Visitando OSTIA ANTICA e continuando a procedere su via della Fontana, voltando finalmente su via della Palestra, si raggiunge la CASERMA DEI VIGILI DEL FUOCO: sede di un CORPO DI PRONTO INTERVENTO rivelatosi fondamentale per la pubblica salute e di cui la maggior parte delle informazioni, oltre che dall'archeologia, ci derivano dalla RUBRICA XV del I LIBRO del DIGESTO (PANDETTE) fatto redigere dall'IMPERATORE GIUSTINIANO I IL GRANDE.
Per molti secoli, successivi alla caduta dell’Impero, non si hanno che notizie poco dettagliate riguardo all’esistenza di gruppi organizzati per fronteggiare gli incendi. Si è a conoscenza dell’esistenza di gruppi di uomini organizzati per il servizio antincendi, ed appartenenti alle Gilde, associazioni dei cittadini e artigiani dei primi comuni del Medioevo.
I più antichi architetti romani di cui si abbia ricordo nella tradizione storica, sembra siano stati i pontefici, se è vero che il loro nome deriva dalla costruzione del ponte Sublicio. Se è così, l'esercizio della grande architettura di stato doveva essere una funzione statale e gli architetti dei pubblici ufficiali. Ma nelle fonti non esiste traccia di architetti pubblici, civili, con ufficio stabile presso l'amministrazione dello stato, così si è creduto di poter congetturare che per le opere pubbliche di carattere non militare, prevalesse, così a Roma come nei municipi, il sistema dell'appalto e che gli appaltatori Chiamati redemptores (fossero o no architetti essi medesimi), provvedessero a tutto; mentre per i lavori aventi carattere di pubblica utilità, e specialmente per quelli di indole militare (ponti, strade, fortificazioni), lo stato provvedeva direttamente, servendosi di militari per la loro esecuzione. Poiché questi lavori di carattere pubblico e militare furono da principio i più importanti in Roma, si sono dedotte le seguenti conclusioni. 1. in origine l'architettura in Roma non fu un'arte, ma un ufficio, esercitato dallo stato; quando in seguito penetrò dalla Grecia in Roma l'architettura artistica, questa rimase completamente distinta e separata dalla prima. Di qui la teoria di una netta permanente distinzione tra l'ingegneria e l'architettura propriamente detta e la teoria di una netta distinzione fra la tradizione costruttiva romana e l'architettura formale esteriore, di facciata o di rivestimento.
Contemporaneo di Cesare e di Augusto, Vitruvio ricorda spesso nella sua opera il primo, la quale è dedicata al secondo in segno di ringraziamento e, quasi, di disobbligo per i benefici avuti ad intercessione di Ottavia, sorella di Augusto. La sua epoca di appartenenza è stata identificata avvalendosi delle notizie riportate nel "De Architectura". Infatti egli nomina Ottaviano come Caesar, Imperator, Imperator-Caesar, quindi prima del 27 a.C.
M. VITRUVI POLLIONIS
Purtroppo questa organizzazione di soccorso fu del tutto assente nell'ETA' MEDIEVALE: e del resto già all'epoca giustinianea pare abbandonata o in grave crisi.
Solo a partire dal XIII secolo, seppur lentamente e saltuariamente, l'attività di spegnere gli incendi si rese irrinunciabile, determinando l'istituzione delle prime esili ORGANIZZAZIONI DI SOCCORSO da cui avrebbe poi preso il via solo con Napoleone la storia organizzata dei POMPIERI che avrebbero recuperato il nome latineggiante di VIGILI DEL FUOCO nella rinascita del culto della romanità, fra gli altri caldeggiata da Gabriele D'Annunzio
= come detta il nome era loro compito primario quello di combattere gl INCENDI anche se del loro apporto ci si avvaleva in occasione della tante CALAMITA', NATURALI E NON, CHE POTEVANO ACCADERE.
La CASERMA OSTIENSE dell'immagine venne edificata relativamente tardi rispetto alle consimili STRUTTURE RISERVATE AI VIGILI DI ROMA verso il 90 d.C.: tuttavia la gravità e ripetitività degli INCENDI ne rese inevitabile l'istituzione.
Nelle città minori e provinciali un così ramificato SISTEMA DI PRONTO INTERVENTO non era attivo ma comunque, prendendo ad esempio il caso tipologico di Ventimiglia Romana, i VIGILES vi esistevano, in contingenti certo meno corposi, e dipendevano dalla stessa amministrazione municipale, direttamente dai MAGISTRATI -CON LORO SPECIFICO PERSONALE- PREPOSTI ISTITUZIONALMENTE ALLA TUTELA DEL PATRIMONIO come nel caso di MUNICIPIUM DI ALBINTIMILIUM (VENTIMIGLIA ROMANA E AREA DI COMPETENZA)
L'attuale stato dipende da una ristrutturazione dell'epoca di Adriano.
Nell'EDIFICIO stava il CORPO DEI VIGILI DEL FUOCO, il cui PRIMO e BASILARE, ma non UNICO COMPITO secondo la normativa imperiale, era quello di spegnere gli incendi che danneggiavano non solo le case ed i magazzini, di grano e merci varie: la graduale constatazione che lo sviluppo di incendi fosse causato dalle più svariate forme di criminalità ma anche di estemporanea violenza o di colpevole trascuratezza civile fece sveltamente evolvere nel CORPO una contestuale FUNZIONE DI VIGILANZA E POLIZIA URBANA
Solo alla fine del I sec. d.C. fu però organizzato il DISTACCAMENTO STABILE DI OSTIA, comandato da un tribuno, composto da 400 vigiles: esso ebbe origine come DISTACCAMENTO DELLA SETTIMA COORTE DI ROMA
L'edificio in origine aveva almeno due piani ed era caratterizzato da un CORTILE PORTICATO sul quale si aprivano, come si può constatare, stanze e cameroni.
All'interno stava un cortile, in cui nel 207 d.C. fu ricavato l'augusteo, per il culto delle famiglie imperiali.
Sul pavimento è tuttora conservato un mosaico in bianco e nero che rappresenta una scena di sacrificio di un toro.
All'interno dell'ingresso principale si individuano i reperti ben conservati di una latrina fornita dei tipici sedili di marmo.
Esternamente su via dei Vigili si conservano DUE MOSAICI con raffigurazione di crateri.
Dobbiamo arrivare alla prima metà del quattordicesimo secolo, nel 1344, dove abbiamo notizie più dettagliate sull’esistenza di un “Corpo della Guardia del Fuoco” che viene istituito a Firenze, e che per due secoli resterà un modello per tutta l’Europa. Nel 1416 i magistrati della Repubblica Fiorentina emanarono lo statuto intitolato “De modo et forma circa extinguendum ignem in civitate Florentie”.
Servizi antincendio furono affidati anche alle Corporazioni dei Brentatori, osti e gestori di locande e, come tali dotati di botti per il trasporto dell’acqua. Nel 1676 vengono istituite a Venezia le “Guardie del Fuoco”, servizio affidato ai facchini. A Roma , nel 1738, il servizio antincendi viene affidato a maestri muratori e falegnami armati di enormi siringhe con cui schizzare l’acqua a distanza. Questi maestri artigiani vennero detti “Focaroli”, in relazione al servizio antincendio svolto. Nella seconda metà del Settecento si vedono le prime pompe azionate manualmente. Vittorio Amedeo di Savoia istituisce la Reale Compagnia dei Brentatori, 150 soldati scelti tra carpentieri, falegnami e muratori.
Tra il 1809 e il 1824 si istituiscono i primi Corpi Pompieri a Firenze, Roma, Milano e Torino. A Roma, nel 1810, sotto la dominazione Francese, fu istituito un “Corpo Pompieri” organizzato a somiglianza del Corpo dei Pompieri di Parigi, che venne mantenuto anche dopo il ritorno del Governo Papale in seguito al Congresso di Vienna del 1814. Con un Editto del 10 dicembre 1811, Napoleone istituisce a Milano la compagnia dei Zappatori Pompieri, composta da 1 Capitano, 1 Tenente, 1 Sergente maggiore, 3 Sergenti, 1 Caporale foriere, 6 Caporali, 6 Vicecaporali, 49 Zappatori-pompieri, 1 Tamburino, 1 Guardiamagazzino, 2 Capi operai, per un totale di 72 persone. Cambiano anche le uniformi: l’uso di elmetto con la cresta, adottato per la prima volta dopo il 1870 dai vigili romani viene diffuso alle altre città dell’Italia.
Durante la seconda guerra mondiale i pompieri italiani, rimasti al proprio posto, proseguirono l'opera di soccorso e solidarietà verso la popolazione ed approfittando della libertà di movimento data dalla divisa e dai mezzi di soccorso contribuirono alle azioni partigiane dei GAP e delle SAP (gruppi e squadre di azione patriottica), trasportando armi e viveri, rifugiando ebrei, alleati e clandestini politici. Per queste azioni furono numerosi i Vigili arrestati, deportati e caduti in combattimento. Si ricordano a questo proposito le quattro giornate di Napoli al fianco degli insorti ed a Torino dove quaranta Vigili persero la vita durante la liberazione della città.
Durante la I grande guerra, l’organigramma dei Vigili del Fuoco è configurato per prenderne parte e rispondere alle esigenze. La Legge n.2472 dell’ottobre 1935, getta le fondamenta di un edificio ancora in piedi: i Vigili del Fuoco vengono organizzati su base provinciale, con la relativa istituzione dei Corpi in ogni città e di distaccamenti nei centri abitati più importanti. L’espressione pompiere viene abolita con la Legge n.1021 del giugno 1938. La nuova denominazione “Vigili del Fuoco” sembra che la si debba a Gabriele D’Annunzio.
Il Regio Decreto Legge n.333 del febbraio del 1939, reca nuove norme per l’organizzazione dei Servizi Antincendi tra cui: la protezione aerea e la dislocazione di forze a disposizione dell’Esercito per i bisogni della difesa territoriale e assegna precisi compiti ai Comandanti provinciali. Quella del 1939 rappresenta la sintesi di un percorso legislativo e giuridico risalente a quattro anni prima, quando, in seno al Ministero dell’Interno, fu istituito l’Ispettorato Centrale Pompieri. Cambia la società, i suoi principi ispiratori, l’organizzazione si adegua centralizzando i propri servizi. Un’altra Legge la n.833, per un principio di omologazione dell’attività antincendio ad un solo prototipo organizzativo statale e centralizzato vieta la costituzione di altri corpi pubblici dei pompieri.
Arriviamo alla n.960 del maggio 1939 che istituisce la cassa del servizio antincendio presieduta dal Direttore Generale.
In piena guerra si predispone il trattenimento in servizio permanente di tutti i vigili del fuoco con la legge n.1416 dell’ottobre 1940, richiamando in servizio i volontari e i pensionati.
Una norma successiva, la n. 1570 del dicembre 1941, definisce ancora meglio i compiti istituzionali dei vigili del fuoco.
Concludendo il nostro percorso legislativo arriviamo al 1961. Il 13 maggio è promulgata la legge n.469, i Corpi Provinciali istituiti nel 1935 vengono soppressi. Nasce il Corpo dei Vigili del Fuoco suddiviso in: Ispettorati di zona, Comandi Provinciali, Distaccamenti, Posti di vigilanza. I compiti sono tanti: tra essi l’addestramento e l’impiego di unità preposte alla protezione della popolazione anche in caso di guerra.
Con la legge n.996, dell’8 dicembre del 1970, nasce la Protezione Civile. La Direzione Generale dei Servizi Antincendi diventa Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendi. Venti giorni dopo segue la Legge n. 1077: decadono per legge le vecchie denominazioni militari sostituite dalle moderne locuzioni di Capo Reparto, Capo Squadra, Vigile Permanente e così via.
Nel dicembre 1980, Legge n.930, si istituiscono gli Ispettorati Aeroportuali e Portuali: Nord, Centro e Sardegna, Sud e Sicilia. L’organigramma del Corpo Nazionale si amplia, nasce lo STAC: il cosiddetto Supporto Tecnico, Amministrativo e Contabile.
Nel 1982, la Protezione Civile si doppia. E’ istituito il Dipartimento di Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nel 1992 la legge 225 istituisce il Servizio Nazionale di Protezione Civile di cui i Vigili del Fuoco sono la componente fondamentale.
Fossero o no militari, gli addetti alle opere edilizie eseguite direttamente dallo stato, è certo comunque che non possono essere stati degli improvvisatori. Anche se le opere di fortificazione erano ideate dalle supreme autorità militari, la loro esecuzione richiedeva la collaborazione d'un personale tecnico specializzato d'indiscutibile valentia, il quale non poteva formarsi se non attraverso una preparazione lunga e accurata.
L'esempio di VITRUVIO , che era stato avviato alla professione di architetto prima che servisse nella milizia, è molto istruttivo in proposito. Se è vero, dunque, che l'architettura romana di stato fosse un ufficio, difficilmente si può supporre che non vi fosse addetto un personale stabile, se non di diritto per lo meno di fatto.
E' indubbio che l'architettura romana ebbe sempre carattere di utilità e che l'uso di determinati mezzi tecnici lini per stabilire particolari tradizioni costruttive; che gli architetti siano riusciti più originali nella concezione d'insieme che nella decorazione ;che per gli elementi decorativi prendessero a prestito motivi già esistenti nell'arte greca o che si giovassero della collaborazione di artisti greci, questo non comporta necessariamente la scissione tra ingegneri ed architetti nel senso che i primi attendessero ai lavori che si eseguivano per conto dello stato e gli altri ai lavori che si eseguivano per conto di privati. Il professionista di cui parliamo è dunque una figura complessa . architetto-ingegnere-meccanico.
Egli è al vertice di una gerarchia che comprende tutti gli addetti alle macchine, sia quelli che le costruiscono che quelli che le mettono in opera. Egli è architehton cioè "capocostruttore", non eroga forza , né in generale opera personalmente. dirige e organizza i lavori, sa valutare la qualità e adeguatezza dei pezzi e interviene correggendo gli errori dovuti ai limiti di capacità dei singoli addetti.
Una legge vietava che sugli edifici s'inscrivessero altri nomi che non fossero del principe o di chi avesse fatto le spese; questa è forse la principale ragione per cui i nomi degli architetti romani ci sono quasi completamente sconosciuti, è soltanto dalle fonti che conosciamo i nomi degli architetti pus importanti collegati alle opere da essi create. Per loro tramite divennero famosi Severo e Celere gli architetti di Nerone che per lui crearono una residenza degna del padrone del mondo. la Domus Aurea, con il magnifico triclinio della sala ottagona a sfondo della quale, riflettendo nella sua mobile corsa le luci della sala, scivolava una monumentale cascata, ed il grandissimo parco in cui tutte le acque della zona, raccolte in mille ruscelli e cascatelle, andavano ad alimentare il famoso lago, poi prosciugato dai Flavi per costruire il Colosseo.
Sempre le fonti ci parlano di Rabirio, l'architetto di Domiziano che per lui costruì sia la Domus Albana che quella Flavia, tutte e due con le sue imponenti aule, con i loro ninfei ed i giardini dalle mille forme compresi quelli foggiati a stadio. Numerose opere ci vengono poi tramandate dell'architetto Apollodoro di Damasco che svolse la sua maggiore attività sotto il regno di Traiano ( 97-117 d. C. ). Procopio ( De Aedif ., IV ) ,che per altri "maestri " al servizio di imperatori ricorre ai termini di "mechanicos" o di "mechanopoios", si serve per il solo Apollodoro della parola architekton, sfumatura notevole che mette in risalto la figura di architetto nel vero senso della parola, che lavora in completa indipendenza e non quale semplice tecnico o funzionario imperiale.
L'evoluzione delle tecniche costruttive accelera il processo di unificazione tra architetto ed ingegnere e Apollodoro si trova alla svolta Ultimo dei grandi architetti, primo degli ingegneri All'ingegnere dobbiamo la prima delle sue opere sicuramente note, il ponte gettato sul Danubio nei pressi di Drobeta nel 104, prima della seconda guerra dacica. L'opera dell'architetto fu di gran lunga più considerevole; egli infatti concepì o ispirò la maggior parte degli edifici voluti da Traiano.
Il suo capolavoro fu il foro di Traiano. un arco di trionfo immetteva nella piazza del foro delimitata da un colonnato al cui centro era la statua equestre di Traiano. Due emicicli si aprivano ai lati della piazza, il cui fondo era costituito dalla basilica Ulpia, oltre la quale si entrava in una corte, ove si ergeva la colonna fiancheggiata dalle due biblioteche, la latina e la greca.
A ridosso del foro erige i mercati traianei nei quali si svolgevano le attività commerciali gestite dallo stato, opera perfettamente funzionale e ambientalmente armonica. Gli architetti fin qui citati erano tutti stranieri, essi venivano da tutte le parti dell'impero, con una maggioranza di greci o di cittadini del mondo ellenizzato. I romani veri e propri furono molto pochi; è vero che, come scrisse Cicerone, la professione dell'architetto non era tra quelle liberali, le poche in cui un patrizio romano potesse cimentarsi; ma conosciamo un certo numero di romani che per passione vi si dedicarono.
Tra i pochi architetti romani di nascita e liberi, a parte Vitruvio, uno fra tutti eccelse. si tratta dell'imperatore Adriano al quale sono attribuiti moltissimi capolavori. Tra tutti domina il Pantheon, 1' Olympeion di Atene, il suo mausoleo sulla riva destra del Tevere ( oggi Castel Sant' Angelo ), e la splendida Villa Adriana a Tivoli. Malgrado questi insigni esempi c'era chi a Roma li dileggiava. il poeta latino Marziale (40-102 circa ) scriveva a chi doveva affidare l'educazione di un figlio. " Fa' che diventi un citaredo o un flautista del coro; se poi il ragazzo è duro di comprendonio fanne un banditore o un architetto.
Afferma VITRUVIO (libro I) che la FORMAZIONE PROFESSIONALE dell'architetto avviene attraverso la teoria e la pratica, ma di scuole vere non si hanno notizia se non per epoche molto tarde. Lampridio testimonia che spetta ad Alessandro Severo il merito di aver istituito delle scuole (auditorio), come per altri Professionisti, così anche per gli architetti, con l'assegnazione di vettovaglie agli scolari poveri.
Purché di condizione ingenua, e provvedimenti analoghi prese in seguito Costantino Sulla figura dell'architetto-ingegnere-meccanico conviene però operare una differenziazione tra coloro in cui la componente teorica e scientifica della meccanica ebbe un peso prevalente e quelli in cui fu solo secondaria.
I primi anche se eventualmente operarono come costruttori, nel momento in cui composero trattati avevano alle spalle istituti di istruzione superiore, come il Museo di Alessandria; scrissero perciò come deve un professore di tali scuole. I secondi invece non avevano un riferimento istituzionale di quel tipo, e l'organizzazione dei loro trattati è diversa.
La figura più rappresentativa dei primi è Erone di Alessandria, dei secondi Vitruvio. Il principale dei trattati di Erone (vissuto nel I sec. d. C. ), la Meccanica, in tre libri, ha un ordine interno molto nitido e mostra nel modo più chiaro l'insieme di competenze dell'architetto-ingegneremeccanico antico.
Egli disegna gli edifici e le macchine eventualmente producendo grafici e modelli in scala, comprende il funzionamento delle macchine, e su questa base progetta all'occorrenza la macchina adeguata ad una data situazione, essendo capace di affidare la produzione di singole parti a un'officina specializzata, perché è in grado di prescrivere le dimensioni richieste.
Con il romano VITRUVIO (I sec. d. C.) , nel campo dell'ARCHITETTURA CLASSICA viene meno l'elegante impianto della Meccanica eroniana; nella sua esposizione, i principi teorici restano sullo sfondo e piuttosto sfocati. Vitruvio dedica alle MACCHINE il libro X del suo De Architectura, il cui primo capitolo è l'unico testo latino dedicato alle macchine come tali; nel seguito , è del valore dell'architetto-meccanico che si tratta: all'IDRAULICA è invece dedicato il CAPITOLO OTTAVO dello stesso libro.
Vitruvio, invece che accennare ai contenuti del sapere meccanico, parla della sua origine divina : esso è nato imitando la natura sotto la guida dei moti celesti. Nel proseguio del libro X la trattazione delle macchine ha un carattere fondamentalmente descrittivo. Questo non vuol dire che Vitruvio non disponesse personalmente di un bagaglio di competenze pari a quello che Erone trasmetteva nella sua " Meccanica "; significa piuttosto che nell'area in cui il suo trattato era inteso circolasse non c'erano destinatari, per i quali fosse previsto un curriculum di studi del tipo di quello implicito nei destinatari dei libri di Erone. Su questo sfondo acquista una determinazione più precisa l'affermazione che Vitruvio sia stato essenzialmente un "pratico".
E' un luogo comune anche in questo campo la contrapposizione tra Greci "teorici" e romani, "pratici". non esiste , infatti, una trattatistica scientifica romana comparabile con quella greca.
La ragione di questa differenza storica consiste nel fatto che non ci furono a Roma istituzioni scientifiche paragonabili con il Museo di Alessandria, e in mancanza di esse non ci furono le condizioni per scrivere trattati come la "Meccanica" eroniana, né in generale si costituì una figura di scienziato comparabile a quella presente nella cultura di lingua greca.
L'architetto e ingegnere militare Vitruvio scrive nel momento del trionfo augusteo, rivendicando un riconoscimento e un ruolo per le proprie capacità e la propria figura sociale.
A questa concezione si oppone Seneca, ministro della corte giulio-claudia, secondo il quale non c'è nessun rapporto tra il sapere che è all'origine delle tecniche e delle macchine, e il sapere che verte sul bene vero e proprio per gli uomini, l'acquisizione della virtù e la vita vissuta saggiamente. Per la mentalità presente in Roma, più che la posizione estrema di un Seneca, sono significative le parole di Cicerone, il cui "uomo buono" è la figura idealizzata del cittadino di rango elevato chiamato a ruoli di governo. Da un passo del Dei doveri. "Illiberali e meschini sono gli impieghi di tutti i lavoranti a mercede, dei quali sono comprati gli sforzi, non le abilità. la loro stessa mercede è un arruolamento a una schiavitù. Tutti gli artigiani svolgono un'attività meschina. in un'officina non può esserci nulla di nobile. E non sono affatto rispettabili quei mestieri che provvedono ai piaceri. "pescivendoli, macellai, cuochi, ingrassapolli, pescatori", come dice Terenzio; e se vuoi aggiungerci i profumieri, i danzatori e tutti i più indi mi ballerini. Quanto alle attività nelle quali c'è amore perizia o dalle quali si ricava un'utilità non piccola - come la medicina, l'architettura, l'insegnamento delle cose degne, queste sono onorevoli per quelli, al cui rango sono appropriate".
Della PROGETTAZIONE di epoca romana conosciamo vari esempi di disegni progettuali fatti in scala, il più importante è certamente la gigantesca Forma Urbis
Unica è poi la pianta in mosaico emersa a Roma, presso via Marsala, da alcuni scavi dell'Ottocento. Si tratta di tre frammenti di un pavimento sul quale era stata riportata la pianta di un impianto termale, un edificio che in grandezza naturale avrebbe avuto un lato di 24. m. e che presentava varie sale dotate di vasche. Questa pianta è la riproduzione fedele di una pianta esecutiva perfettamente in scala , per l'esattezza in scala 1/16. Poi, in ogni suo ambiente si vedono segnate le misure di larghezza e lunghezza, espresse in piedi romani di 0,296 cm. Siamo quindi in presenza di una pianta precisa, policroma, con dettagli tecnici come quelli delle canalizzazioni.
Tra i modellini veramente collegati ad un progetto se ne conoscono tre: due progetti di templi (uno in marmo e l'altro in pietra), e il modello di marmo di uno stadio.
Oltre queste testimonianze ,abbiamo una ricca documentazione nella numismatica.
Rappresentazioni di modellini si trovano sul rovescio di alcune monete emesse dalle zecche provinciali dell'impero. E' verosimile che gli incisori romani dei conii potessero non soltanto vedere il monumento reale ma qualche volta il progetto, se non addirittura il modello in scala ridotta. La minuziosa rappresentazione dell'anfiteatro Flavio sui sesterzi di Tito dell' 80 d. C. ci mostra infatti il monumento ultimato, e addirittura già concluso dall'attico che invece sappiamo essere un'aggiunta successiva del fratello Domiziano. L'attenta rappresentazione dell'ordine pieno a finestre e scodi alternati, con travi lignee poste sul coronamento dell'ellisse per il funzionamento del velarium, può spiegarsi soltanto come la riproduzione sul conio del modello o del disegno di progetto dell'anfiteatro, con il chiaro intento di rivendicare a Tito il merito della realizzazione dell'intero edificio, divenuto nel tempo il simbolo di Roma e dell'abilità costruttiva romana. a cura della I E a.s. 1996/97
. Ricorda inoltre il Tempio di Cerere che cessò di esistere nel 31 a.C., e cita come ancora esistente il Porticus Metelli, portico che fu distrutto poco dopo il 27 a.C. per la costruzione del Porticus Octaviae, che egli ignora.
Anche il luogo della sua nascita è incerto. Molte città italiane, come Verona, Piacenza, Fano e Formia, si contendono i natali dell’architetto, ma Formia è l’unica delle città sopracitate ad avere documenti che provino l’origine formiana della gens Vitruvia e di Vitruvio Pollione in particolare. Numerose sono infatti le epigrafi che riportano il nome di Vitruvio e che sono state ritrovate nei pressi di Formia. nella Villa Rubino, nel giardino Pecorini a Vendicio, nella Porta a Mare a Gaeta, sotto il ponte spagnolo di Rialto all’ingresso di Castellone e su di un monumento sulla via Appia tra Formia e Gaeta.
Di natura timido, Vitruvio non ricevette dalla sua professione quelle soddisfazioni che, per la sua cultura e la sua dirittura morale, egli contava di meritare. "altri più audaci di me conseguiranno fama e ricchezze; io ho sempre ritenuto doversi piuttosto ricercare il buon nome nella povertà che l'abbondanza coll’infamia. Però mi è mancata anche la fama; sono poco conosciuto e non mi resta che sperare nei posteri. Così succede del resto a quelli che come me hanno aspettato di essere chiamati a costruire opere, invece di mettersi in mostra e provocare gli inviti" (VI, praef., 5).
Vitruvio ritiene che non si possa essere un buon architetto senza avere conoscenze delle altre discipline. chi vuole riuscire bene in una determinata arte deve avere una conoscenza almeno teorica di principi delle altre arti, perché tutte sono connesse tra di loro; allo specialista di ciascuna arte rimane poi affidata la realizzazione pratica dell’oggetto dell'arte stessa.
Inoltre Vitruvio pone in rilievo la connessione che esiste tra scienza e tecnica, tra le scoperte teoriche dei matematici e dei fisici e le applicazioni sul terreno pratico. Il concetto per noi moderni è ovvio, ma non così per gli antichi, presso i quali i campi della speculazione scientifica e della applicazione tecnica rimangono separati, con l'eccezione di Archimede. Vitruvio cerca di reagire alla scarsa considerazione sociale in cui i tecnici erano tenuti nell'antichità greco-romana, e di dimostrare la dignità culturale della professione di architetto; probabilmente egli riflette l'ascesa sociale della categoria dei tecnici nella nuova società imperiale. Degna di nota ancora è la concezione positiva che Vitruvio ha del progresso umano.
Vi è innanzitutto il concetto che il sapere si accresce attraverso il tempo, e che le esperienze accumulandosi durante la storia della cultura umana portano allo sviluppo delle facoltà spirituali, al perfezionamento delle arti e dei loro prodotti. I fattori del progresso secondo Vitruvio sono molteplici, e le esigenze del benessere materiale si intrecciano con i fatti spirituali e con la natura creativa dello spirito umano. L'architettura è da lui considerata la scienza che più di ogni altra ha contribuito a condurre gli uomini alla civiltà, perché la scoperta delle abitazioni ha portato gli uomini a riunirsi nella vita civile. Una risultante del progresso tecnico è secondo lui la crescente divisione e specializzazione del lavoro.
Che egli sapesse il greco parrebbe ovvio, e dai suoi postulati di cultura enciclopedica e dalle molte parole greche citate, alcune delle quali non si trovano nei testi greci a noi pervenuti e sono testimoniate solo da Vitruvio, a meno che tutto ciò non serva appunto di ingenuo schermo per coprire l'incertezza nell'uso del greco e l'incapacità di tradurne l'intimo significato. Certo è che manca la sicura documentazione di versione diretta, anche soltanto di alcune parti, da un testo greco, fenomeno invece largamente accertato e criticamente sfruttato per Plinio il Vecchio. Vitruvio scrive direttamente nel suo disadorno e difficile latino arcaico dell'ultima Repubblica. o compone egli stesso il testo o lo deduce da altri testi già latini; forse quaderni di tipo manuale e artigianesco, più che testi veri e propri. E non si è formato un unus e uno stile proprio, né può dirsi che conosca la techne di scrivere, pur adoperando usualmente i termini della retorica applicati all'architettura, come erano in Grecia applicati alla scultura, alla pittura, alla musica. Pertanto, quando si parla delle fonti probabili di Vitruvio, è giusto e significativo che questa probabile e possibile fonte sia greca, sia tardo-ellenista, sia permeata largamente di filosofia e di retorica; ma nessuno potrà mai appurare se Vitruvio ne abbia attinto direttamente e non si sia avvalso piuttosto di riassunti e di manuali già tradotti e adattati per i costruttori latini .
DE ARCHITECTURA
Liber Decimus Ultimusque
Praefatio
[1] Nobili Graecorum et ampla civitate Ephesi lex vetusta dicitur a maioribus dura condicione sed iure esse non iniquo constituta. Nam architectus, cum publicum opus curandum recipit, pollicetur, quanto sumptui adsit futurum. Tradita aestimatione magistratui bona eius obligantur, donec opus sit perfectum. Absoluto autem, cum ad dictum inpensa respondit, decretis et honoribus ornatur. Item si non amplius quam quarta in opere consumitur, ad aestimationem est adicienda, de publico praestatur, neque ulla poena tenetur. Cum vero amplius quam quarta in opere consumitur, ex eius bonis ad perficiendum pecunia exigitur.
[2] Utinam dii inmortales fecissent, ea lex etiam [a] P[opulo] R[omano] non modo publicis sed etiam privatis aedificiis esset constituta! Namque non sine poena grassarentur inperiti, sed qui summa doctrinarum subtilitate essent prudentes, sine dubitatione profiterentur architecturam, neque patres familiarum inducerentur ad infinitas sumptuum profusiones, et ut e bonis eicerentur, ipsique architecti poenae timore coacti diligentius modum inpensarum ratiocinantes explicarent, uti patres familiarum ad id, quod praeparavissent, seu paulo amplius adicientes, aedificia expedirent. Nam qui quadringenta ad opus possunt parare, si adicient centum, habendo spem perfectionis delectationibus tenentur; qui autem adiectione dimidia aut ampliore sumptu onerantur, amissa spe et inpensa abiecta, fractis rebus et animis desistere coguntur.
[3] Nec solum id vitium in aedificiis, sed etiam in muneribus, quae a magistratibus foro gladiatorum scaenicisque ludorum dantur, quibus nec mora neque expectatio conceditur, sed necessitas finito tempore perficere cogit, id est sedes spectaculorum velorumque inductiones sunt et ea omnia, quae scaenicis moribus per machinationem ad spectationis populo conparantur. In his vero opus est prudentia diligens et igenii doctissimi cogitata, quod nihil eorum perficitur sine machinatione studiorumque vario ac sollerti vigore.
[4] Igitur quoniam haec ita sunt tradita et constituta, non videtur esse alienum, uti caute summaque diligentia, antequam instituantur opera, eorum expediantur, rationes. Ergo quoniam neque lex neque morum institutio id potest cogere et quotannis et praetores et aediles ludorum causa machinationes praeparare debent, visum mihi est, imperator, non esse alienum, quoniam de aedificiis in prioribus voluminibus exposui, in hoc, quod finitionem summam corporis habet constitutam, quae sint principia machinarum, ordinata praeceptis explicare.
Caput Primum
[1] Machina est continens e materia coniunctio maximas ad onerum motus habens virtutes. Ea movetur ex arte circulorum rutundationibus, quam Graeci cyclicen cinesin appellant. Est autem unum genus scansorium, quod graece acrobaticon dicitur; alterum spirabile, quod apud eos pneumaticon appellatur; tertium tractorium, id autem Graeci baru ison vocitant. Scansorum autem machinae ita fuerunt conlocatae, ut ad altitudinem tignis statutis et transversariis conligatis sine periculo scandatur ad apparatus spectationem; at spirabile, cum spiritus ex expressionibus inpulsus et plagae vocesque organicos exprimantur.
[2] Tractorium vero, cum onera machinis pertrahuntur, ut ad altitudinem sublata conlocentur. Scansoria ratio non arte sed audacia gloriatur; ea catenationibus [et transversariis et plexis conligationibus] et erismatum fulturis continentur. Quae autem spiritus potestate adsumit ingressus, elegantes artis subtilitatibus consequetur effectus. Tractoria autem maiores et magnificentia plenas habet ad utilitatem opportunitates et in agendo cum prudentia summas virtutes.
[3] Ex his sunt quae mechanicos alia organicos moventur. Inter machinas et organa id videtur esse discrimen, quod machinae pluribus operis ut vi maiore coguntur effectus habenti, uti ballistae torculariorumque prela; organa autem unius operae prudenti tactu perficiunt quod est propositum, uti scorpionis seu anisocyclorum versationes. Ergo et organa et machinarum ratio ad usum sunt necessaria, sine quibus nulla res potest esse non impedita.
[4] Omnis autem est machinatio rerum natura procreata ac praeceptrice et magistra mundi versatione instituta. Namque ni advertamus primum et aspiciamus continentem solis, lunae, quinque etiam stellarum, natura machinata versarentur, non habuissemus interdum lucem nec fructûm maturitatis. Cum ergo maiores haec ita esse animadvertissent, e rerum natura sumpserunt exempla et ea imitantes inducti rebus divinis commodas vitae perfecerunt explicationes. Itaque conparaverunt ut essent expeditiora, alia machinis et earum versationibus, nonnulla organis, et ita quae animadverterunt ad usum utilia esse studiis artibus, institutis, gradatim augenda doctrinis curaverunt.
[5] Attendamus enim primum inventum de necessitate, ut vestitus, quemadmodum telarum organicis administrationibus conexus staminis ad subtemen non modo corpora tegendo tueatur, sed etiam ornatus adiciat honestatem. Cibi vero non habuissemus abundantiam, nisi iuga et aratra bubus iumentisque omnibus essent inventa. Sucularumque et prelorum et vectium si non fuisset torcularîs praeparatio, neque olei nitorem neque vitium fructum habere potuissemus ad iucunditatem, portationesque eorum non essent, nisi plostrorum seu serracorum per terram, navicularum per aquam inventae essent machinationes.
[6] Trutinarum vero librarumque ponderibus examinatio reperta vindicat ab iniquitate iustis moribus vitam. Non minus quae sunt innumerabili modo rationes machinationum, de quibus non necesse videtur disputare, quando sunt ad manum cotidianae, ut sunt molae, folles fabrorum, raedae, cisia, torni ceteraque, quae communes ad usum consuetudinibus habent opportunitates. Itaque incipiemus de îs, quae raro veniunt ad manus, ut nota sint, explicare.
Caput Secundum
[1] Primumque instituemus de is, quae aedibus sacris ad operumque publicorum perfectionem necessitate comparantur. Quae fiunt ita. Tigna duo ad onerum magnitudinem ratione expediuntur. A capite a fibula coniuncta et in imo divaricata eriguntur, funibus in capitibus conlocatis et circa dispositis erecta retinentur. Alligatatur in summo troclea, quem etiam nonnulli rechamum dicunt. In trocleam induntur orbiculi [duo] per axiculos versationes habentes. Per orbiculum [summum] traicitur ductarius funis, deinde demittitur et traducitur circa orbiculum trocleae inferioris. Refertur autem ad orbiculum imum trocleae superioris et ita descendit ad inferiorem et in foramine eius religatur. Altera pars funis refertur inter imas machinae partes.
[2] In quadris autem tignorum posterioribus, quo loci sunt divaricata, figuntur chelonia, in quae coiciuntur sucularum capita, ut faciliter axes versentur. Eae suculae proxime capita habent foramina bina ita temperata, ut vectes in ea convenire possint. Ad rechamum autem imum ferrei forfices religantur, quorum dentes in saxa forata accommodantur. Cum autem funis habet caput ad suculam religatum et vectes ducentes eam versant, funis [se] involvendo circum suculam extenditur et ita sublevat onera ad altitudinem et operum conlocationes.
[3] Haec autem ratio machinationis, quod per tres orbiculos circumvolvitur, trispastos appellatur. Cum vero in ima troclea duo orbiculi, in superiore tres versantur, id pentaspaston dicitur. Sin autem maioribus oneribus erunt machinae comparandae, amplioribus tignorum longitiudinibus et crassitudinibus erit utendum; eadem ratione in summo fibulationibus, in imo sucularum versationibus expediendum. His explicatis antarii funes ante laxi conlocentur; retinacula super scapulas machinae longe disponantur, et si non erit, ubi religetur, pali resupinati defodiantur et circum fistucatione solidentur, quo funes alligentur.
[4] Troclea in summo capite machinae rudenti contineatur, et ex eo funis perducitur ad palum et quae est in palo trocleam inligata. Circa eius orbiculum funis indatur et referatur ad eam trocleam, quae erit ad caput machinae religata. Circum autem orbiculum ab summo traiectus funis descendat et redeat ad suculam, quae est in ima machina, ibique religetur. Vectibus autem coacta sucula versabitur, eriget per se machinam sine periculo. Ita circa dipositis funibus et retinaculis in palis haerentibus ampliore modo machina conlocabitur. Trocleae et ductarii funes, uti supra scriptum est, expediuntur.
[5] Sin autem colossicotera amplitudinibus et ponderibus onera in operibus fuerint, non erit suculae committendum, sed quemadmodum sucula chelonîs retinetur, ita axis includatur habens in medium tympanum amplum, quod nonnulli rotam appellant, Graeci autem amphieren, alii perithecium vocant.
[6] In his autem machinis trocleae non eodem sed alio modo comparantur. Habent enim et in imo et in summo duplices ordines orbiculorum. Ita funis ductarius traicitur in inferioris trocleae foramen, uti aequalia duo capita sint funis, cum erit extensus, ibique secundum inferiorem trocleam resticula circumdata et contenta utraeque partes funis continentur, ut neque [in dextram neque] in sinistram partem possint prodire. Deinde capita funis referentur in summa troclea ab exteriore parte et deiciuntur circa orbiculos imos et redeunt ad imum coiciunturque infimae trocleae ad orbiculos ex interiore parte et referuntur dextra sinistra; ad caput circa orbiculos summos redeunt.
[7] Traiecti autem ab exteriore parte feruntur dextra sinistra tympanum in axe ibique, ut haereant, conligantur. Tum autem circa tympanum involutus alter funis refertur ad ergatam, et is circumactus tympanum et axem. Se involvendo pariter extendunt, et ita leniter levant onera sine periculo. Quodsi maius tympanum conlocatum aut in medio aut in una parte extrema fuerit sine ergata, calcantes homines expeditiores habere poterunt operis effectus.
[8] Est autem aliud genus machinae satis artificiosum et ad usum celeritatis expeditum, sed in eo dare operam non possunt nisi periti. Est enim tignum, quod erigitur et distenditur retinaculis quadrifariam. Sub retinaculo chelonia duo figuntur, troclea funibus supra chelonia religatur, sub troclea regula longa circiter pedes duos, lata digitos sex, crassa quattuor supponitur. Trocleae ternos ordines orbiculorum in latitudine habentes conlocantur. Ita tres ductarii funes in machina religantur. Deinde referuntur ad imam trocleam et traiciuntur ex interiore parte per eius orbiculos summos. Deinde referuntur ad superiorem trocleam et traiciuntur ab exteriore parte in interiorem per orbiculos imos.
[9] Cum descenderint ad imum, ex interiore parte et per secundos orbiculos traducuntur in extremum et referuntur in summum ad orbiculos secundos; traiecti redeunt ad imum et per imum referuntur ad caput; traiecti per summos redeunt ad machinam imam. In radice autem machinae conlocatur tertia troclea; eam autem Graeci epagonta nostri artemonem appellant. Ea troclea religatur ad trocleae radicem habens orbiculos tres, per quos traiecti funes traduntur hominibus ad ducendum. Ita tres ordines hominum ducentes sine ergata celeriter onus ad summum perducunt.
[10] Hoc genus machinae polyspaston appellatur, quod multis orbiculorum circuitionibus et facilitatem summam praestat et celeritatem. Una autem statutio tigni hanc habet utilitatem, quod ante quantum velit et dextra ac sinistra a latere proclinando onus deponere potest.
Harum machinationum omnium, quae supra sunt scriptae, rationes non modo ad has res, sed etiam ad onerandas et exonerandas naves sunt paratae, aliae erectae, aliae planae in carchesîs versatilibus conlocatae. Non minus sine tignorum erectionibus in plano etiam eadem ratione et temperatis funibus et trocleis subductiones navium efficiuntur.
[11] Non est autem alienum etiam Chersiphronos ingeniosam rationem exponere. Is enim scapos columnarum e lapidicinis cum deportare vellet Ephesi ad Dianae fanum, propter, magnitudinem onerum et viarum campestrem mollitudinem non confisus carris, ne rotae devorarentur, sic est conatus. De materia trientali scapos quattuor, duos transversarios interpositos, quanta longitudo scapi fuerit, complectet et conpeget et ferreos cnodacas uti subscudes in capitibus scaporum inplumbavit et armillas in materia ad cnodacsas circumdandos infixit; item bucculis tigneis capita religavit; cnodaces autem in armillis inclusi liberam habuerunt versationem tantam; ita, cum boves ducerent subiuncti, scapi versando in cnodacibus et armillis sine fine volvebantur.
[12] Cum autem scapos omnes ita vexerunt et instabant epistyliorum vecturae, filius Chersiphronos Metagenes transtulit ex scaporum vectura etiam in epistyliorum deductione. Fecit enim rotas circiter pedum duodenûm et epistyliorum capita in medias rotas inclusit; eadem ratione cnodaces et armillas in capitibus inclusit. ita cum trientes a bubus ducerentur, in armillis inclusi cnodaces versabant rotas, epistylia vero inclusa uti axes in rotis eadem ratione, qua scapi, sine mora ad opus pervenerunt. Exemplar autem erit eius, quemadmodum in palaestris cylindri exaequant ambulationes. Neque hoc potuisset fieri, nisi primum propinquitas esset -- non enim plus sunt ab lapidicinis ad fanum milia passuum octo -- nec ullus est clivus sed perpetuus campus.
[13] Nostra vero memoria cum colossici Apollinis in fano basis esset a vetustate diffracta, et metuentes, ne cederet ea statua et frangeretur, locaverunt ex eisdem lapidicinis basim excidendam. Conduxit quidam Paconius. Haec autem basis erat longa pedes duodecim, lata pedes VIII, alta pedes sex. Quam Paconius gloria fretus non uti Metagenes adportavit, sed eadem ratione alio genere constituit machinam facere.
[14] Rotas enim circiter pedum XV fecit et in his rotis capita lapidis inclusit, deinde circa lapidem fusos sextantales ab rota ad rotam ad circinum compegit, ita uti fusus a fuso non distaret pedem esse unum. Deinde circa fusos funem involvit et bubus iunctis funem ducebant. Ita cum explicaretur, volvebat rotas, sed non poterat ad lineam via recta ducere, sed exibat in unam partem. Ita necesse erat rursus retroducere. Sic Paconius ducendo et reducendo pecuniam contricavit, ut ad solvendum non esset.
[15] Pusillum extra progrediar et de his lapidicinis, quemadmodum sint inventae, exponam. Pixodarus fuerat pastor. Is in his locis versabatur. Cum autem cives Ephesiorum cogitarent fanum Dianae ex marmore facere decernerentque, a Paro, Proconnenso, Heraclea, Thaso uti marmor peteretur, propulsis ovibus Pixodarus in eodem loco pecus pascebat, ibique duo arietes inter se concurrentes alius alium praeterierunt et impetu facto unus cornibus percussit saxum, ex quo crusta candidissimo colore fuerat deiecta. Ita Pixodarus dicitur oves in montibus reliquisse et crustam cursim Ephesum, cum maxime de ea re ageretur, detulisse. Ita statim honores decreverunt ei et nomen mutaverunt. pro Pixodaro Euangelus nominaretur. Hodieque quotmensibus magistratus in eum locum proficiscitur et ei sacrificium facit, et si non fecerit, poena tenetur.
Caput Tertium
[1] De tractoriis rationibus quae necessaria putavi, breviter exposui. Quorum motus et virtutes duae res diversae et inter se dissimiles uti congruentes uti principia pariunt eos perfectus. una porrecti, quam Graeci eutheiam vocitant, altera rutunditatis, quam Graeci cycloten appellant. Sed vero neque sine rutunditate motus porrecti nec sine porrecto rotationis versationes onerum possunt facere levationes.
[2] Id autem ut intellegatur, exponam. Inducuntur uti centra axiculi in orbiculos et in trocleis conlocantur, per quos orbiculos funis circumactus directis ductionibus et in sucula conlocatus vectium versationibus onerum facit egressus in altum. Cuius suculae cardines uti centra porrecti in cheloniis, foraminibusque eius vectes conclusi capitibus ad circinum circumactis torni ratione versando faciunt oneris elationes.
Quemadmodum etiam ferreus vectis cum est admotus ad onus, quod manuum multitudo non potest movere, supposita uti centro citro porrecta pressione, quod Graeci hypomochlion appellant, et lingua sub onus subdita, caput eius unius hominis viribus pressum id onus extollit.
[3] Id autem quod brevior pars prior vectis ab ea pressione, quod est centrum, subit sub onus, et quo longius ab eo centro distans caput eius deducitur. Per id faciundo motus circinationis cogit pressionibus examinare paucis manibus oneris maximi pondus. Item si sub onus vectis ferrei lingula subiecta fuerit neque eius caput pressione in imum, sed adversus in altitudinem extolletur, lingula fulta in areae solo habebit eam pro onere, oneris autem ipsius angulum pro pressione. Ita non tam faciliter quam per oppressionem, sed adversus nihilominus in pondus oneris erit exercitatum. Igitur si plus lingula vectis supra hypomochlion posita sub onus subierit et caput eius propius centrum pressiones habuerit, non poterit onus elevare, nisi, quemadmodum supra scriptum est, examinatio vectis longitudinis per caput neque ductionibus fuerit facta.
[4] Id autem ex trutinis, quae staterae dicuntur, licet considerare. Cum enim ansa propius caput, unde lancula pendet, ibi ut centrum est conlocata et aeqipondium in alteram partem scapi, per puncta vagando quo longius aut etiam ad extremum perducitur, paulo et inpari pondere amplissimam pensionem parem perficit per scapi librationem, et examinatio longius ab centro recedens ita inbecillior. Aequipondii brevitas maiorem vim ponderis momento deducens sine vehementia molliter ab imo susum versum egredi cogit futurum.
[5] Quemadmodum etiam navis onerariae maximae gubernator ansam gubernaculi tenens, qui oiax a Graecis appellatur, una manu momento per centrum ratione pressionibus artis agitans, versat eam amplissimis et inmanibus mercis et pinus ponderibus oneratam. Eiusque vela cum sunt per altitudinem mediam mali pendentia, non potest habere navis celerem cursum, cum autem in summo cacumine antemnae subductae sunt, tunc vehementiore progreditur impetu, quod non proxime calcem mali, quod est loco centri, sed in summo longius et ab eo progressa recipiunt in se vela ventum.
[6] Itaque uti vectis sub onere subiectus, si per medium premitur, durior est neque incumbit, cum autem caput eius summum deducitur, faciliter onus extollit, similiter vela, cum sunt per medium temperata, minorem habent virtutem, quae autem in capite mali summo conlocantur discedentia longius a centro, non acriore sed eodem flatu, pressione cacuminis vehementius cogunt progredi navem. Etiam remi circa scalmos strophis religati, cum manibus inpelluntur et reducuntur, extremis progredientibus a centro parmis maris undis spumam impulsu vehementi protrudunt porrectam navem, secante prora liquoris raritatem.
[7] Onerum vero maxima pondera, cum feruntur a phalangariis hexaphoris et tetraphoris, examinantur per ipsa media centra phalangarum, uti in diviso oneris solido pondere certa quadam divisionis ratione aequas partis collis singuli ferant operarii. Mediae enim partes phalangarum, quibus lora tetraphororum invehuntur, clavis sunt finitae, nec labuntur in unam partem. Cum enim extra finem centri promoventur, premunt eum locum, ad quem propius accesserunt, quemadmodum in statera pondus, cum examine progreditur ad fines ponderationum.
[8] Eadem ratione iumenta, cum iuga eorum subiugiis loris per medium temperantur, aequaliter trahunt onera. Cum autem inpares sunt eorum virtutes et unum plus valendo premit alterum, loro traiecto fit una pars iugi longior, quae inbecilliori auxiliatur iumento. Ita in phalangis et iugis cum in medio lora non sunt conlocata sed in una parte, qua progreditur lorum ab medio, unam breviorem, [alteram] efficit partem longiorem. Ea ratione si per id centrum, quo loci perductum est lorum, utraque capita circumaguntur, longior pars ampliorem, brevior minorem agit circinationem.
[9] Quemadmodum vero minores rotae duriores et difficiliores habent motus, sic phalangae et iuga, in quibus partibus habent minora a centro ad capita intervalla, premunt duriter colla, quae autem longiora habent ab eodem centro spatia, levant oneribus et trahentes et ferentes. Cum haec ita ad centrum porrectionibus et circinationibus reciperent motos, tunc vero etiam plostra, raedae, tympana, rotae, cocleae, scorpionis, ballistae, prela ceteraeque machinae isdem rationibus per porrectum centrum et rotationem circini versantum faciunt ad propositum effectus.
Caput Quartum
[1] Nunc de organis, quae ad hauriendam aquam inventa sunt, quemadmodum variis generibus conparentur, exponam. Et primum dicam de tympano. Id autem non alte tollit aquam, sed exhaurit expeditissime multitudinem magnam. Ad tornum aut circinum fabricatus [axis], capitibus lamna ferratis, habens in medio circa de tympanum ex tabulis inter se coagmentatis, conlocatur in stipitibus habentibus in se sub capita axis ferreas lamminas. In eius tympani cavo interponuntur octo tabulae transversae tangentes axem et extremam tympani circuitionem, quae dividunt aequalia in tympano spatia.
[2]
Circa frontem eius figuntur tabulae, relictis semipedalibus aperturis ad aquam intra concipiendam Item secundum axem columbaria fiunt excavata in singulis spatiis ex una parte. Id autem cum est navali ratione picatum, hominibus calcantibus versatur et hauriendo per aperturas, quae sunt in frontibus tympani, reddit per columbaria secundum axem supposito labro ligneo habente una secum coniunctum canalem. Ita hortis ad inrigandum vel ad salinas ad temperandum praebetur aquae multitudo.
Cum autem altius extollendum erit, eadem ratio communicabitur.
[3] Sic rota fiet circum axem eadem magnitudine, ut ad altitudinem, quae opus fuerit, convenire possit. Circum extremum latus rotae figentur modioli quadrati pice et cera solidati. Ita cum rota a calcantibus versabitur, modioli pleni ad summum elati rursus ad imum revertentes infundent in castellum ipsi per se quod extulerint.
[4] Sin autem magis altis locis erit praebendum, in eiusdem rotae axe involuta duplex ferrea catena demissaque ad imum libramentum conlocabitur, habens situlos pendentes aereos congiales. Ita versatio rotae catenam in axem involvendo efferet situlos in summum, qui [cum] super axem pervehuntur, cogentur Ìnverti et infundere in castellum aquae quod extulerint.
Caput Quintum
[1] Fiunt etiam in fluminibus rotae eisdem rationibus, quibus supra scriptum est. Circa earum frontes adfiguntur pinnae, quae, cum percutiuntur ab impetu fluminis, cogunt progredientes versari rotam, et ita modiolis haurentis et in summum referentes sine operarum calcatura ipsius fluminis inpulsu versatae praestant, quod opus est ad usum.
[2] Eadem ratione etiam versantur hydraletae, in quibus eadem sunt omnia, praeterquam quod in uno capite axis tympanum dentatum est inclusum. Id autem ad perpendiculum conlocatur in cultrum versatur cum rota pariter. Secundum id tympanum maius item dentatum planum est conlocatum, quo continetur. Ita dentes tympani eius, quod est in axe inclusum, inpellendo dentes tympani plani cogunt fieri molarum circinationem. In qua machina inpendens infundibulum subministrat molis frumentum et eadem versatione subigitur farina.
Caput Sextum
[1] Est autem etiam cocleae ratio, quae magnam vim haurit aquae, sed non tam alte tollit quam rota. Eius autem ratio sic expeditur. Tignum sumitur, cuius tigni quanta rata est pedum longitudo, tanta digitorum expeditur crassitudo. Id ad circinum rutundatur. In capitibus circino dividentur circumitiones eorum tetrantibus et octantibus in partes octo, eaeque lineae ita conlocentur, ut plano posito tigno utriusque capitis ad libellam lineae inter se respondeant, et quam magna pars sit octava circinationis tigni, tam magna spatia decidantur in longitudinem. Item tigno plano conlocato lineae ab capite at alterum caput perducantur ad libellam convenientes. Sic et in rotundatione et in longitudine aequalia spatia fient. Ita quod loci describuntur lineae, quae sunt in longitudinem spectantes, facient decusationes et in decusationibus finita puncta.
[2] His ita emendate descriptis sumitur salignea tenuis aut de vitice secta regula, quae uncta liquida pice figitur in primo decusis puncto. Deinde traicitur oblique ad insequentes longitudinis et circumitionis decusis, item ex ordine progrediens singula puncta praetereundo et circum involvendo conlocatur in singulis decusationibus, et ita pervenit et figitur ad eam lineam recedens a primo in octavum punctum, in qua prima pars est eius fixa. Eo modo quantum progreditur oblique spatium et per octo puncta, tantundem et longitudine procedit ad octavum punctum. Eadem ratione per omne spatium longitudinis et rutunditatis singulis decusationibus oblique fiixae regulae per octo crassitudinis divisiones involutos faciunt canales et iustam cocleae naturalemque imitationem.
[3] Ita per id vestigium aliae super alias figuntur unctae pice liquida, et exaggerantur ad id, uti longitudinis octava pars fiat summa crassitudo. Supra eas circumdantur et figuntur tabulae, quae pertegant eam involutionem. Tunc eae tabulae pice saturantur et lamminis ferreis conligantur, ut ab aquae vi ne dissolvantur. Capita tigni ferrea. Dextra autem ac sinistra cocleam tigna conlocantur in capitibus utraque parte habentia transversaria confixa. In his foramina ferrea sunt inclusa inque ea inducuntur styli, et ita cocleae hominibus calcantibus faciunt versationes.
[4] Erectio autem eius ad inclinationem sic erit conlocanda, uti, quemadmodum Pythagoricum trigonum orthogonium describitur, sic id habeat responsum, id est uti dividatur longitudo in partes V, earum trium extollatur caput cocleae; ita erit ab perpendiculo ad imas naris spatium earum partium IIII. Qua ratione autem oporteat id esse, in extremo libro eius forma descripta est in ipso tempore.
Quae de materia fiunt organa ad hauriendam aquam, quibus rationibus perficiantur quibusque rebus motus recipientia praestent versationibus ad infinitas utilitate ut essent notiora, quam apertissime potui, perscripta sunt in illo tempore.
Caput Septimum
[1] Insequitur nunc de Ctesibica machina, quae in altitudinem aquam educit, monstrare. Ea si ex aere. Cuius in radicibus modioli fiunt gemelli paulum distantes, habentes fistulas furcillae figura similiter cohaerentes, in medium catinum concurrentes. In quo catino fiant asses in superioribus naribus fistularum coagmentatione subtili conlocati, qui praeobturantes foramina narium non patiuntur quod spiritu in catinum est expressum.
[2] Supra catinum paenula ut infundibulum inversum est attemperata et per fibulam cum catino cuneo traiecto continetur, ne vis inflationis aqua eam cogat elevari. Insuper fistula, quae tuba dicitur, coagmentata in altitudine fit erecta. Modioli autem habent infra nares inferiores fistularum asses interpositos supra foramina eorum, quae sunt in fundis.
[3] Ita de supernis in modiolis emboli masculi torno politi et oleo subacti conclusique regulis et vectibus conmoliuntur. Qui erit aer ibi cum aqua, assibus obturantibus foramina cogent. Extrudent inflando pressionibus per fistularum nares aquam in catinum, e quo recipiens paenula spiritu exprimit per fistulam in altitudinem, et ita ex inferiore loco castello conlocato ad saliendum aqua subministratur.
[4] Nec tamen haec sola ratio Ctesibii fertur exquisita, sed etiam plures et variis generibus ab eo liquore pressionibus coactae spiritus efferre ab natura mutuatos effectus ostendentur, uti merularum aquae motu voces atque angubatae, bibentiaque et eadem moventia sigilla ceteraque, quae delectationibus oculorum et aurium usu sensus eblandiantur. [5] E quibus quae maxime utilia et necessaria iudicavi selegi, et in priore volumine de horologiis, in hoc de expressionibus aquae dicendum putavi. Reliqua quae non sunt ad necessitatem sed ad deliciarum voluntatem, qui cupidiores erunt eius subtilitatis, ex ipsius Ctesibii commentariis poterunt invenire.
Caput Octavum
[1] De hydraulicis autem, quas habeant ratiocinationes, quam brevissime proximeque attingere potero et scriptura consequi, non praetermittam. De materia conpacta basi, ara in ea ex aere fabricata conlocatur. Supra basim eriguntur regulae dextra ac sinistra scalari forma conpactae, quibus includuntur aerei modioli, fundulis ambulatilibus ex torno subtiliter subactis habentibus fixos in medio ferreos ancones et verticulis cum vectibus coniunctos, pellibusque lanatis involutis. Item in summa planitia foramina circiter digitorum ternûm. Quibus foraminibus proxime in verticulis conlocati aerei delphini pendentia habent catenis cymbala ex ore infra foramina modiolorum calata.
[2] Intra aram, quod loci aqua sustinetur, inest pnigeus uti infundibulum inversum, quem subter taxilli alti circiter digitorum ternûm suppositi librant spatium imum una inter labra pnigeos et arae fundum. Supra autem cervicula eius coagmentata arcula sustinet caput machinae, qui graece canon musicus appellatur. In cuius longitudine canales, si tetrachordos est, fiunt quattuor, si hexachordos, sex, si octochordos, octo.
[3] Singulis autem canalibus singula epitonia sunt inclusa, manubriis ferreis conlocata. Quae manubria, cum torquentur, ex arca patefaciunt nares in canales. Ex canalibus autem canon habet ordinata in transverso foramina respondentia naribus, quae sunt in tabula summa, quae tabula graece pinax dicitur. Inter tabulam et canona regulae sunt interpositae ad eundem modum foratae et oleo subactae, ut faciliter inpellantur et rursus introrsus reducantur, quae obturant ea foramina plinthidesque appellantur. Quarum itus et reditus alias obturat alias aperit terebrationes.
[4] Haec regulae habent ferrea choragia fixa et iuncta cum pinnis, quarum pinnarum tactus motiones efficit regularum continenter. Supra tabulam foramina quae ex canalibus habent egressum spiritus. Sunt anuli adglutinati, quibus lingulae omnium includuntur organorum. E modiolis autem fistulae sunt continentes coniunctae pnigeos cervicibus pertinentesque ad nares, quae sunt in arcula. In quibus asses sunt ex torno subacti et ibi conlocati, qui, cum recipit arcula animam, spiritum non patientur obturantes foramina rursus redire.
[5] Ita cum vectes extolluntur, ancones deducunt fundos modiolorum ad imum delphinique, qui sunt in verticulis inclusi, calantes in eos cymbala, aere implent spatia modiolorum, atque ancones extollentes fundos intra modiolos vehementi pulsus crebritate et obturantes foramina cymbalis superiora, aera, qui est ibi clusus, pressionibus coactum in fistulas cogunt, per quas in pnigea concurrit et per eius cervices in arcam. Motione vero vectium vehementiore spiritus frequens compressus epitoniorum aperturis influit et replet animae canales.
[6] Itaque cum pinnae manibus tactae propellunt et reducunt continenter regulas alternis opturando foramina alternis aperiundo, e musicis artibus multiplicibus modulorum varietatibus sonantes excitant voces.
Quantum potui niti, ut obscura res per scripturam dilucide pronuntiaretur, contendi, sed haec non est facilis ratio neque omnibus expedita ad intellegendum praeter eos, qui in his generibus habent exercitationem. Quodsi qui parum intellexerit ex scriptis, cum ipsam rem cognoscet, profecto inveniet curiose et subtiliter omnia ordinata.
Caput Nonum
[1] Transfertur nunc cogitatio scripturae ad rationem non inutilem sed summa sollertia a maioribus traditam, qua in via raeda sedentes vel mari navigantes scire possimus, quot milia numero itineris fecerimus. Hoc autem erit sic. Rotae, quae erunt in raeda, sint latae per medium diametrum pedum quaternûm [et sextantes], ut, cum finitum locum habeat in se rota ab eoque incipiat progrediens in solo viae facere versationem, perveniendo ad eam finitionem, a qua coeperit versari, certum modum spatii habeat peractum pedes XII s[emissemque].
[2] His ita praeparatis tunc in rotae modiolo ad partem interiorem tympanum stabiliter includatur habens extra frontem suae rutundationis extantem denticulum unum. Insuper autem ad capsum raedae loculamentum firmiter figatur habens tympanum versatile in cultro conlocatum et in axiculo conclusum, in cuius tympani frontem denticuli perficiantur aequaliter divisi numero quadringenti convenientes denticulos tympani inferioris. Praeterea superiori tympano ad latus figatur alter denticulus prominens extra dentes.
[3] Super autem, planum eadem ratione dentatum inclusum in alterum loculamentum conlocetur, convenientibus dentibus denticulo, qui in secundi tympani latere fuerit fixus, in eoque tympano foramina fiant, quantum diurni itineris miliariorum numero cum raeda possit exire. Minus plusve rem nihil inpedit. Et in his foraminibus omnibus calculi rotundi conlocentur, inque eius tympani theca, sive id loculamentum est, fiat foramen unum habens canaliculum, qua calculi, qui in eo tympano inpositi fuerint, cum ad eum locum venerint, in raedae capsum et vas aeneum, quod erit suppositum, singuli cadere possint.
[4] Ita cum rota progrediens secum agat tympanum imum et denticulum eius singulis versationibus tympani superioris denticulos inpulsu cogat praeterire, efficiet, [ut,] cum CCCC imum versatum fuerit, superius tympanum semel circumagatur et denticulus, qui est ad latus eius fixus, unum denticulum tympani plani producat. Cum ergo CCCC versationibus imi tympani semel superius versabitur, progressus efficiet spatia pedum milia quinque, id est passus mille. Ex eo quot calculi deciderint sonando singula milia exisse monebunt. Numerus vero calculorum ex imo collectos summa diurni [itineris] miliariorum numerum indicabit.
[5] Navigationibus vero similiter paucis rebus commutatis eadem ratione efficiuntur. Namque traicitur per latera parietum axis habens extra navem prominentia capita, in quae includuntur rotae diametro pedum quaternûm et s[emissis] extantes habentes circa frontes adfixas pinnas aquam tangentes. Item medius axis in media navi [habet] tympanum cum uno denticulo extanti extra suam rutunditatem. Ad eum locum conlocatur loculamentum habens inclusum in se tympanum, peraequatis dentibus CCCC convenientibus denticulo tympani, quod est in axe inclusum, praeterea ad latus adfixum extantem extra rotunditatem alterum dentem unum.
[6] Insuper in altero loculamento cum eo confixo inclusum tympanum planum ad eundem modum dentatum, quibus dentibus [convenit] denticulus, qui est ad latus fixus tympano, quod est in cultro conlocatum ut eos dentes, qui sunt plani tympani, singulis versationibus singulos dens inpellendo in orbem planum tympanum verset. In plano autem tympano foramina fiant, in quibus foraminibus conlocabuntur calculi rotundi, In theca eius tympani, sive loculamentum est, unum foramen excavetur habens canaliculum, qua calculus liberatus ab obstantia cum ceciderit in vas aereum, sonitum significet.
[7] Ita navis cum habuerit impetum aut remorum aut ventorum flatu, pinnae, quae erunt in rotis, tangentes aquam adversam vehementi retrorsus inpulsu coactae versabunt rotas; eae autem involvendo se agent axem, axis vero tympanum, cuius dens circumactus singulis versationibus singulos secundi tympani dentes inpellendo modicas efficit circuitiones. Ita cum CCCC ab pinnis rotae fuerint versatae, semel tympanum circumactum inpellet dente, qui est ad latus fixus, plani tympani dentem. Igitur circuitio tympani plani quotienscumque ad foramen perducet calculos, emittet per canaliculum. Ita et sonitu et numero indicabit miliaria spatia navigationis.
Quae pacatis et sine metu temporibus ad utilitatem et delectationem paranda, quemadmodum debeant fieri, peregi esse futurum.
Caput Decimum
[1] Nunc vera quae ad praesidia periculi et necessitatem salutis sunt inventa, id est scorpionum et ballistarum rationes, quibus symmetriis comparari possint, exponam.
Omnes proportiones eorum organorum ratiocinatorum ex proposita sagittae longitudine, quam id organum mittere debet, eiusque nonae partis fit foraminis in capitulis magnitudo, per quae tenduntur nervi torti, qui bracchia continere ipsûm tamen debent.
[2] Eorum foraminum capituli deformatur altitudo et latitudo. Tabulae, quae sunt in summo et in imo capituli, peritreta quae vocantur, fiant crassitudine unius foraminis, latitudine unius et eius dodrantis, in extremis foraminis unius et eius [semissis]. Parastaticae dextra ac sinistra praeter cardines altae foraminum IIII, crassae foraminum quinum; cardinis foraminis dimidi. A parastatica ad foramen spatium foraminis , a foramine ad medianam parastaticam item foraminis . Latitudo parastados mediae unius foraminis et eius , crassitudo foraminus unius.
[3] Intervallum, ubi sagitta conlocatur in media parastade, foraminis partis quartae. Anguli quattuor, qui sunt circa, in lateribus et frontibus lamnis ferreis aut stylis aereis et clavis configantur. Canaliculi, qui graece syrinx dicitur, longitudo foraminum XVIIII. Regularum, quas nonnulli bucculas appellant, quae dextra ac sinistra canalem figuntur, [longitudo] foraminum XVIIII, altitudo foraminis unius et crassitudo. Et adfiguntur regulae duae, in quas inditur sucula, habentes longitudinem foraminum trium, latitudinem dimidium foraminis. Crassitudo bucculae, quae adfigitur (vocitatur camillum seu, quemadmodum nonnulli, loculamentum) securiclatis cardinibus fixa, foraminis I, altitudo foraminis . Suculae longitudo foraminum , crassitudo suculae foraminis VIIII.
[4] Epitoxidos longitudo foraminis , crassitudo . Item chelonii. Chelae, sive manucla dicitur, longitudo foraminum trium, latitudo et crassitudo . Canalis fundi longitudo foraminis XVI, crassitudo foraminis , altitudo . Columellae basis in solo foraminum VIII, latitudo in plinthide, in qua statuitur columella, foraminis crassitudo , columellae longitudo ad cardinem foraminum XII, latitudo foraminis crassitudo . Eius capreoli tres, quorum longitudo foraminum VIIII, latitudo dimidium foraminis, crassitudo . Cardinis longitudinis foraminis; columellae capitis longitudo ; antefixa latitudo foraminis , crassitudo I.
[5] Posterior minor columna, quae graece dicitur antibasis, foraminum VIII, latitudo foraminis , crassitudinis . Subiecto foraminum XII, latitudinis et crassitudinis eiusdem, cuius minor columna illa. Supra minorem columnam chelonium, sive pulvinus dicitur, foraminum II s[emissisque], altitudinis II s[emissisque], latitudinis . Cherolabae sucularum foraminum II , crassitudo foraminis , latitudo I s[emissisque]. Transversariis cum cardinibus longitudo foraminum , latitudo I s[emissisque] et crassitudo. Bracchi[i] longitudo [ I s[emissisque] ] foraminum VII, crassitudo ab radice foraminis , in summo foraminis ; curvaturae foraminis VIII.
[6] Haec his proportionibus aut adiectionibus aut detractionibus comparantur. Nam si capitula altiora, quam erit latitudo, facta fuerint, quae anatona dicuntur, de bracchiis demetur, ut, quo mollior est tonus propter altitudinem capituli, bracchii brevitas faciat plagam vehementiorem. [Si] minus altum capitulum fuerit, quod catatonum dicitur, propter vehementiam bracchia paulo longiora constituentur, uti facile ducantur. Namque quemadmodum vectis, cum est longitudine pedum quinque, quod onus IIII hominibus extollit, id, qui est X, duobus elevat, eodem modo bracchia, quo longiora sunt, mollius, quod breviora, durius ducuntur.
Caput Undecimum
[1] Catapultarum rationes, e quibus membris ex portionibus conponantur, dixi. Ballistarum autem rationes variae sunt et differentes unius effectus causa conparatae. Aliae enim vectibus suculis, nonnullae polyspastis, aliae ergastis, quaedam etiam tympanorum torquentur rationibus. Sed tamen nulla ballista perficitur nisi ad propositam magnitudinem ponderis saxi, quod id organum mittere debet. Igitur de ratione earum non est omnibus expeditum, nisi qui geometricis rationibus numeros et multiplicationes habent notas.
[2] Nam quae fiunt in capitibus foramina, per quorum spatia contenduntur capillo maxime muliebri vel nervo funes, magnitudine ponderis lapidis, quem debet ea ballista mittere, ex ratione gravitatis proportione sumuntur, quemadmodum catapultis de longitudinibus sagittarum. Itaque ut etiam qui geometrice non noverunt, habeant expeditum, ne in periculo bellico cogitationibus detineantur, quae ipse faciundo certa cognovi quaeque ex parte accepta praeceptoribus, finita exponam, et quibus rebus Graecorum pensiones ad modulos habeant rationem, ad eam ut etiam nostris ponderibus respondeant, tradam explicata.
[3] Nam quae ballista duo pondo saxum mittere debet, foramen erit in eius capitulo digitorum V; si pondo IIII, digitorum sex, VI, digitorum VII; decem pondo digitorum VIII; viginti pondo digitorum X; XL pondo digitorum XII s[emisque] ; LX pondo digitorum XIII et digiti octava parte; LXXX pondo digitorum XV; CXX pondo I pedis et sesquidigiti; C et LX pedis ; C et LXXX pe[di]s et digiti V; CC pondo pedis et digitorum VI; CC et X pedis et digitorum VI; CCCLX, pedis I s[emissisque].
[4] Cum ergo foraminis magnitudo fuerit instituta, describatur scutula, quae graece peritretos appellatur, cuius longitudo foraminum VIII, latitudo duo et sextae partis. Dividatur medium lineae discriptae et, cum divisum erit, contrahantur extremae partes eius formae, ut obliquam deformationem habeat longitudinis sexta parte, latitudinis, ubi est versura, quartam partem. In qua parte autem est curvatura, in quibus procurrunt cacumina angulorum, et foramina convertuntur, et contractura latitudinis redeat introrsus sexta parte, foramen autem oblongius sit tanto, quantam epizygis habet crassitudinem. Cum deformatum fuerit, circum dividatur, extremam ut habeat curvaturam molliter circumactam.
[5] Crassitudo eius foraminis constituatur. Modioli foraminum duo, latitudo , crassitudo praeterquam quod in foramine inditur foraminis , ad extremum autem latitudo foraminis . Parastatarum longitudo foraminis ; curvatura foraminis pars dimidia; crassitudo foraminis et partis LX. Adicitur autem ad mediam latitudinem, quantum est prope foramen factum in descriptione, latitudine et crassitudine foraminis V, altitudo parte IIII.
[6] Regulae, quae est in mensa, longitudo foraminum VIII; latitudo et crassitudo dimidium foraminis. Cardines , crassitudo foraminis . Curvatura regulae . Exterioris regulae latitudo et crassitudo tantundem; longitudo, quam dederit ipsa versura deformationis et parastaticae latitudo ad suam curvaturam . Superiores autem regulae aequales erunt inferioribus .
[7] Climacidos scapi longitudo foraminum XIII, crassitudo I , intervallûm mediûm latitudo foraminis et parte quarta, crassitudo pars VIII . Climacidos superioris pars quae est proxima bracchiis, quae coniuncta est mensae, tota longitudine dividatur in partes V. Ex his dentur duae partes ei membro, quod Graeci chelen vocant latitudo , crassitudo , longitudo foraminum III et semis[sis] ; extantia cheles foraminis s[emissisque] pterygomatos foraminis et sicilicus. Quod autem est ad axona, quod appellatur frons transversarius, foraminum trium.
[8] Interiorum regularum latitudo foraminis , crassitudo . Cheloni replum, quod est operimentum, securiculae includitur scapo climacidos latitudo crassitudo foraminis XII . Crassitudo quadrati, quod est ad climacida, foraminis , in extremis , rutundi autem axis diametros aequaliter erit cheles, ad claviculas autem minus parte sexta decuma .
[9] Anteridon longitudo foraminum IIII s[emissisque], latitudo in imo foraminis , in summo crassitudo . Basis, quae appelatur eschara, longitudo foraminum , antibasis foraminum IIII, utriusque crassitudo et latitudo foraminis . Conpingitur autem dimidia altitudinis columna, latitudo et crassitudo I s[emissque]. Altitudo autem non habet foraminis proportionem, sed erit quod opus erit ad usum. Bracchii longitudo foraminum VI, crassitudo in radice foraminis, in extremis .
De ballistis et catapultis symmetrias, quas maxime expeditas putavi, exposui. Quemadmodum autem contentionibus eae temperentur e nervo capilloque tortis rudentibus, quantum conprehendere scriptis potuero, non praetermittam.
Caput Duodecimum
[1] Sumuntur tigna amplissima longitudine; supra figuntur chelonia, in quibus cluduntur suculae. Per media autem spatia tignorum insecantur exciduntur formae, in quibus excisionibus cluduntur capitula catapultarum, cuneisque distinentur, ne in contentionibus moveantur. Tum vero modioli aerei in ea capitula includuntur et in eos cuneoli ferrei, quas epizygidas Graeci vocant, conlocantur.
[2] Deinde ansae rudentum induntur per foramina capitulorum, in alteram partem traiciuntur, deinde in suculas coiciuntur involvuntur, uti vectibus per eas ext[enti] rudentes, cum manibus sunt tacti, aequalem in utroque sonitus habeant in responsum. Tunc autem cuneis ad foramina concluduntur, ut non possint se remittere. Ita traiecti in alteram partem eadem ratione vectibus per suculas extenduntur, donec aequaliter sonent. Ita cuneorum conclusionibus ad sonitum musicis auditionibus catapultae temperantur.
De his rebus quae potui dixi. Restat mihi de oppugnatoriis rebus, quemadmodum machinationibus et duces victores et civitates defensae esse possint.
Caput Tertium Decimum
[1] Primum ad oppugnationis aries sic inventus memoratur esse. Carthaginienses ad Gadis oppugnandas castra posuerunt. Cum autem castellum ante cepissent, id demoliri sunt conati. Posteaquam non habuerunt ad demolitionem ferramenta, sumpserunt tignum idque manibus sustinentes capiteque eius summum murum continenter pulsantes summos lapidum ordines deiciebant, et ita gradatim ex ordine totam communitionem dissipaverunt.
[2] Postea quidam faber Tyrius nomine Pephrasmenos hac ratione et inventione inductus malo statuto ex eo alterum transversum uti trutinam suspendit et in reducendo et inpellendo vementibus plagis deiecit Gaditanorum murum. Ceras autem Carchedonius de materia primum basim subiectis rotis fecit supraque compegit arrectariis et iugis varas et in his suspendit arietem coriisque bubulis texit, uti tutiore essent, qui in ea machinatione ad pulsandum murum essent conlocati. Id autem, quod tardos conatus habuerat, testudinem arietariam appellare coepit.
[3] His tunc primis gradibus positis ad id genus machinationis, postea cum Philippus, Amyntae filius, Byzantios oppugnaret, Polydios Thettalos pluribus generibus et facilioribus explicavit, a quo receperunt doctrinam Diades et Charias, qui cum Alexandro militaverunt.
Itaque Diades scriptis suis ostendit se invenisse turres ambulatorias, quas etiam dissolutas in exercitu circumferre solebat, praeterea terebram et ascendtem machinam, qua ad murum plano pede transitus esse posset, etiam corvum demolitorem, quem nonnulli gruem appellant.
[4] Non minus utebatur ariete subrotato, cuius rationes scriptas reliquit. Turrem autem minimam ait oportere fieri ne minus altam cubitorum LX, latitudinem XVII, contracturam autem summam imae partis quintam, arrectaria in turris in imo dodrantalia in summo semipedalia. Fieri autem ait oportere eam turrem tabulatorum decem, singulis partibus in ea fenestratis. [5] Maiorem vero turrem altam cubitorum CXX, latam cubitorum XXIII [semissisque], contracturam item quinta parte, arrectaria pedalia in imo, in summo sedigitalia. Hanc magnitudinem turris faciebat tabulatorum XX, cum haberent singula tabulata circumitionem cubitorum ternûm. Tegebat autem coriis crudis, ut ab omni plaga essent tutae.
[6] Testudinis arietariae comparatio eadem ratione perficiebatur. Habuerat autem intervallum XXXII, altitudinem praeter fastigium XVI, fastigii autem altitudo ab strato ad summum cubita XVI. Exibat autem in altum et supra medium tectum fastigium non minus cubita duo, et supra extollebatur turricula cubitorum quattuor tabulatorum III, quo tabulato summo statuebantur scorpionis et catapultae, inferioribus congerebatur aquae magna multitudo ad extinguendum, si qua vis ignis inmitteretur. Constituebatuur autem in eam arietaria machina, quae graece dicitur criodocis, in qua conlocabatur torus perfectus in torno, in quo insuper constitutus aries rudentium ductionibus et reductionibus efficiebat magnos operis effectus. Tegebatur autem is coriis crudis quemadmodum turris.
[7] De terebra has explicuit scriptis rationes. Ipsam machinam uti testudinem in medio habentem conlocatum in orthostatis canalem, quemadmodum in catapultis aut ballistis fieri solet, longitudine cubitorum L, altitudine cubiti, in quo constituebatur transversa sucula. In capite autem dextra ac sinistra trocleae duae, per quas movebatur quod inerat in eo canali capite ferrato tignum. Sub eo autem in ipso canali inclusi tori crebriter celeriores et vehementiores efficiebant eius motus. Supra autem ad tignum, quod inibi erat, arcus tegebantur ad canalem crebriter, uti sustinerent corium crudum, quod ea machina erat involuta. [8] De corace nihil putavit scribendum, quod animadverteret eam machinam nullam habere virtutem. De accessu, quae epibathra graece dicitur, et de marinis machinationibus, quae per navium aditus habere posset, scripsit tantum; pollicitum esse vehementer animadverti neque rationes eorum eum explicavisse.
Quae sunt a Diade de machinis scripta, quibus sint conparationibus, exposui. Nunc quemadmodum a praeceptoribus accepi et utilia mihi videntur, exponam.
Caput Quartum Decimum
[1] Testudo, quae ad congestionem fossarum paratur (eaque etiam accessus ad murum potest habere), sic erit facienda. Basis compingatur, quae graece eschara dicitur, quadrata habens quoque versus latera singula pedum XXI et transversaria IIII. Haec autem contineantur ab alteris duobus crassi[tudini]s I s[emissisque], lati[tudini]s s[emissisque]; distent autem transversaria inter se circiter pedes III s[emissemque]. Supponanturque in singulis intervallis eorum arbusculae, quae graece amaxopodes dicuntur, in quibus versantur rotarum axes conclusi lamnis ferreis. Eaeque arbusculae ita sint temperatae, ut habeant cardines et foramina, quo vectes traiecti versationes earum expediant, uti ante et post et ad dextrum seu sinistrum latus, sive oblique ad angulos opus fuerit, ad id per arbusculas versatis progredi possint.
[2] Conlocentur autem insuper basim tigna duo in utramque partem proiecta pedes senos, quorum circa proiecturas figantur altera proiecta duo tigna ante frontes pedes XII, crassa et lata uti in basi sunt scripta. Insuper hanc conpactionem exigantur postes compactiles praeter cardines pedum VIIII, crassitudine quoquoversus palmopedales, intervalla habentes inter se sesquipedes. Ea concludantur superne intercardinatis trabibus. Supra trabes conlocentur capreoli cardinibus alius in alium conclusi, in altitudine excitati pedes VIIII. Supra capreolos conlocetur quadratum tignum, quo capreoli coniungantur. [3] Ipsi autem laterariis circa fixis contineantur teganturque tabulis maxime prinis, si non, ex cetera materia, quae maxime habere potest virtutem, praeter pinum aut alnum; haec enim sunt fragilia et faciliter recipiunt ignem. Circum tabulata conlocentur crates ex tenuibus virgis creberrime textae maximeque recentibus. Percrudis coriis duplicibus consutis, fartis alga aut paleis in aceto maceratis, circa tegatur machina tota. lta ab his reicientur plagae ballistarum et impetus incendiorum.
Caput Quintum Decimum
[1] Est autem et aliud genus testudinis, quod reliqua omnia habet, quemadmodum quae supra scripta sunt, praeter capreolos, sed habet circa pluteum et pinnas ex tabulis et superne subgrundas proclinatas, supraque tabulis et coriis firmiter fixis continentur. Insuper vero argilla cum capillo subacta ad eam crassitudinem inducatur, ut ignis omnino non possit ei machinae nocere. Possunt autem, si opus fuerit, eae machinae ex VIII rotis esse, sed ad loci naturam ita opus fuerit temperare. Quae autem testudines ad fodiendum comrarantur (orynges graece dicuntur), cetera omnia habent, uti supra scriptum est, frontes vero earum fiunt quemadmodum anguli trigoniorum, uti a muro tela cum in eas mittantur, non planis frontibus excipiant plagas sed ab lateribus labentes, sine periculoque fodientes, qui intus sunt, intuentur.
[2] Non mihi etiam videtur esse alienum de testudine, quam Hagetor Byzantius fecit, quibus rationibus sit facta, exponere. Fuerat enim eius baseos longitudo pedum LX, latitudo XIII. Arrectaria, quae supra compactionem erant quattuor conlocata, ex binis tignis fuerant compacta, in altitudinibus singulo pedum XXXVI, crassitudine palmopedali, latitudine sesquipedali. Basis eius habuerat rotas VIII, quibus agebatur. Fuerat autem earum altitudo pedum VI , crassitudo pedum III, ita fabricata triplici materia. alternis se contra subscudibus inter se coagmentatae lamnisque ferreis ex frigido ductis alligatae.
[3] Eae in arbusculis, sive amaxopodes dicuntur, habuerant versationes. Ita supra transtrorum planitiem, quae supra basim fuerat, postes erant erecti pedes XVIII , latitudine , crassitudine , distantes inter se I . Supra eos trabes circumclusae continebant totam compactionem latae pede I , crassae . Supra eam capreoli extollebantur altitudine pedum XII; supra capreolos tignum conlocatum coniungebat capreolorum compactiones. Item fixa habuerant lateraria in transverso, quibus insuper contabulatio circumdata contegebat inferiora.
[4] Habuerat autem mediam contabulationem supra trabiculas, ubi scorpiones et catapultae conlocabantur. Et erigebantur arrectaria duo compacta pedum XXXXV, crassitudine sesquipedali, latitudine , coniuncta capitibus transversario cardinato tigno et altero mediano inter duos scapos cardinato et lamnis ferreis religato. Quo insuper conlocata erat alternis materies inter scapos et transversarium traiecta e chelonîs et anconibus firmiiter inclusa. In ea materia fuerunt ex torno facti axiculi duo, e quibus funes alligati retinebant arietem.
[5] Supra caput eorum, qui continebant arietem, conlocatum erat pluteum turriculae similitudine ornatum, uti sine periculo duo milites tuto stantes prospicere possent et renuntiare, quas res adversarii conarentur. Aries autem eius habuerat longitudinem pedum CIV, latitudine in imo palmopedali, crassitudine pedali, contractum capite in latitudine pes crassitudine.
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[6] Is autem aries habuerat de ferro duro rostrum, ita uti naves longae solent habere, et ex ipso rostro lamminae ferreae IIII circiter pedum XV fixae fuerant in materia. A capite autem ad imam calcem tigni contenti fuerunt funes III crassitudine digitorum VIII, ita relegati, quemadmodum navis a puppi ad proram continentur, eique funes praecinctura e transversis erant religati habentes inter se palmipedalia spatia. Insuper coriis crudis totus aries erat involutus. Ex quibus autemn funibus pendebat, eorum capita fuerunt ex ferro factae quadruplices catenae, et ipsae coriis crudis erant involutae.
[7] Item habuerat protectura eius ex tabulis arcam conpactam et confÌxam, in qua rete rudentibus maioribus extentis, per quarum asperitates non labentibus pedibus, faciliter ad murum perveniebatur. Atque ea machina sex modis movebatur. progresso, item latere dextra et sinistra, porrectiones non minus in altitudinem extollebantur et in imum inclinatione dimittebantur. Erigebatur autem machina in altitudinem ad disiciendum murum circiter p[edes] C, item a latere dextra ac sinistra procurrendo praestringebat non minus p[edes] C. Gubernabant eam homines C habentem pondus talentûm quattuor milium, quod fit pondo.
Caput Sextum Decimum
[1] De scorpionibus et catapultis et ballistis etiamque testudinibus et turribus, quae maxime mihi videbantur idonea et a quibus essent inventa et quemadmodum fieri deberent, explicui. Scalarum autem et carchesiorum et eorum, quorum rationes sunt inbecilliores, non necesse habui scribere. Haec etiam milites per se solent facere. Neque ea ipsa omnibus locis neque eisdem rationibus possunt utilia esse, quod differentes sunt munitiones munitionibus nationumque fortitudines. Namque alia ratione ad audaces et temerarios, alia ad diligentes, aliter ad timidos machinationes debent conparari.
[2] Itaque his praescriptionibus si qui adtendere voluerit ex varietate eorum eligendo in unam conparationem conferre, non indigebit auxiliis, sed quascumque res ex rationibus aut locis opus fuerit, sine dubitatione poterit explicare. De repugnatoriis vero non est scriptis explicandum. Non enirn ad nostra scripta hostes conparant res oppugnatorias, sed machinationes eorum ex tempore sollerti consiliorum celeritate sine machinis saepius evertuntur. Quod etiam Rhodiensibus memoratur usu venisse.
[3] Diognetus enim fuerat Rhodius architectus, et ei de publico quotannis certa merces pro arti tribuebatur ad honorem. Eo tempore quidam architectus ab Arado nomine Callias Rhodum cum venisset, acroasin fecit exemplaque protulit muri et supra id machinam in carchesio versatili constituit, qua helepolim ad moenia adcedentem corripuit et transtulit intra murum. Hoc exemplar Rhodii cum vidissent, admirati ademerunt Diogneto, quod fuerat quotannis constitutum, et eum honorem ad Calliam transtulerunt.
[4] Interea rex Demetrius, qui propter animi pertinaciam Poliorcetes est appellatus, contra Rhodum bellum conparando Epimachum Atheniensem nobilem architectum secum adduxit. Is autem comparavit helepolim sumptibus inmanibus industria laboreque summo, cuius altitudo fuerat p[edum] CXXV, latitudo pedum LX. Ita eam ciliciis et coriis crudis confirmavit, ut posset pati plagam lapidis ballista inmissi p[edum] CCCLX; ipsa autem machina fuerat milia p[edum] CCCLX. Cum autem Callias rogaretur ab Rhodiis, contra eam helepolim machinam pararet, ut illam, uti pollicitus erat, transferret intra murum, negavit posse.
[5] Non enim omnia eisdem rationibus agi possunt, sed sunt alia, quae exemplaribus non magnis similiter magna facta habent effectus; alia autem exemplaria non possunt habere, sed per se constituuntur; nonnulla vero sunt, quae in exemplaribus videntur veri similia, cum autem crescere coeperunt, dilabantur. Ut etiam possumus hic animum advertere. Terebratur terebra foramen semidigitale, digitale, sesquidigitale. Si eadem ratione voluerimus palmare facere, non habet explicationem, semipedale autem maius ne cogitandum quidem videtur omnino.
[6] Sic item in nonnullis exemplaribus videntur, quae ad modum in minimis fieri videntur, atque eodem modo in maioribus. Id eodem modo Rhodii eadem ratione decepti iniuriam cum contumelia Diogneto fecerunt. Itaque posteaquam viderunt hostem pertinaciter infestum, periculum servitutis, machinationem ad capiendam urbem conparatam, vastitatem civitatis expectandam, procubuerunt Diogneto rogantes, ut auxiliaretur patriae.
[7] Is primo negavit se facturum. Posteaquam ingenuae virgines et ephebi cum sacerdotibus venerunt ad deprecandum, tunc est pollicitus his legibus, uti, si eam machinam cepisset, sua esset. Is ita constitutis, qua machina accessura erat, ea regione murum pertudit et iussit omnes publice et privatim quod quisque habuisset aquae, stercoris, luti per eam fenestram per canales progredientes effundere ante murum. Cum ibi magna vis aquae, luti, stercoris nocte profusa fuisset, postero die helepolis accedens, antequam adpropinquaret ad murum, in umido voragine facta consedit nec progredi nec egredi postea potuit. Itaque Demetrius, cum vidisset sapientia Diogneti se deceptum esse, cum classe sua discessit. [8] Tunc Rhodii Diogneti sollertia liberati bello publice gratias egerunt honoribusque omnibus eum et ornamentis exornaverunt. Diognetus eam helepolim reduxit in urbem et in publico conlocavit et inscripsit 'Diognetus e manubiis id populo dedit munus'. Ita in repugnatoriis rebus non tantum machinae, sed etiam maxime consilia sunt comparanda.
[9] Non minus Chio cum supra naves sambucarum machinas hostes conparavissent, noctu Chii terram, harenam, lapides progresserunt in mare ante murum. Ita illi postero die cum accedere voluissent, naves supra aggerationem, quae fuerat sub aqua, sederunt nec ad murum accedere nec retrorsus se recipere potuerunt, sed ibi malleolis confixae incendio sunt conflagratae. Apollonia quoque cum circumsederetur et specus hostes fodiendo cogitarent sine suspicione intra moenia penetrare, id autem a speculatoribus esset Apolloniatibus renuntiatum, perturbati nuntio propter timorem consiliis indigentes animis deficiebant, quod neque tempus neque certum locum scire poterant, quo emersum facturi fuissent hostes.
[10] Tum vero Trypho Alexandrinus ibi fuerat architectus; intra murum plures specus designavit et fodiendo terram progrediebatur extra murum dumtaxat extra sagittae missionem et in omnibus vasa aenea suspendit. Ex his in una fossura, quae contra hostium specus fuerat, vasa pendentia ad plagas ferramentorum sonare coeperunt. Ita ex eo intellectum est, qua regione adversarii specus agentes intra penetrare cogitabant, Sic liniatione cognita temperavit aenea aquae ferventis et picis de superne contra capita hostium et stercoris humani et harenae coctae candentis. Dein noctu pertudit terebra foramina et per ea repente perfundendo qui in eo opere fuerunt hostes omnes necavit.
[11] Item Massilia cum oppugnaretur et numero supra XXX speculatum agerent, Massilitani suspicati totam quae fuerat ante murum fossam altiore fossura depresserunt. Ita specus omnes exitus in fossam habuerunt. Quibus autem locis fossa non potuerat fieri, intra murum barathrum amplissima longitudine et amplitudine uti piscinam fecerunt contra eum locum, qua specus agebantur, eamque e puteis et e portu impleverunt. Itaque cum specus esset repente naribus apertis, vehemens aquae vis inmissa supplantavit fulturas, quique intra fuerunt, et ab aquae multitudine et ab ruina specus omnes sunt oppressi.
[12] Etiam cum agger ad murum contra eos conpararetur et arboribus excisis eoque conlocatis locus operibus exaggeraretur, ballistis vectes ferreos candentes in id mittendo totam munitionem coegerunt conflagrare. Testudo autem arietaria cum ad murum pulsandum accessisset, permiserunt laqueum et eo ariete constricto, per tympanum ergata circumagentes suspenso capite eius non sunt passi tangi murum. Denique totam machinam malleolis candentibus et ballistarum plagis dissipaverunt. Ita eae victoriae civitatum non machinis, sed contra machinarum rationem architectorum sollertia sunt liberatae.
Quas potui de machinis expedire rationes pacis bellique temporibus et utilissimas putavi, in hoc volumine perfeci. In prioribus vero novem de singulis generibus et partibus conparavi, uti totum corpus omnia architecturae membra in decem voluminibus haberet explicata.