entrò nella Compagnia di Gesù a soli 17 anni, il 14 febbraio 1723. La sua formazione avvenne a Roma presso il Collegio Romano, dove frequentò i corsi di filosofia (1726-28) e di teologia (1734-38). Tra i due corsi insegnò per cinque anni nei collegi di Sezze, Orvieto e Firenze. Completato il corso di teologia, che per i gesuiti rappresentava la condizione imprescindibile per divenire professi dei quattro voti, ricevette l’ordinazione sacerdotale (1738) e quindi, due anni dopo, il 15 agosto 1740, fece la sua professione solenne a Firenze nella chiesa di S. Giovanni apostolo ed evangelista (Archivum Romanum Societatis Iesu, Ital. 28, cc. 445, 446rv). Dopo l’ordinazione si stabilì a Firenze, dove insegnò retorica (1738-42), fu prefetto degli studi (1742-51) e iniziò a tenere lezioni di sacra scrittura nella chiesa del collegio. Nel periodo fiorentino ebbe modo di frequentare anche il celebre latinista gesuita Girolamo Lagomarsini.
Dal 1751 al 1754 tornò a Roma chiamato come prefetto di studi e direttore spirituale presso il Collegio Scozzese, per stabilirsi poi definitivamente a Firenze in seguito alla nomina a 'teologo di S.M. Cesarea' da parte dell’imperatore Francesco Stefano I, marito di Maria Teresa d’Austria e granduca di Toscana dal 1737 al 1765 (la data della nomina si ricava dall’intestazione del volume Panegiriche orazioni e prose toscane d'Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesù teologo di Sua Maestà Cesarea, Venezia 1754; nella prima edizione [Roma 1753] è infatti indicato unicamente come membro della Compagnia di Gesù; sono quindi da rigettare le indicazioni di Diosdato Caballero [1814, I, p. 207] che data la nomina al 1761 e di Charles Sommervogel [1894, t. V, col. 1703] che parla del 1756). Alla morte dell’imperatore, fu confermato nel titolo dal nuovo granduca Pietro Leopoldo. Le Memorie istoriche di San Biagio vescovo e martire, protettore della Repubblica di Ragusa (Roma 1752) – divise in due parti (I: Dissertazione critica in difesa degli Atti; II: Memorie storiche del Santo) – furono la sua prima opera in prosa. Composte durante il suo soggiorno romano e commissionategli dalla Repubblica di Ragusa di cui s. Biagio era il santo patrono, gli diedero una certa nomea nel mondo letterario (cfr. Lettera del Sig. Ab. Girolamo Tartarotti al molto Rev. P. Francescantonio Zaccaria della Compagnia di Gesù intorno agli Atti di S. Biagio ... illustrati dal P. Alfonso Niccolai, in Storia letteraria d’Italia, VIII, pp. 544 s., IX, pp. 529 s.). L’opera che però gli regalò fama di oratore facendolo lodare dal barnabita Salvatore Corticelli come un’«autorità di lingua» (Regole e osservazioni della lingua toscana, 1754, p. 254) furono le Panegiriche orazioni e prose toscane. Costruite secondo un modello ciceroniano, ebbero numerose edizioni. L’edizione completa – dedicata ad Angiolo Gabrielli – fu pubblicata a Firenze tra il 1772 e il 1773 in tre tomi (I: Prose oratorie; II: Prose scientifiche; III: Prose storiche). Il primo tomo, già apparso in Roma nel 1753, comprendeva una serie di orazioni di tema religioso tra le quali una per la beatificazione di s. Camillo de Lellis (pp. 1-24); una in lode di s. Maria Maddalena de’ Pazzi (pp. 85-108), una in lode di s. Ignazio di Loyola (pp. 134-153) nella quale elogiava soprattutto lo slancio missionario promosso dal fondatore della Compagnia. Il secondo tomo – il cui titolo non dà conto del reale contenuto del volume – raccoglieva invece opuscoli di argomento vario.
Nell’Orazione per la solenne Coronazione del Serenissimo Marcello Durazzo Doge della Repubblica di Genova (pp. 1-24, pronunziata nella chiesa del principe genovese il 28 giugno 1767 ed edita a Genova nello stesso anno) Niccolai elogiava gli ordinamenti istituzionali nei quali il patriziato cittadino ricopriva incarichi di governo: «piace l’ubbidire a chi s’ama; e il trovare ogni giorno un nuovo piacere nell’ubbidire. Sono queste le più solide basi d’un libero imperio» (p. 16). In ultima istanza però il potere discendeva da Dio ed egli – come molti gesuiti della sua generazione – si scagliava contro le nuove idee illuministe: «si ritorni agl’immutabili principi: non si dia luogo alle false idee d’una nuova scienza politica» (p. 21). Più avanti accusava quegli «spiriti forti sulla leggerezza dei loro ammiratori, fieri d’una superba e tenebrosa filosofia [che] soli pretendono all’onor di pensare. Hanno per loro idolo la ragione umana, che coronano di non suoi splendori, e tolgon di mezzo non pure rivelazione, misteri, culto, morale, ma se ragionar si vuole direttamente, e le leggi della società, e i civili uffici, e la natura medesima razionale dell’uomo. Difendete, Serenissimo, dallo stranier veleno le intatte viscere della patria. Sostenete siccome fate, colla gran qualità del vostro cuore l’antica e sola verace religione, nella quale novità ed errore sono una stessa voce» (p. 23). Nei Ragionamenti su Dio e sull’anima (pp. 38-191) si scagliava contro il materialismo in difesa dell’immortalità dell’anima: i deisti «confondono le idee di virtù e di vizio, e fan passare la legge moral di natura nella fisica de’sensi. [...] Virtù, nome vasto, che comprende l’estensione de’ legami di tutto l’uomo, del razional creato al suo autore, del sociale a’ suoi somiglianti, del solitario a sé. Questa, non altra, è la prima legge della natura umana. Questa, non altra la religion naturale» (Ragionamento VII. Legge di natura verso sé, p. 191). Gli altri opuscoli riprendevano ancora tematiche religiose: ne La Morte di S. Francesco Saverio (pp. 218-246) giustificava l’universalità del cristianesimo e la necessaria evangelizzazione di tutto il globo («La verità congiunta con l’idea del primo Essere è essenzialmente una, non può esser divisa né moltiplicata: è una stessa nell’Europa e nell’Asia. [...] Vestita di legittima autorità stende i suoi titoli sopra l’intero globo, ed esige gli omaggi di tutto ‘l genere umano. Tutti per lei siam fatti: e chi men la conosce, implora anche tacendo l’aiuto de’ più veggenti. La virtuosa sensibilità, l’amore che ci dobbiamo, là ci chiamano speditamente, dove sappiamo grandissime nazioni nella funesta caligine degli errori. Faremo il loro bene, faremo il nostro. Gli Indiani avran da noi la salute; noi da loro il vantaggio d’una raddoppiata eterna felicità» [pp. 228 s.]). Nell’elogio del martirio di s. Francesco Saverio coglieva ancora una volta l’eterna contrapposizione con la «terrena filosofia [che] è vanità ed errore, e che la santa morte è della vita il più degno atto e più illustre. Mortali, abbiate virtù, avrete onore, gloria, felicità» (p. 246). Nello stesso tomo vi erano anche due orazioni legate alla sua esperienza nell’Arcadia (era membro dell’Accademia con il nome di Saliceste Telpusiano): il Ragionamento alla romana Arcadia (pp. 284-293) – in difesa della lingua italiana, contro l’Accademia delle scienze e l’uso del francese nelle questioni scientifiche – e il Ragionamento ne’ giuochi olimpici del 1753 celebrati in Roma ad onore de’ morti arcadi illustri (pp. 294-303). Il terzo tomo riprendeva invece le Memorie storiche sulla s. Scrittura e le Memorie storiche di S. Biagio. Altrettanto importanti furono le Dissertazioni e Lezioni di Sacra Scrittura pubblicate per la prima volta a Firenze (1762) in tredici tomi, quindi a Venezia (1764-66; la seconda edizione veneziana del 1781-82 non è completa). L’edizione fiorentina comprendeva sette tomi sulla Genesi, uno sull’Esodo (entrambi dedicati a Francesco I), due su Daniele (dedicati al cardinal Giuseppe Maria Ferroni), uno su Esther (dedicato alla marchesa Angela Durazzo), uno su Judith e uno su Tobia (dedicato al marchese Pietro Gabrielli). Una sinossi dell’opera fu pubblicata a Genova in due tomi con il titolo Dichiarazione letterale del s. Testo ossia la Storia santa estratta dalla sua grand’opera biblica (1770). Della fama delle Lezioni è testimone il confratello Giambattista Roberti, il quale scriveva che «Chi ama citazioni sacre e profane provegga per sua istruzione quelle del dottissimo P. Alfonso Niccolai, ridondanti di notizia antiche e moderne, fisiche e teologiche oltramarine, e oltramontane, Orientali ed Occidentali, Settentrionali e Meridionali» (Ragionamento sopra la divozione al sacro cuor di Gesù..., 1787, p. 29). Giovanni Marchetti, arcivescovo di Ancyra, continuò l’opera aggiungendovi dodici volumi su Josué, Giudici, Samuele e Re (Roma 1803-07) . Negli ultimi anni della sua vita Niccolai si pronunciò contro la riforma della Chiesa invocata dal vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci. Si schierò per esempio su posizioni filoromane allorché in seguito a uno scandalo che aveva coinvolto alcune monache di Prato e Pistoia – accusate di comportamento licenziosi e di quietismo (1781) – il papa ne chiese la consegna all’inquisitore. Il gesto pontificio venne interpretato dal granduca come un espediente inteso a rimandare la riforma dei monasteri. Il papa dovette infine cedere e sottrarre la giurisdizione dei conventi delle monache ai domenicani per affidarla al granduca. In questo frangente Pietro Leopoldo confermò Niccolai come teologo di corte, ma lo invitò formalmente ad astenersi «assolutamente fino a nuovo ordine da qualunque relazione e corrispondenza non tanto col medesimo Nunzio, quanto ancora con qualunque Ministro della Nunziatura, sì in voce come in carta, direttamente o indirettamente, sotto pena di perdere immediatamente le pensioni delle quali gode come Teologo, e come ex-gesuita, e di dover subito uscire di Firenze» (S. Bertolini ad A. Niccolai, 3 agosto 1781, cit. in Zobi, 1850, II, t. 2, p. 120). Morì nel 1784 a Firenze nel convento dei cistercensi, dove si era trasferito dopo la soppressione della Compagnia di Gesù (1773).
BIBLIOGRAFIA=Opere: Oratio panegirico de Beato Alexandro Sauli (in italiano), in Raccolta di Orazioni in lode del Beato Alessandro Sauli, Lucca 1743, pp. 157-178 (anche nelle Prose toscane, 1772, I, pp. 25-50); Orazione in lode di S. Filippo Neri, in Prose toscane, I, 1772, pp. 109-133; Ragionamenti sopra la religione del P. Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesù Teologo di S.A.R. l’Arciduca gran Duca di Toscana, Venezia 1770-71; Orazione in lode di Sant’Ignazio di Loyola, in B. Gamba, Raccolta di prose e lettere scritte nel secolo XVIII, vol. I: Elogi, Milano 1829, pp. 268-289. Le sue Elegie Catulliane vennero pubblicate assieme alle Poesie del confratello gesuita Carlo Rota (C. Rota, Carmina et orationes, Padova 1741, pp. 77-85); altre poesie in Selecta PP. Societatis Jesu Carmina, Genova 1747; gli Epigrammata in Carmina Arcadum, II, Roma 1756, pp. 251-259; Carmina recentiorum poetarum VII e Societate Jesu ..., Cremona 1772. Fonti e bibl.: S. Corticelli, Regole e osservazioni della lingua toscana, Bologna 1754 [I ed. 1745], p. 254; F.A. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia, V, Venezia 1753, pp. 620-626; VIII, Modena 1753, pp. 357, 544; IX, ibid. 1756, p. 529; Annali letterari d’Italia, I,2, Modena 1756, p. 6; II, ibid. 1757, p. 350; G. Roberti, Ragionamento sopra la divozione al sacro cuor di Gesù con una Lettera intorno all’eloquenza del pulpito, Bassano 1787, p. 29; Nuovo Dizionario storico ovvero storia in compendio…composto da una società di letterati in Francia, XIII, Bassano 1796, pp. 116 s.; D. Caballero, Bibliothecæ scriptorum Societatis Iesu supplemento, Roma 1814, I, pp. 207 s.; II, p. 77; G.M. Cardella, Compendio della storia della bella letteratura greca, latina e italiana, III, Milano 1827, pp. 219-221; F. Inghirami, Storia della Toscana compilata ed in sette epoche distribuita, XIII, Fiesole 1844, p. 461; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXII al MDCCCXLVIII, II,1, Firenze 1850, p. 294; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, V, Bruxelles-Paris 1894, coll. 1702-05; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiæ catholicæ, V, Innsbruck 1911, p. 359; M. Zanfredini, N., A., in Diccionario Histórico de la Compañía de Jesús, III, Roma-Madrid 2001, p. 2817; L. Hervás y Panduro, Biblioteca Jesuítico-Española (1759.1799), ed. critica a cura di A. Astorgano Abajo, Madrid 2007, p. 311.






saggio di Maristella Cavanna Ciappina in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)
"DURAZZO, Marcello (Marcellino) [ iN tutto il testo D. è da leggersi come accorciamento per (MARCELLO) DURAZZO PALLAVICINI]esponente di rilievo della
Nobiltà Genovese nacque a Genova nel 1710 da Giovan Luca di Marcello e da Paola Franzone di Giacomo. Fu battezzato in S. Sisto il 13 novembre come Marcello Giuseppe, per distinguerlo dal fratello già morto Marcello Francesco. Fu poi sempre chiamato Marcellino - a volte anche in documenti ufficiali - per distinguerlo e dall'omonimo cugino, Marcello marchese di Gabiano (a sua volta soprannominato Marcellone), e da altri due coetanei, rispettivamente figli di Nicolò e di Giuseppe Maria. La famiglia Durazzo, nel corso dei precedenti due secoli, aveva dato, a regolari intervalli, sei dogi alla Repubblica di Genova (Giacomo nel 1573, Pietro nel 1619, Giovanni Battista nel 1639, Cesare nel 1665, Pietro nel 1685, Vincenzo nel 1709 e Stefano nel 1734); il D. tuttavia fu il primo del ramo discendente da Agostino di Giacomo, marchese di Gabiano, ad assurgere all'alta carica, benché fosse considerato proprio questo il ramo di maggiore incidenza nella vita economica e culturale della Repubblica. Nel nucleo familiare del D. del resto si distinsero per l'alto livello culturale oltre allo stesso D. il fratello Giacomo (ambasciatore genovese a Vienna dal 1749 al 1752, finissimo collezionista di stampe ed intendente generale dei teatri di Vienna tra il 1754 e il 1764) e la sorella Clelia, moglie del cugino Marcellone e animatrice di un'intensa attività teatrale nella sua villa di Cornigliano. Degli altri quattro fratelli del D., solo Francesca Maria non fu costretta a scegliere lo stato ecclesiastico e sposò Giacomo Balbi nel 1733; seguendo invece la politica cautelativa del patrimonio perseguita dai Durazzo, Gerolamo, nato nel 1719, fu gesuita, Annamaria e Ignazia monache, la prima nel monastero di S. Leonardo e la seconda priora dell'Incarnazione dal 1777 al 1811. Dopo aver ricevuto un'accurata educazione in uno dei collegi abitualmente frequentati dai giovani Durazzo (o quello dei nobili a Milano o il "Tolomei" di Siena o il "Clementino" di Roma), il D. rientrò a Genova e il 15 dic. 1732 fu ascritto al Libro d'oro della nobiltà. Quindi intraprese la carriera militare, e nel 1740 era ispettore del reggimento "Ristori" di terraferma, a capo di 519 soldati. Al settore della difesa restò legato ancora per molti anni come addetto al magistrato delle Fortificazioni e come incaricato dell'armamento contro i Barbareschi. Tali impieghi, al di là delle competenze tecnico-militari, stanno comunque ad indicare nel D. l'adesione alla politica della sua famiglia, volta a difendere la piena autonomia di Genova dalla Spagna e la sicurezza dei suoi commerci come compietamento alla vasta politica finanziaria dei prestiti internazionali. Il D. aveva concluso il 25 febbr. 1734 un vantaggiosissimo matrimonio con la cugina Maria Maddalena Durazzo, unica erede di Gerolamo fu Giovan Agostino, che possedeva uno dei più cospicui patrimoni di Genova. Con il matrimonio dunque il D. (che con i fratelli raggiungeva un patrimonio di 705.000 lire) divenne probabilmente il più ricco della famiglia Durazzo. Il fatto che tale ricchezza si basasse sul sistema dei grandi prestiti internazionali, e che questi fossero spesso diretti alla Corona e all'aristocrazia austriaca (e a nome del D., come capo del gruppo finanziario, sono documentati cospicui prestiti specie tra il 1771 e il 1780), ha certo contribuito a gettare l'ombra del sospetto sulla sua condotta in occasione della guerra del 1745-46. Dopo il trattato di Aranjuez, firmato il 1° maggio 1745 e i primi effimeri successi, la Repubblica, abbandonata dagli alleati francospagnoli, si trovò a dover sostenere da sola l'attacco da terra degli Austrosardi guidati dal generale M. U. v. Browne e i bombardamenti inglesi dal mare, mentre risultavano vani gli sforzi della diplomazia genovese volti a garantire a Maria Teresa la "devozione" della Repubblica. Il 6 sett. 1746 il generale Antoniotto Botta Adorno assumeva il comando supremo a sostituzione del Browne: nello stesso giorno il D. e Agostino Lomellini erano deputati dalla Repubblica a chiedergli la resa. Il Botta consegnò loro un foglio contenente dodici punti: con esso, imponeva la consegna delle porte della città entro la notte stessa, dichiarava l'esercito genovese prigioniero di guerra, chiedeva il pagamento immediato di 50.000 lire genovine, la consegna di sei senatori come ostaggi, l'invio del doge e di sei senatori a Vienna entro un mese per implorare la clemenza sovrana e l'impegno a soddisfare rigorosamente le contribuzioni di guerra che sarebbero state definite dal conte J. K. Chotek. Al D. e al collega, rientrati in città, non restava che riferire al doge Giovan Francesco Brignole Sale le clausole del Diktat. Di fronte alla impossibilità di difendere militarmente la città, i Collegi firmarono il foglio di resa prima di mezzanotte. Tale resa evitò alla città l'occupazione militare e il saccheggio e le garanti il mantenimento della sovranità: perciò anche se i nemici politici accusarono il D. di ignavia e di privati interessi, tale accusa appare sproporzionata ed ingiustificata rispetto alla oggettiva gravità della situazione. Dopo la sommossa popolare del dicembre e la successiva pace del 1747, il D. venne scelto come inviato al re di Francia, allora nelle Fiandre, per presentargli i ringraziamenti della Repubblica per gli aiuti economici forniti al momento dell'occupazione austriaca. Altro incarico diplomatico ebbe nel 1749, per recare i complimenti genovesi all'infante di Spagna, Filippo di Borbone, asceso al trono ducale di Parma.
Tra il 1750 e il 1760 ricopri una serie di cariche ora di ordine militare ora politico-censorio (fu preside dell'Archivio segreto e inquisitore di Stato); quindi, nel 1761, mentre era senatore, fece parte di una commissione inviata in Corsica con l'incarico di pacificare l'isola nuovamente insorta. Il capovolgimento delle alleanze nello scacchiere europeo e lo svolgersi della guerra dei sette anni (1756-63) faceva della rivolta di Pasquale Paoli un motivo di grande preoccupazione per la Repubblica: e forse fu proprio questa commissaria a Bastia a convincere il D.[in tutto il testo D. è da leggersi come accorciamento per (MARCELLO) DURAZZO PALLAVICINI], nel suo spregiudicato pragmatismo, della antieconomicità e della oggettiva impossibilità per Genova di mantenere l'isola sottomessa. Contro le molte proposte dei colleghi della classe di governo - alcuni dei quali, come Ambrogio Doria, anche intelligentemente impegnati a formulare piani di mantenimento dell'isola, a costo di riconoscerle diritto di territorio metropolitano - il DURAZZO PALLAVICINI si fece sostenitore del partito della cessione, in opposizione a quello dei mantenimento ad ogni costo, guidato da Domenico Invrea. E fu proprio il D., nella seduta dei Minor Consiglio del 10 marzo 1766, a formulare ufficialmente la proposta che la Corsica venisse ceduta alla Francia in deposito indefinito. Sarà questa la soluzione adottata dal governo genovese due anni dopo, appunto durante il dogato del D.: circostanza che sembra confermare che la sua elezione fosse stata favorita da quella esplicita presa di posizione, probabilmente condivisa in silenzio anche da tutta quella classe di governo che non aveva il coraggio dell'impopolarità. Del resto per Genova si era oggettivamente aggravata negli ultimi due anni la situazione militare, dopo che i ribelli corsi si erano impadroniti dell'isola di Capraia, ritenuta dalla Repubblica piazzaforte vitale alla propria sopravvivenza data la posizione strategica dominante le vie di comunicazione con la Corsica e con le coste toscane. Anche in questo caso la storiografia "democratica" - e l'Accinelli sopra tutti - accusa il D. di debolezza e di privati interessi, mentre piuttosto ancora una volta sembra prevalere in lui il conservatore pragmatico capace di tradurre in azione politica la soluzione che appare economicamente più vantaggiosa. Perciò, dopo mesi di riunioni dei Minor Consiglio tra il settembre 1767 e l'inizio del 1768 per decidere del destino dell'isola, poiché nelle votazioni che si susseguivano il partito contrario alla cessione sembrava farsi gradatamente più consistente, il D. prese la parola - e, come doge, contravveniva alla consuetudine - per smuovere la resistenza degli oppositori: "raccomandando non senza lacrime - racconta Gerolamo Serra - la cessione della Corsica, come l'unica via che salvare potesse il rimanente" (Arch. di Stato di Genova, Ricordi del Minor Consiglio, novembre 1791). Secondo la formula a suo tempo escogitata dal D. del deposito - anche se provvisorio invece che definitivo, per consentire con un cavillo legale il conseguimento della maggioranza - l'isola fu ceduta alla Francia il 18 febbr. 1768. L'elezione del D. a doge era avvenuta il 3 febbr. 1767 con 249 voti su 362: Si può pensare che fosse appunto questa la maggioranza reale che, all'interno del gruppo di governo, condivideva la necessità della cessione. L'incoronazione ebbe luogo il 27 giugno, con discorso ufficiale del gesuita Antonio Nicolai e con autori liguri di rilievo le celebrazioni poetiche nella ligure Accademia arcadica[entrambi i volumi rari e preziosi di proprietà di Cultura-Barocca saranno digitalizzati e messi a disposizione dell'utenza culturale per parti o in toto in caso di motivata richiesta]: discorso e liriche sottolineano nel D. non solo le doti del politico, ma quelle dell'uomo di cultura e del grande benefattore, capace, per un verso, di progettare personalmente le ristrutturazioni architettoniche del suo regale palazzo in strada Balbi e delle sue ville di campagna e, dall'altro, di distribuire cospicue elemosine alle dame di misericordia e all'ospedale di Pammatone (che gli eresse statue in riconoscenza). Concluso il biennio dogale, il D. prosegui una intensa attività pubblica: fu più volte preside del magistrato di Guerra e degli inquisitori di Stato; nel 1771, con Francesco M. Doria, fu deputato per i lavori del porto di Savona e fece costruire, sempre su disegno personale, il forte di Vado (dal suo nome chiamato Forte Marcello); nel 1773, il suo nominativo fu posto di nuovo tra quelli dei sei candidati al dogato. Fino al 1791 mantenne ininterrottamente tre incarichi, in significativa sincronia: quello di protettore della nazione ebrea, di magistrato dei Culto e di protettore del S. Offizio. Dopo l'incendio di palazzo ducale del 3 nov. 1777 fece pubblica proposta di ricostruzione a spese dei componenti il Consiglio; dopo il rifiuto dei colleghi, promosse con Agostino Lomellini una pubblica colletta affidandola alle dame genovesi. Alla colletta contribui con tale munificenza da meritarsi con decreto del Minor Consiglio una statua marmorea in palazzo. Mori, probabilmente a Genova, il dic. 1791 e il 24 fu solennemente sepolto nella tomba gentilizia nella gesuitica chiesa di S. Ambrogio. Dal suo matrimonio con Maria Maddalena Durazzo erano nati quattro figli: Gian Luca nel 1736, morto a sette anni; Girolamo, nel 1739; Paola, nel 1746 (poi sposa a Cristoforo Spinola di Agostino e premorta al padre, in Parigi, il 26 genn. 1773); Maria Francesca, nel 1752, poi sposa al cugino Giuseppe Maria Durazzo, figlio di Marcellone. Poiché l'unico maschio, Girolamo (ambasciatore a Vienna nel 1781-83 e doge della ormai napoleonica Repubblica ligure nel 1802-05), non ebbe figli dalla moglie Angiolina Serra, la discendenza diretta del D. si chiuse e quasi tutto l'enorme patrimonio da lui accumulato passò in eredità ai figli di Maria Francesca e di Giuseppe Maria, Clelia e Marcello, e alla vasta e lunga discendenza di quest'ultimo. La nuora del D., Angiolina Serra, fu celebrata per la bellezza e la cultura, ed ebbe suo fervente ammiratore l'imperatore Giuseppe II che, dopo averla conosciuta e frequentata a Vienna durante la legazione del marito, venne per lei a Genova nel 1784 e fu ospitato dal D. nel suo palazzo. Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Ricordi del Minor Consiglio, n. 1641 (1762, 6 dicembre; 1765, 11 gennaio; 1766, 8 aprile); Genova, Civ. Bibl. Berio, m.r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, p. 83; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1838, VIII, pp. 27, 144; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, Genova 1851, p. VIII; G. Avignone, Medaglie dei liguri e della Liguria, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, VIII (1872) p. 548; L. Valpolicella, I libri dei cerimoniali…, ibid., IL (1921), 2, ad Indicem; F. Donaver, Storia della Rep. di Genova, Genova 1913, pp. 355 ss.; L. Levati, I dogi di Genova (1746-71), Genova 1914, pp. 61-67, 611, 616; G. Giacchero, Storia econ. del Settecento genovese, Genova 1951, pp. 157, 163, 167, 171; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, pp. 408, 412; II, p. 171; D. Puncuh, L'arch. dei Durazzo marchesi di Gabbiano, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n. s., XXI (1981), p. 634 (con ind. bibl.); Id., Collezionismo e commercio di quadri…, in Rass. degli archivi di Stato, XLIV (1984), p. 170. M. Cavanna Ciappina Vedi anche Brìgnole Sale Brìgnole Sale. - Famiglia genovese che tra i suoi membri contò quattro dogi: Gian Francesco (1635-37), che, avendo sposato l'unica figlia di Giulio Sale, marchese di Groppoli in Lunigiana, aggiunse al suo il cognome Sale; Gian Francesco Maria (v.); Rodolfo Emilio (1762-1765); Giacomo Maria (1779-81 e ... Fregóso Fregóso ‹-so› (o Campofregóso). - Famiglia genovese; trasse il nome da una piccola località di Val Polcevera, Campofregoso, sui colli sopra Rivarolo. Mercanti attivi e intraprendenti, i Fregoso cominciarono ad aver voce nelle vicende politiche della città solo dopo il sec. 13º, con Rolando, castellano ... Adórno, Antoniotto I Adórno, Antoniotto I. - Doge di Genova (Genova 1340 circa - Finale Ligure 1398); sostenuto dai ghibellini del popolo minuto, il 17 giugno 1378 ebbe il dogato, ma dopo poche ore dovette cedere la carica a Niccolò Guarco, e poi esulare. Tornato nel 1383, divenuto doge nel 1384, sostenne Urbano VI e si ... Corsica (fr. Corse) Isola del Mediterraneo occidentale (8680 km2 con 279.600 ab. nel 2006), appartenente alla Francia, di cui costituisce una regione (capoluogo Ajaccio) divisa in due dipartimenti Corse-du-Sud (Ajaccio) e Haute-Corse (Bastia). Amministrativamente autonoma dal 1982, con una propria Assemblea ...".

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