cultura barocca
GUERRA

GUERRE TRA GENOVA E PIEMONTE.
I CONFLITTI DEL 1625 E DEL 1672
I PRESUPPOSTI DI UNA REPUBBLICA DI GENOVA DESTINATA NEL XVIII SECOLO AD ESSERE TERRA DI SCONTRI TRA FRANCIA, AUSTRIA, SPAGNA, DUCATO DI SAVOIA
[Da una corrispondenza erudita su Antonino Mirello (Merello) Mora Giovanni Nicolò Cavana fornisce dati ad un Aprosio dalla posizione ondivaga sull'attività di Francesco Fulvio Frugoni per quanto già esiliato e poi perdonato e quindi scelto quale suo pubblicista contro il Piemonte Sabaudo dalla Repubblica di Genova ma poi nuovamente proscritto, seppur per breve tempo, attesi i suoi dinieghi e i sospetti di connivenze filosabaude]

Dal '600 (nel clima generale dei CONFLITTI EUROPEI TRA IMPERO-SPAGNA (MONDO CATTOLICO-ROMANO) E FRANCIA-SAVOIA-FORZE DEI PAESI RIFORMATI) si fecero più insistenti sul "genovesato" e in dettaglio sulla valle Argentina le PRESSIONI di CARLO EMANUELE I DI SAVOIA le cui forze, dalla strategica base "piemontese" di REALDO, arroccata a rupi scoscese come una predatrice in agguato, guardavano VERDEGGIA, frazione di Triora.
Nel XVI sec. i Savoia invasero le valli Impero e del Maro mirando anche a quella d'Arroscia.
Un I significativo conflitto fra Piemonte e Repubblica si ebbe nel 1625 quando ai Savoia venne offerto un CASUS BELLI da Zuccarello per controversie di confine.
Vista la rapida resa, che determinò una insurrezione popolare contro i nobili e i governatori genovesi accusati di viltà, la base in Liguria dell'espansionismo sabaudo del 1625 finì per essere conquistata la
CITTA' FORTE DI VENTIMIGLIA.
Il 20 agosto di tale anno le truppe sabaude si spinsero quindi in valle Argentina, assediando TRIORA.
Le loro forze armate erano guidate dal principe ereditario VITTORIO AMEDEO in cooperazione col fratello FELICE.
1625 In merito agli eventi del 1625 nel Manoscritto Borea si legge:" Gli uomini Di S. Remo anno sacheggiato Ceriana. 7 Gen.° Capitolo fatti per la Fondaz.e del Canonicato del Can.C° Ant.° Bottino. 14 Gen.° Fondaz.e del Canonicato del R. Ant.° Bottino q. Giac.° in Curia d'Albenga. 30 8bre. In seguito a rappresentanze fatte al Ser.mo Senato da M.ci Gio Ant.° d'Andrea, et Ant.° Sapia Sindici della M.ca Comunità percché venisse sospesa la imposiz.e della Macina stante che ha dovuto sofrire molte spese ed incomodi nella passata guerra col Duca di Savoja e sono 3 mila Scudi per trincerare e fortificare il presente Luogo, provista al Moschetti,e munizioni da guerra, avendo salariato per suo conto li Capitani Gio. B.a Gallo e Gio. F.c° Galeano per opporsi a 4 mila fanti radunatisi ne Stati di Savoja contro Castelfranco ed aver la nostra Comunità fatto leva d'altri 400 uomini per ripigliar Bajardo e divertire l'assedio di Castel Franco, in appresso aver fatto due leve di gente per soccorrere e ripigliar Ceriana, così richiesti dall'Ill.m° S.r Gerol.° Doria tutto a spese della Comunità, successivamente si concede al S.r Galeazzo Giustiniano gente per le Galee ed ivi a poco nuova gente per presidiar Oneglia resa al dominio della Rep.ca, fu spedita la levata di 500 uomini a soccorso di Triora, si concedettero 300 fanti al Baron di Vettevilla contro Pigna, si concedette al med.° l'artiglieria e fu condotta a spese della Comunità, si provedette pane, e vino al campo ed il fieno per cavalli e cento Guastatori che si concessero per XXmiglia per il che convenuto far debiti di più migliaia Scudi, ed accrescere tutte le gabelle usu deccreto in cui dichiarando salve le di lui convenzioni, e privileggi rimettono la tassa della Macina da esaminarsi all'Ill.mi Procuratori per riferirne. 1 Xbre. Not.° Gio. F.c° Fabiano, codicillo del D. Gerol.° Lusinasco q. Giac.° aggionge al suo testamento il 4 fede d. S.r Gerol.° Palm.° d'Ant.° e che de redditi per maritazione di figlia del riscatto de Schiavi della parentela Lusinaschi e Sasso si aggiongano sino alla quarta generaz.e li discendenti del S.r Paolo Battista Palmaro".
TAGGIA capitolò nel maggio 1625 e rimase in balia delle truppe piemontesi per una OCCUPAZIONE DI QUASI DUE MESI.
Preso il baluardo genovese di TRIORA i piemontesi avrebbero potuto nella seconda metà dell'anno organizzare le forze: da tale zona strategica sarebbero stati in grado di investire varie altre località fedeli a Genova.
La GUARNIGIONE GENOVESE e la POPOLAZIONE TRIORESE, organizzata militarmente (militi villani), RESISTETTERO però all'attacco piemontese e i nemici furono RESPINTI con l'arrivo di rinforzi dai paesi vicini.
La vittoria nella guerra contro il Piemonte del 1625 procurò rinomanza a Triora.
Si tennero feste in questo e altri paesi della Podesteria, non esclusa Taggia che, libera dal timore di un'occupazione, celebrò la vittoria con una festa (nella ricorrenza di S.Bernardo di Chiaravalle) che è giunta ad oggi (G. LAJOLO, Triora, in "Riviera dei Fiori",1992, n.4, p.22).
Dalla commemorazione popolare di questo successo bellico del XVII secolo, secondo alcuni, deriverebbe il nome della frazione di GLORI in cui si celarebbe il ricordo della "gloriosa" vittoria antisabauda!
E' da far notare che la complessità degli eventi, frammentati in minimi episodi, e la vastità lineare dello scacchiere bellico comporta l'esigenza di approfondimenti sempre ulteriori anche in base al vasto materiale ancora inedito come il manoscritto inedito di autore anonimo Successi tra la Repubblica di Genova et il Duca di Savoia. Dall'anno 1625 sino al 1634. Et altri seguiti nel 1672 (questa "Relazione" legata all'operetta Descrizione dell'origine della libertà di Genova, suoi diversi Stati e successi fin'alla guerra col Duca di Savoia seguita l'anno 1629, di fine '600, di p.255, era inserita nel catalogo milanese di antiquariato Gutenberg, del I semestre 1998, al n.484 e, stando alle notizie contenute nel sommario, comportava molti dati ignoti sui conflitti liguri-piemontesi per l'arco di tempo 1625-1672)
Nel 1672, sotto CARLO EMANUELE II, i piemontesi ripresero le OPERAZIONI MILITARI contro Genova: questo conflitto, per così dire "provinciale" era una delle tante espressioni delle guerre che caratterizzavano l'Europa e che in tempi successivi si sarebbero espanse anche verso le terre del Nuovo Mondo [anche se nel campo di questa indagine assai più conta il fronte italo-francese causa della distruzione del castello di Dolceacqua e più specificatamente, per questa indagine, con la battaglia del convento intemelio di S. Agostino destinata ad arrecare tanti danni al patrimonio della "Biblioteca Aprosiana"].
Occorre dire, per inciso, che, proprio in quest'epoca, gli STATI andavano promulgando regolamenti per disciplinare le truppe e porre un freno ad inutili spargimenti di sangue tra la popolazione civile con relativi saccheggi (a titolo esemplificativo si possono qui consultare integralmente gli STATUTI MILITARI DI GUERRA PROMULGATI DA GENOVA nel 1722: e nel contempo non si può sottacere come anche la CHIESA ROMANA abbia per sua parte cercato di porre un argine agli eccessi come si può qui leggere alla voce BELLUM (GUERRA) nella BIBLIOTHECA CANONICA... del teologo francescano Lucio Ferraris).
Le motivazioni specifiche del nuovo conflitto sabaudo-genovese dipesero dalla volontà espansionistica del duca sabaudo che aveva dato rifugio e sostegno al fuoriuscito
******************Raffaello della Torre******************
al fine d'organizzare una congiura in grado di abbattere il governo repubblicano genovese o quantomeno creare nel Dominio ligure un disordine bastante a poter conquistare l'importante piazza di Savona.
Le cose non procedettero però nella direzione sperata e la congiura di Della Torre venne svelata e sventata sì che la guarnigione di Savona fu celermente rinforzata obbligando i piemontesi a volgre sempre più ad occidente la loro pressione bellica.
Le vicende furono alterne ma alla fine il corpo principale dell'armata sabauda si trovò accerchiato in Castelvecchio, presso Garessio, e dovette arrendersi a discrezione delle forze genovesi nonstante due giorni di resistenza ed una disperata sortita il girno 6 agosto.
Le forze armate della Repubblica di Genova fecero molti prigionieri e conquistarono armamenti e vettovaglie ma, cosa ancor più grave, i piemontesi videro svelate le loro trame, atteso che la segreteria del luogotenente generale della fanteria, conte Catalano Alfieri, pervenne in mani genovesi con tutto il compromettente carteggio che testimoniava irrimediabilmente gli accordi segretissimi intercorsi tra Carlo Emanuele II ed il ribelle genovese Raffello Della Torre.
A fronte di questi eventi finirono per risultare relativamente poco importanti ulteriori operazioni che coinvolsero fin l'estremo ponente di Liguria.
Si rammentano solitamente altri scontri volti al controllo della valle del Nervia
, presso Ventimiglia e certo non lontano dal convento ove risiedeva Angelico Aprosio (in particolare "la battaglia di San Pietro presso Camporosso") o lo sforzo bellico sabaudo teso alla riconquista della perduta base di Oneglia.
Proprio perché quest'ultima era irrinunciabile per il Ducato il sabaudo marchese di San Giorgio, con 4.000 soldati, marciò da Briga verso Piano di Latte mirando al sito del Pizzo, dove erano, sotto il colonnello genovese A. Spinola, circa 1700 uomini ( ben armati solo 400 soldati corsi e 500 militi del presidio di Triora: la popolazione in armi all'uso genovese - 800 "terrazzani" - era invece mal armata).
Per il Reggimento Croce Bianca fu semplice dividere le forze genovesi: prima furono dispersi i "terrazzani", poi il fuoco piemontese fu concentrato sui "regolari genovesi" che si ritirarono ed il Piemonte rioccupò, con le valli del Maro e dell'Impero, l'ambitissima stazione marittima di ONEGLIA.
E' a tal punto che la diplomazia entra in gioco.
Come scrive Davide Conrieri (Quattro lettere di Francesco Fulvio Frugoni in "Studi Secenteschi", XXXII, 1991, pp.12 e seguenti): "Forte di queste prove documentarie, il governo di Genova rivolse al Papa e a Francia e Spagna alte proteste contro la politica aggressiva di Carlo Emanule II, mentre costui si difendeva senza molto successo negando l'autenticità del carteggio. Anche una volta conclusa una tregua che prevedeva la reciproca restituzione dei prigionieri presi e dei luoghi occupati durante la guerra (29 ottobre 1672), la Repubblica di Genova continuava ad avere forte interesse a denunciare pubblicamente il comportamento aggressivo e subdolo di Carlo Emanuele II nei suoi confronti. In particolare, intendeva far comporre, sfruttando anche i documenti sequestrati a Castelvecchio, una narrazione della congiura di Raffaello Delle Torre e dei fatti d'arme dell'estate del 1672 dalla quale risultasse evidente la parte che vi aveva avuta il Duca di Savoia. Di questa intenzione si mostra a conoscenza lo storiografo ufficiale dello stato sabaudo Maurizio Bertone, che, scrivendo a carlo Emanuele II il 30 gennaio 1673, si dichiara pronto a confutare la narrazione che i Genovesi si accingerebbero a produrre".
E' a questo punto che sarebbe scattata da parte delle Repubblica di Genova una scelta inaspettata come proprio pubblicista su Francesco Fulvio Frugoni.
L'aggettivo "inaspettato" non dipende dal livello dell'autore (in effetti celebre e indiscutibilmente capace) ma da certe peculiarità comportamentali che lo avevano già posto in urto con la stessa Genova.
Dopo una serie di peregrinazioni nel 1652 tornato a Genova egli "venne accolto in casa Spinola come amico di famiglia con un prestigio in breve tempo sufficiente perché fosse invitato a occuparsi di Aurelia, vedova dal '51 del principe di Monaco Ercole II Grimaldi, e ad avviare nuove trattative di matrimonio, come voleva appunto per ragioni di prestigio l'ambiziosa madre della gentildonna. A poco a poco il nostro frate non senza contrasti con le direttive della famiglia, abbracciò la causa della giovane Aurelia, la duchessa di Valentinois, cui rimase poi fedele in mezzo a travagli d'ogni genere sino alla morte, dedicandole postuma una biografia prolissa ma appassionata, l' eroina intrepida....
Per alcuni anni, fino a che le relazioni tra la vedova e il suocero Onorato II non precipitarono, il frate consigliere fece la spola tra Genova e Monaco....[ad es. il Frugoni nel 1655 partecipò ad una grande festa tenuta nel Principato di Monaco proprio in onore di Aurelia Spinola ora più ufficialmente Madama la duchessa di Valentinois, festa che egli celebrò in una sua opera ormai rarissima di cui si custodisce un esemplare alla C.B.A. di Ventimiglia e che l'Aprosio menzionò nel suo repertorio bibliografico ma lasciando anonimo l'autore, cosa nemmeno plausibile nei momenti di burrasca fra Aurelia ed Onorato II, trattandosi di una festa in cui era citata la nobiltà della corte monegasca e per giunta da un letterato di fama: evento e pubblicazione che all'epoca dovevano aver avuto un riscontro eccezionale e grande pubblicizzazione. E' anche plausibile che Aprosio sia entrato in possesso di tal esclusivo esemplare ai tempi dei suoi contatti epistolari con il Frugoni: ma il fatto di non averlo citato come autore della pubblicazione e addirittura di non averlo elencato né tra i fautori della biblioteca intemelia, neppure nell'indice generale degli autori dei libri in essa custoditi (e minuziosamente elencati nel repertorio bibliografico) e men che mai almeno inserito (alla stregua di insignificanti letterati) in uno dei frequenti e interminabili elenchi di eruditi a lui graditi o con lui in scambio culturale sembra davvero segnale di un certo qual sospetto del frate verso il letterato genovese notoriamente sulla lama di intrighi vari, di politica interna ed estera, tanto antichi quanto recenti N.d.R.].
Le complicazioni d'ordine politico e domestico, sfavoreveli alla duchessa portarono quindi il Frugoni in Francia sino a Perpignano e poi a Fiqueras...Di ritorno a Genova, egli non vi si fermò, anche perché l'ambiente cominciava ad essergli ostile...passò a Venezia mentre la duchessa, mettendo in esecuzione un progetto cui pensava da tempo, abbandonava la patria alla volta del Piemonte e quindi valicava le Alpi per recarsi a Parigi a perorare a corte i suoi diritti di vedova di Ercole II.
Intanto tra il 1660 e il 1661, il Frugoni aveva stampato a Venezia un romanzo, La vergine parigina che diede l'occasione ai suoi avversari -almeno se si deve credere al racconto dell'interessato- per fargli infliggere l'esilio da Genova. Sia per questo sia perché dalla Francia si invocava la sua presenza, sulla fine del 1661...il frate raggiunse Madama a Parigi e si diede subito da fare...per ottenere un'udienza a Corte, la quale però rimase solo un desiderio. Poiché d'altro canto era morto nel '62 Onorato II e la duchessa aveva a sua volta ereditato i beni di casa Spinola, si pervenne a un accordo con il nuovo principe di Monaco, figlio primogenito di Aurelia: a questo punto perciò non sussistevano più ragioni per trattenersi a Parigi.
La partenza ebbe luogo nell'autunno del 1663. Ma mentre la duchessa proseguì verso Genova, il Frugoni, in quanto esule dovette arrestarsi a Torino..." [Così scrive Ezio Raimondi, in Trattatisti e narratori del seicento (pp.898 e seg.) in "La Letteratura Italiana - Storia e Testi", Milano - Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1960].
E' a questo punto che, risolti vari problemi personali e non e trascorsi alcuni anni, il Frugoni vede revocare dalla Repubblica di Genova, verso la fine del 1672 od il principio del 1673, il suo stato di esule.
Con la solita prudenza critica, nel saggio sopra utilizzato, Davide Conrieri ipotizza, tra altre possibili versioni, che alla base del "perdono repubblicano" potessero anche risiedere da parte del Governo genovese delle precise scelte pragmatiche: certamente gli eventi paiono succedersi come in un gioco ad incastro entro una serie di scelte meditate.
Si legga ancora quanto scrive lo stesso Conrieri nel saggio sopra già utilizzato: "...Che fosse o non fosse in diretta relazione con la revoca della proscrizione, l'incarico di narrare le vicende belliche del 1672 dovette essere proposto al Frugoni in un tempo prossimo a quello in cui la revoca fu concessa, prima della fine del 1673...".
Analizzando le lettere a "Madama Reale", trascritte nel menzionato saggio critico, il Frugoni non aderì alla richiesta ed il rifiuto dovette parere al Governo di Genova non solo un atto di disubbidienza (peraltro successivo ad un atto di clemenza del potere centrale) da doversi giudicare correlato a qualche connivenza intercorrente fra il letterato e la Corte di Torino.
Carla Reale (Appunti per una biografia intellettuale di Francesco Fulvio Frugoni, in "Rendiconti dell'Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli", XLVIII, 1973, pp. 105-133)dall'epistolario dei corrispondenti aprosiani ha editato una delle lettere inviate dal Frugoni ad Angelico Aprosio, quella del 25 novembre 1673 in cui il letterato genovese scrisse all'erudito intemelio che era stato proscritto ancora una volta dalla patria, ma che era riuscito a far emergere rapidamente (per la precisione in 12 giorni, tanto durò la proscrizione) la sua innocenza.
Stando sempre a quanto Frugoni comunicò ad Aprosio la ragione di tanta avversione nei suoi confronti sarebbe stata "provocata e sostenuta dalla malignità di coloro, che non potean soffrire un Apollo nascente per esser tanti Marsi stravolti, e tanti Gufi storditi.
Purtroppo non possediamo le lettere dell'Aprosio (ma solo quelle dei suoi corrispondenti) e sarebbe stato davvero interessante apprendere la ragione di questa lettera del Frugoni verisimilmente succesiva a qualche richiesta epistolare dell'erudito intemelio: Aprosio fu sempre parco ad analizzare i fermenti più gravi della sua contemporaneità, ma da uomo attento li registrava, magari non ne discuteva apertamente per non sollevare polemiche cui non era preparato, ma cercava di essere informato e conoscere la ragione vera della temperie socio-economica in cui veniva di volta in volta coinvolto e, così, non pare un caso che il primo contatto epistolare con il discusso Frugoni lo abbia avuto nel 1673 proprio mentre si andava stampando il suo repertorio bibliografico, proprio quell'opera in cui, descrivendo Ventimiglia, la definì città fortificata e piena di soldati a causa dei tempi di turbolenze.
Ed indubbiamente, nonostante l' affettazione ostentata da Frugoni, l'invidia era una scusante non bastevole a giustificare una pena all'esilio; per intendere ciò basta ancora proseguire nella lettura del saggio di Davide Conrieri:
"Che tale intelligenza [accordi segreti fra il Frugoni e la Corte Sabauda] di fatto vi sia stata pare indubitabile: La Gloriosa ed Immortal Memoria di Sua Altezza Reale - ricorda il Frugoni nella lettera del dicembre 1678 a Madama Reale [Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, vedova dal 1675 del duca carlo Emanuele II e da allora reggente del Ducato sabaudo per i minorenne figlio Vittorio Amedeo II]- m'onorò della regia promessa d'una ricompensa...anche perché, richiesto, non m'ingagiassi a scriverle contro, chiarendo così che la promessa -fattagli nel 1673, come lo scrittore precisa (sei anni sono) nella lettera a Madama Reale del dicembre 1679- procedette, non seguì il suo rifiuto. Parrebbe, insomma, che il Frugoni, ricevuta la richiesta di stendere il resoconto delle azioni intraprese da Carlo Emanuele II in danno della Repubblica di Genova, non abbia subito risposto negativamente, informando poi di ciò il Duca di Savoia della richiesta ricevuta prima di respingerla e abbia in qualche modo contrattato con lui, fino a ricevere una promessa -come rileva nella lettera del dicembre 1679- così espressa, il compenso del rifiuto da opporre al suo principe Naturale [La Repubblica genovese]. Se, conforme l'ipotesi sopra avanzata, la seconda proscrizione del Frugoni è da porre in relazione con i sospetti che quel rifiuto potè destare nel governo genovese, restano oscuri i mezzi con i quali lo scrittore ottenne che fosse revocata dopo soli dodici giorni di efficacia. Egli, in ogni modo, nonostante la caduta della proscrizione, giudicò opportuno per allora tenersi fuori dei confini della Repubblica di Genova, e rimase come dichiara nella lettera del 12 dicembre 1679 a Madama Reale, in volontario esiglio di quattro anni. Prendendo per vera questa dichiarazione, il ritorno del Frugoni a Genova deve essere assegnato al 1677; ed è dunque da pensare che rimanesse inattuato il suo progetto esposto all'Aprosio...di rientrare in patria nella primavera del 1676 [lettera del Frugoni all'Aprosio del 7 marzo 1676 editata dalla citata C. Reale]. Non si può però escludere che il Frugoni trovasse vantaggioso scrivendo alla duchessa Maria Giovanna battista, arrotondare per eccesso la durata del volontario esiglio da lui sopportato in conseguenza della sua devozione alla Casa di Savoia" [a titolo documentario si può comunque ribadire che il rifiuto del Frugoni ad intraprendere uno scritto di pubblicistica antisabauda rallentò non poco le operazoni genovesi, atteso che la narrazione dei discussi eventi del 1672 si ebbe parecchio tempo dopo con la pubblicazione de la congiura di Raffaello della Torre con le mosse della Savoia contra la Republica di Genova Libri due Descritta da Gioanni Paolo Marana, In Lione, Alle spese dell'Autore, MDCXXXII (la dedicatoria a Paolo Spinola Doria risulta però datata "In Monaco il primo Agosto 1681]


A metà '700 la Guerra di Successione al trono imperiale, investì la Liguria: il cuore degli scontri si ebbe tra val Roia e Nervia ma le operazioni si estesero ad Oneglia e oltre: al "Pizzo" ed in altri siti strategici si crearono difese, dove si scontrarono le forze avverse, alternandosi nel controllo dei luoghi.
Per un pò dopo la pace di Aquisgrana (1748) relativa tranquillità governò l'alta valle Argentina e la Podesteria di Triora rifiorì: ma dalla Francia sarebbero arrivati tempi di guerra. Le idee illuministiche entrarono in Liguria dalla "porta" di Ventimiglia: poi a capo dell'"Armata d'Italia" il generale Massena (8-IV-1794) pose quartiere in queste terre, sistemando il comando a Triora, in casa Borelli. Dopo Massena si affermò Napoleone che occupò la Liguria abolendo la Repubblica di Genova e sostituendovi, dal 1797, la democratica "Repubblica Ligure". Le riforme del territorio regionale eliminarono tante amministrazioni locali: le vecchie istituzioni, si eressero i Comuni (retti da un Sindaco o "Maire"), si piantarono gli alberi della libertà. Non tutti compresero il significato di tante novità, non a tutti l'antica nobiltà genovese era risultata sgradita, anche a Triora qualcuno si adontò per i troppi cambiamenti: a parecchi fu sgradito l'anticlericalismo dei transalpini e di malavoglia i trioresi scalpellinarono le insegne patrizie che ornavano portali, altari e pietre tombali del borgo. Due elementi concorsero poi contro l'alta valle e le sue località: l' impresa napoleonica di erigere la via costiera "della Cornice" danneggiò Triora e i borghi vicini: da un lato la sua popolazione fu soggetta, per gli alti costi dell'operazione, a pagare tasse elevate e d'altro canto, nel corso di pochi anni, si intese che il traffico, centrato sulla costa, portava vantaggio ai centri costieri mentre le località dell'interno (come Triora) restarono isolate. La seconda ragione di crisi a riguardo di Triora e circondario può ravvisarsi, sia in epoca napoleonica che dopo il Congresso di Vienna e la Restaurazione del 1815, nella trasformazione politica che, ingrandendo il Regno di Sardegna coi territori della soppressa Repubblica di Genova, tolse alla Podesteria d'alta valle Argentina e soprattutto a Triora la condizione di sentinella, sempre ben compensata da Genova, verso l'Oltregiogo ed a guardia dell'espansionismo sabaudo (il repentino decremento demografico dipese dalla scomparsa della guarnigione genovese di Triora anche se, come accadeva nei momenti di crisi internazionali, non stazionavano ogni volta nel borgo 500 soldati, disposti a spendere per vivere il loro servizio in modo migliore, a Triora v'eran sempre stati dei contingenti bellici genovesi con impliciti vantaggi: affitti per gli ufficiali residenti fuori quartiere, soldi spesi nelle taverne, acquisti di vario genere a pro di commercianti locali . Il degrado (dal XIX secolo) si fece sentire col correre degli anni e presto si assistette ad un decremento demografico del borgo, visto che molti residenti, per lavorare e vivere, si trovarono nella necessità di trasferirsi nei grossi centri costieri. L'arma di cui non deve oggi rinunciare l'alta valle, per riscoprirsi nella sua genuinità, è offerta dal turismo, un turismo ligure che non può far a meno di utili alternative al mare e valorizzare il suo entroterra, fin ai giorni odierni sfruttato, quasi ovunque, solo in minima parte rispetto alle enormi potenzialità. Quell'entroterra tanto caratteristico nell'alta valle Argentina, dove si alternano paesaggi alpini, dove fra gli antri e le grotte, in abissi da sogno che si perdono "oltre la luce", si legge la vicenda dell'uomo ligure in lotta con una natura tanto bella quanto selvaggia e imprevedibile!






Nel 1622 (vigilia della guerra di Genova col Piemonte) i sudditi intemeli erano arruolati come soldati locali ("militi villani" di guardia alla frontiera e alle mura) e protestavano per il regime di vita:"La città di Ventimiglia ed abitatori di essa hanno per conto delle loro milizie il solito Colonnello che da Vostre Signorie Serenissime vien deputato, al quale ubbidiscono con ogni prontezza in tutto ciò possa concernere per servizio pubblico e disciplina militare. E' vero che, pretendendo il Colonnello di fare la rassegna dei Cittadini, cosa che non si costuma nelle altre città del Dominio di Vostre Signorie Illustrissime, non vorrebbero essi essi cittadini che, per non cedere ad alcuno di fedeltà ed ubidiedenza, aver questo disvantaggio, posciaché quanto alla disciplina militare ben si sa che essi fanno tutte le funzioni ed avendo più obblighi e carichi e per la sanità e per il castello e per le guardie notturne e diurne di quello che abbino li altri Cittadini d'altre città del Dominio di Vostre Signorie Illustrissime, aggiungendosi a questo l'obbligo di assistere alla fabbrica del Ponte [Edificazione del ponte cinquecentesco di Ventimiglia, parte in muratura e parte in legno, andato distrutto poco dopo metà '800 per una piena del Roia e realizzato secondo la tecnica fiscale della sequella] vorrebbero a tal risegna esser fatti esenti"("Petizione" dei Sindaci di Ventimiglia: si allude ai restauri degli edifici pubblici, ai lavori prestati da popolari e villani per la costruzione del ponte, alla necessità di tener pulita la palude che univa per la piana i mal arginati Roia e Nervia).
Nel 1625 solo i militi villani (cioè reclutati tra i solidi abitanti delle ville)" si opposero a Carlo Emanuele di Savoia (in una prima
GUERRA
contro Genova sull'arco ponentino) e la loro IRA INSURREZIONALE si scatenò trasformandosi poi in una vera e drammatica
RIVOLTA
contro i comandanti delle poche truppe di Genova (pronti a rapida fuga) e contro i Magnifici di Piazza disposti a una resa disonorevole di
VENTIMIGLIA E DELLE SUE FORTIFICAZIONI.
Il Vescovo Gandolfo, per quanto apprendiamo da una RELAZIONE CONTEMPORANEA indubbiamente filonobiliare, pacificò gli animi inaspriti dei "villani" che s'erano riversati a centinaia nella città, depredando ogni cosa (grazie al Prelato e con l'aiuto della Spagna la Repubblica il 14 settembre, riprese Ventimiglia e ville (occupate dai "nemici") pacificandosi ufficialmente col Piemonte nel 1634).
















La RIVOLTA POPOLARE E VILLANA del 1625 (IISL - Biblioteca G. Rossi n. 84, 1) da Breve Compendio di Ventimiglia manoscritto originale del XVII secolo, con appunti storici su Ventimiglia - da p. 20 verso, alla fine - (Anonimo autore - La guerra del 1625) .

"...[nel XVII secolo] per quanto comportavano i tempi si viveva con quiete, e si godette per molti anni, sino a tanto che del anno 1623 mosse il perturbator [così l'autore genovese definisce il Duca di Savoia: N.d.A.] dell'Italia non meno ingiusta che crudel Guerra a quelli, le cui ricchezze, e prosperi successi come invidiava, così aveva risoluto con ampie, e prossane (sic!) maniere di esterminare.
Macchinava già lungo tempo nel molino del suo cervello la rovina de Genovesi; non erano le di Lui forze sufficienti di poner esso solo le mani in pasta, e perciò da francesi richiedendo fuoco di ardore di buon numero di soldati, da Veneziani danari, e da altri Principi segreti aiuti, e favori, comincio assai presto, e felicemente con le loro proprie armate fa pane, che se bene nel pastarlo, e cuocerlo in parte le fu di gusto, stimo che nel digerirlo abbia patito, e patisca tanti disgusti, che con difficoltà si possa accomodare ad evacuarlo; venendo detto Principe con il gran Contestabile di Francia e 30/m(ila) fanti per sradicare affatto il nome genovese, la bontà Divina che ancor nelle prosperità suol premiare i meriti dell' [illeggibile: N.d.R.]... e di quelli che al pari de Genovesi hanno sempre con fedeltà obbedito alla Chiesa, e suoi Pastori, non solo ha conservato il Capo della Rep.ca con i membri più principali, ma ha di più dato gratia, che in breve spatio di giorni col favore, et aiuto di Spagna ripigliassero quelle Piazze, che da Savoiardi ben munite, e fortificate si erano rese per mancamento de soldati, e debolezza de Luoghi senza contrasto.
Preso dal Principe Vittorio di Sabaudia il Luogo della Pieve chiave della Liguria verso ponente con altri Luoghi, mandò un Trombetta a questa Città a fargli la chiamata ma non ebbe risposta adeguata al suo desiderio, si stava però con cautela grande aspettando d'ogni momento l'Inimico.
La notte della Pentecoste si stette su l'arme, e la mattina supponendo dovere vedere l'armata nemica, si videro 3 Galere con 500 fanti di rinforzo.
Fu al Generale dato ad intendere, che la Città già si era resa, e non volse approdare al Lido, sino che non vedesse segni manifesti, che la Città era ancora sotto il Dominio Genovese.
Dopo esser sbarcato disse aver questo rinforzo, e che la Repubblica n'avverrebbe mandato di più, quando vi fosse stata la necessità.
Ciò detto fingendo per dubbio delle undici Galere e Galeoni di Marsiglia, che a nostri danni venivano, senza sbarcar l'Infanteria si ritirò a Monaco.
Per questa venuta si cantò il TE DEUM, e si diedero segni di allegrezza.
Il giorno seguente smontò il Signor Galeazzo Giustiniano con suoi fratelli, visitò il posto e sito della Città, visitò con ogni diligenza tutti i posti assai men forti di quello si supponeva, ond'ebbe a dire, che se le Donne, e fanciulli erano quivi rinchiusi in molto numero fossero stati tutti Soldati, che non potevano resistere all'impeto de nemici, abbatterono l'animi de Cittadini, tali parole, dopo questo andò a sentir Messa, e indi in casa di Monsignore Gandolfo Conte di Riccaldone, e Vescovo della Città, dove avendo fatto adunare il Signor Commissario, il Colonnello, l'Officiali tutti della Città, e sue Ville, e li Gentiluomini della Repubblica, che quindi erano cosi disse: "Signori quale e quanto sia sempre stato l'affetto della Rep.ca verso questa fedelissima Città, più voi, che l'avete provato potete immaginarvelo, che io esprimerlo; E' piaciuto alla bontà Divina in odio de peccati nostri di metter questa Rep.ca in dubbio, trovandosi ancor Genova Capo di questa in estremo pericolo, con tutto ci6 a guisa di pietosa Madre, e di sollecito Pellicano, ha voluto consquarciarsi il seno col sangue di questi 600 soldati, che tanto sarebbero necessarij per mettere alla fronte di quel nemico, che calando giù per la Ponzevera [per "Polcevera" una delle tre grandi Podesterie di Genova: N.d.R.] già minaccia crudelissima servitù alla comune Patria, e madre, non e dubbio, che essendoseli di recente levata crudelissima guerra contro, non ha per brevità di tempo potuto procacciare quei recapiti, che alla guerra esser necessarij ci ha dimostrato l'esperienza. Pur non vi sgomentate, che Dio ci aiuterà.
E' cosa molto difficile col numero delle genti, che ho qui condotto difendere Città di tal circuito, come e' questa, sono le mura deboli, la Rep.ca vuole vivi tutti i sudditi. Ho ordine, (che poi mostro) che non potendosi difender, che vi rendiate, vi assolve il Principe dal giuramento, questo solo vi prego, che quell'amore, che sempre professaste di portare alli Padroni, che l'istesso passando sotto l'altrui Dominio, come oro nella fornace si purifichi, ma non si consumi. Le strida, nelle quali proruppero i Cittadini, che in gran numero si trovarono in Casa del Vescovo desiderosi di sentire il successo di quella adunanza, averebbe rese pietose le Tigri.
Ben diedero ad intendere senza fin spiacerli, che quest'officio, che combattendo speravano dovessero forte le mani combattendo difendendosi, fosse con sì dolorosa metamorfosi trasformato in servizio di rasciugare l'infinite lagrime, che in guisa di vivi sorgevano dagl'occhi di ciascheduno; li sospiri delle fanciulle, il stracciarsi i crini [per "capelli":N.d.R.], i sassi, non che gli uomini commuoveva.
Fu finalmente con il consiglio di detto Signor Generale e del Signor detto Commissario conchiuso di cedere alla fortuna e mentre si cercava no due Cittadini principali per andare dal detto Principe corse voce, che in ogni modo voleva i Signor Generale imbarcar l'artiglieria, causò tal voce tanta alterazione nelli villani, che a guisa di forsennati armandosi di tutto punto correvano senza giudizio con stride spaventose per le pubbliche strade gridando a Viva S. Giorgio, non bastò la presenza del detto Signor Generale, l'autorità del Signor Commissario a raffrenarli a segno, che uccidendo uno Sbirro, e ferendo il Cancelliere della Corte non entrassero nelle Case di quelli Cittadini, che ancor nel Palazzo Episcopale piangendo stavano, e i quali appresso di loro erano ribelli, e traditori.
Entrarono questi Scellerati in molte case de Cittadini, e quelle sotto pretesto di attaccar Savoiardi, e Francesi saccheggiarono, rubavano denari, e mobili, stracciavano libri de creditori; ciò ch'era difficile a sopportarsi rompevano.
Correva a guisa di torrente per le strade il vino, e l'olio.
Invano per Divina clemenza spararono varie moschettate alle Case de suddetti, era la Strada della Piazza piena di mobili, scritture, farine, etc.
Si vide più volte il Commissario, e il Generale in manifesto pericolo, non ardivano gli officiali di lasciarsi vedere. Perderono questi empii il rispetto all'istesso Dio, poiché con scuri, et altri istromenti fecero forza di gettare a terra una porta del Palazzo Episcopale, che va in Chiesa, onde non stimandosi Monsignor Vicario in Casa, aprì con gran coraggio la detta Porta, e ritardando più tosto, che reprimendo l'ardore di quelli iniqui diede di mano al Santissimo, e quello portandolo sopra la porta, accompagnato da gran numero di persone mostrava al popolo a gridar misericordia.
Fucci profana Lingua, che ebbe a dire, non esser più questo tempo di misericordia, e ben si conobbe questo , imperoché non ammolendosi il cuore di quei, convenne portare il Santissimo in casa del Signor Battaglino Orengo Alfiere della Città, a cui avendo maltrattata la madre Silvia Doria Sperona in Chiesa, e cercando Lui, che miracolosamente nella cappella nuova dal Signor Giovanni Battista Giudice, che al l'ora fabbricavasi, erasi nascosto, per ucciderlo, non trovandolo saccheggiarono la di lui casa.
Seguì un caso assai sconcio mentre Monsignor Vescovo entrava col Santissimo nella sua Casa, uno delle Ville gli toccò il braccio e fu causa di far cadere la cupola del vaso.
Non cessavano gli empi di far ogni danno fimo a tanto, che essendo imbarcati li 600 fanti, e videro avvicinarsi l'inimico in numero di 6000 soldati, et allora se ne fuggirono carichi di preda, restando nella Città di loro appena cento.
Fu risoluto allora trovandosi senza gente di mandar due Padri di S.t. Agostino al Principe quali da Sua Altezza Reale ottenessero salvacondotto per due Cittadini, che per Ambasciatori voleva mandar fuori Città con facoltà di rendersi.
Partirono i Padri alle due ore di notte, e andarono al Campo ne mico, il quale faceva moltissimi fuochi, che furono necessitati ad estinguere, stante che le Galere li tormentavano con il Cannone, furono spediti i Padri, e subito si mandò dalla Città il Magnifico Gio Batta Aprosio, e il Magnifico Gio Batta Porro, et avendo compositato con onorati capitoli, concordarono, che la Città dovesse pagar 6000 Doppie.
Tornati i nostri s'apparecchiarono i viveri per il Campo, che il giorno seguente venne nella Città; essendosi accresciuto a questi il Marchese Dogliani Governatore di Nizza con 4000 fanti, et altri infiniti i quali non credendosi che la Città si dovesse subito rendere per esservi le Galere, e buon presidio, vennero moltissimi dal Contado di Nizza, credendosi sicuro il sacco della Città, entrarono nella Città, ove non si vedeva altro, che alloggiamenti, e forestieri.
Entrò il detto Principe il mercordì delle tempore dopo la Pente coste, non essendo stata fatta alcuna dimostrazione d'applauso, ne essendo stato, come si credeva il giorno del Corpus Domini favorito dalla vista delle principali Cittadine ebbe a dire che questi novelli sudditi ci riuscirebbero mali Cristiani, alludendo al giuramento di fedeltà, che dovevano prendere.
Dava al detto Duca non poco fastidio la presa de Castello che essendo sopra un alto et elevato poggio con bellissima pianta situato, dimostrava maggior fortezza in apparenza, di quello era in effetto, poiché fu il detto Castello per dobio della mina dopo 9 giorni, avendo aspettato il Cannone, necessitato a rendersi al nemico, il quale avendo nel tagliar le raccolte del grano e biade per pasti de Cavalli non poco dannificato le nostre campagne, assai presto vittorioso tornossene trionfante in Piemonte, che sì come è cosa solita, e naturale quasi, che con minor difficoltà s'acquistino le provincie, e Regni, di quello che si conservino così poco durarono queste Vittorie, e trionfi, ripigliando la Serenissima Repubblica fra brevi giorni tutto il suo stato solo restando dopo la presa del Porto Maurizio, e riviera tutta in loro bailia, e poter questa desolata Città esempio di ogni miseria.
Aggravarono la Città di nuova contribuzione di Doppie 1480 per stipendij de soldati sotto pretesto di andar a far riverenza a Don Felice naturale del Duca di Savoia, inviarono a Sospello, ove era quel Duca 10 Cittadini per ostaggio, Roberto Aprosio, Giuseppe Riccobono, Gio Batta Orengo, Giuseppe Covenda, Lodovico Aprosio, Casanova, Emmanuele Porro, Guido Ascanio Galeano, e Clemente Orengo, ed ivi credendosi esser licenziati fra breve, li tennero dalli 9 sino alli 25 d'Agosto sotto color di voler buttar giù le mura della Città contro i primi accordi, li necessitarono a pagar nuovo presidio di cento fanti a quali pagò la Città quasi per due Mesi cento Pezzi da otto il giorno, e d'ordine di Don Felice furono mandati a Nizza, onde mentre per spedirsi sollecitavano i conti, s'intese essere con una truppa di Cavalleria avesse il Barone Vuatvilla Generale di quella per Genovesi alli 25 del detto inviato trombetta a chieder in nome loro quella Città, che essendogli in apparenza negata, le fu però data speranza, poiché il giorno seguente di S. Secondo Protettore della Città di consenso del Governatore, che v'era per l'Altezza di Savoia, furono in nome della Città, e sue Ville mandati a S. Remo a capitolare col detto Barone il Signor Fran.co Riccobono, e Signor Marco M.a Sapia Notaio, e furono ricevuti con segni d'affetto, e mentre si trattenevano questi in S. Remo, andò detto Barone per facilitarsi l'impresa a levar i soccorsi, ad espugnar Pigna, indi tornò con l'esercito a Ventimiglia, ove il giorno dell'esaltazione della S.ta Croce 14 Settembre comparvero i due mandati, e fingendo i Savoiardi volersi difendere mandando i Genovesi l'artiglieria bene presto si arresero, e andando a Capitolare Gio Batta Aprosio, Riccobono Sudetto, Gio Batta Giudice, e Gio M.a Fenoglio tutti Cittadini, e restando il Riccobono, Fenoglio per ostaggi tornarono i due primi dentro a ragionare, e dopo lungo trattato fu concluso, che con la tregua d'un giorno i Savoiardi si ritirassero in Castello, onde entrò l'esercito Genovese numeroso di 10/m(ila) fanti fra Corsi, Spagnoli, Italiani, e Napoletani, e in appresso venne il soccorso di 4/m(ila) tedeschi, che restarono di retroguardia fuori delle mura.
Si pose l'istessa sera l'artiglieria a posto, e la seguente mattina principiò la batteria contro il Castello, il quale dopo un grosso numero di Cannonate si resse, e gli fu concesso libero passaggio per il loro paese.
Non si poté il popolo raffrenare di non ingiuriarli, e di non tirargli de Sassi, talché quei poveri Savoiardi maledicevano l'ora, che avevano visto questo paese.
Furono rese grazie a Dio d'esser liberi da Nemici, e di trovarsi sotto il primiero governo.
Seguì nella presa di questo Castello un caso veramente miracoloso, e fu che fra li molti, e spessi colpi d'Artiglieria, che venivano da esso, una palla di questi tirata andò in Chiesa, ove con il Marchese S.ta Croce era il Signor Duca di Tursi con due Senatori ad udir la S.ta Messa, e rompendo il Ciborio gett6 con esso a terra il Sacro Vaso, e correndo per il Coro quella palla andò a piedi del Signor Can.co Stornello, e Cantore detta Cattedrale senza fargli altro male, che bruggiarli il Lembo della veste, fu pigliata quella dal Signor D. Carlo Doria, quale ringraziando S.D.M. di aver pigliato in se stesso il colpo di quella, che doveva Lui per i suoi peccati privato di vita; per memoria del beneficio la volse seco.
Non contenti i Savoiardi, dopo esser stati scacciati da Ventimiglia andavano depredando la campagna, et essendosi uniti circa settantadue si accordarono di pigliar la Torre d'un certo Ant.o Viale, che si bene seppe difendersi, che con morte di uno, e con aver ferito 3 o 4 li costrinse abbandonar l'impresa.....".




Nel 1672/3, sorto altro CONFLITTO tra Genova e Amedeo I di Savoia [pur se le operazioni si concentrarono nell'interno, tra Piena e Triora] le terre di Camporosso furono devastate dalle TRUPPE GENOVESI del comandante PRATO.
Gli abitanti chiesero l'indennizzo dei danni al Parlamento ma, non soddisfatti, si appellarono a Genova il 14-XII-1682 (son introvabili le suppliche delle altre ville: B.DURANTE-F-POGGI, Storia della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, Bordighera, 1986, pp. 283 sgg).
La Repubblica (timorosa di tumulti a vantaggio del Piemonte e più o meno consapevolmente preoccupata dell'insorgere, in questa periferia strategica del Dominio, di espressioni destabilizzanti di violenza contadina e/o privata/locale, connesse magari allo sviluppo esponenziale di fazioni e "parentelle" ) emise, l'11-II-1683, un decreto per la separazione delle ville da Ventimiglia rispetto all' "economico": ferma restando l'unità giurisdizionale di Ventimiglia e ville nel "Capitanato intemelio", si concedeva autonomia economica e fiscale ai borghi rurali di modo che gli introiti di tasse e gabelle andassero a vantaggio delle comunità rurali: per regolamentare la questione il Senato ingiunse che, fatta la divisione, si redigessero Capitoli per regolamentare separazione, reciproci carichi, obblighi ed introiti. Le ville accettarono la divisione e nominarono propri deputati per seguire la procedura.


"Il generale genovese Prato [scrive G. Rossi nella sua Storia del Marchesato di Dolceacqua in merito alla
guerra tra Genova e il Piemonte sabaudo del 1672
] partito da Ventimiglia il 10 ottobre [risalendo la valle del Nervia] assaliva il castello di Dolceacqua, nel quale con forte presidio erasi forticato il sabaudo Marchese di Entraque.
Dolceacqua stava per cedere agli assalitori quando il Prato informato che un contingente nemico aveva assalito Penna e minacciava Ventimiglia, temendo di trovarsi rinchiuso fra due fuochi, ordinava una pronta ritirata.
Ma era egli giunto appena nelle vicinanze di Camporosso, che si accorse di essere inseguito alle spalle dai soldati, che egli avea resi liberi col partire; ed ordinato un alto, presso la
chiesuola di San Pietro annessa al cimitero,
aiutato di consigli ed opera da uomini di Camporosso, rosi da lungo astio contro quelli di Dolceacqua, fu in grado d'ingaggiare in favorevoli condizioni un'aspra zuffa contro gli assalitori.
Durò essa accanita per più ore, volgendosi alla fine in aperto sbaraglio contrario ai ducali, che dovettero ritirarsi malconci, lasciando morti sul campo sessantasei di loro, oltre non pochi feriti e prigionieri" [le TRUPPE GENOVESI si abbandonarono però poi al SACCHEGGIO determinando una grave situazione economica per gli uomini di Camporosso [è comunque da precisare che al saccheggio delle proprietà in Camporosso non parteciparono i militi villani (scelti ed ordinari) del Colonnellato di Ventimiglia (soldati di una milizia nazionale non retribuita, con individui coscritti secondo queste modalità propri di centri locali come nel caso di siffatto colonnellato pure di Ventimiglia e sue ville tra cui appunto Camporosso: essi costituivano forze sicure per affiancare, completare o sostituire le non sempre fidate truppe mercenarie spesso, come in questa occasione, causa di razzie e danneggiamenti vari a scapito delle popolazioni locali. Peraltro in questa occasione i militi villani del colonnellato di Ventimiglia si trovavano dislocati in Ventimiglia città a protezione del "capoluogo" contro possibili incursioni sabaude anche via mare: è da dire per completezza delle riflessioni che non tutti i giudizi furono univocamente positivi sui militi villani anche se occorre dire che in varie occasioni guerresche si rivelarono più combattivi ed efficienti dei soldati mercenari ]. Gli abitanti di Camporosso chiesero poi al Parlamento di Ventimiglia un intervento economico per porre riparo ai danni patiti dal borgo ma non venendo soddisfatti portarono avanti decisamente la SCISSIONE DEGLI OTTO LUOGHI: l'erudito ventimigliese Angelico Aprosio era peraltro al corrente delle enormi tensioni tra nobili e popolani intemeli che già avevano determinato un'insurrezione armata antinobiliare nel 1625 e che si stavano proprio ai suoi tempi strutturando legalmente fin all'esito di una
separazione amministrativa delle Ville orientali da Ventimiglia]


Il paese di REZZO è un caratteristico borgo di montagna che si raggiunge da AURIGO ed entrando quindi nella valle della Giara. Si trova a circa 563 m.s.l.m, circondato da boschi che gli conferirono grande fama come luogo salubre per la villeggiatura, tanto che il piccolo paese fu citato nel 1600 dal romanziere BERNARDO MORANDO come luogo ideale in cui ritemprarsi nel corpo e nello spirito: e per questo essendo VILLEGGIATURA ESTIVA di un nobile Clavesana, coprotagonista del romanzo LA ROSALINDA, il paese è elogiato come uno dei luoghi più ameni di tutta la LIGURIA.
Il nome del borgo non aiuta molto a comprendere la sua genesi: i documenti più antichi in cui esso è documentato risalgono al 1202 (HOMINES VALLIS REZII), allorquando la
valle d'Arroscia,
il paese ed il castello di Rezzo prestarono fedeltà a Genova, ed al 1259 (IN REZIO) anno in cui Genova stipulò un atto d'acquisto di metà del feudo di Rezzo caratterizzato quindi soprattutto da una ricca storia medievale.
E' comunque sostenibile in linea teorica che il toponimo si sia evoluto da un prediale romano, derivante dal gentilizio Raetius: logicamente non si può far cenno ad un insediamento romano complesso in questa zona ma non è impossibile ritenere che vi sia stata eretta una struttura agricola, un'azienda retta da manodopera servile più che una VILLA RURALE PSEUDOURBANA.
Resta tuttavia sintomatico il fatto documentato dalle moderne ricerche che, contro le opinioni della storiografia del secolo scorso -peraltro ancora troppo spesso assunta come punto di riferimento ai giorni nostri- le valli del Ponente ligure furono caratterizzate da insediamenti di aziende rurali romane che hanno lasciato tracce toponomastiche e talora archeologiche (ciò vale per i complessi rurali della VALLE DEL NERVIA ma altrettanto si è riscontrato nell'area tra SANREMO, TAGGIA E BUSSANA COL RELATIVO ENTROTERRA e lo stessso ancora si è evidenziato in altri siti, non escluse zone un tempo giudicate estranee alla romanità e dove invece sono venuti alla luce reperti importanti di insediamenti romani come nel caso di VILLA FARALDI nell'entroterra dianese).
Ragioni VIARIE DI PORTATA EUROPEA o semplicemente di INTERESSE REGIONALE e/o LOCALE, connesse all'incremento dei COMMERCI nel mercato aperto dell'IMPERO DI ROMA favorirono infatti il fiorire dei traffici e l'incremento demografico in LIGURIA OCCIDENTALE divenuta importante area di transizione verso la PROVENZA ed il PIEMONTE cui comunicava sicuramente per via di TRE IMPORTANTI PERCORSI.
La posizione di REZZO come detto nella valle che per il passo di Teglia mette in comunicazione la valle d'Oneglia e la valle di ARROSCIA nella romanità dovette avere un'importanza superiore a quanto si sia sempre pensato: il sito su cui è sorto REZZO ha un'evidente valenza strategica e viaria che non può esser sfuggita agli ingegneri di ROMA che notoriamente sfruttavano tutte le varianti viarie, anche quelle escogitate dai POPOLI che li avevano preceduti nel controllo di un determinato territorio.
Se ai Romani il controllo del sistema viario principale e secondario serviva soprattutto per i commerci e il traffico di una moltitudine di viandanti, nel Medio Evo prese a valere principalmente l'elemento strategico-militare: ed è fuor di dubbio che REZZO sorse in una zona che permetteva di controllare e dominare un ampio territorio ed il relativo sistema dei percorsi.
Questa ragione ha forse determinato il fatto che i FEUDATARI CLAVESANA vi abbiano eretto un castello e che successivamente il controllo di questo sia passato a GENOVA destinata a far sua tutta la LIGURIA.
Contemporaneamente però REZZO sorgeva molto a nord e non lontano dai GIOGHI dove il PIEMONTE ed i SAVOIA storicamente facevano pressione militare per potenziare quei tragitti mare-monti che per esempio si erano procurati (e che miravano ad ampliare) col controllo di ONEGLIA E DELLA SUA VALLE.
Questi contrasti militari tra Genova ed il Piemonte determinarono scaramucce e conflitti veri e propri: tra questi è importante ricordare la GUERRA DEL 1672 che contrappose il Piemonte Sabaudo e Genova proprio per contrasti sul controllo di CENOVA frazione di REZZO e questo paese ebbe distrutto il CASTELLO MEDIEVALE.
Il CASTELLO di REZZO che attualmente si può ammirare (del precedente rimangono solo pochi ruderi) fu opera di fine XVIII secolo realizzata dagli INGEGNERI DI GUERRA DI GENOVA: si tratta di uno dei più importanti esempi liguri di CASA-FORTEZZA.