Riprod.e informat.di B. E. Durante
"IO E MAIA PATERNA: INCONTRARSI DOPO DUEMILA ANNI"
[Giova attivare questo collegamento per leggere l'introduzione a questa poesia con cui ritorno a parlare della lapide di Maia Paterna, la fanciulla scomparsa con estremo dolore dei non abbienti genitori: di questa fanciulla si sa in virtù del lapidario da cui si son ricavati diversi dati sugli abitanti di Albintimilium e per quanto le lapidi costituiscano ben piccola parte di documentazione attestante quanti nei secoli risiedettero in questo areale come si vede dal collegamento realizzato da "Cultura Barocca" emergono molti interessanti dati per non citare le informazioni come qui si vede giuntaci quasi sempre dalle iscrizioni funerararie su pubblici amministratori, militari, sacerdoti con i relativi culti e corporazioni.
La lapide di Maia Paterna è opistografa in quanto l'iscrizione, verosimilmente per motivi economici, fu realizzata dal lapicida sul retro di un'iscrizione, verosimilmente dismessa, del I secolo, di un certo Publius Nonius Primus che l'aveva fatta confezionare e sistemare onde interdire l'accesso, per quanti non fossero graditi, ad una sua via privata
L'iscrizione allestita per ricordare la fanciulla risulta collegata agli scavi archeologici del principale centro demico del municipio romano di Albintimilium, complesso demico sito a Nervia oggi importante frazione di Ventimiglia ed un po' arbitrariamente connessa, per coronamento della moderna lirica sotto proposta, al ben conservato teatro romano del complesso urbano (teatro qui in una immagine su come era prima dell'attuale modernizzazione: il tutto affrontato nel contesto di un più ampio discorso entro un libro che scrissi e pubblicai con un caro amico sul municipio imperiale di Albintimilium
il cui territorio amministrativo come si evince pure da quanto scrisse il geografo Strabone, a differenza di quanti alcuni errando ancora reputano, come qui si vede, era assai vasto e ben maggiore dello spazio amministrativo proprio dell'odierna Ventimiglia]
Sono vestito come uso,
senza eleganza o affettazione,
uno fra tanti: uno degli
spettatori, che s'agitano sotto il sole,
e reclamano le donne di Gades,
quelle che accendono il sangue anche ai vecchi.
Sto diventando vecchio? anch'io son lì
per scaldarmi nell'illusione d'un sogno
proibito? per prendere il garum e un sorso
di finto Falerno venduto al banco
del decumano, proprio oltre l'accesso?
Vorrei svegliarmi ma non posso,
non so più qual sia la realtà!
Il lustro dell'Impero che celebra se stesso
o questo grigiore di insegnante in pensione?
Suonano trombette di giunchi,
e crotali più o meno originali:
una bestemmia d'un latino che non fu
né di Virgilio né di Marziale desta
alla fine il silenzio, di colpo nulla s'ode più...
Anche le donne di Gades con le nacchere
e le vesti discinte, che mostrano seni
ora vigorosi ora presto appassiti,
per l'età se non per vietati abusi,
mi guardano: tutti mi guardano ora!
Abbasso gli occhi sul pulvino, oltre
il marmo finto ma di pietra nobile.
E vedo le scarpe, un pò trasandate,
i pantaloni puliti, sbircio sul cadere
della giacca, oramai fuori moda.
Nessuno porta abiti come i miei;
fra strascischi di porpore e zaffiri,
toghe e tuniche paiono adesso intrecciarsi.
E' un incubo, lo so, del sonno che
mai giunge e se giunge m'inganna!
Ma non mi sveglio, non balzo madido
nel letto: anche questo dono mi è proibito
da Morfeo, il Dio che mi scagliò la guerra.
Di colpo sento caldo dentro la mano,
la mano che sta rattrappendosi:
un'altra più piccola è entrata nell'incavo,
e cerca di scaldarmi o di darmi coraggio:
così credo, anzi spero o voglio sperare!
Non oso voltarmi, ma la voce di bambina
mi attira, mi blandisce, e m'afferra in fine
il cuore e il petto che però non esplodono.
Maia mi guarda, con gli occhi azzurri
dei suoi undici anni: la madre e il padre
nemmeno mi vedono più, come gli altri,
come le donne di Gades che sento cantare!
"E' tutto così veloce, vero?" dolce è il latino
sulla labbra di Maia, come il miele.....
"Tu mi vedesti un giorno, oltre la lastra,
fredda di marmo: sentivo il tuo dolore
di ragazzo, per lo stame breve della mia vita...
Ed ho pianto ma di breve gioia, sappilo
per il sorriso con cui mi lasciasti,
e per la carezza fatta sul mio nome...
Io guardo ora te...ci siamo incontrati,
e ti ringrazio della compagnia lieve
che mi fece il tuo cuore addolorato!".
Mi stringe forte la mano e sorride,
ma sento che è triste...d'una dolce tristezza...
Tempus fugit sospira ancora
prima di svanire con ogni cosa,
tutto intorno ....
Sono seduto sul letto....sveglio!
Ogni cosa della vita è così breve
...come un saluto, tra la folla,
come in un teatro di fantasmi.
La vita di Maia, la mia, quella
che tutti vorrebbero invece godere in eterno!
Ma è godere? così! sull'orlo dei dubbi?
e di domande che, da mai, trovano risposta?
Non lo so .... ma forse sì, se con un
sorriso, anche dentro un sogno,
se con una parola, magari in un libro
o graffiata su una pietra,
si è resa migliore la vita degli altri,
anche se son molto lontani da noi ....
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