La RIVOLTA POPOLARE E VILLANA del 1625
Il lungo brano qui sotto integralmente proposto con collegamenti multimediali è estrapolato con grande probabilità da un manoscritto Compendio seicentesco di un'opera del pari rimasta manoscritta dell'erudito ventimigliese G.G. Lanteri da molti citato compreso il secondo bibliotecario dell'Aprosiana Domenico Antonio Gandolfo intitolata Discorso dell’Antichità di Ventimiglia
(Discorso o Relazione delle patrie antichità di cui cliccando qui si danno i luoghi di conservazione = giova comunque precisare che per Girolamo Rossi che consultò, ma non tracrisse, tale manoscritto sostenne non trattarsi di un "Compendio" ma dell'integrale vera e propria opera del Lanteri, visto che l'ottocentesco storico a riguardo del manoscritto che consultò scrisse " ...sono le memorie copiate da Geronimo Lanteri nel XVII secolo..."
Per agevolare la lettura si propongono qui tre parti sostanziali scorrendo le quali si possono leggere le vicende di siffatti giorni drammatici per Ventimiglia [attenzione : tra parentesi quadra compaiono le integrazioni effettuate da Culura Barocca] = La prima concerne la scesa in guerra [poi genericamente detta GUERRA DEL 1625] contro la Repubblica di Genova del Duca Sabaudo Carlo Emanuele I = cui seguì l'avanzata vittoriosa dell'armata sabauda condotta dal di lui figlio Principe Vittorio Amedeo
"...[nel XVII secolo] per quanto comportavano i
tempi si viveva con quiete, e si godette per molti anni, sino a tanto che
del anno 1623 mosse il perturbator [così l'autore genovese definisce il Duca di Savoia: N.d.A.] dell'Italia non meno ingiusta che
crudel Guerra a quelli, le cui ricchezze, e prosperi successi come invidiava, così aveva risoluto con ampie, e prossane (sic!) maniere di esterminare.
Macchinava già lungo tempo nel molino del suo cervello la rovina
de Genovesi; non erano le di Lui forze sufficienti di poner esso solo
le mani in pasta, e perciò da francesi richiedendo fuoco di ardore di
buon numero di soldati, da Veneziani danari, e da altri Principi segreti aiuti, e favori, comincio assai presto, e felicemente con le loro proprie
armate fa pane, che se bene nel pastarlo, e cuocerlo in parte le fu di
gusto, stimo che nel digerirlo abbia patito, e patisca tanti disgusti,
che con difficoltà si possa accomodare ad evacuarlo; venendo detto
Principe con il gran Contestabile di Francia e 30/m(ila) fanti per
sradicare affatto il nome genovese, la bontà Divina che ancor nelle
prosperità suol premiare i meriti dell' [illeggibile: N.d.R.]... e di quelli che al pari de
Genovesi hanno sempre con fedeltà obbedito alla Chiesa, e suoi Pastori, non solo ha conservato il Capo della Rep.ca con i membri più
principali, ma ha di più dato gratia, che in breve spatio di giorni col
favore, et aiuto di Spagna ripigliassero quelle Piazze, che da Savoiardi ben munite, e fortificate si erano rese per mancamento de soldati, e
debolezza de Luoghi senza contrasto.
Preso dal Principe Vittorio di Sabaudia il Luogo della Pieve chiave
della Liguria verso ponente con altri Luoghi, mandò un Trombetta a
questa Città a fargli la chiamata ma non ebbe risposta adeguata al suo
desiderio, si stava però con cautela grande aspettando d'ogni momento
l'Inimico.
La notte della Pentecoste si stette su l'arme, e la mattina supponendo dovere vedere l'armata nemica, si videro 3 Galere con 500
fanti di rinforzo.
Fu al Generale dato ad intendere, che la Città di Ventimiglia, qui in un tipo cartografico dell'Archivio di Stato di Torino con castello e porta antica già
si era resa, e non volse approdare al Lido, sino che non vedesse segni
manifesti, che la Città era ancora sotto il Dominio Genovese.
Dopo esser sbarcato disse aver questo rinforzo, e che la Repubblica
n'avverrebbe mandato di più, quando vi fosse stata la necessità.
Ciò
detto fingendo per dubbio delle undici Galere e Galeoni di Marsiglia,
che a nostri danni venivano, senza sbarcar l'Infanteria si ritirò a Monaco.
Per questa venuta si cantò il TE DEUM, e si diedero segni di
allegrezza.
Il giorno seguente smontò il Signor Galeazzo Giustiniano
con suoi fratelli, visitò il posto e sito della Città, visitò con ogni diligenza tutti i posti assai men forti di quello si supponeva, ond'ebbe a
dire, che se le Donne, e fanciulli erano quivi rinchiusi in molto numero fossero stati tutti Soldati, che non potevano resistere all'impeto
de nemici, abbatterono l'animi de Cittadini, tali parole, dopo questo andò a sentir Messa, e indi in casa di Monsignore Gandolfo Conte
di Riccaldone, e Vescovo della Città [che qual testimone di queste vicende scrisse una propria "Relazione", dove avendo fatto adunare il
Signor Commissario, il Colonnello, l'Officiali tutti della Città, e sue Ville, e
li Gentiluomini della Repubblica, che quindi erano cosi disse:
"Signori
quale e quanto sia sempre stato l'affetto della Rep.ca verso questa fedelissima Città, più voi, che l'avete provato potete immaginarvelo,
che io esprimerlo; E' piaciuto alla bontà Divina in odio de peccati nostri di metter questa Rep.ca in dubbio, trovandosi ancor Genova Capo
di questa in estremo pericolo, con tutto ciò a guisa di pietosa Madre,
e di sollecito Pellicano, ha voluto consquarciarsi il seno col sangue di
questi 600 soldati, che tanto sarebbero necessarij per mettere alla fronte di quel nemico, che calando giù per la Ponzevera [per "Polcevera" una delle tre grandi Podesterie di Genova: N.d.R.] già minaccia crudelissima servitù alla comune Patria, e madre, non e dubbio, che essendoseli di recente levata crudelissima guerra contro, non ha per brevità
di tempo potuto procacciare quei recapiti, che alla guerra esser necessarij ci ha dimostrato l'esperienza. Pur non vi sgomentate, che Dio
ci aiuterà.
E' cosa molto difficile col numero delle genti, che ho qui condotto
difendere Città di tal circuito, come e' questa, sono le mura deboli, la
Rep.ca vuole vivi tutti i sudditi. Ho ordine, (che poi mostro) che non
potendosi difender, che vi rendiate, vi assolve il Principe dal giuramento, questo solo vi prego, che quell'amore, che sempre professaste
di portare alli Padroni, che l'istesso passando sotto l'altrui Dominio,
come oro nella fornace si purifichi, ma non si consumi".
Le strida, nelle quali proruppero i Cittadini, che in gran numero
si trovarono in Casa del Vescovo desiderosi di sentire il successo di
quella adunanza, averebbe rese pietose le Tigri. Fu finalmente con il consiglio di detto Signor Generale e del Signor
detto Commissario conchiuso di cedere alla fortuna e mentre si cercava
no due Cittadini principali per andare dal detto Principe corse voce, che
in ogni modo voleva il Signor Generale imbarcar l'artiglieria, causò tal
voce tanta alterazione nelli villani [tra cui verosimilmente molti erano militi armati se non pure militi scelti], che a guisa di forsennati armandosi
di tutto punto correvano senza giudizio con stride spaventose per le
pubbliche strade gridando a Viva S. Giorgio, non bastò la presenza del
detto Signor Generale, l'autorità del Signor Commissario a raffrenarli a segno,
che uccidendo uno Sbirro, e ferendo il Cancelliere della Corte non
entrassero nelle Case di quelli Cittadini, che ancor nel Palazzo
Episcopale
Ben diedero ad intendere senza fin spiacerli, che quest'officio, che
combattendo speravano dovessero forte le mani combattendo
difendendosi, fosse con sì dolorosa metamorfosi trasformato in
servizio di rasciugare l'infinite lagrime, che in guisa di vivi sorgevano
dagl'occhi di ciascheduno; li sospiri delle fanciulle, il stracciarsi i crini[per "capelli":N.d.R.],
i sassi, non che gli uomini commuoveva.
Entrarono questi Scellerati in molte case de Cittadini, e quelle sotto
pretesto di attaccar Savoiardi, e Francesi saccheggiarono, rubavano denari,
e mobili, stracciavano libri de creditori; ciò ch'era difficile a sopportarsi
rompevano.
Correva a guisa di torrente per le strade il vino, e l'olio.
Invano per Divina clemenza spararono varie moschettate alle Case de
suddetti, era la Strada della Piazza piena di mobili, scritture, farine, etc.
Si vide più volte il Commissario, e il Generale in manifesto pericolo, non
ardivano gli officiali di lasciarsi vedere. Perderono questi empii il
rispetto all'istesso Dio, poiché con scuri, et altri istromenti fecero
forza di gettare a terra una porta del Palazzo Episcopale, che va in
Chiesa, onde non stimandosi Monsignor Vicario in Casa, aprì con gran
coraggio la detta Porta, e ritardando più tosto, che reprimendo l'ardore
di quelli iniqui diede di mano al Santissimo, e quello portandolo sopra la
porta, accompagnato da gran numero di persone mostrava al popolo a
gridar misericordia.
Fucci profana Lingua, che ebbe a dire, non esser più questo
tempo di misericordia, e ben si conobbe questo , imperoché non
ammolendosi il cuore di quei, convenne portare il Santissimo in casa del
Signor Battaglino Orengo Alfiere della Città, a cui avendo maltrattata la
madre Silvia Doria Sperona in Chiesa, e cercando Lui, che
miracolosamente nella cappella nuova dal Signor Giovanni Battista Giudice,
che al
l'ora fabbricavasi, erasi nascosto, per ucciderlo, non trovandolo saccheggiarono la di lui casa.
Seguì un caso assai sconcio mentre Monsignor Vescovo entrava col
Santissimo nella sua Casa, uno delle Ville gli toccò il braccio e fu causa
di far cadere la cupola del vaso.
Non cessavano gli empi di far ogni
danno fimo a tanto, che essendo imbarcati li 600 fanti, e videro avvicinarsi l'inimico in numero di 6000 soldati, et allora se ne fuggirono carichi di preda, restando nella Città di loro appena cento.
Fu risoluto
allora trovandosi senza gente di mandar due Padri di S.t Agostino al
Principe quali da Sua Altezza Reale ottenessero salvacondotto per due Cittadini,
che per Ambasciatori voleva mandar fuori Città con facoltà di rendersi.
Partirono i Padri alle due ore di notte, e andarono al Campo ne
mico, il quale faceva moltissimi fuochi, che furono necessitati ad estinguere, stante che le Galere li tormentavano con il Cannone, furono
spediti i Padri, e subito si mandò dalla Città il Magnifico Gio Batta Aprosio, e il Magnifico Gio Batta Porro, et avendo compositato con onorati capitoli, concordarono, che la Città dovesse pagar 6000 Doppie.
Tornati
i nostri s'apparecchiarono i viveri per il Campo, che il giorno seguente venne nella Città; essendosi accresciuto a questi il Marchese Dogliani
Governatore di Nizza con 4000 fanti, et altri infiniti i quali non
credendosi che la Città si dovesse subito rendere per esservi le Galere,
e buon presidio, vennero moltissimi dal Contado di Nizza, credendosi
sicuro il sacco della Città, entrarono nella Città, ove non si vedeva
altro, che alloggiamenti, e forestieri.
Entrò il detto Principe il mercordì delle tempore dopo la Pente
coste, non essendo stata fatta alcuna dimostrazione d'applauso, ne
essendo stato, come si credeva il giorno del Corpus Domini favorito
dalla vista delle principali Cittadine ebbe a dire che questi novelli
sudditi ci riuscirebbero mali Cristiani, alludendo al giuramento di fedeltà, che dovevano prendere.
Dava al detto Duca non poco fastidio
la presa de Castello che essendo sopra un alto et elevato poggio con
bellissima pianta situato, dimostrava maggior fortezza in apparenza, di
quello era in effetto, poiché fu il detto Castello per dobio [?] della mina [mine loro sistemazione nell'assedio a fortezze e castelli ad opera di genieri all'epoca detti vantaggiati/avvantaggiati come anche si legge in questo passo
estrapolato da una trattazione sul governo delle fortezze, includente difese ed assedi:sarcina descrittiva tratta dall'ormai raro volume
degli Ordinamenti Militari" di Genova del 1722 detti anche "dello Zignago" che, per quanto quasi di un secolo posteriori agli eventi del 1625, riproducono una tecnica nella sistemazione di mine e contromine non dissimile nel '600 e che continuerà
a lungo come si vede in questo ottocentesco trattato di arte militare]
dopo 9 giorni, avendo aspettato il Cannone, necessitato a rendersi [precisamente il 26 maggio essendo iniziato subito l'assedio del fortilizio il 21].
al nemico, il quale avendo nel tagliar le raccolte del grano e biade
per pasti de Cavalli non poco dannificato le nostre campagne, assai
presto vittorioso tornossene trionfante in Piemonte, che sì come è
cosa solita, e naturale quasi, che con minor difficoltà s'acquistino le
provincie, e Regni, di quello che si conservino così poco durarono
queste Vittorie, e trionfi, ripigliando la Serenissima Repubblica fra brevi giorni tutto il suo stato solo restando dopo la presa del Porto Maurizio,
e riviera tutta in loro bailia, e poter questa desolata Città esempio di
ogni miseria.
Aggravarono la Città di nuova contribuzione di Doppie
1480 per stipendij de soldati sotto pretesto di andar a far riverenza a
Don Felice naturale del Duca di Savoia, inviarono a Sospello, ove era
quel Duca 10 Cittadini per ostaggio, Roberto Aprosio, Giuseppe Riccobono, Gio Batta Orengo, Giuseppe Covenda, Lodovico Aprosio, Casanova, Emmanuele Porro, Guido Ascanio Galeano, e Clemente Orengo, ed ivi credendosi esser licenziati fra breve, li tennero dalli 9 sino
alli 25 d'Agosto sotto color di voler buttar giù le mura della Città contro i primi accordi, li necessitarono a pagar nuovo presidio di cento
fanti a quali pagò la Città quasi per due Mesi cento Pezzi da otto il
giorno, e d'ordine di Don Felice furono mandati a Nizza, onde mentre
per spedirsi sollecitavano i conti, s'intese essere con una truppa di Cavalleria avesse il Barone Vuatvilla Generale di quella per Genovesi
alli 25 del detto inviato trombetta a chieder in nome loro quella Città, che essendogli in apparenza negata, le fu però data speranza, poiché il giorno seguente di S. Secondo Protettore della Città di consenso
del Governatore, che v'era per l'Altezza di Savoia, furono in nome della Città, e sue Ville mandati a S. Remo a capitolare col detto Barone il
Signor Fran.co Riccobono, e Signor Marco M.a Sapia Notaio, e furono
ricevuti con segni d'affetto, e mentre si trattenevano questi in S. Remo, andò detto Barone per facilitarsi l'impresa a levar i soccorsi, ad espugnar Pigna, indi tornò con l'esercito a Ventimiglia, ove il giorno dell'esaltazione della S.ta Croce 14 Settembre comparvero i due mandati, e
fingendo i Savoiardi volersi difendere mandando i Genovesi l'artiglieria bene presto si arresero, e andando a Capitolare Gio Batta Aprosio, Riccobono Sudetto, Gio Batta Giudice, e Gio M.a Fenoglio tutti
Cittadini, e restando il Riccobono, Fenoglio per ostaggi tornarono i due
primi dentro a ragionare, e dopo lungo trattato fu concluso, che con
la tregua d'un giorno i Savoiardi si ritirassero in Castello, onde entrò
l'esercito Genovese numeroso di 10/m(ila) fanti fra Corsi, Spagnoli, Italiani, e Napoletani, e in appresso venne il soccorso di 4/m(ila) tedeschi, che restarono di retroguardia fuori delle mura.
Si pose l'istessa sera l'artiglieria a posto, e la seguente mattina
principiò la batteria contro il Castello, il quale dopo un grosso numero di Cannonate si resse, e gli fu concesso libero passaggio per il
loro paese.
Non si poté il popolo raffrenare di non ingiuriarli, e di
non tirargli de Sassi, talché quei poveri Savoiardi maledicevano l'ora,
che avevano visto questo paese.
Furono rese grazie a Dio d'esser liberi da Nemici, e di trovarsi sotto il primiero governo[ il 14 settembre 1625 avvenne di fattola riconquista genovese di Ventimiglia e il 21 quella del "Castello" = ma le trattative di pace durarono a lungo ratificandosi il trattato di pace solo il 10 Agosto 1634]
Seguì nella presa di questo Castello un caso veramente miracoloso,
e fu che fra li molti, e spessi colpi d'Artiglieria, che venivano da esso,
una palla di questi tirata andò in Chiesa, ove con il Marchese S.ta Croce era il Signor Duca di Tursi con due Senatori ad udir la S.ta Messa, e
rompendo il Ciborio gett6 con esso a terra il Sacro Vaso, e correndo
per il Coro quella palla andò a piedi del Signor Can.co Stornello, e
Cantore detta Cattedrale senza fargli altro male, che bruggiarli il Lembo della veste, fu pigliata quella dal Signor D. Carlo Doria, quale ringraziando S.D.M. di aver pigliato in se stesso il colpo di quella, che
doveva Lui per i suoi peccati privato di vita; per memoria del beneficio la volse seco.
Non contenti i Savoiardi, dopo esser stati scacciati da Ventimiglia
andavano depredando la campagna, et essendosi uniti circa settantadue si accordarono di pigliar la Torre d'un certo Ant.o Viale, che si
bene seppe difendersi, che con morte di uno, e con aver ferito 3 o 4
li costrinse abbandonar l'impresa.....