Informatizzaz. a cura di B. E. Durante

Gli Orsini di Solofra
1555-1809
Una delle poche famiglie baronali con molte terre e con un impero feudale in Puglia
Nel 1558 Beatrice Ferrella, vedova di Ferdinando Orsini I, duca di Gravina
dette Solofra al quartogenito Ostilio mentre il quintogenito Flaminio I ebbe Vallata.
Nel 1579 la Orsini dette Solofra a Flaminio I che nel 1580 sposò Lucrezia del Tufo mentre la sorella di Lucrezia, Diana, sposò Ostilio.
Nello stesso anno Flaminio morì, lasciando un figlio nato postumo (1581) Flaminio II.
Dal 1581 Solofra fu governata a nome del figlio da Lucrezia fino al 1593 quando il giovane Flaminio II entrò in possesso del feudo e sposò Aurelia di Capua da cui ebbe Dorotea.
Per evitare l’estinzione del ramo e il passaggio del feudo ad altra famiglia, Dorotea , divenuta feudataria di Solofra, alla morte del padre (1605), fu fatta sposare a Pietro Orsini, figlio di Ostilio e di Diana del Tufo e quindi di linea cugina.
Il feudo però non venne assegnato in dote a Dorotea, ma subì una serie di trasferimenti per trasformarlo di linea maschile.
Fu infatti venduto a Lucrezia del Tufo (1614), nonna di Dorotea che lo cedette a Diana del Tufo sua sorella e sposa di Ostilio e quindi al figlio Pietro, marito di Dorotea, il quale ottenne anche il trasferimento del titolo di principe su Solofra (1620).
Questo itinerario permise la riunione di tutti i feudi, per estinzione dei rami, nelle mani del figlio di Pietro e di Dorotea, Ferdinando II Orsini (1641), che all’inizio fu sotto la tutela della madre ma morì giovane nel 1658.
Gli successe PIER FRANCESCO ORSINI nato dal matrimonio di Ferdinando II con Giovanna della Tolfa e che governò dal 1659 al 1668 quando rinunziò al feudo (entrò nell’ordine dei frati predicatori col nome di frate Vincenzo Maria, sarà poi papa BENEDETTO XIII) a favore del fratello Domenico (1668-1705).
Domenico I Orsini sposò Luigia Altieri e poi Ippolita di Tocco da cui nacque Filippo (1685) che nel 1705 divenne erede del feudo (sposò Giovanna Caracciolo nel 1711 e Giacinta Ruspoli nel 1718) e morì nel 1734.
Gli successe il figlio Domenico II Orsini (nato nel 1719) che morì nel 1789 quando fu dichiarato erede il figlio Filippo II che (sposò Maria Teresa Caracciolo figlia di Marino principe di Avellino) ebbe l’ultima intestazione del feudo.
Il figlio Domenico III (nato nel 1765) morì nel 1790 prima del padre lasciando Domenico IV (nato nel 1790 postumo da Faustina Caracciolo figlia di Giuseppe principe di Torella) che ebbe con l’Universitas varie liti dopo l’abolizione della feudalità.
Il palazzo Orsini di fronte alla Collegiata esprime l’opposizione della famiglia feudale alla Comunità che si identificava nella sua chiesa madre.
La storia degli Orsini a Solofra è ricca di episodi di contrasto che culminarono nella lotta, una vera guerra civile, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, tra il primicerio Giovan Sabato Juliani e il feudatario.
La famiglia Orsini, che per mantenere la posizione di privilegio e il tenore di vita che richiedeva la permanenza a Napoli ebbe bisogno di sempre maggiori entrate, riuscì a trarre dalle attività solofrane il maggior profitto e a sfruttare il feudo nel modo più proficuo persino con la revisione dei patti statutari.
Gli Orsini si introdussero direttamente nella economia locale favorendola ed aumentandone la struttura produttiva ma a loro esclusivo vantaggio.
Sotto il governo degli Orsini la vita dell’Universitas fu segnata dal peso dei debiti subendo la ritorsione dei creditori.
La comunità fu costretta a fare una revisione dei fuochi per aumentare i gettito fiscale, a subire tasse e gabelle che pesarono sulle attività locali.
La revisione degli Statuti (1574) portò a diversi abusi feudali e favorì la creazione di una giunta governativa (Decurionato) dominata da un’oligarchia filofeudale.
Lungo tutto il XVII secolo la comunità, che nel 1606 aveva raggiunto 892 fuochi con un aumento in 40 anni di 200 fuochi, completò la costruzione della Collegiata ma sentì fortemente la presenza feudale.
Gli Orsini costruirono anche il Monastero di S.
Maria delle Grazie (poi di S.
Chiara) e la chiesa di San Domenico che furono lucrose operazioni economiche.
Le angherie feudali negative per l’economia locale provocarono un aumento dell’opposizione di una gran parte della popolazione.
La partecipazione di Solofra alla rivolta di Masaniello (1647) ebbe il significato di una forte opposizione antifeudale e il suo fallimento non smorzò il "moto di ribellione" che fu ulteriormente acuito dalla crisi della grande peste del 1656.
Intorno al dominio feudale nacque un forte contrasto in seno alla comunità solofrana che si divise in due gruppi uno dei quali riuscì a consolidare il suo potere e a dominare nel governo della Universitas.
Infausta fu la figura del feudatario, Domenico Orsini che si accaparrò una fetta non indifferente delle gabelle oltre a diversi diritti sulla vendita dei prodotti, rendendo impossibile ogni spinta di modernizzazione, mentre la presenza di governatori ed di agenti feudali esosi, una vera longa manus del feudatario sulle attività locali, fu ancora più perniciosa.
“Le rivendicazioni sfociarono in un violento contrasto antifeudale che coinvolse - tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII - tutta la popolazione in un clima di feroce guerra civile che fu un momento significativo di tutta la storia vicereale solofrana”.
Nel 1693 il duca di Gravina chiede di trasferire in quella città le tre cappellanie erette in Solofra da sua zia Dorotea Orsini.
L’episodio, causato dal tentativo dell’Orsini di controllare direttamente le attività mercantili con il loro spostamento nella piazza antistante il suo palazzo, vide schierata da una parte la maggioranza della comunità capeggiata dal primicerio Giovan Sabato Juliani (1651-1736) che subì prigionia ed esilio, dall’altra il feudatario sostenuto da quella parte del patriziato mercantile solofrano che aveva benefici dallo stare dalla parte del principe.
Il patriziato delle finanze - una ristretta oligarchia - , ancor più arricchitosi con le riforme di Carlo III, riuscì a non perdere il controllo del governo della Universitas, mentre la parte più ampia della comunità non riuscì a porre un freno a quella preponderanza.
Lungo tutto il Settecento nella società solofrana il ceto più attivo, per sostenere l’antica tendenza ad una vita più autonoma in opposizione alla feudalità, ebbe il contributo anche da quelli che, come si diceva, “vivevano nobilmente” o “vivevano del suo” e che poggiavano questo vivere sulle attività mercantili e finanziarie, possedendo a Solofra concerie e botteghe, accanto ai quali c’erano coloro che avevano spostato le loro attività artigianali nella capitale.
A metà Settecento erano censiti 509 membri di 77 fuochi esercitanti le attività liberali, tutti con impegni mercantili e finanziari e tutte famiglie più o meno direttamente impiantate a Napoli, che intrattenevano rapporti commerciali con la terra di origine, svolgendo in prima persona e concretamente tali attività.
Essi sostennero le istanze di rinnovamento del secolo in funzione moderata e quindi il moto rivoluzionario del 1799