PERVERSIONI SESSUALI

Pur se la flagellazione allo scopo di incentivare il piacere sessuale è solitamente reputata una forma di "perversione" proveniente da altri contesti geo-culturali, il primo trattato medico-scientifico sull'argomento è venuto dalla Germania. Si tratta del De Flagrorum Usu in re Veneria & Lumborum Renumque Officio del medico tedesco Johann Heinrich Meibom, conosciuto come Meibomus, che per la prima volta, a Leida nel 1629, diede alle stampe il frutto delle sue ricerche.
Johann Heinrich Meibom vide la luce ad Helmstedt il 27.8.1590, studiò ad Helmstedt, quindi a Wittenberg e poi frequentò gli studi di medicina nell'Università di Leipzig.
Medico professionista a Basilea dal 1619 e quindi professore di medicina dal 1620 ad Helmstedt ricoprì cariche di sempre maggior prestigio sino alla morte nel 1655 che lo colse a Lubecca ove era diventato il più eminente tra i medici e archiatra personale del vescovo.
All'attività professionale fece seguire una serie di pubblicazioni che gli ottennero sempre maggiori consensi e lo misero in contatto culturale anche con scienziati corrispondenti dell'Aprosio come i Bartholin.
E' innegabile che, contro le credenze usuali, Johann Heinrich Meibom sia da giudicare il primo scienziato che abbia sviluppato organicamente la teoria impropriamente detta del masochismo: egli sulla base della comprensione contemporanea dell'anatomia, sostenne che la fustigazione avesse la proprietà in alcuni soggetti di "riscaldare il seme nei reni" determinando il risultato che l'eccitamento sessualealla fine si estendesse energicamente agli organi sessuali (Kristian Frantz Paullini rivisitò nel 1698 questa interpretazione sostenendo che "l'anima calda" e non il "seme" discendesse dai reni, ma la teoria di base rimase a lungo incontestata, incontestata fino a Krafft-Ebing) Krafft-Ebing editò la prima versione della Psychopathia Sexualis nel 1886. I termini sadism e masochismo furono però introdotti in edizioni successive: il Sadismo venne recuperato da quanto Krafft-Ebing venne a sapere della vita e delle scritture del Marchese de Sade (del resto lavori particolari del de Sade, quali I 120 giorni di Sodoma, furono editi postumi: de Sade era morto nel 1814) e per il termine masochismo venne invece scelto da Krafft-Ebing il nome di un contemporaneo, l'autore austriaco Leopold von Sacher-Masoch.
Presupposto basilare del Krafft-Ebing era che tutte le forme del sesso non direttamente relative alla procreazione erano perversioni e soprattutto delineò il sadismo ed il masochismo in termini di teoria di degenerazione.
In dettaglio Krafft-Ebing ha poi visto una tendenza di base e naturale negli uomini verso sadismo sessuale e una propensione delle donne verso il masochismo sessuale.
Le sue postulazioni furono esaltate od aspramente criticate in un periodo in cui si andavano forgiando le basi della futura psicoanalisi e si svilupparono, non senza reiterate tergiversazioni, le considerazioni di Sigmund Freu sull'argomento delle perversioni.
Nel contesto di queste valutazioni, che sono per essenza di archeoletteratura, non occorre adesso procedere nella discussione su opposte, modernissime postulazioni in merito a tal argomento ma semmai far notare come il personaggio centrale di questa delicatissima investigazione vale a dire Angelico Aprosio mentre, citando Johann Heinrich Meibom, dava prova di esser al corrente delle conquiste nel settore delicato delle perversioni sessuali proprie della sua epoca, per altro lato era al corrente -avvalendosi di uno scritto significativo di Pico della Mirandola, seppur mascherando i connotati del celebre umanista sotto il facilmente decrittabile "appellativo pseudonimico" di "Fenice Mirandolana- che il masochismo o più correttamente il piacere sessuale acquisito da alcuni soggetti per via di percosse e specificatamente di flagellazione aveva una propria archeologia che oltrepassava non solo le postulazioni di Johann Heinrich Meibom ma anche le sanzioni documentarie di Pico della Mirandola perdendosi fin oltre la classicità, ramificandosi in poliedrici contesti (anche se verisimilmente il Kamasutra che parla di tale comportamento sessuale non rientrava fra le sue competenze), senza contestualmente essere ufficialmente riprovato dai testi sacri, a differenza per esempio dell'onanismo o dell'omosessualità, sì da permettergli di trattare la delicata questione senza timore di oltraggiare il sistema inquisitoriale del Sant'Uffico di cui perlatro, quale Vicario della Santa Inquisizione, era lui stesso un fedele guardiano.
Il passo di Pico della Mirandola che l'Aprosio cita nella sua Grillaia (non offrendone stranamente, come suo solito, i completi parametri editoriali) risulta estrapolato dal Caput XXVI
Epilogus huius libri cum reiectione quarundam rationum astrologorum in ipsos argumentantes
(precisamente Vol. 1,Lib. III,Cap. XXVII)dell'opera celeberrima Disputationes has Ioannis pici Mirandulae concordiae comitis, litterarum principis, aduersus astrologos, Bononiae : diligenter impressit BenedictuO>s Hectoris Bononiensis, 1495 die uero XVI Iulii 144 cc. ; fol. [Variante del titolo = Disputationes Ioannis Pici Mirandulae litterarum principis aduersus astrologiam diuinatricem quibus penitus subneruata corruit].
Senza commentare, senza precisare alcunché in proprio, senza soprattutto tradurre l'erudito intemelio, evidentemente per un pubblico qualitativamente preparato, semplicemente riproduce nell'interzza la sarcina da lui estrapolata per esplictare l'argomento d'ordine erotico da lui ambito:
[...] Vivit adhuc homo mihi notus, prodi-
giosae libidinis et inauditae: nam ad Venerem numquam
accenditur nisi vapulet, et tamen scelus id ita cogitat, sae-
vientes ita plagas desiderat, ut increpet verberantem, si
cum eo lentius egerit, haud compos plene voti nisi eruperit
sanguis, et innocentis artus hominis nocentissimi violentior
scutica disseruerit. Efflagitat ille miser hanc operam sum-
mis precibus ab ea semper femina quam adivit, praebetque
flagellum, pridie sibi ad id officii aceti infusione duratum, et
supplex a meretrice verberari postulat, a qua quanto cae-
ditur durius eo ferventius incalescit et pari passu ad vo-
luptatem doloremque contendit, unus inventus homo qui
corporeas delicias inter cruciatum inveniat. Is, cum non
alioquin pessimus sit, morbum suum agnoscit et odit
[...].



Meibom, Johann Heinrich, Joan. Henrici Meibomi De flagrorum usu in re ueneria. Et lumborum renumque officio, ad V. Cl. Christianum Cassium, Episcopi Lubecensis & Holsatiae Ducis Consiliarium. Ratioris argumenti libellus Lugd. Batauiorum : [1639] - 48 p. ; 80. - Data desunta da rep.: v. Biblioteca Vaticana - Segn.: A-B12. - Impronta - e-ub e-ac err- stea (3) 0000 (Q) - Localizzazioni: Biblioteca universitaria di Bologna .
Bartholin, Thomas [1616-1680], Thomae Bartholini, Joan. Henrici Meibomi, patris Henrici Meibomi, filii De usu flagrorum in re medica & veneria, lumborumqve & renum officio. Accedunt De eodem renum officio Joachimi Olhafii & Olai Wormii Dissertatiunculae , Francofurti : ex bibliopolio Hafniensi Danielis Paulli Bibl. Reg., 1670 - 144 p. ; 8o - Contiene Dissertatiunculae de usu renum con proprio frontespizio a c. H1 - [Pubblicato con] J. Olhafii & Olai Wormii Dissertatiunculae de usu renum - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca del Seminario maggiore - Padova - Biblioteca del Dipartimento di farmacologia E. Meneghetti dell'Università degli studi di Padova
Meibom, Johann Heinrich, Jo. Henrici Meibomii De flagrorum usu in re veneria. Et lumborum renumque officio .. , Londini : 1784 - [2], 42 p. ; 15 cm. - Localizzazioni: Biblioteca del Polo di medicina legale, anatomia patologica e storia della medicina dell'Università degli studi di Padova
Meibom, Johann Heinrich, J. H. Meibomii, De Flagrorum usu in re medica et venerea et lumborum renumque officio. Edente Claudio Mercier, compendiensi ...Editio quarta castigatissima, Parisiis : sumptibus Jac. Girouard, 1792 - 119, 1 p. ; 12o - Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Meibom, Johann Heinrich, De l'utilite de la flagellation dans la medecine et dans les plaisirs du mariage, et des fonctions des lombes et des reins; ouvrage singulier, traduit du latin de J.H. Meibomius ...Nouvelle edition, a Paris : chez C. Mercier ..., 1795 - [2], 156 p. ; 14 cm. - [Pubblicato con] J.H. Meibomii De flagrorum usu in re medica et venerea, et lumborum renumque officio. Edente Claudio Mercier, compediensi ... - Localizzazioni: Biblioteca del Polo di medicina legale, anatomia patologica e storia della medicina dell'Università degli studi di Padova
Neucrantz, Paul, Pauli Neucrantzj, Rostochiensis ... Idea perfecti medici oratione funebri proposita, cum ... Joanni Henrico Meibomio, in auditorio Lubecensi publice parentaret, - Lubecae : literis Gothofredi Jaegeri, 1655 - [36] c. ; 4o. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca nazionale centrale - Firenze Hippocrates, Hippocratis magni Orkos, sive Jusjurandum. Recensitum, & libro commentario illustratum, a Joanne Henrico Meibomio, Lugduni Batavorum : ex officina Iacobi Lauwiickii, 1643 (Lugduni Batavorum : typis VVilhelmi Christiani, 1643) - [16], 232 p. ; 4° - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale Marciana - Venezia
Meibom, Johann Heinrich, Joan. Henrici Meibomii De cervisiis potibusque et ebriaminibus extra vinum aliis commentarius accedit Adr. Turnebi libellus De vino , Helmestadii : typis & sumtibus Johannis Heitmulleri, 1668 - [96] c. ; 4° - - A cura del figlio Heinrich Meibom il cui nome figura nella pref. - [Pubblicato con] V. C. Adriani Turnebi De vino libellus, nunc seorsim editus - Localizzazioni: Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone - Avellino - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma

Meibom, Johann Heinrich, Joannis Henrici Meibomii Maecenas, sive de C. Cilnii Maecenatis vita, moribus & rebus gestis, liber singularis. Accessit C. Pedonis Albinovani Maecenati scriptum epicedium, notis illustratum , Lugduni Batavorum : apud Johannem & Danielem Elsevier, 1653 - 12, 186, 8, 11, 7 p. : ill. calcogr. ; 4o - Localizzazioni: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'antichità dell'Università degli studi di Milano - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma . - Biblioteca nazionale universitaria - Torino
Cassiodorus, Flavius Magnus Aurelius, Magni Aurelii Cassiodori, V. C. Formula comitis archiatrorum: commentario illustrata a Ioanne Henrico Meibomio, HelmestadI : typis & sumptibus Henningi Mulleri, 1668 - [8], 86 p. ; 4o - A cura di Heinrich Meibom, il cui nome figura nella pref. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Paullini, Christian Franz [1643-1712], Cynographia curiosa seu Canis descriptio, juxta methodum et leges illustris Academiae naturae curiosorum adornata, ... et Mantissa curiosa ejusdem argumenti, complectente Joh. Caji libell. De canibus britannicis, & Joh. Henr. Meibom. Epist. De kynophora, aucta a Christiano Francisco Paullini, .. , Norimbergae : sumptibus Johannis Georgii Endteri, 1685 - [56], 258, [16] p., [1] c. di tav. : 1 antip. calcogr. ; 4o. - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone - Avellino - Biblioteca del Dipartimento di biologia animale e dell'uomo dell'Università degli studi di Roma La Sapienza - Roma
Meibom, Johann Heinrich, Joannis Henrici Meibomii De Kynophoria seu Canis portatione ignominiosa epistola, Helmstestadii : typis & sumptibuis Henningi Mulleri Acad. Iul. typogr., 1661 - 9 c. ; 4o - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Paullini, Christian Franz [1643-1712], Cynographia curiosa seu Canis descriptio, juxta methodum et leges illustris Academiae naturae curiosorum adornata, ... et Mantissa curiosa ejusdem argumenti, complectente Joh. Caji libell. De canibus britannicis, & Joh. Henr. Meibom. Epist. De kynophora, aucta a Christiano Francisco Paullini..., Norimbergae : sumtibus Joannis Georgi Endteri, 1685 - [48], 258, [16] p., [1] c. di tav. ; 4o - [Variante del titolo] Canis descriptio - Localizzazioni: Biblioteca nazionale Braidense - Milano - Biblioteca nazionale universitaria - Torino
Bartholin, Thomas [1616-1680], Thomae Bartholini ... De usu flagrorum in re medica & veneria, lumborumqve & renum officio. Accedunt de eodem renum officio Joachimi Olhafii & Olai Wormii Dissertatiunculae , Francofurti : ex bibliopolio Hafniensi Danielis Paulli, 1669 - 144 p. ; 8 - Indicazione completa di responsabilità: Thomae Bartholini, Joan. Henrici Meibomi, patris, Henrici Meibomi, filii [Pubblicato con] J. Olhafii & Olai Wormii Dissertatiunculae de usu renum - Localizzazioni: Biblioteca di medicina dell'Università degli studi di Firenze - Biblioteca nazionale universitaria - Torino
Meibom, Johann Heinrich, Ioannis Henrici Meibomii De kynophoria, seu canis portatione ignominiosa epistola. Ad exemplar helmstadiense de anno 1661. iterum edita , Lipsiae : apud Io. Christ. Langenhemium, 1748 - Descrizione fisica: 16 p. ; 4° - - Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino



Caput XXVI
Epilogus huius libri cum reiectione
quarundam rationum astrologorum in ipsos argumentantes
.

Examinavimus naturales omnes mutationes rerum in-
feriorum, quaecumque caeli opera esse videntur, nam de
fortuitis hominum casibus in quintae rationis solutione di-
cemus, nec repertum in illis quod faveret astrologis, sed
occasio data potius multa obiciendi, ut sit quod eos anagyrin
istam commovisse poeniteat. Etenim quid colligimus inde
aliud, quam radiis luminarium affici corpora sublunaria?
Sed nec alia affectione quam caloris, nec alterius caloris
quam vitalis, nec cuius actio aliter immutaretur quam pro
situ sideris, vel ex propinquo, vel ex directo nos magis irra-
diantis. Ex his principiis omnium effectuum reddimus ra-
tionem, quoscumque fide experientiae in testimonium sui
dogmatis afferebant; in qua reddenda non confirmari
astrologiam ex illis observationibus, sed infirmari patebat,
et quid illi vel fallerent, vel fallerentur, ubique detegebatur.
Sic falso apparuit credi ab illis vim Solis exsiccatricem,
aut Lunae parum salubriter humectatricem et frigidam;
falso fingi in Luna vim occultam praeter motum et lumen,
quae mare revocet et effundet; falso noxa partus octimestris
reum fieri Saturnum; falso signis ascribi, quasi virtutis
potestatisque diversae, quod pro situs tantummodo varie-
tate Solis radius operatur; falso crisimos dies et periodos
febrium ad Lunae motus, vel aliorum siderum referri. De-
nique tantum abfuit, ut ex istis a Sole Lunaque mutationibus
argumentum sumeretur ad fidem decretorum astrologiae,
ut inde in suspitionem falsitatis non mediocriter adducatur.
Ita enim argumentabatur: sub Luna si quis cubet, membra
occupat torpor, et cum ea echini simul implentur; frige-
facit igitur et humefacit; Solem torridum sensus attestatur,
igitur siccum. Nos e diverso sic instamus: Luna implet
echinos, igitur calida est; demonstravimus haec ex Aristo-
tele. Stupent frigore dormientes sub ea, igitur calida est;
declaravimus hoc aperta ratione, quo pacto scilicet id eveniat.
In plenilunio favet conceptibus, alit corpora; crescens ro-
borat, vegetat, igitur calida est; probavimus ex Hippocrate,
ex evidentia ipsa. De Sole pariter appellamus ad experien-
tiam, qua patet illius radiis spiritum vitae omnem vivificari;
id vero non est siccae potestatis, sed salubriter calidae.
Nec difficile fuit declarare quo pacto, vel ex accidenti, vel
siccet vel exurat, immo frigefaciat, etiam Sol; Luna fri-
goris et humoris causam esse dicatur, licet sidus utrumque
vivifici tantum luminis et caloris sua natura sit auctor.
Sic item colligebant: videmus a Sole et Luna manifesto
nostra corpora permutari, nec igitur de aliorum siderum
influxibus dubitandum est. At hoc ipsum de aliis nos in
dubium trahit, quod de Sole Lunaque videmus, quod scilicet
ab eis ita corporum dispositiones variari deprehendimus,
ut reliquas stellas asymbolas potius iudicemus quam in partes
operis advocatas, siquidem Lunae lumine decrescente semper
humiditas in corporibus attenuatur, augescit semper illa
crescente. Cur igitur, si quod putant astrologi de aliorum
siderum efficientia verum est, cur, inquam, non interdum
humiles planetae cum dominantur, iacturam luminis lu-
naris farcientes, humiditates non augent, ut liceat nobis
aliquando, siderum beneficio, etiam in novilunio succulenta
ostrea cenitare? cur invicem, illa plena, numquam Saturni
siccitas atque Martis, ius caeli pro legibus astrologicis usur-
pantium, corpora desiccat et caesa ligna defendit a carie?
Potius ergo favent observationes istae tollentibus potestatem
planetarum quam astruentibus, sicut et his potius qui signis
efficaciam nullam tribuunt quam qui plurimam; alioquin
cum a Luna movetur mare, sicut volunt nec ipsi negamus,
cur in aquaticis signis posita non plus movet quam in igneis,
nec minus in siccis denique quam in humidis? Aut cur
Luna non facet uberiores accessus humidis iuncta planetis
quam exsiccantibus? Et quomodo, si vera quae praedicunt
de duodecim locis, quas appellant domos, quomodo illud
consonat quod ab ortu scandens Luna, quo plus summo
propinquat, fortius agit in oceanum, atque ita fortius ex
duodecimo loco quam ex horoscopo, quo tamen loco lan-
guere fierique imbecillimam omnium siderum potestatem
affirmant? Potius igitur stant nobis contra illos ista experi-
menta quam ut, contra fidem, astrologorum opinionibus
arrogent, nisi quemadmodum dicebat Favorinus, ut su-
pra etiam tetigimus, quia oceanus, quasi Lunae comes, cum
ea simul senescit adolescitque, putant argumentum esse ad
persuadendum omnium rerum humanarum et parva et ma-
xima, tamquam stellis atque sideribus evincta, duci atque
regi. Sed longe dispar atque, ut idem astrologos ludens
iactabat, nimisque ineptum et absurdum est ut, quantum
aestus oceani cum Lunae curriculo congruit, negocium quo-
que alicuius, quod ei forte de aquae ductu cum rivalibus
apud iudicem est, existimemus ipsum quoque, quasi ha-
bena quadam de caelo vinctum, gubernari.
Reliquum ut postremam argumentationem dissolva-
mus, petitam ab eventis humanis, in quibus alia ita vires
nostras excedant, aut praeter meritum et rationem eveniant,
ut decreti fatalis et caelestis potentiae vim adstruere vi-
deantur. Hoc nos ita solvemus ad praesens, ut ostendamus
habere suas causas haec omnia satis apud nos, nec appa-
rere quicquam in omnibus quod auctorem caelum desideret,
hoc est nihil in cursu rerum esse humanarum unde suspicio
nasci debeat, facta hominum fatis regi et gubernari. Nam
per initia quidem libri sequentis, non solventes iam sed ar-
guentes, haec in primis caelitus nullo modo fieri posse do-
cebimus, in quibus istam vim fati agnoscere sibi isti vi-
dentur. Ea vero denique duo sunt, magna videlicet atque
mala. Dicamus primum de magnis, vel ad animum perti-
nent ista, vel ad externa. Sic enim nobis et Alexandri feli-
citatem, et praeceptoris ingenium ac doctrinam obiectabant.
Incipiamus igitur ab his quae ad animum pertinent. Admi-
raris in Aristotele consummatam scientiam rerum natura-
lium; ego tecum pariter admiror. Causa caelum est, inquis,
et constellatio sub qua natus est; non accedo, non tam
vulgata ratione, quod nati eodem astro multi non fuerunt
Aristoteles, quam quod praeter caelum sub quo tamquam
causa universali, et Boeotiae sues et philosophi actici pari-
ter germinant, causae proximae sunt Aristoteli propriae et
peculiares, ad quas singularem eius profectum referamus.
Primum utique, ut ille inquit, sortitus est animam bonam
et hanc utique non a caelo, siquidem immortalis et incorpo-
reus animus, quod ipse demonstravit, nec astrologi negant;
tum sortitus est corpus idoneum ut tali animae famulare-
tur; nec hoc etiam a caelo, nisi tamquam a communi
causa, sed a parentibus. Elegit philosophari: hoc et prin-
cipiorum opus quae diximus, hoc est animi et corporis, et
sui arbitrii fuit; profecit in philosophia: hic arrepti pro-
positi et suae industriae fructus; at plusquam philoso-
phantes multi: fuit in causa doctrina praeceptoris et feli-
citas saeculi in qua editus, veterum pleni monumentis, sed
non exactis, ne et labor non adesset inchoandi et perficiendi
bonas artes materia non deesset. At profecit plus longe quam
coetanei et quam discipuli: sortitus erat, non astrum me-
lius, sed ingenium melium; nec ingenium ab astro, siquidem
incorporale, sed a Deo, sicut corpus a patre, non a caelo.
De quo nos tanto loquimur quam astrologi honorificentius,
quanto causa universalis particularibus causis divinior et
eminentior. Quod si captus excessit ingenii humani, vel
Aristoteles vel philosophus alius, erit causae hoc non om-
nino deterioris, quale corpus omne proptereaque caeleste
est, sed melioris, hoc est divinae, sicuti Socrates, maior
mea sententia omnium philosophorum, sapientiam suam,
non sideribus natalitiis, sed assistenti numini rettulit ac-
ceptam. Quare plus caela damus quam oporteat, si divini-
tatem animorum a corporeis illis radiis demittimus; minus,
si corporeas differentias, quae de privatis rebus accipiuntur,
illi quasi particulari causae tribuimus. Minus autem omnino
quam deceat, cum deformitates ipsas nostras et labes men-
tium ascribimus stellis, quod est unum ex illis quibus ma-
xime movebantur ad astra confugere, quod apparent in ho-
minibus multis absonae quaedam appetitiones, praeter leges
humanitatis, quae non intrinsecam, hoc est humanam, sed
extrinsecam habere causam videantur, et quia potentem,
ideo sideream. Ego vero ab illis quaesierim cur pregnans
mulier terram comedat libentius et carbones, quam exqui-
situm omne genere eduliorum? Et si monstrifici desiderii
non astrum, sed fetum, causam invenerint, admonebo cau-
sam pariter eorum quae demirantur in corporis tempera-
tura potius quam in caelo esse quaerendam. Dicerem apud
improbos quoque daemones, sed a corporeis eos abducerem.
Certe praeter corporis habitum quantum faciat ad huius-
modi portentosas affectiones consuetudo, verissimo possum
exemplo declarare.
Vivit adhuc homo mihi notus, prodi-
giosae libidinis et inauditae: nam ad Venerem numquam
accenditur nisi vapulet, et tamen scelus id ita cogitat, sae-
vientes ita plagas desiderat, ut increpet verberantem, si
cum eo lentius egerit, haud compos plene voti nisi eruperit
sanguis, et innocentis artus hominis nocentissimi violentior
scutica disseruerit. Efflagitat ille miser hanc operam sum-
mis precibus ab ea semper femina quam adivit, praebetque
flagellum, pridie sibi ad id officii aceti infusione duratum, et
supplex a meretrice verberari postulat, a qua quanto cae-
ditur durius eo ferventius incalescit et pari passu ad vo-
luptatem doloremque contendit, unus inventus homo qui
corporeas delicias inter cruciatum inveniat. Is, cum non
alioquin pessimus sit, morbum suum agnoscit et odit, quo-
niamque mihi familiaris multis iam retro armis, quid pate-
retur libere patefecit; a qua diligenter tam insolitae pestis
causam cum sciscitarer, «a puero, inquit, sic assumevi». Et
me rursus consuetudinis causam interrogante, educatum se
cum pueris scelestissimis, inter quos convenisset hac cae-
dendi licentia, quasi pretio quodam, mutuum sibi vendere
flagitiosa alternatione pudorem. Hoc ego factum, licet grave
auribus liberalibus, ideo non suppressi, ut cognosceremus
evidentia ipsa quantum illis affectibus valeat consuetudo,
ne, quasi causam habere terrenam nullam possint, caelum
statim accusemus. Nam id quidem astrologus si audiat, dam-
natam dicet fuisse Venerem in hominis genitura, et ad-
versis fortasse, aut alio modo minitantibus radiis Martis fla-
gellatam.
Veniamus ad res esternas, in quibus Alexander prae-
ponebatur, cuius tanta, tam repentina felicitas undenam
ortum haberet quaerebatur, nisi haberet a caelo. Facilis
responsio: a virtutibus Alexandri, quales habuit multas,
necessarias imperatori: fortitudinem, liberalitatem, laborum
tolerantiam, peritiam rei militaris, egregiam litteraturam,
et quas alias enumerare non est necesse; ab exercitu quem
nactus est, et sub patre Philippo exercitatissimum, et be-
neficio regionis bellicosissimum, et ob liberalitatem exem-
plumque virtutum amantissimum sui; ab ignavia populo-
rum quos superavit, unde dictus a patruo pugnasse cum

feminis; a fortuna quae in rebus bellicis plurimum domi-
natur. Fortunam vero cum dico, caelum non dico, sed eam
causam cuius meminit Aristoteles secundo libro physicae
auscultationis, et quam vulgo fortunam dicimus atque his
verbis solemus exprimere «ita sors tulit», «ita evenit», «ita
res cecidit», per quam fit ut ludentes asseris aut iaciant
quod volunt, aut quod non volunt. Haec est illa caeca nun-
cupata, quae praeter illas quas diximus et similes causas
Caesares, Syllas, Augustos, Alexandros fecit, quam per se
nec dependere de caelo, nec idem esse quod fatum, nec pro-
videntiae derogare divinae, et quid demum aut esse, aut
non esse possit, quoniam proximo libra late disserendum
est, hic dicere oportet, ubi astrologos non aliis magis quam
Aquinatis Thomae, quem hi summe sibi favere putant, armis
opprimemus. Quod vero ad id attinet quod principaliter
hic tractatur, nego quicquam in terris adeo magnum fieri
vel videri, ut auctorem caelum mereatur. Nam miracula
quidem animi, ut diximus, caelo maiora sunt; fortunae
vero et corporis, ut quam maxima sint, caelo collata mi-
nima deprehenduntur, ut quod recte dixit Favorinus...
nihil magnum in terra praeter hominem; nihil magnum
in homine praeter mentem et animum; huc si ascendis,
caelum transcendis; si ad corpus inclinas et caelum suspicis,
muscam te vides et musca aliquid minus. At quemadmodum
quidem in illo nigro agmine formicarum, sunt quae aliis
praestent robore, magnitudine, sunt victoriae, bella, paces,
officia, labores, egestas, divitiae, quae contemplantibus nobis
omnia exigua et nullo discrimine nihil sunt, ita nostra ista
corpuscula, nostrae fortunae, nostri reges, nostrae provin-
ciae, bella, foedera, nuptiae, caelo si comparentur nihil sunt
penitus, cui tota terra collata, cuius unam portiunculam
inter se homines igne ferroque partiuntur, individuum
punctum est. Non ergo ea est magnitudo rerum terrenarum,
ut alterius esse quam caeli opus non possit; quo si digna
non sunt quae inter nos digna sunt, quanto magis erunt
indigna quae indigne etiam fiunt a nobis, ut flagitiosos
evehi ad dignitatem, Socratem perire iudicio stellicatoris,
et enormia id genus, quae quotidie multa et videmus et pa-
timur. In quibus in primis elucescere fatum, et caelestis
decreti necessitatem ait Maternus; quem ego cum astrologis
aliis libenter interrogaverim, cur errata nostra tantopere
ambiant stellis imputare, et cum ipsi peccamus libentius
inde caelum quam nos accusare? Quasi aut mirabile esset
nos errare, pronos et malos ab adolescentia, aut errare illa
possint aliquando, iussis optimi Dei incommutabili semper
ordine famulantia. Damnantur, inquiunt, innocentes; fa-
cinorosi praemiis afficiuntur; a quibus, quaeso, principibus,
iustis an iniustis? Si a iustis, nec caelum satis erit tanto
miraculo; si ab iniustis, quid caelo opus est, ubi despectrix
caeli malitia satis est? Quaerit Aristoteles in Problematis:
« Cur fere idem semper boni et pauperes?» cumque multas
afferat causas et veras et facetas, nullam tamen affert a caelo,
ut qui scilicet sciret sentes et tribulos, non caelum germi-
nare, sed terram. At cautus homo et prudens, quod maxime
fugiebat discrimen, incurrit, evadit alius periculum, cui se
temere saepius exposuerat? Quid est quod admiremur?
cum non minus haec numquam evenire, quam si eveniant
saepe, pro miraculo sit habendum. Horum, cum plerumque
fiunt, causa quaerenda est, prius quidem proxima. Haec
si deest, remotior et occulta, cum de raro et fortuito
non est alia causa investiganda, si eorum satis meminimus
quae sapientissimus Aristoteles et secundo libro physicae
auscultationis et sexto primae philosophiae scriptum nobis
reliquit.
Ioannis Pici Mirandulae disputationum adversus astrologos libri tertii finis






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