cultura barocca
Digitalizzazione/testo a cura di Bartolomeo Ezio Durante (da Biblioteca Privata)

Nell' immagine proposta si vede il frontespizio di un poetico e rarissimo CARME (QUI INTERAMENTE RIPROPOSTO NELL'ORIGINALE)[Torino : Fodratti, 1833 = 1 solo esemplare secondo il Servizio Bibliotecario Nazionale conservato in Biblioteca civica centrale - Torino (TO)] composto dal politico moderato, memorialista e storico sabaudo Giorgio Briano che indubbiamente ha composto questo suo giovanile e misconosciuto lavoro sotto la suggestione di Ugo Foscolo e del suo capolavoro cioè del carme Dei Sepolcri.
Dal Foscolo Giorgio Briano non mutua però solo l'aspetto neoclassico ma [ quasi meditando anche sulla scia delle Ultime Lettere di Jacopo Ortis e specificatamente della lettera da Ventimiglia quanto pure sulle pagine di quel Giuseppe Biamonti che nell' Addio al Giardino di Boboli che in effetti contro la realtà ornitologica del volatile in qualche modo sublimò la nomea dell'Upupa uccello lugubre, cimiteriale e degno protagonista della Poesia delle Macerie in una sorta di connessione, oltre che con altri poeti dell'epoca ma anche di tempi pregressi, con quanto dell'upupa risulta scritto dal Foscolo nel Dei Sepolcri ( All' errata definizione di uccello notturno con cui l'upupa compare nel "Dei Sepolcri" di Ugo Foscolo risponde Eugenio Montale ne dà in "Ossi di Seppia" un'immagine solare: Upupa, ilare uccello, alìgero folletto)] elabora il tema della POESIA LUGUBRE E SEPOLCRALE spaziando dal contesto della lirica cimiteriale a quella (estesamente trattata) del tema della morte e dell'oblio delle generazioni a quella ancora della civile condanna della costumanza giuridica penale Supplizio estremo sul Patibolo indubbiamente suggerita da potenti influenze di stampo illuminista che rimandano a scritti del Verri e del Beccaria quanto da una qualche emotiva relazione con gli eventi politici che insanguinarono Piemonte e Liguria nel 1833 coi tragici eventi connessi alla Repressione di quei moti del 1831 che costituirono comunque uno dei momenti basilari del doloroso ma vittorioso conflitto per l'Unità d'Italia
Non è grande poesia quella di Giorgio Briano ma giustamente può essere eletta a simbolo delle formidabili interazioni culturali dell'epoca tra varie postazioni di pensiero nel contesto delle quali, come prodromo di temi romantici meno fantasiosamente espressi, la POESIA LUGUBRE E SEPOLCRALE costituì un momento basilare per quanto più estesamente da collegare alla POESIA PREROMANTICA E SPECIFICATAMENTE ALLA POESIA OSSIANICA.
La matrice per i I TEMI CUPI E MALINCONICI CARATTERIZZATI DA UNA SCONFORTATA VALUTAZIONE DELLA CONDIZIONE UMANA è probabilmente da ascrivere a tempi pregressi, addirittura al deluso e cupo secondo Seicento ma è verso la meta' del XVIII secolo si affermano nella letteratura di tutta l'Europa queste considerazioni pessimistiche che comportano contestualmente i segni di rifiuto della serena quanto scettica ragione illuminista = perché se da un lato la fiducia nell'onniscienza delle facoltà' razionali generava ottimismo all'ottimismo via via succedeva lo scetticismo in quanto le conclusioni razionali finivano per eludere aspetti dell'animo umano che una crescente sensibilità, sublimata dall'energia del sentimento, da tempo sentiva come irrinunciabili.
La sensibilità per la morte, il suicidio, il dolore universale, la transitorietà delle cose umane costituiva altresì sintomo d'una sostanziale insoddisfazione per una società contraddittoria e deludente e per una casta di pensiero che non considerava l'interiorità e l'aspetto spirituale della vita umana (ed in questo occorre dire come soprendentemente -per quanto innescata da una motivazione teologica antilluministica e sooprattutto antimaterialista- l'opera apologetica di Padre Antonino Valsecchi abbia avuto credito anche tra i non cattolici, anche tra illuministi parzialmente delusi dalle postulazioni deiste e alla ricerca d'ulteriori motivazioni sui perché dell'esistenza).
Quest'aura di insoddisfazione si tramutava nella malinconia, nella riflessione, nella nostalgia, nel sogno, nel vagheggiamento dell'amore; talvolta anche nella ribellione, nello slancio passionale, nell'individualismo esasperato: ed al centro di tutto questo, vi erano un sentimento doloroso della natura e dell'uomo e un desiderio di genuinità Nel Preromanticismo inglese questi temi furono sviluppati dai cosiddetti poeti "elegiaci", per la loro sensibilita' e propensione alla meditazione, e dalla "poesia cimiteriale", che trovo' i suoi massimi esponenti in Edward Young (1683-1765), con Il lamento, ovvero pensieri notturni sulla vita, la morte e l'immortalità (1742-1745), Robert Blair (1699-1746), con La tomba (1743), e Thomas Gray (1716-1771), con l'Elegia scritta in un cimitero di campagna (1751). Questo tipo di poesia era appunto caratterizzato da riflessioni sulla caducità della vita e sul destino dell'uomo, da paesaggi lugubri e desolati, da una particolare attenzione al tetro e alla solitudine della tomba, e nasceva da quell'interesse verso le rovine, la pace notturna e le atmosfere sepolcrali in cui si orientava la malinconia dei poeti cimiteriali.
Tali motivi, che gia' si erano affacciati nella letteratura inglese con Thomas Parnell (1679-1812) e la sua Composizione notturna sulla morte (1712), oscillante tra l'abbandono elegiaco le annotazioni macabre, non mancarono di ispirare alcuni poeti italiani tra cui Aurelio Bertola (1753-1798), autore delle Notti clementine (1775), scritte per la morte di papa Clemente XIV, Ippolito Pindemonte (1753-1828), che aveva avviato la composizione di un poemetto sui Cimiteri, e Ugo Foscolo, nei suoi Sepolcri. La malinconia dei Preromantici si tradusse anche in un gusto per il primitivo e per il "barbaro", come esigenza di recuperare una letteratura originaria e autentica, in opposizione al tradizionale culto della classicità in Italia per esempio estenuatosi nel contesto culturale dell'Arcadia (vedi qui digitalizzata l'opera omonima L' Arcadia del Crescimbeni: con indici moderni).
Nuove fonti di ispirazione divennero quindi i canti e le leggende dei popoli nordici e germanici ma anche le fiabe e la poesia popolare, frutto di una fantasia schietta e di forti sentimenti. L'emblema di questa nuova sensibilita' fu la pubblicazione, ad opera dello scrittore scozzese James Macpherson (1736-1796), di un ciclo di antiche poesie epiche attribuite ad un leggendario bardo di nome Ossian, vissuto nel III secolo dopo Cristo. La poesia ossianica fece la sua comparsa nel 1760, con il volume Fragments of Ancient Poetry, tradotto in Italia da Melchiorre Cesarotti (1730-1808) nel 1763 con il titolo di Canti di Ossian.
Macpherson aveva tradotto queste antiche poesie scozzesi e irlandesi, tramandate in manoscritti risalenti all'XII secolo, dandone libere versioni e inserendovi passi di sua invenzione, tanto da suscitare violente controversie sulla loro autenticità: ma il successo che ebbero in un' Europa assetata di novità culturali fu enorme sì da indurre lo scrittore a pubblicare altre opere negli anni successivi, raccolte poi nel 1765 in due volumi sotto il titolo di The Works of Ossian ["Le Opere di Ossian"].
Il pubblico restò entusiasmato dalle atmosfere malinconiche, fantastiche ed epiche al contempo di questa nuova poesia, col suo carico di forti emozioni ed episodi drammatici; i Canti diedero inizio ad una vera moda, quella della poesia popolare, che favorì in tutta Europa la pubblicazione di importanti raccolte di testi folcloristici di tradizione orale. Ossian era considerato "l'Omero del Nord", per la sua maestosa e primitiva poesia epica, e per la rievocazione di un suggestivo passato barbarico. Per queste ragioni i Canti di Ossian piacquero tanto alla generazione romantica, ed erano destinati ad avere un notevole influsso su gran parte della letteratura ottocentesca. In effetti parecchi dei motivi tipici della poesia ossianica erano già presenti nella poesia cimiteriale, come le interrogazioni patetiche sul destino rivolte alla natura, i trasalimenti della memoria, i compianti per la morte e l'infelicità della vita, le tombe spoglie e illacrimate; ma oltre a questi comparve con energia la predilezione per i paesaggi notturni, selvaggi, tempestosi (ricordiamo qui la "Lettera da Ventimiglia" dell'Ortis del Foscolo) le virtu' cavalleresche e l'epicita' guerriera, i cupi episodi di amore e morte, le drammatiche apparizioni spettrali = di maniera che nell'evolversi e trasmutare di questa tradizione letteraria in piena epoca romantica il tema del cimiteriale si confuse spesso con il recupero del tema dell'esotico anche nel senso estremo dell'esoterismo, coinvolgendo streghe, spettri e vampiri ed aprendo contestualmente le porte, mutati i tempi, ad una nuova proposizione letteraria di fantasia sì ma attraverso le rivisitazioni in chiave orrorifica di molteplici aspetti del folklore e della storia.


































Dappertutto, intorno alla metà del Settecento, si parlava di vampiri e la vampiromania contagiò persino i filosofi: Voltaire, nel suo satirico Dizionario Filosofico, in effetti affermò con la solita mordacità che i veri vampiri erano i preti, gli speculatori e gli esattori delle tasse.
Jean-Jacques Rousseau scrisse che tutta la società umana era basata sullo sfruttamento e il vampirismo: per ognuno di noi "il nostro vampiro sono gli altri".
Il naturalista Buffon, rifacendosi coscientemente alle sue osservazioni e speculazioni, diede il nome di vampiro ai
pipistrelli succhiatori di sangue.
Ma mentre nell'Europa più moderna e civile si discorreva di vampiri con il sorriso sulle labbra, nei remoti e arretrati villaggi dell'Europa meridionale e orientale la paura era concreta.
"Tutti avevano perso la testa -scrisse il botanico francese Pitton de Tournefort, testimone di un'epidemia di vampirismo nell'isola greca di Mikonos, nel 1701.
"Era come una febbre del cervello, pericolosa quanto la rabbia e la follia. Intere famiglie abbandonavano le loro case alla periferia del paese e portavano i loro giacigli nella piazza centrale, per passarvi la notte. L'approssimarsi del buio scatenava un lamento generale".
Dopo l'"epidemia" in Slesia del 1755, l'Imperatrice d'Austria Maria Teresa, proclamando il suo disgusto per quella che giudicava la superstizione popolare dei "barbari processi riservati a poveri morti indifesi" per tutto il suo vasto dominio sancì l'illegittimità della "magia postuma" che per sua natura comportava la violazione delle tombe.
L'alto intervento pose probabilmente fine alle dissertazioni ufficiali, ma non al richiamo popolare sui "Vampiri": l'argomento rimase sospeso sulla linea abbastanza sottile che distingueva e distingue il fantasioso dall'imponderabile e per questo la discussione fu ripresa stabilmente da eruditi e soprattutto letterati, costantemente in caccia di quell'esotismo che in fondo caratterizzò per sua parte il "secolo dei lumi" prima e successivamente la temperie culturale romantica.