Da una osservazione contenuta nella Grillia a p. 389 fine apprendiamo qualcosa sui movimenti di APROSIO in GENOVA dopo che prese stanza definitiva a VENTIMIGLIA.
Nel 1653 Íñigo Vélez de Guevara, conte d'Oñate e di Villamediana, che resse il Vicereame di Napoli dal marzo 1648 al corrispondente periodo del 1653, via mare si portò a GENOVA e quindi nella già popolosa dipendenza di SAN PIER D'ARENA (SANPIERDARENA), all'epoca rinomata per l'habitat estremamente favorevole e per l'ottimo clima [ Sopra un prospetto vinzoniano di SAN PIER D'ARENA datato 1757: di seguito altre immagini antiquarie settecentesche come una del 1769, Antonio Giolfi, Torricelli dis., Guidotti inc. od ancora la veduta di C.F.Krieger 1708 sino a un particolare del catasto napoleonico del 1811 ].
APROSIO comunque non dice se entrò in relazione con il nobile spagnolo ma sembra volerlo far trapelare: dopo aver menzionato l'ospitalità datagli dal confratello BIALE ritorna comunque sveltamente sui suoi contatti altolocati e menziona sia il CONTE BARTOLOMEO IMPERIALE che il MARCHESE BRIGNOLE SALE, nell'occasione di trasportare in qualche sua pubblicazione (verisimilmente la Grillaia che faticosamente prendeva corpo) alcune composizioni satiriche scritte contro i "BARBONI" nel senso di "BARBUTI", uomini trasformati talora dalle mamme in spauracchi da favola nera per i figlioli discoli.
Più che la dissertazione erudita, questo, con altre notazioni, è uno dei segnali o testimoni che il frate ventimigliese non aveva abbandonato l'ambiente culturale ed altolocato di GENOVA ma che, pur con giudiziosa affettazione, ne faceva citazioni sparse per indicare la sua mai venuta meno frequentazione dei personaggi e degli ambienti più significativi della "GENOVA CHE CONTAVA".
In effetti sondando le opere e le lettere dei corrisondenti di APROSIO si nota che GENOVA ma anche anche altre località, tra cui quelle d'ALBARO, di SAN PIER D'ARENA e non ultima di SESTRI (PONENTE) a lungo esercitarono attrazione sul frate ventimiglese non disdegnoso di associare alla sua OPERA DI PREDICATORE la pur temporanea rifrequentazione della CAPITALE LIGURE E DEI SUOI AMBIENTI SOFISTICATI.
Tuttavia un DISCRIMINANTE tra il vecchio gioioso attivismo e la dovuta espletazione di incarichi religiosi, sempre più contenuti comunque con il passare degli anni, si può scoprire in un ALTRO MENO FAUSTO SOGGIORNO IN GENOVA quando nel 1656 vi si imbattè nella PESTE, sì da scoprire palesemente il LATO PIU' OSCURO DELL'ESISTENZA UMANA e gradualmente, anche in forza d'un personale intristimento, ritirarsi in se stesso e sempre più nel RIPARO
DELLA PROPRIA BIBLIOTECA VENTIMIGLIESE.
Da una lettera a Giovanni Ventimiglia si apprende che APROSIO proprio nel 1656, essendo esplosa a GENOVA la peste, occasionalmente si trovava nella capitale ligure.
Poche ma efficaci parole evidenziano il suo animo sgomento.
Ma ciò che ancor più colpisce oggi è l'inizio di un mutamento caratteriale, si potrebbe dire di un intristimento a fronte della scoperta fragilità della vita.
Tracce di questo "incupimento esistenziale" si trovano nello Scudo di Rinaldo II, particolarmente nel capitolo VI dedicato ad Ippolito Marracci, ma, quasi contestualmente, si innerva per l'animo tormentato di Aprosio il tema dell'oblio nella morte cui si può sfuggire solo lasciando traccia di sè in qualche opera di rilievo.
Il tema del "fuggire dalla dimenticanza" esplicitamente ritorna nel capitolo XX, dedicato ad Ambrogio Guidetti, dello stesso Scudo di Rinaldo II ed in più si carica della scoperta dicotomia tra religiosi e laici, specialmente del differente destino tra i religiosi tardi tramandare la proprie opere e quindi il proprio nome in opere a stampa e quei laici che, come il conte Bernardo Morando pur commettendo lo stesso errore, son stati salvati da figli e nipoti che ne pubblicarono postume le opere.
Senza figli, privo della cura degli amori di famiglia Aprosio in qualche modo riproduce a fronte di questo pessimismo un verso del Battista, "una punta di penna il tempo uccide", elaborando il suo tema basilare degli ultimi anni e cioè la volontà d'eternarsi qual tromba delle glorie altrui, nella fattispecie qual bibliotecario, custode e divulgatore di prodotti culturali altrimenti destinati alla dispersione.
A monte di tutta questa evasione dall'annichilimento le esperimentazioni aprosiane furono naturalmente anche molte altre, non esclusa una sempre maggiore attenzione all'esoterismo.
Ma alla fine, ed a fronte della provata nullità intellettuali di tante ipotesi all'epoca in auge, tutto si concentrò nella scelta di vivere oltre il tempo grazie alla BIBLIOTECA e per via di questa ESSER TROMBA DELLE GLORIE ALTRUI, al modo che s'evince tra le rige dell'amicizia e della corrispondenza degli ultimi anni con il
medico fiorentino Jacopo Lapi