SGARBA (dial. SGARVA = "COLLA FORATA")> fu con grande probabilità sede della città ligure preromana.
Dopo la conquista da parte di Roma e la pacificazione venne edificata nella piana la città quadrata romana che in qualche modo risultò divisa, sino però a lambirla dalla città ligure che a sua volta, in qualche modo adattandosi al territorio, scendeva verso la stessa piana dal nucleo di Colla Sgarba: col tempo e la fusione tra elemento ligure e romano verso l'altura si estesero già in epoca repubblicana vari edifici romani.
E' ricca di reperti ancora da esplorare> in linea nord si accedeva alla sorgente del Rio Seborrino che costituiva la fonte degli acquedotti romani repubblicano ed imperiale.
I primi casi si ebbero nel luglio del '56 quando si contarono trecento morti a settembre.
Alla PESTE del 1579-1580 un significativo contributo è stato dato da Claudio COSTANTINI (pp.523-524) che riporta anche un'utile rassegna bibliografica.
Il numero dei decessi crebbe in modo quasi esponenziale in breve tempo: furono grossomodo 2500 tra ottobre e dicembre.
Poi l'epidemia parve subire un rallentamento con circa un migliaio di decessi tra i mesi di gennaio e aprile.
Un preavviso della tragedia si ebbe nel mese di maggio con un grave incremento della mortalità: oltre mille morti in trenta giorni.
Da questo momento l'epidemia prese veramente a dilagare arrivandosi a contare da cento a duecento sino a quattrocento ed ancor più decessi al giorno nel periodo compreso tra conclusione di giugno e prima decade di luglio.
D. PRESOTTO (Genova 1656-1657. Cronache di una pestilenza, in "Atti della Società ligure di Storia patria", n.s. V, 1965, pp. 402-3) trascrivendo una lettera di Gio Bernardo Veneroso è riuscito ad offrire l'impressione più efficace del generale quadro di desolazione:"...rinforzò di modo il male... che i morti crebbero a più di 1200 al giorno. Morsero la maggior parte de' commissarij, tutti i luogotenenti, tutti i capistrada... Si vedevano per le strade cumuli et montagne di morti, roba infinita gettata dalle finestre et molte pazzamente abbrugiate. Per seppellire li morti mancarono nell'istesso tempo tutti li beccamorti; somministrarno cento schiavi volontarij per volta ma questi non erano provvigione che per uno o due giorni, poi ancor essi aumentavano il numero da seppellirsi... Mancarono tutti li ministri et operaij et essendo la nobiltà et li Senatori alle ville, a loro ancora mancò il modo di venire alla città; facchini seggettarij non vi erano, li lettighieri tutti morti et il venire a piedi era un esporsi certamente alla morte, ... sì che cessarono tutti li magistrati compreso l'istesso magistrato della Sanità; si trovarono a Palazzo da 4 a 5 Senatori con il Duce, a' quali restò il pensiero di tutti i magistrati e di tutta la città per il politico, per la sanita, per la guerra, per l'abbondanza e per tutto quello che poteva occorrere, il tutto senza ministri, senza sbirri, senza tragette, tutti morti, senza soldatesche si puol dire, poiché di 2000 si ridussero a meno di 500, di modo che appena vi restava l'apparenza della guardia delli posti opportuni...".
Prima della pestilenza si era computata una popolazione di 73.170 residenti in Genova. Di questi appena tre o quattromila rimasero immuni dalla pestilenza: per quanto concerne gli altri, la mortalità raggiunse percentuali del 60-70% ed in ultimo addirittura dell' all'80 - 90%.
Le moderne ricostruzioni hanno convalidato le stime fatte al tempo dell'epidemia e si è quindi quasi certi che i genovesi falciati dalla morte nera siano da inquadrare in un numero oscillante fra i 45.000 ed i 55.000 individui (il Dominio pagò un tributo solo lievemente inferiore a quello della capitale).
Ancora una volta la maggiore mortalità serpeggiò fra le classi povere ma, a differenza di quanto accadde per la peste del cinquecento, pure i nobili non vennero risparmiati e versarono un tributo di numerose vittime.
Ancora più numerosi risultarono i morti per l'epidemia tra la media borghesia, con un danno di non poco conto per una ripresa del settore produttivo e artigianale.
In merito a ciò Suor Francesca Maria Raggi del convento di Santa Brigida lasciò scritto:"Chi può descrivere il numero delle persone morte del secondo ordine? Di questa sorte di mercanti et artigiani grossi che erano il sustentamento della città ne sono rimasti pochi..." (lettera ancora trascritta dal Presotto a p. 414 del suo lavoro).
Questa epidemia colpì soprattutto le classi meno abbienti (a differenza di quanto sarebbe accaduto per quella del secolo XVII): sulla base di quanto ha scritto Bartolomeo Paschetti [Lettera nella quale si ragiona della peste di Genova..., Genova, per il Guasco, 1656 (con una prima edizione databile al 1580)] i morti fra il popolo sarebbero stati ben 28.000 nella sola Genova mentre solo una ventina fra i nobili sarebbero deceduti per la malattia, viste le previdenze prese e la profilattica precauzione di rifugiarsi lontano dalle aree di contagio nelle loro ville periferiche, guardate con le armi dalla servitù oppure -addirittura abbandonando i centri demici- di trovare riparo nelle ville e negli ameni possedimenti delle Riviere solitamente usati per la villeggiatura.
In questa tragica circostanza la rabbia popolare si alimentò di dicerie e voci contro la nobiltà giudicata giustamente rea di aver lasciato i poveri nel completo abbandono, senza opportune provvidenze, ma anche, con esagerazioni infondate, reputata responsabile di aver voluto con tale atteggiamento vendicarsi del popolo, spesso e volentieri in fermento contro i ceti dirigenti.
Ne i Dialoghi sopra la Repubblica di Genova citati e riportati dal menzionato Costantini si legge al riguardo:"et per farli estinguere meglio et più presto, quando si ammalava uno in una casa li mandavano tutti al Lazzaretto et per lassarmi meglio intendere, come V. S. sa, le case, in Genova, sono alte di quattro e sei solari et sette, dove per ogni solaro sta una famiglia et ammalato uno di esse tutte le mandavano al Lazzaretto dove poi la maggior parte s'impestavano a tale che, nelle dette cinquantamila [vittime] non ne morse dieci di loro [i nobili] , li quali tutti si erano retirati alle sue ville".