Inf. Durante Carta geografica del XIX sec.

DOPO LA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO A GERUSALEMME (DI CUI PUOI ANCHE VEDERE COME ERA L'INTERNO NEL XIX SECOLO) DALLA STESSA FONTE OTTOCENTESCA VAI A VISUALIZZARE QUESTE STAMPE EFFIGIANTI LA SACRALITA' NATURALE DEL MONTE THABOR E QUELLA MONUMENTALE-ARCHITETTONICA DELLE TOMBE DEI PATRIARCHI



































BEGARDI: dal 1250 sinonimo di beghini, un gruppo di laici cristiani, diffusi soprattutto in Fiandra e in Germania nel secolo XIII, che vivevano in complessi di casette dette beghinaggi, dediti a un'esistenza di povertà e a opere pie.
Partecipanti a riunioni più o meno segrete, formarono delle congregazioni dirette da preti o religiosi, al di fuori di una regola approvata dalla Chiesa, da cui furono accusati di interpretare liberamente le Scritture, di leggere la Bibbia in volgare e di trascurare i sacramenti impartiti dal clero.
Tali associazioni, che si estesero anche a vari paesi d'Europa, subirono persecuzioni alla fine del XIII secolo e il
concilio di Vienne (1311) le condannò formalmente come eretiche.
Per il loro ideale di purezza spesso s'identificarono con i gruppi mistici del Libero spirito, che sostenevano l'annientamento dell'io in Dio secondo le regole dell'amor puro. [DIZIONARIO DI STORIA on line]

































PRIMO CONCILIO DI LIONE
Dal 28 giugno al 17 luglio 1245.
A parte la sessione preliminare del 26 giugno, questo concilio si svolse in tre solenni sessioni (28 giugno, 5 e 17 luglio). Approvò decreti contro l'imperatore Federico II, contro i Saraceni e per la riconquista della Terra Santa, non prese però risoluzioni dogmatiche.

































SECONDO CONCILIO DI LIONE
Dal 7 maggio al 17 luglio 1274.
Papa Gregorio X (I27I-1276).
6 sessioni.
Regolamento del conclave, unione coi Greci, crociata, 31 capitoli.
INDICE TEMATICO
COSTITUZIONI
I COSTITUZIONE [CROCIATA IN TERRASANTA]
I COSTITUZIONE (I A) [NECESSITA' DI UNA CROCIATA IN TERRASANTA]
I COSTITUZIONE (I B) [SOVVENZIONI ECONOMICHE PER SOSTENERE UNA CROCIATA IN TERRASANTA]
I COSTITUZIONE (I C)[SCOMUNICHE ED ANATEMI AVVERSO QUANTI TENGONO RAPPORTI COI SARACENI - SCOMUNICA AVVERSO CORSARI E PIRATI I QUALI PREDINO LE NAVI CRISTIANE CHE A VARIO TITOLO VANNO E VEGONO DALLA TERRA SANTA]
I D [OBBLIGHI E LICENZE DEI PATRIARCHI PARTECIPANTI AL CONCILIO: ASSENZE PLAUSIBILI E/O CONCESSE]
Della somma Trinità e della fede cattolica.
Della elezione e della potestà dell'eletto.
Il tempo delle ordinazioni e la qualità degli ordinandi.
Di coloro che hanno sposato due volte.
L'ufficio del giudice ordinario.
Sulle cause giudiziarie.
Di ciò che vien fatto per costrizione o timore.
Delle prebende e delle dignità.
Non si devono alienare i beni della chiesa
Le case religiose devono esser soggette al vescovo.
Delle imposte e delle prestazioni.
Della immunità delle chiese.
Dell'usura.
Delle ingiurie e del danno arrecato.
La Sentenza di scomunica.

































COSTITUZIONI
I [CROCIATA IN TERRASANTA]
I a [NECESSITA' DI UNA CROCIATA IN TERRASANTA]
Lo zelo della fede, il fervore religioso e un sentimento di compassione devono eccitare il cuore dei fedeli, perché tutti quelli che si gloriano del nome cristiano, toccati fin nelle più riposte fibre del loro cuore(1) dall'offesa fatta al loro Redentore, con moto aperto e potente sorgano a difesa della Terra Santa e in aiuto della causa di Dio.
E chi mai, illuminato dalla luce della vera fede, e meditando piamente i meravigliosi benefici che il nostro Salvatore ha elargito al genere umano nella Terra Santa, non si sentirebbe riscaldare da un sentimento di devozione e non arderebbe d'amore, e non proverebbe nell'intimità del cuore e con tutto l'ardore della sua mente compassione per quella Terra Santa, parte dell'eredità del Signore(2)? Quale cuore non sarebbe indotto alla compassione per essa dalle prove d'amore date dal nostro creatore in quella terra? E invece, purtroppo quella stessa terra, nella quale il Signore si è degnato operare la nostra salvezza (3), e che ha reso sacra col proprio sangue, per redimere l'uomo con la offerta della sua Morte, assalita audacemente e occupata a lungo da nemici scelleratissimi del nome cristiano e perfidi Saraceni, viene temerariamente tenuta soggetta e senza alcun timore devastata. In essa il popolo cristiano è barbaramente trucidato a maggior disprezzo del Creatore e con ingiuria e dolore di tutti quelli che professano la fede cattolica. Essi, insultando i cristiani, rimproverano loro con molte espressioni ingiuriose: "Dov'è il Dio dei cristiani?"(4).
Questo ed altro, che l'animo non può del tutto concepire né la lingua riferire, hanno acceso il nostro cuore ed eccitato il nostro animo, cosicché noi, noi che nell'oltremare non solo abbiamo udito quanto abbiamo accennato, ma l'abbiamo visto coi nostri occhi e toccato con le nostre mani (5), insorgessimo, secondo le nostre possibilità, a vendicare l'ingiuria fatta al Crocifisso, con l'aiuto di quelli che lo zelo della fede e della devozione spingerà a questa impresa.
E poiché la liberazione della Terra Santa deve riguardare tutti i cattolici, abbiamo ordinato di convocare questo concilio, affinché, dopo esserci consultati in esso con prelati, re, principi, ed altre persone prudenti, potessimo stabilire e ordinare in Cristo quanto giovasse alla liberazione della Terra Santa, e perché, inoltre, i popoli Greci fossero riportati all'unità della chiesa, - essi che con superba cervice tentarono di dividere in qualche modo la tunica inconsutile del Signore, e si sottrassero alla devozione e all'obbedienza della sede apostolica -; e fossero anche riformati i costumi, che sotto la spinta dei peccati nel clero e nel popolo si sono corrotti. In tutto ciò che abbiamo detto, guiderà i nostri atti e i nostri propositi, colui cui nulla è impossibile; (6) ma che, quando vuole, rende facili anche le cose difficili, e appianando con la sua grazia le vie ineguali rende diritte quelle scabrose (7).
Ad ogni modo, perché quanto abbiamo esposto potesse tranquillamente esser realizzato, dati anche i pericoli delle guerre e le difficoltà dei viaggi, cui avrebbero potuto andare incontro quelli che abbiamo creduto dover chiamare al concilio, senza alcun riguardo per noi e per i nostri fratelli, ma andando incontro, invece, spontaneamente alle fatiche, pur di preparare ad altri la tranquillità, siamo venuti nella città di Lione, pensando che qui quelli che erano stati convocati per il concilio potessero convenire con minor disagio e minori spese. Siamo venuti con i nostri fratelli cardinali e con la nostra curia, sottoponendoci al peso di pericoli vari, di incomodi diversi, di molti rischi, e qui, radunati tutti quelli che erano stati convocati al concilio o personalmente o per mezzo di rappresentanti adatti, abbiamo frequentemente trattato con loro dell'aiuto da inviare alla Terra Santa; ed essi, zelanti per vendicare l'ingiuria fatta al Salvatore, cercarono le strade migliori per recare soccorso alla Terra Santa, e come dovevano diedero i loro consigli e suggerimenti.
I b [SOVVENZIONI ECONOMICHE PER SOSTENERE UNA CROCIATA IN TERRASANTA] Noi, dunque, sentiti i loro pareri, raccomandiamo la volontà e il lodevole entusiasmo che essi mostrano per la liberazione della Terra Santa. Ma perché non sembri che noi imponiamo sulle spalle della gente pesi gravi e insopportabili, che però noi non vogliamo toccare con un dito (8), cominciando da noi stessi, che professiamo di avere quanto abbiamo dall'Unigenito Figlio di Dio Gesù Cristo, per cui dono viviamo, per la cui grazia siamo mantenuti in vita e dal cui sangue, anzi, siamo stati redenti, noi e i nostri fratelli cardinali della santa Romana chiesa, al completo, per sei anni continui verseremo la decima di tutti i nostri redditi, frutti e proventi ecclesiastici come sussidio per la Terra Santa. Con l'approvazione di questo santo concilio, stabiliamo anche e comandiamo che per i predetti sei anni, da computarsi senza interruzione a cominciare dalla prossima festa della natività di S. Giovanni Battista, tutte le persone ecclesiastiche, di qualsiasi dignità o preminenza, condizione, ordine, o stato religioso o di ordine essi siano - e ad essi e alle loro chiese noi vogliamo che in nessun modo servano di scusa privilegi e indulti, con qualsiasi formula o espressione siano stati concessi, ché anzi revochiamo del tutto quelli che finora avessimo concesso - versino integralmente e senza alcuna ritenuta la decima parte di tutti i redditi, frutti e proventi ecclesiastici di ciascun anno, nei termini che seguono, e cioè la metà nella festa della natività del Signore, e l'altra metà nella festa di S. Giovanni Battista.
Perché, poi, sia salvaguardato con maggior zelo l'onore dovuto a colui che questa impresa riguarda direttamente, ai suoi Santi e in modo particolare alla Vergine gloriosa, del cui aiuto in questa ed in altre circostanze ci gioviamo, e sia più abbondante la sovvenzione alla Terra predetta, comandiamo che si osservi in tutto il suo rigore la costituzione del papa Gregorio [IX], di felice memoria, nostro predecessore, contro i bestemmiatori (9). Questi siano costretti dalle autorità dei luoghi dove si commette il reato di bestemmia e da quanti ivi esercitano la giurisdizione temporale a pagare integralmente la multa pecuniaria, e questa venga assegnata a chi raccoglie il denaro per la decima. Gli ordinari diocesani e di altri luoghi usino, se necessario, i mezzi coercitivi.
Ai confessori con giurisdizione ordinaria e a quelli che ascoltano le confessioni per un privilegio comandiamo rigorosamente di voler suggerire ed ingiungere a quelli che da essi si confessano di voler devolvere il denaro di cui abbiamo parlato a favore della Terra Santa con piena soddisfazione (dei loro peccati). Inducano anche quelli che dettano le loro ultime volontà, perché nei loro testamenti lascino qualche cosa dei loro beni in aiuto della Terra Santa, in proporzione di quello che possiedono.
Oltre a ciò comandiamo che in tutte le chiese venga posta una cassettina, chiusa con tre chiavi da conservarsi la prima presso il vescovo, la seconda presso il rettore della chiesa, la terza presso un buon laico; i fedeli siano esortati a deporre in essa, secondo l'ispirazione di Dio, le loro elemosine in remissione dei loro peccati. In queste stesse chiese, poi, una volta alla settimana, in un giorno determinato, indicato in anticipo dal sacerdote al popolo, sia cantata pubblicamente la messa per questa remissione dei peccati, specie per quelli di chi offre le elemosine.
Oltre a ciò, perché più abbondantemente si possa venire in aiuto alla Terra Santa, esortiamo e con ammonizioni ed esortazioni vorremmo persuadere re e principi, marchesi, conti e baroni, autorità, capitani e i duchi di tutte le altre contrade di ordinare che nei paesi soggetti alla giurisdizione di ciascuno di loro, ogni anno venga pagato da ciascun fedele un denaro del valore di un turonese o di una sterlina, secondo le consuetudini o le condizioni della regione, prescrivendo anche che venga pagata qualche altra piccola tassa a favore della Terra Santa, senza aggravare nessuno, in remissione dei peccati. Cosi, come nessuno si può scusare dal provare un senso di pietà per lo stato lamentevole della Terra Santa, nessuno sia escluso dal prestarle aiuto e dal merito.
Ancora: perché quello che provvidamente è stato stabilito riguardo agli aiuti alla Terra Santa non debba esser impedito per l'inganno, la malizia, l'astuzia di qualcuno, scomunichiamo ed anatematizziamo tutti e singoli quelli che frappongono consapevolmente, direttamente o indirettamente, in pubblico o di nascosto, qualche impedimento a che vengano pagate le decime, nel modo che è stato descritto sopra, in aiuto della terra predetta.
I c [SCOMUNICHE ED ANATEMI AVVERSO QUANTI TENGONO RAPPORTI COI SARACENI - SCOMUNICA AVVERSO CORSARI E PIRATI I QUALI PREDINO LE NAVI CRISTIANE CHE A VARIO TITOLO VANNO E VEGONO DALLA TERRA SANTA]
Poiché, inoltre, i corsari e i pirati rendono inaccessibile la Terra Santa catturando e spogliando quelli che vanno e vengono da essa, noi scomunichiamo sia loro sia i loro principali sostenitori e favoreggiatori, proibendo assolutamente sotto minaccia di anatema che qualcuno possa comunicare consapevolmente con essi con contratti di compra-vendita. Imponiamo anche ai reggitori delle città e delle comunità che li ritraggano da questa loro iniquità e li impediscano. Altrimenti disponiamo che i prelati ecclesiastici esercitino nelle loro terre il rigore della chiesa.
Scomunichiamo, inoltre, e colpiamo di anatema quei falsi ed empi cristiani, i quali contro Cristo e il popolo cristiano forniscono ai Saraceni armi e ferro, con cui combattono i cristiani, legnami per galee, e per altri natanti; ed anche quelli che vendono ad essi galee e navi, o che attendono al governo delle navi piratesche dei Saraceni, o che per quanto riguarda le macchine o qualsiasi altra cosa danno ad essi qualche consiglio o prestano qualche aiuto che riesca di danno ai cristiani, specie della Terra Santa; e comandiamo che questi siano puniti con la privazione dei loro beni e che diventino schiavi di quelli che li catturano.
Stabiliamo, inoltre, che in tutte le città marittime, le domeniche e le altre feste, questa nostra disposizione venga pubblicamente ricordata, e che coloro non siano riammessi nel grembo della chiesa, finché non abbiano devoluto a favore della Terra Santa tutto quello che hanno percepito da un cosi indegno commercio, ed altrettanto del suo. Cosi saranno puniti, con giusto giudizio, proprio in ciò in cui hanno mancato. Che se non fossero in grado di pagare, siano castigati talmente, in altro modo, che la loro pena serva ad impedire in altri l'audacia di osare cose simili.
Proibiamo anche a tutti i cristiani, sotto pena di anatema, di recarsi nelle terre dei Saraceni, che abitano in oriente, o di trasportare là le loro navi per sei anni. Con ciò vi sarà, per quelli che volessero passare il mare in aiuto della Terra. Santa, maggior quantità di naviglio; nello stesso tempo sarà sottratto ai Saraceni l'aiuto non trascurabile che ne traevano.
Poiché, inoltre, è sommamente necessario per portare a termine questa impresa che i principi ed i popoli cristiani mantengano scambievolmente la pace, con l'approvazione di questo sacro, universale concilio stabiliamo che in tutto il mondo cristiano la pace venga da tutti osservata in tal modo, che quelli che sono in discordia vengano ricondotti dai prelati delle chiese ad una piena concordia o pace, o ad una stabile tregua da osservarsi inviolabilmente per sei anni; e chi per caso non si curasse di adeguarsi ad essa, vi sia costretto in ogni modo con la scomunica alle persone e l'interdetto alle loro terre, a meno che la malvagità di chi li ha offesi non sia tale da essere indegni di godere della pace. Se poi non tenessero in nessun conto la censura ecclesiastica, allora dovranno temere che venga invocato contro di essi dall'autorità ecclesiastica - quali perturbatori della crociata - il potere secolare.
Noi, quindi, confidando nella misericordia di Dio onnipotente, e nell'autorità dei beati Pietro e Paolo, con quel potere di legare e di sciogliere che Dio, anche se indegni, ci ha conferito (10), a tutti quelli che affronteranno il peso di passare personalmente il mare in aiuto della Terra Santa e ne sostengono le spese, concediamo la piena remissione dei loro peccati, purché se ne siano sinceramente pentiti col cuore e confessati con la bocca, e la retribuzione dei giusti e promettiamo l'aumento della gloria eterna. A quelli che non vi sono andati personalmente, ma che secondo le loro possibilità e il loro grado sociale hanno mandato a proprie spese persone adatte; ed a quelli, similmente, che sono andati personalmente ma a spese di altri, concediamo il perdono completo dei loro peccati.
Vogliamo e concediamo anche che di questo perdono siano partecipi, in proporzione dell'entità dell'aiuto dato e dell'intensità della propria devozione, tutti quelli che contribuiranno coi loro beni a sovvenzionare convenientemente quella Terra, o che daranno opportunamente il loro consiglio e il loro aiuto circa i problemi che abbiamo toccato sopra, e anche tutti quelli che metteranno a disposizione della Terra Santa le proprie navi, o che cercheranno di fabbricarne allo stesso scopo. A tutti, infine, quelli che si renderanno piamente utili in questa impresa, il pio e santo concilio universale concede l'aiuto delle sue preghiere e dei suoi beni spirituali, perché giovi degnamente alla loro salvezza.
I d [OBBLIGHI E LICENZE DEI PATRIARCHI PARTECIPANTI AL CONCILIO: ASSENZE PLAUSIBILI E/O CONCESSE]
Non a noi, ma al Signore rendiamo gloria (11) ed onore; rendiamogli grazie perché, al nostro invito, è venuta ad un cosi sacro concilio una moltitudine tanto grande di patriarchi,
Primati, arcivescovi, vescovi, abati, Priori, propositi, decani, arcidiaconi, e di altri prelati delle chiese, sia personalmente, che per mezzo di idonei procuratori, ed inoltre di procuratori di capitoli, di collegi, di conventi.
Tuttavia, per quanto il loro consiglio sarebbe opportuno alla felice prosecuzione di un avvenimento cosi importante, e benché ci dilettiamo della loro presenza come di cari figli, e ne traiamo gioia spirituale, tuttavia per riguardo ad alcuni di loro; per gli inconvenienti che il loro numero causa; perché non debbano più soffrire i disagi dell'affollamento; ed anche perché la loro assenza non sia dannosa ad essi e alle loro chiese, noi, mossi da un sentimento di comprensione, col consiglio dei nostri fratelli cardinali, abbiamo deciso di provvedervi convenientemente. Cosi rimedieremo ai pesi che essi hanno, senza rinunciare al proseguimento di questa impresa, che intendiamo concludere con fervore di spirito e con indefessa sollecitudine. Disponiamo, quindi, che tutti i patriarchi, i primati, gli arcivescovi, i vescovi, gli abati e i priori da noi convocati con invito nominativo e speciale rimangano: essi non se ne andranno, senza nostra speciale licenza, prima che sia stato concluso il concilio. Gli altri abati, invece, e priori non mitrati, e gli abati e priori, che non sono stati da noi convocati nominativamente e in modo speciale, come pure i preposti, i decani, gli arcidiaconi, e gli altri prelati di chiese e i procuratori di qualsiasi prelato, capitolo, collegio, convento, hanno licenza di partire con la benedizione di Dio e nostra. Concediamo tuttavia che tutti quelli che in tal modo partono lascino, come sarà poi determinato, procuratori sufficienti per ricevere nostri ordini e quanto avremo stabilito nel presente nostro concilio, e quanto sarà comandato in futuro, con l'ispirazione di Dio. Tutti quelli, dunque, che recedono cosi dal concilio sarà sufficiente che lascino: del regno di Francia, quattro procuratori; del regno di Alemagna, quattro; dei regni delle Spagne, quattro; del regno d'Inghilterra, quattro; del regno di Scozia, uno; del regno di Sicilia, due; della Lombardia, due; della Toscana, uno; delle terre della Chiesa, uno, del regno di Norvegia, uno; del regno di Svezia, uno; del regno di Ungheria, uno; del regno della Dacia, uno; del regno di Boemia, uno; del ducato di Polonia, uno.
Inoltre, è giunto alle nostre orecchie che alcuni arcivescovi, vescovi, ed altri prelati, in occasione della loro convocazione al concilio, hanno chiesto ai loro sudditi un contributo esagerato e hanno estorto loro molto denaro, imponendo gravi tasse; per di più, alcuni, dopo aver imposto molti oneri, non sono neppure venuti al concilio. Poiché, però, non era né è nostra intenzione che i prelati, venendo ai concilio conciliassero la loro obbedienza cori l'aggravare i sudditi, ammoniamo tutti i prelati e ciascuno di essi in particolare, con fermezza, che nessuno di essi, col pretesto del concilio aggravi i suoi sudditi con tasse o tributi.
Se poi taluno avesse imposto qualche tassa ai suoi sudditi in occasione del concilio pur non intervenendovi, vogliamo e comandiamo tassativamente che restituisca loro immediatamente quanto avesse ricevuto da essi. Chi avesse aggravato i sudditi chiedendo contributi esagerati, cerchi di rimediare senza frapporre alcuna difficoltà. Ed in ciò cerchino di attenersi a queste nostre disposizioni in modo, che non sia necessario che noi vi poniamo rimedio con la nostra autorità.
II Della somma Trinità e della fede cattolica.
I Con fedele e devota professione, confessiamo che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principi, ma come da uno solo; non per due spirazioni, ma per una sola. Questo ha ritenuto finora, ha predicato e insegnato, questo crede fermamente, predica, confessa e insegna la sacrosanta chiesa Romana, madre e maestra di tutti i fedeli. Questo crede l'immutabile e vera opinione dei padri e dottori ortodossi, sia Latini che Greci.
Ma poiché alcuni, ignorando l'irrefragabile verità ora accennata, sono caduti in vari errori, noi, desiderosi di precludere la via a questi errori, con l'approvazione del santo concilio, condanniamo e riproviamo tutti quelli che osano negare che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio, o anche asserire temerariamente che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da due principi e non come da uno solo.
Della elezione e della potestà dell'eletto.
2. Dove si riscontra un maggior pericolo, li senza dubbio bisogna provvedere con maggiore opportunità. Ora, quanto grave discapito porti alla chiesa di Roma una troppo lunga vacanza, di quanti e quanto grandi pericoli sia piena, si può dedurre dalla considerazione del tempo passato e lo manifestano, se si esaminano con ponderatezza, i rischi che ha attraversato.
Perciò evidenti ragioni ci consigliano, mentre attendiamo con zelo alla riforma di cose di ben minore importanza, di non lasciare senza il rimedio della riforma - e ciò opportunamente - quei punti che presentano un maggior pericolo. Perciò intendiamo che conservino assolutamente intatta la loro validità tutte quelle precauzioni che i nostri predecessori ed in modo particolare papa Alessandro III, di felice memoria, hanno provvidenzialmente prese per evitare la discordia nell'elezione del Romano pontefice, non è, infatti, nostra intenzione diminuire la loro importanza, ma supplire, con la presente costituzione, a quelle manchevolezza che l'esperienza ha messo in rilievo.
Con l'approvazione, quindi, del santo concilio stabiliamo che se il papa muore in una città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali presenti nella stessa città aspettino gli assenti solo per dieci giorni. Passati questi giorni, sia che gli assenti siano venuti, sia che non siano venuti, si radunino nel palazzo in cui abitava il pontefice, ciascuno con un solo servitore, chierico o laico, come loro credono. Quelli tuttavia per i quali una vera necessità lo consigli, permettiamo che ne abbiano due, conservando lo stesso diritto di sceglierli. In questo palazzo tutti abitino in comune uno stesso salone, senza pareti divisorie o altra tenda; questo, salvo un libero passaggio ad una stanza separata, sia ben chiuso da ogni parte, in modo che nessuno possa entrare o uscire da esso.
Non sia permesso ad alcuno recarsi dagli stessi cardinali o poter parlare segretamente con essi; ed essi stessi non permettano che nessuno si rechi da essi, a meno che si tratti di quelli che, col consenso di tutti i cardinali ivi presenti, fossero chiamati per quanto è necessario alla imminente elezione.
A nessuno, inoltre, sia permesso mandare agli stessi cardinali o a qualcuno di loro un inviato o qualche scritto. Chi osasse agire in contrario, mandando un messaggero, o uno scritto, o anche parlando con qualcuno di essi, in segreto, ipso facto incorra nella sentenza di scomunica. Nel conclave, tuttavia, sia lasciata, naturalmente, una finestra, per cui vengano passate comodamente ai cardinali le cose necessarie da mangiare; ma a nessuno sia permesso di passare da essa ai cardinali.
Se poi - che Dio non voglia - entro tre giorni da quando i cardinali, come è stato detto, sono entrati in conclave, non fosse stato ancora dato alla chiesa il pastore, nei cinque giorni immediatamente seguenti, sia a pranzo che a cena i cardinali si contentino ogni giorno di un solo piatto. Passati questi senza che si sia provvisto, sia dato loro solo pane, vino ed acqua, fino a che non avvenga l'elezione. Durante il tempo dell'elezione i suddetti cardinali nulla percepiscano dalla camera papale, né di quanto possa venire alla stessa chiesa da qualsiasi fonte durante la vacanza; tutti i proventi, invece, durante questo tempo rimangano in custodia di colui, alla cui fedeltà e diligenza la camera stessa è stata affidata, perché da lui siano conservati a disposizione del futuro pontefice. Chi poi avesse ricevuto qualche cosa, sarà tenuto da quel momento ad astenersi dal percepire qualsiasi reddito che gli spetti, fino a che non abbia restituito completamente quanto in tal modo ha ricevuto.
Gli stessi cardinali, inoltre, si preoccupino di affrettare l'elezione, non occupandosi assolutamente di null'altro, a meno che non sopraggiunga una necessità cosi urgente da dover difendere la terra della stessa chiesa o qualche sua parte, o anche che non si presenti un pericolo cosi grande e cosi evidente, da sembrare a tutti e singoli i cardinali presenti, unanimemente, che si debba subito far fronte ad esso.
Che se qualcuno dei cardinali non entrerà nel conclave, quale sopra l'abbiamo descritto, oppure dopo esservi entrato ne uscirà senza manifesta causa di malattia, gli altri, senza affatto ricercarlo e senza più ammetterlo all'elezione, pro- cedano liberamente ad eleggere il papa. Se, inoltre, sopraggiunta una malattia, qualcuno di essi debba uscire dal conclave, anche durante la malattia si potrà procedere all'elezione senza richiedere il suo voto. Ma se, dopo aver ricuperato la salute o anche prima, volesse tornare dagli altri, o anche se gli altri assenti (quelli che abbiamo detto doversi aspettare per dieci giorni) giungessero quando l'elezione è ancora impregiudicata, quando, cioè, non è stato ancora dato alla chiesa il pastore, siano ammessi all'elezione in quello stato in cui essa si trova, pronti, naturalmente, ad osservare, con gli altri, quanto abbiamo premesso sia sulla clausura, sia sugli inservienti, sul cibo, sulle bevande e sul resto. Se poi avverrà che il Romano pontefice muoia fuori della città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali siano tenuti a radunarsi nella città nel cui territorio o distretto il pontefice è morto, a meno che sia interdetta o in aperta ribellione contro la chiesa Romana. In questo caso, si radunino in un'altra, la più vicina, purché anch'essa non sia sotto interdetto, o non sia, come già accennato, apertamente ribelle. Anche qui sia per quanto riguarda l'attesa degli assenti, che per quanto riguarda l'abitazione in comune, la clausura e tutte le altre cose, nel palazzo vescovile o in qualsiasi altro da scegliersi dagli stessi cardinali, siano osservate le stesse norme, che sono state date per il caso in cui il papa muoia nella città in cui risiedeva con la sua curia.
Però val poco emanare delle leggi, se poi non c'è chi le fa osservare, aggiungiamo e stabiliamo che il signore e gli altri rettori e magistrati della città in cui si deve procedere all'elezione del Romano pontefice col potere che per nostra autorità e con l'approvazione del concilio viene ad essi concesso, facciano osservare integralmente e inviolabilmente, senza frode o inganno alcuno, tutto ciò che è stato premesso, nel suo complesso e in ogni singola disposizione, attenti a non limitare i cardinali più di quanto è stato detto. I magistrati in corpo, non appena avuta notizia della morte del papa, prestino personalmente giuramento dinanzi al clero e al popolo della città, convocati appositamente, di osservare queste disposizioni. E se a questo proposito, commetteranno qualche frode o non le osserveranno diligentemente, qualunque preminenza possano avere, o di qualsiasi condizione o stato possano essere, cessi ogni privilegio per essi e siano per ciò stesso legati dal vincolo della scomunica e per sempre infami; siano esclusi a vita da ogni dignità,, né siano ammessi ad alcun pubblico ufficio. Stabiliamo inoltre che essi siano ipso facto privati dei feudi, dei beni e di tutto ciò che essi hanno avuto dalla chiesa Romana o da qualsiasi altra chiesa, di modo che questi beni tornino pienamente e liberamente alle chiese stesse, e siano senza alcuna opposizione a disposizione degli amministratori di queste chiese. La città, poi, non solo sia sottoposta ad interdetto, ma sia privata della dignità vescovile.
Poiché quando una passione rende schiava la volontà, o un obbligo la spinge ad agire in un determinato modo, l'elezione è nulla perché manca la libertà, preghiamo istantemente gli stessi cardinali per le viscere della misericordia del nostro Dio (12), li scongiuriamo per il prezioso sangue che egli ha sparso perché riflettono con attenzione sul loro dovere quando si tratta di eleggere il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro, colui che regge la chiesa universale, e guida il gregge del Signore. Dimessa ogni privata passione, cessato il vincolo di qualsiasi patto, contratto, obbligazioni, e la considerazione di ogni accordo e intesa, non guardino tanto a sé o ai loro, non cerchino quello che è proprio (13), né i loro interessi privati, ma, senza che alcuno se non Dio forzi, nell'elezione, il loro giudizio, puramente e liberamente, mossi dalla semplice consapevolezza dell'elezione, cerchino il pubblico bene, tendendo unicamente con ogni sforzo e cura, per quanto sarà loro possibile, ad affrettare con la loro opera un'elezione utile e necessarissima al mondo intero, dando con sollecitudine alla stessa chiesa uno sposo degno. Chi poi operasse diversamente, sia soggetto alla vendetta divina, e la sua colpa non sarà perdonata, se non dopo grave penitenza.
Per parte nostra cancelliamo, annulliamo e rendiamo invalidi e dichiariamo assolutamente nulli i patti, le convenzioni, gli obblighi, gli accordi, le intese di qualsiasi genere, sia contratti col vincolo del giuramento, che in qualsiasi altro modo. Cosi nessuno sarà obbligato in alcun modo ad osservarli né potrà temere l'accusa di non aver mantenuto la parola trasgredendoli; meriterà piuttosto una giusta lode, poiché anche la legge umana attesta essere accette a Dio più queste trasgressioni, che l'osservanza di siffatti giuramenti.
I fedeli non devono confidare tanto in un'elezione quanto si voglia sollecita, ma piuttosto nel potere di intercessione dalla preghiera umile e devota; perciò aggiungiamo a quanto stabilito che in tutte le città e altri luoghi di maggiore importanza, non appena si abbia certezza della morte del papa, celebrate dal clero e dal popolo in suo suffragio solenni esequie, ogni giorno si offrano a Dio umili preghiere fino a che notizie certe annunzino in modo sicuro l'avvenuta elezione. Si offrano umili preghiere al Signore, e si perseveri con devote suppliche, perché lui, che stabilisce la concordia nelle sue altezze (14) renda unanimi i cardinali nell’elezione, in modo che dalla loro concordia esca un'elezione sollecita, concorde ed utile, come esige la salvezza delle anime e richiede l'utilità di tutto il mondo.
Perché non avvenga che il presente decreto, cosi salutare, sia trascurato con la scusa dell'ignoranza, ordiniamo rigorosamente che i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi e gli altri prelati delle chiese e tutti quelli a cui è concesso spiegare la parola di Dio, nelle loro prediche esortino con zelo il clero e il popolo - che dovranno essere riuniti apposta a questo scopo a pregare con fiducia e frequentemente per il celere e felice esito di una cosa cosi importante; con la stessa autorità ingiungiamo loro non solo frequenti preghiere, ma anche l'osservanza di digiuni.
3 Onde impedire, per quanto è possibile, inganni nelle elezioni, postulazioni e provviste ecclesiastiche, e perché le chiese non restino con pericolo a lungo vacanti o non venga differita la provvista dei personali, delle dignità e di altri benefici ecclesiastici, con decreto perpetuo decidiamo che se talora qualcuno si oppone ad una elezione, ad una postulazione o ad una provvista, sollevando difficoltà contro la forma, o contro la persona degli elettori o dell'eletto o di colui cui spettava la provvista, e perciò si interponga appello, gli appellanti, nel pubblico documento, o nelle lettere d'appello, espongano singolarmente ogni cosa che intendono obiettare contro la forma o le persone. Lo facciano dinanzi a persone qualificate, o a persona che in ciò renda davvero testimonianza alla verità, giurando personalmente di credere che quanto essi espongono in questo modo è vero e che possono provarlo. In caso diverso, tanto gli opponenti, quanto quelli che - messi in mezzo durante o dopo l'appello - aderiscono alla loro parte, sappiano che sarà loro proibito obiettare qualunque cosa che non sia contenuta in queste lettere o documenti, a meno che in seguito sia emerso qualche nuovo elemento o che sia sopravvenuta, quanto agli antichi fatti, la possibilità di provarli, o che ex novo siano venuti a conoscenza degli opponenti elementi passati che al tempo della presentazione dell'appello gli appellanti verosimilmente potevano ignorare e di fatto ignoravano.
Di questa loro ignoranza e della nuova facoltà di prova facciano fede col giuramento, da farsi di persona; ed in esso aggiungano espressamente che credono di poter sufficiente- mente provare quanto affermano.
Vogliamo, poi, che le disposizioni del papa Innocenzo IV (15) di felice memoria, contro coloro che non riescono a provare del tutto quanto hanno opposto contro la forma o la persona, conservino tutto il loro vigore.
4 La cieca avarizia e una malvagia, disonesta ambizione, invaso l'animo di alcuni, li spinge a tanta temerità, da cercare di usurpare con inganni raffinati quello che sanno essere loro proibito dal diritto. Alcuni, infatti, eletti al governo delle chiese, poiché per la proibizione del diritto non possono, prima della conferma della loro elezione, ingerirsi nell'amministrazione delle chiese che soli chiamati a governare, fanno in modo che questa venga loro affidata in qualità di procuratori o economi.
Ma poiché non è bene favorire i sotterfugi degli uomini, noi, nell'intenzione di provvedere più opportunamente, con questa costituzione generale stabiliamo che nessuno, in futuro, si azzardi a tenere o a ricevere l'amministrazione della dignità a cui fosse stato eletto, o ad immischiarsi in essa, prima che la sua elezione sia confermata, col nome di economato o di procura, con qualche altro nuovo colore, nelle cose spirituali o temporali. direttamente o per mezzo di altri, in parte o in tutto; e stabiliamo che quelli che si regolano diversamente siano senz'altro privati del diritto che avessero acquistato con l'elezione.
5 Quanto sia dannosa alle chiese la loro vacanza, e quanto, di solito, sia pericolosa alle anime, non solo l'attestano le disposizioni del diritto, ma lo manifesta anche l'esperienza, efficace maestra delle cose.
Volendo dunque provvedere con i dovuti rimedi al protrarsi delle vacanze, con questo decreto stabiliamo per sempre che, quando in qualche chiesa è stata fatta una elezione, gli elettori, appena lo possono senza loro incomodo, sono tenuti a presentare l'elezione stessa all'eletto e a chiederne il con- senso; l'eletto, invece, a darlo entro un mese dal giorno di questa presentazione. Se poi l'eletto differisse il suo consenso, sappia che da allora sarà ipso facto privo del diritto che può avere acquistato con la sua elezione, a meno che la persona eletta sia di tale condizione che non possa acconsentire alla sua elezione senza il permesso del suo superiore, per qualche proibizione o per una disposizione qualsiasi della sede apostolica. In questo caso, l'eletto stesso o i suoi elettori, cerchino di chiedere e di ottenere la licenza dal superiore, con quella sollecitudine che la presenza o l'assenza dello stesso superiore permettono. Altrimenti, se, passato il tempo, da determinarsi, come si è detto, a seconda della presenza o dell'assenza del superiore, essi non avranno ottenuto questa licenza, da quel momento gli elettori abbiano libera facoltà di procedere ad altra elezione.
Del resto, qualsiasi eletto entro i tre mesi dall'espressione del suo consenso alla sua elezione, non manchi di chiedere la conferma della sua elezione. Se poi senza giusto impedimento egli trascurerà di fare ciò nei termini di questo trimestre, l'elezione sia senz'altro priva di ogni valore.
6 Con valore di sanzione perpetua dichiariamo che coloro che in un'elezione votano consapevolmente un indegno, a meno che non abbiano talmente insistito da far dipendere dai loro voti l'elezione non siano privati del potere di eleggere, quantunque votando un indegno, agiscano apertamente contro la loro coscienza e debbano temere la divina vendetta e l'intervento della sanzione apostolica, che la qualità del fatto potrà suggerire.
7 Stabiliamo che non è lecito a nessuno, dopo aver votato qualcuno, o dopo aver acconsentito all'elezione che altri hanno fatto, opporsi all'elezione, se non per motivi che siano emersi soltanto dopo, o a meno che l'indegnità dei suoi costumi, prima a lui sconosciuta, ora gli si manifesti, o che venga a conoscere l'esistenza di qualche altro vizio o difetto nascosto, che con tutta probabilità poteva ignorare. Egli, però, deve far fede di questa sua ignoranza con giuramento.
8 Se dopo due scrutini, una parte degli elettori supera gli altri del doppio, col presente decreto noi intendiamo privare sia la minoranza che colui che essa ha votato di qualsiasi facoltà di opporre alcunché contro la maggioranza asserendo una carenza di zelo, di merito, o di autorità.
Se poi si intendesse opporre qualche cosa che potrebbe rendere ipso iure nulla l'elezione di colui, contro cui si fa opposizione, non intendiamo che ciò sia proibito.
9 Quantunque la costituzione di papa Alessandro IV (16) di felice memoria, nostro predecessore, considerando giustamente le cause dei vescovi - o quelle sorte sulla loro elezione - tra le cause maggiori, affermi che la loro trattazione, in seguito a qualsiasi appello, deve essere demandata all'esame della sede apostolica, tuttavia, volendo frenare l'audacia temeraria di quelli che si appellano e la enorme frequenza degli appelli, con questo decreto generale abbiamo creduto bene disporre come segue. Se nelle elezioni all'episcopato o in quelle che riguardano le dignità superiori dovesse avvenire che uno, extragiudizialmente, si appelli per un motivo evidentemente frivolo, la causa non venga devoluta alla sede apostolica. Se però in queste cause di elezione l'appello - giudizialmente e extragiudizialmente - viene fatto per un motivo che, se venisse provato, dovrebbe esser ritenuto legittimo, allora queste cause vengano deferite alla stessa sede (apostolica). D'altra parte, in questi casi, dovrebbe sempre esser lecito alle parti, esclusa naturalmente ogni malizia, recedere da questi appelli, prima che vengano sottoposti alla Sede apostolica.
I giudici inferiori che erano competenti per le stesse cause, cessando l'appello, cerchino prima di tutto di appurare con diligenza se in ciò vi sia stata malizia; e se troveranno che vi è stata, non si intromettano in nessun modo in queste cause, ma stabiliscano alle parti un equo termine perentorio, entro il quale si presentino con tutti i loro atti e documenti al cospetto della sede apostolica.
10 Se si oppone all'eletto, a chi è stato designato, o a chi in qualsiasi modo dev'essere promosso ad una dignità, la mancanza evidente di scienza, o qualche altro difetto della persona stabiliamo che nella discussione dell'accusa debba esser seguito rigorosamente quest'ordine: chi deve essere promosso venga esaminato prima di tutto sul difetto stesso, il cui esito darà inizio all'esame degli altri o lo precluderà.
Se però questo esame dovesse dimostrare che le accuse sono destituite di fondamento, escludiamo senz'altro gli oppositori dal proseguimento della causa e stabiliamo che vengano puniti come se non fossero riusciti a provare nessuna delle accuse avanzate.
11 Chi osasse molestare i chierici o qualsiasi altra per- sona ecclesiastica, cui in certe chiese, monasteri o altri luoghi pii spetta l'elezione, perché non hanno voluto eleggere colui per cui erano stati pregati o forzati; oppure osasse molestare i loro parenti o le stesse chiese, monasteri o altri luoghi, spogliandoli, direttamente o per mezzo di altri, dei benefici o di altri beni, o comunque perseguitandoli senza motivo, sia ipso facto colpito dalla sentenza di scomunica.
12 Stabiliamo che chi tentasse di usurpare le regalie, la custodia o guardia, il titolo di avvocato o di difensore nelle chiese, nei monasteri o in qualsiasi altro luogo pio, e presumesse di occupare i beni delle chiese, dei monasteri e degli stessi luoghi (pii), qualsiasi dignità ed onore possa rivestire, - e cosi pure i chierici delle chiese, i monaci dei monasteri, e le altre persone addette a questi stessi luoghi, che procurassero che si facciano tali cose vanno incontro senz'altro alla sentenza di scomunica. A quei chierici, inoltre, che non si oppongono, come dovrebbero, a chi agisce cosi proibiamo severamente, per tutto il tempo che hanno per- messo, senza impedirlo, quanto abbiamo accennato, di percepire qualsiasi provento delle chiese o degli stessi luoghi pii.
Chi rivendica a sé questi diritti per la fondazione delle stesse chiese e degli altri luoghi pii o per antica consuetudine, si guardi dall'abusarne - e faccia si che non ne abusino neppure i suoi dipendenti - non usurpando ciò che non riguarda i frutti o redditi del tempo della vacanza; e non permetta che gli altri beni, di cui ha la custodia, vadano in rovina, ma li conservi in buono stato.
13 Il canone emanato da papa Alessandro III (17) di felice memoria, nostro predecessore, stabilisce, fra l'altro, che nessuno assuma la responsabilità di una chiesa parrocchiale se non abbia raggiunto il venticinquesimo anno di età, e se non sia ragguardevole per scienza e onestà di costumi. Chi, una volta assunto a questo ufficio, non sarà stato ordinato sacerdote nel tempo stabilito dai sacri canoni, sarà rimosso dall'ufficio che sarà dato ad altri. Poiché molti sono negligenti nell'osservare questa norma, intendiamo che la loro negligenza sia sostituita con l'osservanza del diritto e perciò stabiliamo col presente decreto, che nessuno riceva il governo di una parrocchia, se non sia adatto per scienza, costumi, età; e che i conferimenti di chiese parrocchiali a chi non avesse compiuto i venticinque anni di età siano privi di qualsiasi valore.
Chi sarà assunto a questo ufficio, perché curi il suo gregge con maggior diligenza, sia obbligato a risiedere personalmente nella chiesa parrocchiale, di cui è divenuto rettore; ed entro un anno da quando gli è stato affidata la parrocchia procuri di esser promosso al sacerdozio. Se entro questo tempo non sarà promosso sacerdote, anche senza previo ammonimento, in forza della presente costituzione rimane rivo della chiesa che gli è stata affidata.
Quanto alla residenza obbligatoria di cui abbiamo parlato, l'ordinario potrà concedere per un certo tempo una dispensa se un motivo ragionevole lo richieda.
14 Nessuno affidi una chiesa parrocchiale a chi non abbia l'età legittima e non sia sacerdote. E se anche il soggetto sia in queste condizioni, non gli se ne affidi se non una, a meno che un'evidente necessità o l'utilità della chiesa stessa lo esiga. Questa commenda, in ogni caso non deve durare più di un semestre; qualsiasi cosa, riguardante le commende delle chiese parrocchiali, venga regolata in modo diverso, sia ipso iure invalida.
15. Il tempo delle ordinazioni e la qualità degli ordinandi.
Chi senza licenza del superiore degli ordinando, scientemente, o con ignoranza affettata, o con qualsiasi altro pretesto osasse ordinare chierici di un'altra diocesi, per un anno sia sospeso dal conferimento degli ordini, fermo restando quanto le norme del diritto stabiliscono contro quelli che vengono ordinati in tal modo.
I chierici dei vescovi così sospesi hanno facoltà di ricevere intanto - anche senza la loro licenza - gli ordini dagli altri vescovi vicini.
16. Di coloro che hanno sposato due volte.
Mettendo fine ad un'antica questione, dichiariamo pubblicamente che quelli che si sono risposati restano privi di qualsiasi privilegio proprio dei chierici, e soggetti alle norme repressive del foro secolare, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. A questi proibiamo, inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l'abito clericale.
17. L'ufficio del giudice ordinario.
Se i canonici volessero cessare dalla celebrazione dei divini uffici, come essi per consuetudine o per altri motivi rivendicano, prima di questa cessazione, espongano in un pubblico documento le ragioni per cui cessano, e lo mandino a colui contro il quale intendono cessare. Se essi cessassero senza questa formalità, o la causa da essi espressa non fosse legittima, saranno obbligati a restituire tutto quello che hanno percepito da quella chiesa per tutto il tempo della cessazione. Le rendite loro dovute per quel tempo essi non le percepiranno in nessun modo, ma dovranno darle alla stessa chiesa, e, ciò nonostante, riparare anche i danni e le perdite di colui, contro il quale hanno cessato.
Se la causa sarà trovata legittima, chi ha dato occasione alla cessazione, sia condannato, a giudizio del superiore, a pagare ogni interesse ai canonici e alla chiesa, cui per sua colpa è stato sottratto il servizio, secondo una data tassa, e a destinarla ad aumento del culto divino.
Riproviamo poi assolutamente l'odioso abuso e la mancanza di ogni devozione di chi, trattando con irriverente audacia le immagini o le statue della Croce, della beata Vergine e degli altri Santi, per rendere più evidente questa loro cessazione le gettano per terra, le mettono tra le spine e le ortiche, e proibiamo assolutamente che in seguito si faccia qualche cosa di simile; stabiliamo che contro chi agisse diversamente sia por-tata una severa sentenza, che punisca talmente quelli che mancano, da scoraggiare gli altri.
18 I vescovi costringano severamente chi ha più dignità o chiese con annessa cura d'anime a presentare entro un tempo determinato le dispense in forza delle quali essi asseriscono di tenere canonicamente queste chiese o dignità.
Se non sarà stata presentata alcuna dispensa, nel tempo stabilito, le chiese, i benefici o le dignità, tenuti senza dispensa, e quindi per ciò stesso illecitamente, siano assegnati liberamente a persone idonee. Se invece la dispensa presentata sembrerà sufficiente, chi la presenta non sia molestato nel possesso di questi benefici, che ha canonicamente. Curi tuttavia, l'ordinario, che in queste chiese non venga trascurata la cura delle anime, e che gli stessi benefici non manchino dei dovuti servizi.
Se la validità della dispensa presentata fosse dubbia, si deve ricorrere alla Sede apostolica, cui spetta giudicare in materia di benefici. Inoltre nel conferire benefici con cura d'anime, gli ordinari abbiano l'accortezza di non conferirli a chi ne abbia già uno, se prima non sia mostrata con chiara o evidenza la dovuta dispensa. Ed anche in tal caso, vogliamo che si proceda al conferimento, solo quando appaia dalla dispensa che l'interessato può lecitamente cumulare quel beneficio con gli altri, o se egli liberamente e spontaneamente rinunzia a quelli che già ha.
Diversamente, la concessione di benefici a chi ne abbia altri non avrà assolutamente alcun valore.
19. Sulle cause giudiziarie.
Sembra necessario rimediare al protrarsi subdolo delle liti, ed confidiamo che ciò avvenga se vi si impegnano quanti prestano la loro opera nelle cause, con adeguati rimedi.
Poiché sembrano cadute in desuetudine le norme sui difensori, noi le rinnoviamo - con qualche aggiunta, e qualche temperamento - e stabiliamo che chi esercita l'ufficio di avvocato nel foro ecclesiastico, sia presso la sede apostolica, sia altrove, presti giuramento sui santi Evangeli che in tutte le cause delle quali essi hanno assunto o assumeranno la difesa, faranno comprendere con tutta la loro capacità ai loro clienti ciò che essi crederanno esser vero e giusto, e che in qualsiasi momento del giudizio comprendessero che la causa che difendono è ingiusta smetteranno di difenderla e, anzi, l'abbandoneranno del tutto, e cesseranno di avere qualsiasi relazione con essa.
Anche i procuratori sono tenuti a fare un simile giuramento. E sia gli avvocati che i procuratori siano obbligati a rinnovare tale giuramento ogni anno; nel foro in cui hanno assunto questo ufficio.
Chi si reca alla Sede apostolica, o alla curia di qualsiasi giudice ecclesiastico nella quale non avesse ancora prestato tale giuramento, per prestare la propria assistenza in qualche causa, presti il giuramento davanti ad essi, volta per volta, all'inizio della causa. Gli avvocati e i procuratori che non intendessero giurare nel modo accennato, sappiano che è loro proibito l'esercizio dei loro incarichi. Se poi essi violassero il giuramento fatto, oltre che essere rei di spergiuro, incorrano nella divina maledizione e nella nostra; e da questa non siano assolti se non avranno restituito il doppio di quanto abbiano percepito da una cosi malvagia difesa. Siano anche tenuti a riparare i danni che da una tale ingiusta assistenza fossero derivati alle parti.
Perché il desiderio sfrenato del denaro non spinga qualcuno a trasgredire queste salutari prescrizioni, proibiamo severamente che un avvocato possa ricevere per qualsiasi causa più di venti libbre di monete di Tours, e un procuratore più di dodici, come salario o come compenso per la vittoria. Quelli che ricevessero più di questo, non acquistino la proprietà di quanto eccede la quantità prescritta, ma siano costretti alla restituzione, ed in modo tale, che nulla di quanto devono restituire possa, con frode di questa costituzione, esser loro condonato.
Gli avvocati, inoltre, che violassero la presente costituzione, siano sospesi per un triennio dal loro ufficio di avvocati; i procuratori sappiano che da quel momento è loro negata la facoltà di esercitare qualsiasi procura in tribunale.
20. Di ciò che vien fatto per costrizione o timore.
La concessione dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, o qualsiasi revocazione di essa, o della sospensione o anche dell'interdetto, estorta con la forza o col timore, in forza della presente costituzione è priva di qualsiasi valore.
E perché l'impunità della violenza non cresca l'audacia, decretiamo che quelli che avessero estorto questa assoluzione o revocazione con la violenza o col timore, debbano sottostare alla sentenza di scomunica.
21 Delle prebende e delle dignità.
Il decreto di papa Clemente IV (18), di felice memoria, nostro predecessore, sulle dignità e benefici vacanti nella curia Romana, da non assegnarsi assolutamente da altri, che dal Romano pontefice, abbiamo creduto bene doversi modificare in tal modo, che quelli, cui spetta il conferimento degli stessi benefici e dignità, nonostante il decreto accennato, dopo un mese, da computarsi dal giorno in cui le dignità o i benefici si sono resi vacanti, possono conferirli, (ma) solo essi personalmente, o, se fossero lontano, per mezzo dei loro vicari generali delle loro diocesi, ai quali sia stato dato canonicamente l'incarico.
22. Non si devono alienare i beni della chiesa.
Con questo ben meditato decreto proibiamo a tutti e singoli i prelati di sottomettere, assoggettare o sottoporre ai laici le chiese loro affidate, i beni immobili e i diritti loro propri senza il consenso del loro capitolo e senza speciale licenza della sede apostolica. Non concederanno, cioè, ad essi gli stessi beni e diritti in enfiteusi, e neppure li alieneranno nella forma e nei casi permessi dal diritto; ma si dovrà stabilire, riconoscere e dichiarare (dai laici) che essi hanno dagli ecclesiastici questi beni e diritti come da -loro superiori; e dovranno impetrarli da loro - cosa che in alcune parti si esprime con la parola avoer -. Non dovranno, inoltre costituire i laici patroni o avvocati delle chiese e dei beni per sempre o per lungo tempo. Decretiamo pure che tutti i contratti, anche muniti dell'aggiunta del giuramento, della pena, o di qualsiasi altra conferma, che avvenga di fare per queste alienazioni senza tale licenza e consenso, e ogni effetto ad essi seguito, siano talmente privi di valore, da non garantire nessun diritto e da non costituire motivo di prescrizione. E tuttavia quei prelati che agissero diversamente siano sospesi ipso facto per tre anni dall'ufficio e dall'amministrazione (dei beni loro affidati); i chierici, inoltre, che, pur sapendo che in qualche cosa si è agito contro la proibizione predetta, hanno omesso di denunziare il fatto ai superiori, (siano sospesi) dal percepire il frutto dei loro benefici, che avessero nella chiesa cosi gravata.
I laici, poi, che finora avessero costretto i prelati o i capitoli delle chiese o altre persone ecclesiastiche ad assoggettarsi in tal modo, se, dopo una competente ammonizione, rinunziando a questo assoggettamento, che avevano ottenuto con la forza e con la paura, non lasceranno nella loro libertà le chiese e i beni ecclesiastici in tal modo loro sotto- posti, e anche quelli che in futuro costringessero i prelati o le stesse persone (nominate) a tali passi, di qualunque condizione e stato essi siano, incorreranno nella sentenza di scomunica.
Da questi contratti, inoltre, anche se fatti con la dovuta licenza e consenso, o da quelli che si faranno in seguito, o anche in occasione di essi, i laici non usurpino nulla, oltre quello che ad essi appartiene per la natura degli stessi con- tratti, o dalla legge in cui si basano.
Quelli poi che si comportassero diversamente, qualora, ammoniti a norma di legge, non desistessero da questa usurpazione, e non restituissero quanto in tal modo hanno usurpato, incorrano senz'altro nella sentenza di scomunica, e da quel momento si proceda liberamente con l'interdetto ecclesiastico, se necessario, a sottomettere la loro terra.
23 Le case religiose devono esser soggette al vescovo.
Un concilio generale (19) con apposita proibizione ha cercato di evitare l'eccessiva diversità degli ordini religiosi, causa di confusione.
Ma l'inopportuno desiderio dei richiedenti in seguito ha strappato, quasi, il loro moltiplicarsi e la sfacciata temerità di alcuni ha prodotto una moltitudine di nuovi ordini, specie mendicanti, ancor prima di aver ottenuto un'approvazione di principio. Rinnovando la costituzione, proibiamo assolutamente a chiunque di istituire un nuovo ordine o una nuova forma di vita religiosa, o di prendere l'abito in un nuovo ordine. Proibiamo per sempre tutte, assolutamente tutte, le forme di vita religiosa e gli ordini mendicanti sorti dopo quel concilio, che non abbiamo avuto la conferma della sede apostolica e sopprimiamo quelli che si fossero diffusi.
Quegli ordini, tuttavia, che sono stati confermati dalla sede apostolica e sono stati istituiti dopo il concilio suddetto, ai quali la professione (religiosa) o la regola, o qualsiasi costituzione proibiscano di avere redditi o possedimenti per il loro sostentamento, e vi provvedono con una disordinata mendicità mediante la pubblica questua, decretiamo che possano sopravvivere nel modo seguente: sia permesso ai professi di questi ordini di rimanere in essi, se vogliono, ma senza ammettere, in seguito, nessuno alla professione, senza acquistare nuove case e nuovi terreni e senza poter alienare le case e i beni che possiedono senza speciale licenza dalla santa sede. Intendiamo, infatti, riservarli a disposizione della sede apostolica, per destinarli all'aiuto della Terra Santa o dei poveri, o ad altri usi pii, attraverso gli ordinari dei luoghi o per mezzo di coloro, cui la stessa sede abbia conferito l'incarico.
Se poi si sarà creduto di poter fare diversamente, né l'accettazione delle persone, né l'acquisto delle case o dei terreni, o la vendita degli stessi e di altri beni sia valida; ed inoltre quelli che agiscono contrariamente siano soggetti alla sentenza di scomunica. Agli appartenenti a questi ordini proibiamo assolutamente, inoltre, il ministero della predicazione e della confessione e il diritto di sepoltura, per quanto riguarda gli estranei.
Non vogliamo tuttavia che la presente costituzione si applichi agli ordini dei Predicatori e dei Minori, la cui evidente utilità per la chiesa universale ne testimonia l'approvazione.
Quanto agli ordini dei Carmelitani e degli Eremiti di Sant'Agostino, la cui fondazione risale a prima del concilio generale di cui abbiamo parlato, concediamo che essi possano rimanere nella propria condizione, fino a che per essi non sia presa una diversa decisione: è nostra intenzione, infatti, provvedere loro e agli altri ordini non mendicanti, come ci sembrerà meglio per la salvezza delle loro anime e per il loro stato.
Vogliamo aggiungere che agli appartenenti agli ordini che cadono sotto questa costituzione concediamo una generale licenza di poter passare agli altri ordini approvati, in modo, tuttavia, che nessun ordine possa passare ad altro ordine e nessun convento ad altro convento con tutto ciò che possiede, senza aver prima ottenuto su ciò uno speciale permesso della stessa sede.
24 Delle imposte e delle prestazioni.
Fa si l'audacia dei malvagi che non possiamo accontentarci della sola proibizione del male, ma che imponiamo anche pene a quelli che mancano.
Volendo, quindi, che la costituzione di Innocenzo IV (20), di felice memoria, predecessore nostro, riguardante l'obbligo di non ricevere prestazioni in denaro, e la proibizione di accettare doni per quelli che fanno la visita (pastorale) e per quelli che li accompagnano - che si dice venir trasgredita dalla temerità di molti - venga assolutamente osservata, abbiamo deciso di sostenerla con l'aggiunta della pena. Stabiliamo, dunque, che tutti e singoli quelli che osassero esigere del denaro quale compenso loro dovuto per la visita o solo anche accettarlo da chi lo offre; o che violassero la stessa costituzione ricevendo doni, o, pur senza aver compiuto l'obbligo della visita, dei contributi in viveri, o qualche altra cosa in occasione della visita, entro lo spazio di un mese dovranno restituire il doppio di quanto hanno ricevuto alla chiesa dalla quale hanno ricevuto. Altrimenti i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi sappiano che, se trascureranno di restituire il doppio stabilito entro il tempo predetto, da quel momento sarà loro proibito l'ingresso nella chiesa; gli inferiori saranno sospesi dall'ufficio e dal beneficio, fino a che non abbiano soddisfatto completamente restituendo il doppio alle chiese gravate; e nulla gioverà ad essi il condono, la liberalità o la benevolenza di quelli che hanno dato.
25 Della immunità delle chiese.
Alla casa del Signore si addice la santità (21) perché il culto di colui la cui dimora è nella pace (22), sia reso nella pace e con la dovuta venerazione. Sia, dunque, l'ingresso alla chiesa umile e devoto; vi sia in esse un comportamento tranquillo, gradito a Dio, fonte di pace per chi vede, che non solo istruisca chi guarda, ma gli faccia anche bene. Quelli che vi si radunano lodino con un atto di speciale reverenza quel nome, che è al di sopra di ogni nome (23) al di fuori del quale non ne è stato dato altro gli uomini, in cui i fedeli possano esser salvati (24): cioè il nome di Gesù Cristo, che salverà il suo popolo dai suoi peccati (25). Ciò, inoltre, che generalmente si scrive: che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio (26), ognuno, adempiendolo singolarmente in sé, - specie quando si celebrano i sacri misteri della messa - ogni volta che si ricorda quel nome glorioso, pieghi i ginocchi del suo cuore; cosa che si può fare anche col solo inchino del capo. In quei luoghi si attenda con tutta l'attenzione del cuore alle sacre solennità; si attenda con animo devoto alla preghiera. Nessuno in quei luoghi - in cui conviene offrire suppliche nella pace e nella tranquillità, ecciti una sedizione, provochi il clamore, faccia impeto. Si smetta di tenere in esse i consigli delle Università e di altre associazioni, qualsiasi esse siano; di tener discorsi, e pubblici parlamenti. Si smettano discorsi inutili, e molto più quelli volgari e profani. Cessino le chiacchiere. Sia estranea, finalmente (a chi entra in essi), qualunque altra cosa che possa turbare il divino ufficio o che possa offendere gli occhi della divina maestà; e non avvenga che dove si va per chiedere perdono dei peccati, li si dia occasione di peccare, o si debba constatare che si commettono peccati. Cessino, nelle chiese e nei loro cimiteri il commercio, e specialmente i mercati e il tumulto di una piazza qualsiasi. Taccia in esse ogni rumore di cause secolari. Non si discuta in esse alcuna causa secolare, specialmente criminale né le cause giudiziarie dei laici.
Gli ordinari dei luoghi facciano osservare queste disposizioni, cerchino di persuadere, impediscano quanto è stato proibito da questo canone con la loro autorità, deputando anche, a questo scopo, quelli che sono maggiormente assidui alle stesse chiese e che sembrano adatti a quanto abbiamo predetto. E inoltre i processi dei giudici secolari e specialmente le sentenze pronunciate negli stessi luoghi, siano del tutto nulle.
Chi poi osasse sfacciatamente disprezzare le proibizioni predette, oltre al processo degli ordinari e di quelli che essi deputeranno a ciò, dovrà davvero temere l'acerbità della vendetta divina e della nostra, fino a che, confessato il suo peccato, non abbia fatto fermo proposito di astenersi da una simile condotta.
26. Dell'usura.
Desiderando impedire la voragine degli interessi, che divora le anime ed esaurisce quanto si possiede, vogliamo che venga osservata inviolabilmente la costituzione del concilio Lateranense (27), emessa contro gli usurai: ciò sotto minaccia della divina maledizione.
E poiché quanto minore sarà per gli usurai la possibilità di prestare ad usura, tanto maggiormente verrà tolta la libertà di esercitarla, con questa generale costituzione stabiliamo che né un collegio, né altra comunità o singola per- sona, di qualsiasi dignità, condizione o stato, permetta a dei forestieri o ad altri non oriundi delle loro terre, che esercitassero o volessero esercitare pubblicamente l'usura, di prendere in affitto, a questo scopo, case nelle loro terre, o di tenerle, se già le hanno prese in affitto, o, comunque, di abitarle; devono, invece, entro tre mesi, scacciare tutti questi usurai manifesti dalle loro terre, senza ammettere più nessuno, mai, in avvenire.
Nessuno dia in affitto, a scopo di usura, una casa; neppure sotto qualsiasi altro pretesto (o colore). Chi facesse il contrario, se fossero persone ecclesiastiche, patriarchi, arcivescovi, vescovi, sappiano che incorreranno nella sospensione; persone minori, ma singole, nella scomunica; se fosse un collegio o altra comunità, incorrerà nell'interdetto. Se poi si indurissero, nel loro animo, per un mese, contro di esso, le loro terre, da quel momento, siano sottoposte all'interdetto ecclesiastico, fino a che questi stessi usurai dimorano in esse.
Se si trattasse di laici siano costretti dai loro ordinari con la censura ecclesiastica ad astenersi da questo eccesso, venendo meno ogni privilegio.
27 Ancorché gli usurai manifesti abbiano stabilito nelle loro ultime volontà di soddisfare, per quanto riguarda gli interessi che avevano percepito, o determinando la quantità (del denaro da restituire), o in modo indeterminato, sia negata ad essi, tuttavia, la sepoltura ecclesiastica, fino a che non si sia completamente soddisfatto - nei limiti delle loro possibilità - per gli interessi stessi, o finché non sia stata data assicurazione della restituzione (e ciò nel modo dovuto) a coloro, cui dev'essere fatta la restituzione, se sono presenti essi stessi, o altri che possano ricevere in loro nome; o, se essi fossero assenti, all'ordinario del luogo, o a chi ne fa le veci, o al rettore della parrocchia nella quale il testatore abita, dinanzi ad alcune persone della parrocchia stessa degne di fede (a questo ordinario, vicario, rettore sia lecito il forza di questa costituzione accettare tale cauzione in loro nome, cosicché possano aver poi diritto all'azione [legale]) o ad un pubblico impiegato, incaricato dallo stesso ordinario.
Se poi si conosce la somma precisa degli interessi, vogliamo che essa sia sempre espressa nella cauzione; altrimenti sia determinata un'altra cauzione secondo il criterio di chi la riceve. Questi, però, non ne stabilisca scientemente una minore di quella che verosimilmente si ritiene per vera; se si comporterà diversamente, sia tenuto lui a soddisfare per il resto.
E stabiliamo che tutti i religiosi od altri, che contro la presente disposizione osassero ammettere alla sepoltura ecclesiastica degli usurai manifesti, debbano andar soggetti alla pena stabilita dal concilio Lateranense contro gli usurai.
Nessuno assista ai testamenti di pubblici usurai o li ammetta alla confessione o li assolva, se non avranno soddisfatto per gli interessi, o non avranno dato la debita assicurazione, come abbiamo premesso, che soddisferanno secondo le loro possibilità. I testamenti degli usurai manifesti redatti in modo diverso non abbiano alcun valore, ma siano ipso iure invalidi.
28. Delle ingiurie e del danno arrecato.
Quantunque i pignoramenti, che con parola usuale si chiamano rappresaglie, in cui uno sconta per un altro, siano proibiti dalla legislazione civile come cose gravi e contrarie alle leggi e all'equità naturale, perché, tuttavia, la loro proibizione nei riguardi delle persone ecclesiastiche sia tanto maggiormente temuta, quanto più particolarmente è proibita verso di essi, proibiamo assolutamente, in forza del presente decreto, che essi vengano concessi contro le persone predette o contro i loro beni, o - per quanto siano forse generalmente concessi, col pretesto di qualche consuetudine, che noi giudichiamo abuso - che vengano estesi ad esse.
Quelli, quindi, che agissero diversamente, concedendo contro le stesse persone dei pignoramenti o rappresaglie, o estendendoli ad esse, siano soggetti alla sentenza di scomunica, se si tratta di singole persone; all'interdetto ecclesiastico, se si tratta di comunità, a meno che non abbiano revocato il loro atto arbitrario entro un mese dalla concessione o dalla sua estensione (alle persone ecclesiastiche).
29 La Sentenza di scomunica.
Vogliamo (meglio) illustrare la costituzione di Innocenzo IV (28), di felice memoria, nostro predecessore, - la quale proibisce che quelli che comunicano con gli scomunicati nelle materie che importano la sola scomunica minore, vengano legati dalla scomunica maggiore, senza la necessaria ammonizione canonica, e che stabilisce che la sentenza di scomunica promulgata in maniera diversa non abbia alcun valore. Per togliere lo scrupolo di ogni ambigua interpretazione, stabiliamo che l'ammonizione, in questo caso, può dirsi canonica se, oltre all'osservanza esatti di ogni altra prescrizione, essa specifichi nominatamente quelli che vengono ammoniti.
Stabiliamo anche che tra quelle ammonizioni, che le norme giuridiche permettono potersi fare perché si intenda promulgata canonicamente la sentenza, i giudici, sia che ne facciano tre, sia che ne facciano una per tutte, si attengano alla norma di concedere i dovuti intervalli di alcuni giorni, a meno che l'urgenza del momento non consigli di regolarsi diversamente.
30 Col presente generale decreto, dichiariamo che il beneficio della sospensione ad cautelam, quando riguarda sentenze di interdetto promulgate in generale contro le città, i castelli, e qualsiasi altro luogo, non ha luogo.
31 Quelli che, chiunque essi siano, per il fatto che sia stata promulgata una sentenza di scomunica, di sospensione o di interdetto contro re, principi, baroni, nobili, balivi, o contro qualsiasi dei loro ministri o altri, dessero il permesso a qualcuno di uccidere, prendere o anche molestare nelle persone, o nei beni, o in quelli dei loro (parenti) chi ha emesso tali sentenze, o a causa dei quali sono state pronunziate, o chi le osserva, o chi non vuole comunicare con gli scomunicati, a meno che non abbiano revocato, in tempo, la licenza stessa, incorrano ipso facto nella sentenza di scomunica. Nella stessa sanzione incorra chi in base a analoga licenza si è impossessato dei beni, a meno che essi non siano stati restituiti entro otto giorni o data soddisfazione adeguata.
Siano legati dalla stessa sentenza tutti coloro che avessero osato servirsi della predetta licenza, o commettere di loro iniziativa qualche altra cosa, di quelle per cui abbiamo proibito che si possa dare tale licenza.
Chi rimarrà per due mesi (implicato) nella stessa sentenza, da quel momento non potrà avere più la grazia dell'assoluzione, se non dalla sede apostolica.
NOTE
(1) Gen 6, 6.
(2) Sal 104, 11.
(3) Sal 73, 12.
(4) Sai 113, 2.
(5) 1 Gv 1, 1.
(6) Lc 1, 37.
(7) Is 40, 4; Lc 3, 5.
(8) Mt 23, 4.
(9) c. 2, X, V, 26 (Friedberg, 2, 826-827).
(10) Mt 16, 19; 18, 18.
(11) Sal 113, 1.
(12) Lc 1, 78.
(13) Fil 2, 21.
(14) Gb 25, 2.
(15) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. 4.
(16) Les registres d'Alexandre IV, Recueil des bulles de ce pape..., edd. J. de Loye - P. de Cenival, Paris, 1917, 684-686.
(17) Alessandro III nel concilio Lateranense III (1179), C. 3.
(18) Les registres de Celement IV, Recueil des bulles de ce pape..., edd. E. Jordan I, Paris, 1893, n. 212 (p.50).
(19) Concilio Lateranense IV (1245), c. 13.
(20) c. i, III, 20, in VI (Friedberg, 2, 1056-1057).
(21) Sal 92, .
(22) Sal 75, 3.
(23) Fil -2, 9.
(24) At 4, 12.
(25) Mt 1, 21.
(26) Fil 2, 10.
(27) Concilio Lateranense III (1179), c. -25.
(28) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. -21.

































CONCILIO DI VIENNE
Dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312.
Papa Clemente V (1305-1314).
3 sessioni. Soppressione dell'ordine dei Templari.
Disputa sulla povertà francescana.
Decreti di riforma.
INDICE TEMATICO
-BOLLA DI SOPPRESSIONE DELL'ORDINE DEI TEMPLARI
-DECRETI
-(Sull'anima forma del corpo)
-(Obbligo di ricevere gli ordini sacri)
-(Sulle Beghine)
-(Sul culto cristiano)
- (Per l'insegnamento delle lingue orientali)
- (Sull'inquisizione)
-(Sui Begardi)
-(Sui Frati Minori)




























BOLLA DI SOPPRESSIONE DELL'ORDINE DEI TEMPLARI
Clemente vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetuo ricordo dell'avvenimento. Si è udita, nell'alto, una voce di' lamento, di pianto e di lutto (1). Poché è venuto il tempo (Per l'insegnamento delle lingue orientali)nel quale il Signore si lamenta per bocca del profeta: Questa casa si è trasformata Per une in causa di furore e di indignazione,- e sarà tolta via dal mio cospetto per la malvagità dei suoi figli, perché essi mi provocarono all'ira, rivolgendomai una cosa simile? - Caddi nell',udirla, mi rattristai nel vederla, il mio cuore si amareggiò, e le tenebre uni fecero rimanere stupefatto (4). Infatti la voce del popolo (sale) dalla città, la voce (esce) dal tempio, (è) la voce del Signore che rende la mercede ai suoi nemici (5). E il profeta è costretto ad esclamare: Da ad essi, Signore, un seno senza figli, e mammelle senza latte (6). La loro malizia si è resa manifesta per la loro perdizione. Scacciali dalla tua casa, e si secchi la loro radice (7); non portino frutto; non sia più, questa casa, causa di amarezza, e spina di dolore (8). Non è poca, infatti, la sua infedeltà: essa che immola i suoi figli e li dà e li consacra ai demoni e non a Dio, a dèi che essi ignoravano. Quindi questa casa sarà abbandonata e oggetto di vergogna, maledetta e deserta, sconvolta, ridotta in polvere, ultimo deserto, senza vie, arido per l'ira di Dio, che ha disprezzato. Non sia abitata, ma venga ridotta in solitudine; tutti si meraviglino di essa e fischino con disprezzo sulle sue piaghe (9). Dio, infatti non ha scelto la gente per il luogo, ma il luogo per la gente. Quindi il luogo stesso del tempio partecipa dei mali del popolo: cosa che il Signore disse chiaramente a Salomone, quando questi gli edificò il tempio, e fu riempito dalla sapienza come da un fiume: Se i vostri figli si allontaneranno da me, non seguendomi e non onorandomi, ma andando dietro e onorando gli dèi degli altri, e adorandoli, li scaccerò dalla mia faccia, e li allontanerò dalla terra che diedi loro, rigetterò dal mio cospetto il tempio che resi santo col mio nome, e sarà portato di bocca in bocca, e diventerà l'esempio e la favola dei popoli. Tutti i passanti, vedendolo, si meraviglieranno, e fischieranno, e diranno: "Perché il Signore ha trattato cosi questo tempio e questa casa?" E risponderanno: "Perché si sono allontanati dal Signore, loro Dio, che li ha comprati e riscattati, ed hanno seguito Baal ed altri dèi e li hanno onorati e adorati. Per questo il Signore ha fatto si che accadesse loro questa grande disgrazia" (10).
Già dalla nostra elevazione al sommo pontificato, anche prima che ci recassimo a Lione dove abbiamo ricevuto la nostra incoronazione; e poi dopo, sia li che altrove, qualche relazione fattaci in segreto ci informava che il maestro, i priori, ed altri frati dell'ordine della milizia del Tempio di Gerusalemme, ed anche l'ordine stesso - essi che erano stati posti nelle terre d'oltremare proprio a difesa del patrimonio di Nostro Signore Gesù Cristo, e come speciali e principali difensori della fede cattolica e della Terra Santa, sembravano curare più d'ogni altro tutto ciò che riguarda la stessa Terra Santa, per cui la sacrosanta chiesa Romana, trattando gli stessi frati e l'ordine con una particolare benevolenza, li ha armati col segno della croce contro i nemici di Cristo, li ha esaltati con molti onori e li ha muniti di diverse esenzioni e privilegi; e che in molti modi (11) erano, proprio per questo, aiutati da essa e da tutti i buoni fedeli di Cristo con moltiplicate elargizioni di beni - essi dunque contro lo stesso Signore Gesù Cristo erano caduti in una innominabile apostasia, nella scelleratezza di una vergognosa idolatria, nel peccato esecrabile dei Sodomiti e in varie altre eresie.
E poiché non era verosimile e sembrava incredibile che omini tanto religiosi, i quali avevano sparso spesso il loro sangue per il nome di Cristo, e che esponevano frequentemente le loro persone ai pericoli mortali e che mostravano grandi segni di devozione sia nei divini uffici, quanto nei digiuni e in altre pratiche di devozione, fossero poi cosi incuranti della propria salvezza, da perpetrare tali enormità specie se si considera che quest'ordine ha avuto un inizio buono e santo e il favore dell'approvazione dalla sede apostolica, e che la sua regola, perché santa, degna e giusta, ha meritato di essere approvata dalla stessa sede - non volevamo prestare orecchio a queste insinuazioni e delazioni, ammaestrati dagli esempi del Signore stesso e dalle dottrine della sacra scrittura.
Ma poi il nostro carissimo figlio in Cristo Filippo (12), illustre re dei Francesi, cui erano stati rivelati gli stessi delitti, non per febbre di avarizia - non aveva, infatti, alcuna intenzione di rivendicare o di appropriarsi dei beni dei Templari; nel suo regno, anzi, li trascurò tenendosi del tutto lontano da questo affare - ma acceso dallo zelo della vera fede, seguendo le orme illustri dei suoi progenitori, volendo istruirci ed informarci a questo riguardo, ci ha fatto pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere, molte e gravi informazioni.
Le voci infamanti contro i Templari ed il loro ordine si facevano sempre più consistenti e persino un soldato dello stesso ordine, appartenente all'alta nobiltà, che godeva nell'ordine di non poca stima, depose dinanzi a noi, segretamente e sotto giuramento, che egli, quando fu ammesso nell'ordine, per suggerimento di chi lo ammetteva, e alla presenza di alcuni altri Templari, aveva negato Cristo ed aveva sputato sulla Croce che gli veniva mostrata da colui che lo riceveva nell'ordine. Egli disse anche di aver visto il maestro dei Templari (che ancora vive) ricevere nello stesso ordine d'oltremare un soldato allo stesso modo, cioè col rinnegamento di Cristo e con lo sputare sulla Croce, alla presenza di ben duecento frati dello stesso ordine, e di aver sentito che si diceva esser quello il modo normale osservato nell'ammettere i frati dello stesso ordine: cioè che, dietro suggerimento di chi riceveva o di un suo delegato a questa cerimonia, colui che veniva ammesso doveva negare Gesù Cristo, e sputare sulla Croce che gli veniva mostrata, come segno di disprezzo a Cristo crocifisso, e che sia chi ammetteva, sia chi veniva ammesso compiva altre azioni illecite e sconvenienti all'onestà cristiana, come egli stesso allora confessò dinanzi a noi.
Poiché, dunque, il dovere ci spingeva a questo nostro ufficio, non abbiamo potuto fare a meno di porgere ascolto a tanti e cosi grandi clamori.
Finalmente, la voce pubblica e la clamorosa denunzia del suddetto re, di duchi, conti, baroni ed altri nobili, del clero e del popolo del regno francese, che vengono alla nostra presenza proprio a questo scopo, sia personalmente che per mezzo di procuratori o di rappresentanti, ha fatto giungere alle nostre orecchie - lo diciamo con dolore - che il maestro, i priori ed altri frati di quest'ordine, e l'ordine stesso, in sé, erano coinvolti in questi ed in altri crimini, e che ciò è provato da molte confessioni, attestazioni e deposizioni dello stesso maestro, del visitatore di Francia e di molti priori e frati dell'ordine davanti a molti prelati e all'inquisitore per l'eresia - deposizioni fatte e ricevute nel regno di Francia previo interessamento dell'autorità apostolica, redatte in pubblici documenti, e mostrate a noi e ai nostri fratelli. Inoltre, questa fama e queste voci clamorose erano divenute cosi insistenti, ed avevano lasciato chiaramente capire, contro l'ordine stesso e contro i singoli membri, che la cosa non poteva ormai esser più oltre trascurata senza grave scandalo e tollerata senza imminente pericolo per la fede, noi, seguendo le orme di colui, di cui, benché indegni, facciamo le veci, qui in terra, abbiamo creduto bene dover procedere ad una inchiesta. Abbiamo, quindi, fatto venire alla nostra presenza molti priori, sacerdoti, soldati, ed altri frati di quest'ordine di non poca fama; abbiamo fatto prestar loro giuramento, li abbiamo scongiurati pressantemente per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, invocando il divino giudizio, che in virtù di santa obbedienza - dato che si trovavano ora in luogo sicuro ed adatto, dove non c'era assolutamente nulla da temere, nonostante le confessioni fatte da essi dinanzi ad altri, per le quali noi non volevamo che ne derivasse qualche danno a coloro che le avevano fatte - dicessero sulla questione accennata la pura e semplice verità. Li abbiamo quindi interrogati su questo argomento e ne abbiamo esaminati settantadue. Ci assistevano con attenzione molti dei nostri fratelli cardinali; abbiamo fatto redigere in documento autentico le loro confessioni per mano di un notaio alla presenza nostra e dei nostri fratelli, e poi, dopo qualche giorno, le abbiamo fatte leggere alla loro presenza in Concistoro, e le abbiamo fatte esporre nella lingua volgare, a ciascuno di essi, che confermandole espressamente e spontaneamente le approvarono cosi come erano state recitate.
Dopo ciò, volendo indagare personalmente su questa questione col maestro generale, con il visitatore di Francia e con i principali priori dell'ordine, ordinammo allo stesso maestro generale e al visitatore d'oltremare, e ai priori maggiori di Normandia, d'Aquitania e della provincia di Poitiers di presentarsi a noi che eravamo a Poitiers. Molti, però, erano infermi, in quel tempo, e non potevano cavalcare, né esser condotti agevolmente alla nostra presenza. Noi, allora, volendo conoscere la verità su tutto quanto e se fossero vere le loro confessioni e deposizioni, rese all'inquisitore per l'eresia nel suddetto regno di Francia, alla presenza di alcuni pubblici notai e di molte altre oneste persone, e presentate a noi e ai cardinali dallo stesso inquisitore, demmo l'incarico e ordinammo ai nostri diletti figli Berengario, allora cardinale del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo, ora vescovo di Frascati, Stefano, cardinale del titolo di S. Ciriaco alle Terme, e Landulfo cardinale del titolo di Sant'Angelo, della cui prudenza, esperienza e fedeltà, abbiamo illimitata fiducia, perché essi col suddetto maestro generale, col visitatore e coi priori, sia contro di essi e le singole persone dell'ordine, sia contro l'ordine in quanto tale, cercassero di scoprire la verità e di farci sapere quanto avessero trovato a questo riguardo e ci riferissero e presentassero le loro confessioni e deposizioni, messe per iscritto, per mezzo di pubblico notaio, pronti a concedere allo stesso maestro, al visitatore e ai priori il beneficio dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, in cui avrebbero dovuto incorrere per i suddetti delitti se fossero risultati veri, qualora l'avessero chiesta umilmente e devotamente, come avrebbero dovuto. I cardinali, recandosi personalmente dal maestro generale, dal visitatore e dai priori, esposero il motivo della loro venuta. E poiché le persone di questi e degli altri Templari che si trovavano nel regno di Francia ci erano state presentate come persone che liberamente e senza timore di nessuno avrebbero manifestato pienamente e sinceramente la verità agli stessi cardinali, questi ingiunsero loro di far ciò in nome dell'autorità apostolica. Allora il maestro generale, il visitatore e i priori della Normandia, d'oltremare, d'Aquitania, della provincia di Poitiers, alla presenza dei tre cardinali, di quattro pubblici notai, e di molte altre persone degne di rispetto, prestato giuramento sui santi Evangeli, che, sull'argomento in questione avrebbero detto la pura e completa verità, alla loro presenza, uno per uno, liberamente, spontaneamente, senza alcuna costrizione o terrore, fecero la loro deposizione, e fra le altre cose confessarono di aver negato Cristo e di aver sputato sulla croce, quando furono ricevuti nell'ordine di Templari; e alcuni di essi confessarono anche di aver ricevuto molti frati nella stessa forma, esigendo, cioè, che si negasse Cristo e si sputasse sulla Croce. Alcuni di essi hanno confessato anche altri fatti orribili e vergognosi, che al presente taciamo. Dissero anche e confessarono che quanto era contenuto nelle confessioni e deposizioni da loro fatte dinanzi all'inquisitore suddetto, era vero.
Queste confessioni e deposizioni del maestro generale, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento da quattro notai pubblici, alla presenza dello stesso maestro, visitatore e priori e di altre persone degne di fede, e solo dopo aver lasciato trascorrere lo spazio di alcuni giorni, furono lette agli stessi, per ordine e alla presenza dei cardinali, ed inoltre tradotte a ciascuno di essi nella propria lingua. Essi le riconobbero per proprie ed espressamente e spontaneamente le approvarono, cosi com'erano state recitate.
Da queste confessioni e deposizioni, essi, in ginocchio e con le mani congiunte, umilmente, devotamente e con abbondante effusione di lacrime, chiesero ai cardinali l'assoluzione dalla scomunica, nella quale erano incorsi per i delitti predetti. I cardinali, poiché la chiesa non chiude mai il suo grembo a chi ritorna, appena il maestro, il visitatore e i priori ebbero abiurato l'eresia concessero ad essi per nostra autorità, e nella forma consueta della chiesa, il beneficio dell'assoluzione; quindi, tornando alla nostra presenza, ci presentarono le confessioni e le deposizioni del maestro, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento, da persone pubbliche, com'è stato detto, e ci riferirono quello che avevano fatto coi suddetti maestro, visitatore e priori.
Da queste confessioni e deposizioni trovammo che spesso il maestro, il visitatore della Terra d'oltremare e questi priori della Normandia, dell'Aquitania e della regione di Poitiers, anche se alcuni maggiormente ed altri meno, avevano mancato gravemente. E considerando che delitti cosi orrendi non avrebbero potuto né dovuto esser lasciati impuniti, senza far ingiuria a Dio onnipotente e a tutti i cattolici, chiesto consiglio ai nostri fratelli cardinali, pensammo che si dovesse fare un'inchiesta per mezzo degli ordinari locali e di altre persone fedeli e sagge, da deputarsi a ciò, sui singoli membri dello stesso ordine, e sull'ordine come tale, per mezzo di inquisitori appositamente deputati.
Dopo di ciò, sia gli ordinari che quelli da noi deputati contro i singoli membri dell'ordine e gli inquisitori per l'ordine nel suo insieme hanno svolto indagini in ogni parte del mondo e le hanno infine rimesse al nostro esame. Di esse, parte furono lette con ogni diligenza ed esaminate con cura da noi in persona e dai nostri fratelli cardinali di santa romana chiesa, le altre, da molti uomini coltissimi, prudenti, fedeli, col santo timore di Dio nel cuore, zelanti della fede cattolica, e pratici, sia prelati che non prelati, presso Malaucène, nella diocesi di Vaison.
Dopo ciò, giunti a Vienne, essendo già presenti moltissimi patriarchi, arcivescovi, vescovi eletti, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati, ed inoltre procuratori di prelati assenti e di capitoli, ivi radunati per il concilio da noi convocato, Noi, dopo la prima sessione tenuta con i predetti cardinali, prelati, procuratori, in cui credemmo bene esporre loro le cause della convocazione del concilio, - poiché era difficile, anzi impossibile che i cardinali e tutti i prelati e procuratori, convenuti nel presente concilio, potessero raccogliersi alla nostra presenza per trattare sul modo di procedere riguardo al problema dei frati del predetto ordine - per nostro ordine dal numero complessivo dei prelati e dei procuratori presenti al concilio, furono scelti concordemente alcuni patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati e procuratori di ogni parte della cristianità, di qualsiasi lingua, nazione, regione, tra i più esperti, discreti, adatti a dare un consiglio in tale e cosi importante questione e a trattare con noi e con i suddetti cardinali un fatto cosi importante.
Quindi abbiamo fatto leggere attentamente, dinanzi ai prelati e ai procuratori, per più giorni, finché essi vollero ascoltare, le attestazioni raccolte di cui abbiamo parlato, riguardanti l'inchiesta sull'ordine predetto, nella sede del concilio, cioè nella chiesa cattedrale; e in seguito queste stesse attestazioni e i riassunti che ne sono stati fatti sono state viste, lette attentamente ed esaminate da molti venerabili cardinali, dal patriarca di Aquileia, da arcivescovi e vescovi presenti al concilio, scelti e destinati a ciò da quelli che erano stati eletti del concilio con grande diligenza e sollecitudine.
A questi cardinali, pertanto, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, agli altri prelati e procuratori, eletti proprio per questa questione, quando furono alla nostra presenza fu da noi rivolto il quesito in segreto, come si dovesse procedere in tale problema, tanto più che alcuni Templari si offrivano a difendere il loro ordine. Alla maggior parte dei cardinali e quasi a tutto il concilio, a quelli cioè che, come abbiamo detto, erano stati eletti dal concilio, e per questa questione rappresentano il concilio intero, insomma alla grande maggioranza, circa quattro quinti di quelli che si trovavano al concilio da ciascuna nazione, sembrò indubitato - e i prelati in questione e i procuratori diedero in tal senso il loro parere - che si dovesse concedere a quell'ordine il diritto di difesa, e che esso, sulla base di ciò che era stato provato fino a quel momento, non potesse esser condannato per quelle eresie a proposito delle quali erano state fatte le indagini contro di esso, senza offesa di Dio e oltraggio del diritto. Alcuni, invece, dicevano che quei frati non dovevano essere ammessi a difendere l'ordine, e che noi non dovevamo concedere ad essi (tale) facoltà. Se, infatti, dicevano, si permettesse e si concedesse la difesa dell'ordine, ne seguirebbe un pericolo per la questione stessa e non poco danno per l'aiuto alla Terra Santa. E aggiungevano molte altre ragioni.
Ora, è vero che dai processi svolti contro quest'ordine, esso non può canonicamente esser dichiarato eretico con sentenza definitiva; ma lo stesso ordine, a causa di quelle eresie che gli vengono attribuite ha conseguito una pessima fama. Moltissimi suoi membri, tra cui il maestro generale, il visitatore di Francia e i priori più in vista, attraverso le loro confessioni spontanee fatte a riguardo di queste eresie sono state convinti di errori e delitti e, inoltre, le confessioni predette rendono questo ordine molto sospetto, e questa infamia e questa diffidenza lo rendono addirittura abominevole e odioso alla chiesa santa di Dio, ai suoi prelati, ai suoi re, ai principi cristiani e agli altri cattolici. Inoltre, si può verisimilmente credere che da ora in poi non si troverebbe persona disposta ad entrare in quest'ordine, e che quindi esso diverrebbe inutile alla chiesa di Dio e al proseguimento dell'impresa della Terra Santa, al cui servizio era stato destinato. Poiché dal rinvio della decisione, cioè dalla sistemazione di questa faccenda - alla cui definizione e promulgazione era stato da noi assegnato per i frati di quest'ordine un termine nel presente concilio - seguirebbe la totale perdita, distruzione e dilapidazione dei beni del Tempio, che da tempo sono stati offerti, legati, concessi dai fedeli di Cristo in aiuto della Terra Santa e per combattere i nemici della fede cristiana; considerato che secondo alcuni si deve promulgare subito la sentenza di condanna contro l'ordine dei Templari per i loro delitti, e secondo altri invece non si potrebbe sulla base dei processi già fatti contro lo stesso ordine, emettere sentenza di condanna, noi, dopo lunga e matura riflessione, avendo dinanzi agli occhi unicamente Dio e guardando solo all'utilità della Terra Santa, senza inclinare né a destra né a sinistra, abbiamo pensato bene doversi scegliere la via della decisione e della sistemazione, attraverso la quale saranno tolti gli scandali, saranno evitati i pericoli, e saranno conservati i beni in sussidio della Terra Santa.
L'infamia, il sospetto, le clamorose relazioni e le altre cose già dette, tutte a sfavore dell'ordine, ed inoltre l'ammissione nascosta e clandestina dei frati dello stesso ordine, la differenza di molti di quei frati dal comune comporta- mento, dal modo di vivere e dai costumi degli altri cristiani, specie poi per il fatto che ammettendo nuovi membri li obbligavano a non rivelare il modo della loro ammissione, e a non uscire dall'ordine -, inducono a presumere contro di loro. Riflettendo, inoltre, che da tutto ciò è nato contro quest'ordine un grave scandalo, che difficilmente potrebbe esser messo a tacere se l'ordine continuasse ad esistere e considerando i pericoli per la fede e per le anime, e gli orribili numerosi misfatti della maggior parte dei frati dello stesso ordine e molte altre giuste ragioni e cause ci siamo dovuti risolvere alle decisioni che seguono. La maggior parte dei cardinali, e almeno quattro quinti di quelli che sono stati eletti da tutto il concilio ha ritenuto più conveniente, vantaggioso e utile per l'onore di Dio, per la conservazione della fede cristiana, per l'aiuto alla Terra Santa e per molte altre giuste ragioni che si seguisse piuttosto la via di un provvedimento della sede apostolica, sopprimendo l'ordine e assegnando i beni all'uso cui erano destinati, provvedendo anche salutarmente alle persone dello stesso ordine, che non quella del rispetto del diritto alla difesa, e della proroga di questa questione. Anche in altri casi, pur senza colpa dei frati, la chiesa romana qualche volta ha soppresso ordini di importanza assai maggiore per motivi senza paragone più modesti di quelli accennati, pertanto con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare.
Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto.
Quanto alle persone e agli stessi beni, li riserviamo a disposizione nostra e della sede apostolica. E ne disporremo, con la grazia divina, ad onore di Dio, ad esaltazione della fede cristiana e per il prospero stato della Terra Santa, prima della fine di questo concilio. E proibiamo assolutamente che chiunque, di qualsiasi condizione o stato esso sia, si intrometta in qualsiasi modo in ciò che riguarda tali persone o tali beni, faccia, innovi, tenti qualche cosa che porti pregiudizio, in ciò, a quanto noi, conforme a quanto abbiamo detto, ordineremo o disporremo, e stabiliamo fin da questo momento che sarà senza alcun valore e del tutto vano, se qualcuno diversamente - consapevolmente o senza saperlo - tenterà qualche cosa.
Con ciò, tuttavia, non vogliamo che si deroghi ai processi fatti o da farsi circa le singole persone degli stessi Templari dai vescovi diocesani o dai concili provinciali, conforme a quanto noi abbiamo con altre disposizioni ordinato.
Vienne, 22 marzo (1312), anno settimo del nostro pontificato.
DECRETI
(Sull'anima forma del corpo)
Aderendo fermamente al fondamento della fede cattolica, oltre il quale, al dire dell'Apostolo, nessuno può collocarne altro (13), confessiamo apertamente con la santa madre Chiesa che l'unigenito Figlio di Dio, eternamente sussistente col Padre in tutto ciò in cui il Padre è Dio, ha assunto nel tempo, nel seno verginale (di Maria) le parti della nostra natura unite insieme per elevarle all'unità della sua ipostasi e della sua persona, per cui Egli, essendo in sé vero Dio, è divenuto vero uomo: l'umano corpo, cioè, passibile, e l'anima intellettiva, ossia razionale, che informa veramente il corpo per sé ed essenzialmente. E (professiamo) anche che in questa natura, cosi assunta, lo stesso verbo di Dio non solo volle, per la comune salvezza, essere inchiodato sulla croce e morire su di essa, ma anche emise che, già morto, il suo fianco venisse trapassato dalla lancia, perché dall'acqua e dal sangue (14), che ne fluirono, si formasse l'unica, immacolata, e vergine madre, la santa Chiesa, sposa di Cristo, come dal fianco del primo uomo addormentato fu formata, perché fosse sua sposa, Eva (15); e in tal modo alla figura del primo e vecchio Adamo, che secondo l'apostolo (16) è figura di colui che deve venire, corrispondesse la verità nel nostro Adamo (17) cioè in Cristo.
Questa, diciamo, è la verità, confermata dalla testimonianza di quell'aquila enorme che il profeta Ezechiele (18) vide volare sopra gli altri animali evangelici, cioè Giovanni apostolo ed evangelista, il quale rivelando la natura e l'ordine di questo mistero, disse nel suo Vangelo: Giunti a Gesù, come lo videro già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati apri il suo fianco con la lancia, e ne uscì subito sangue ed acqua. Chi ha visto ne ha dato testimonianza e la sua testimonianza è vera; ed egli sa di dire il vero, Perché voi crediate (19)
Noi, quindi, considerando una testimonianza cosi eccellente, e la comune sentenza dei santi padri e dei dottori con la prudenza apostolica, cui solo appartiene definire queste cose, con l'approvazione del santo concilio, dichiariamo che l'apostolo ed evangelista S. Giovanni nel narrare quanto abbiamo riferito ha rispettato il vero ordine degli avvenimenti, raccontando che uno dei soldati apri il fianco a Cristo già morto con la lancia.
Inoltre, sempre con l'approvazione del santo concilio, ritroviamo come erronea e contraria alla verità della fede cattolica, ogni dottrina o tesi che asserisce temerariamente, o revoca in dubbio, che la sostanza dell'anima razionale o intellettiva non sia veramente e per sé la forma del corpo umano; e definiamo - perché sia nota a tutti la verità della pura fede e sia sbarrata la via ad ogni errore - che chiunque, in seguito, oserà asserire, difendere, o ritenere pertinacemente che l'anima razionale, cioè intellettiva, non sia la forma del corpo umano per sé ed essenzialmente, debba ritenersi come eretico.
Bisogna anche che tutti ammettono fedelmente un unico battesimo che rigenera tutti i battezzati in Cristo, come vi è un solo Dio e un'unica fede (20). E crediamo che esso, amministrato con l'acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sia un perfetto e comune mezzo di salvezza tanto per gli adulti quanto per i bambini.
Per quanto riguarda l'effetto del battesimo nei bambini, si trova che alcuni teologi hanno modi di vedere contrastanti alcuni, infatti, dicono che per effetto del battesimo ai piccoli viene rimessa la colpa, ma non viene data la grazia; altri, invece, affermano che nel battesimo viene rimessa loro la colpa e vengono infuse le virtù e la grazia santificante come abito, ma che, a causa dell'età, non ne possono usare. Noi, tenendo presente l'efficacia generale della morte di Cristo, che viene ugualmente applicata nel battesimo a tutti i battezzati, crediamo con l'approvazione del concilio, che debba scegliersi la seconda opinione, quella secondo la quale nel battesimo vengono infuse sia ai bambini che agli adulti la grazia santificante e le virtù, come più probabile, più consona e più conforme alle opinioni dei santi e dei moderni dottori di teologia.
(Obbligo di ricevere gli ordini sacri).
Per indurre a ricevere gli ordini sacri quelli che nelle cattedrale o nelle chiese collegiate secolari esercitano o eserciteranno in futuro gli uffici divini, stabiliamo che nessuno, in avvenire, possa aver voce in capitolo - anche se questa facoltà gli venisse liberamente concessa dagli altri - se non ha ricevuto almeno l'ordine del suddiaconato. Chi al presente è o sarà pacificamente in possesso di dignità, personali, uffici o prebende cui sono annessi certi ordini, nelle stesse chiese, questi, se, cessando il giusto impedimento, non avrà ricevuto tali ordini entro un anno, da allora in poi non avrà più, in nessun modo, voce nel capitolo di queste chiese, fino a che gli ordini stessi non siano stati ricevuti.
Sia inoltre detratta ad essi metà delle distribuzioni che spettano a chi assiste alla recita di certe ore, non ostante qualsiasi consuetudine o statuto in contrario, rimanendo, naturalmente, in vigore le altre pene che sono stabilite nel diritto contro chi ricusa di esser promosso agli ordini sacri.
(Sulle Beghine)
Le donne che volgarmente vengono chiamate Beghine, le quali non promettono obbedienza ad alcuno, ne rinunziano ai propri beni, né professano alcuna regola approvata, non sono da considerarsi in nessun modo delle religiose, anche se indossano l'abito delle Beghine e aderiscono ad alcuni religiosi, verso i quali sono particolarmente inclinate. Ci è stato riferito che alcune di esse - quasi fuori di sé - vanno disputando e dissertando sulla santa Trinità e sulla divina essenza e introducono idee contrarie alla fede cattolica sugli articoli di fede e sui sacramenti della chiesa. Esse ingannano, inoltre, su questi argomenti molte persone semplici, traendole in vari errori, e sotto una certa apparenza di santità, fanno e commettono molte altre cose che portano pericolo per le anime; e noi, arguendo da questi fatti e da altre voci udite sulla cattiva fama che esse godono, a buon diritto le consideriamo come sospette. Quindi, con il parere favorevole del santo concilio, abbiamo creduto bene di proibire per sempre il loro stato e sopprimerlo del tutto dalla chiesa di Dio, e comandiamo espressamente a queste ed altre donne di qualsiasi genere - sotto pena di scomunica, in cui intendiamo incorrano ipso facto quelle che agiscono contrariamente - di non seguire più in nessuna maniera questo modo di vivere, forse da loro abbracciato da lungo tempo, e di non abbracciarlo ex novo.
Ai religiosi, poi, cui abbiamo accennato, dai quali si dice che queste donne vengano favorite nel loro stato di beghinaggio e indotte ad abbracciarlo, proibiamo severamente sotto pena di una analoga scomunica - nella quale incorreranno per lo stesso fatto di aver agito diversamente - di ammettere in qualsiasi modo donne che o già abbiano abbracciato il predetto stato, nel modo accennato, o che intendano abbracciarlo ex novo dando loro consiglio, prestando aiuto o favore nel seguirlo o nell'abbracciarlo, senza che possano addurre contro quanto abbiamo esposto alcun privilegio.
Con queste disposizioni non intendiamo certo proibire che donne piene di fede le quali, fatta o no la promessa di continenza, vivono onestamente nelle loro case, vogliano far penitenza e servire in spirito di umiltà il Dio delle virtù; ciò sia loro lecito, come il Signore le ispirerà.
(Sul culto cristiano).
Siamo scossi gravemente dalla negligenza di alcuni rettori di chiese che, mentre fa sperare nell'impunità, alimenta gravi disordini nei sudditi. Molti ministri delle chiese, rigettata la modestia propria dell'ordine clericale, mentre dovrebbero offrire a Dio il sacrificio della lode, frutto delle proprie labbra, con purezza di coscienza e devozione d'anima, usano, invece, dire o cantare le ore canoniche correndo, abbreviando, intramezzandole con discorsi estranei, e per lo più vani, profani, sconvenienti. Vanno tardi in coro, o lasciano la chiesa senza motivo sufficiente, prima della fine dell'ufficio; qualche volta portano o fanno portare uccelli; conducono con sé cani da caccia, e non conservando quasi nulla della milizia clericale, nelle vesti né nella tonsura, osano cosi, senza alcuna devozione, celebrare o assistere ai divini uffici.
Alcuni, inoltre, chierici e laici, specie in certe vigilie di feste, mentre dovrebbero attendere all'orazione nelle chiese, non hanno scrupolo di fare in esse e nei cimiteri balli dissoluti, cantando canzoni e commettendo stranezze, da cui seguono poi violazioni di chiese e di cimiteri e vari fatti disonesti, e così viene spesso turbato l'ufficio ecclesiastico, con offesa della divina maestà e scandalo dei presenti. In molte chiese, inoltre, si serve il Signore con vasi sacri, vesti e paramenti sacri del tutto indecenti.
Perché, dunque, questi disordini non prendano piede e non servano d'esempio ad altri, con l'approvazione del santo concilio proibiamo che si faccia tutto ciò e stabiliamo che coloro cui appartiene, e gli ordinari locali o i superiori, se si tratta di esenti, cerchino di usare ogni diligenza contro la trascuratezza, messa da parte ogni negligenza e noncuranza, circa i punti premessi da riformare, e le singole loro parti da correggere. Nelle chiese cattedrali, religiose e collegiate, nelle ore dovute si cantino devotamente i salmi, nelle altre, invece, venga celebrato degnamente e nel modo dovuto il divino ufficio diurno e notturno se intendono sfuggire all'indignazione di Dio e della sede apostolica. I renitenti siano costretti con le censure ecclesiastiche o con altri mezzi adatti, facendo si che in queste ed in altre cose di loro spettanza, relative al culto divino; alla riforma dei costumi, alla santità delle chiese e dei cimiteri, i sacri canoni, - alla cui conoscenza si applichino con uno studio diligente - vengano assolutamente osservati.
(Per l'insegnamento delle lingue orientali).
Tra i doveri che ci incombono, ci preoccupiamo continuamente di come condurre gli erranti nella via della verità e guadagnarli a Dio, con l'aiuto della sua grazia. Questo cerchiamo con vivo desiderio, i pensieri della nostra mente e uno zelo premuroso. E’ indubbio che per ottenere quanto desideriamo nulla sia più adatto che l'esposizione e la fedele predicazione delle sacre scritture. Ma non ignoriamo che queste verità si predicano invano se si espongono ad orecchie che non conoscono la lingua di chi parla.
Imitando, quindi, l'esempio di colui, del quale, anche se indegni, facciamo le veci sulla terra, e che volle che gli apostoli, evangelizzando tutto il mondo, conoscessero ogni sorta di lingue (22), desideriamo ardentemente che la santa chiesa abbondi di cattolici che conoscano le lingue, specie quelle che usano gli infedeli, cosi da sapere e potere istruire gli infedeli nelle sacre verità per aggregarli, attraverso la conoscenza della fede cristiana e l'amministrazione del battesimo, alla comunità dei cristiani.
Perché, dunque, possa realizzarsi una conoscenza approfondita di queste lingue con una efficace istruzione, con l'approvazione di questo sacro concilio abbiamo disposto che dovunque venga a trovarsi la curia romana, ed inoltre negli studi di Parigi, di Oxford, di Bologna e di Salamanca, vengano istituite delle scuole per le lingue sotto indicate. In ognuno di questi luoghi vi siano dei cattolici che conoscano a sufficienza la lingua ebraica, araba e caldea, due per ciascuna lingua, che dirigano le scuole in queste università, che traducano dei libri, fedelmente, da queste lingue in latino, che le insegnino con amore agli altri, e ne trasfondano in essi con un insegnamento premuroso la conoscenza. Cosi gli allievi, sufficientemente istruiti e dotti in queste lingue, possano portare il frutto sperato, con l'aiuto di Dio, propagando la fede presso i popoli infedeli.
Per gli stipendi e le spese di questi lettori presso la curia romana provveda la sede apostolica; per lo studio di Parigi, il re di Francia; per quello di Oxford, il re di Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles; per quello di Bologna, i prelati, i monasteri, i capitoli, i conventi, le collegiate - esenti e non esenti - e i rettori di chiese dell'Italia; per quello di Salamanca, quelli di Spagna. Ciò, imponendo ai singoli (enti) l'onere del contributo in proporzione delle possibilità, senza che possano, in nessun modo, essere fatti valere privilegi ed esenzioni in contrario, pur non intendendo recar loro pregiudizio riguardo ad altre cose.
(Sull'inquisizione).
E' giunto alla sede apostolica il lamento di molti, che alcuni inquisitori, incaricati da essa di vigilare contro la malvagità dell'eresia, passando i limiti loro consentiti, estendono talmente i loro poteri, che ciò che è stato salutarmente destinato all'accrescimento della fede attraverso una prudente vigilanza, si risolve, invece, a danno dei fedeli, dato che sotto la scusa della pietà vengono molestati gli innocenti.
Perciò, a gloria di Dio e ad aumento della fede, perché l'attività dell'inquisizione giovi quanto più l'indagine è condotta con diligenza e cautela, vogliamo che questo ufficio sia esercitato dai vescovi diocesani e dagli inquisitori incaricati dalla sede apostolica, senza alcun affetto carnale, odio, timore o attaccamento a umana utilità. Ognuno di essi potrà senza l'altro citare, arrestare, prendere e trattenere in sorveglianza e mettere in ceppi, se lo crederà opportuno di ciò rendiamo responsabile la sua coscienza - e potrà anche fare indagini contro chi riterrà necessario. Invece la condanna al carcere duro e rigoroso, adatto piuttosto a far scontare la pena, che a custodire o la decisione di sottoporre a tormenti, o l'emissione della sentenza, il vescovo e l'inquisitore potranno deciderle solo di comune accordo. Il vescovo può delegare un suo officiale, e - durante la vacanza della sede vescovile - fungerà un delegato del capitolo.
Ma se il vescovo o il delegato del capitolo, durante la vacanza, non può o non vuole incontrarsi personalmente con l'inquisitore, viceversa ciò potrà avvenire per interposte persone o per iscritto.
Sappiamo anche che nella custodia delle carceri per gli eretici, si sono perpetrate a lungo molte frodi, stabiliamo che ogni carcere del genere, - che del resto intendiamo che debba esser comune al vescovo e all'inquisitore, - abbia due custodi principali, discreti, attivi, fedeli, tino scelto dal vescovo, e a cui questi dovrà anche provvedere, l'altro dall'inquisitore, a cui provvederà l'inquisitore, l'uno e l'altro potrà, poi, avere sotto di sé un altro buono e fedele aiutante. Per ogni ambiente dello stesso carcere vi saranno due chiavi diverse, di cui ciascuno ne terrà una.
Questi custodi, inoltre, prima di prender possesso del loro ufficio giureranno sui sacri Evangeli dinanzi al vescovo o al capitolo - durante la sede vacante - e all'inquisitore o ai loro sostituti, di usare nel custodire i carcerati affidati alla loro sorveglianza, ogni diligenza e sollecitudine. E che l'uno non dirà nulla a nessun carcerato, senza che l'altro custode lo senta anche lui. E che essi passeranno senza sottrarre nulla le razioni che i carcerati ricevono dall'amministrazione e ciò che viene loro offerto da parenti, amici, o altre persone, a meno che l'ordine del vescovo e dell'inquisitore sia diverso, e che in queste cose non commetteranno alcuna frode.
Lo stesso giuramento presteranno dinanzi alle stesse persone anche gli aiutanti dei custodi, prima di iniziare il loro Ufficio.
E poiché spesso i vescovi hanno carceri proprie, non comuni cioè a loro e agli inquisitori, vogliamo e comandiamo severamente che i custodi destinati dal vescovo o - durante la vacanza della sede - dal capitolo alla custodia dei carcerati per eresia e anche i loro subalterni prestino lo stesso giuramento dinanzi all'inquisitore o ai loro sostituti.
Anche i notai dell'inquisizione giureranno dinanzi al vescovo e all'inquisitore o ai loro sostituti di adempiere fedelmente il loro ufficio. La stessa cosa faranno le altre persone necessarie ad eseguire questo ufficio.
E poiché è altrettanto grave non fare, per sterminare tale malvagità, ciò che la sua gravità richiede quanto accollare maliziosamente tale iniquità agli innocenti, comandiamo al vescovo, all'inquisitore e a quegli altri che essi sceglieranno per tale ufficio, in virtù di santa obbedienza e sotto minaccia di eterna maledizione, di procedere contro i sospetti o gli accusati tanto discretamente e con tanta prontezza da non addossare ad alcuno, falsamente, con frode e malizia una macchia cosi grande. Se, mossi dall'odio, dal favore o dal l'amore, dal guadagno o dall'utilità temporale, emettessero, contro la giustizia e la loro coscienza, di procedere contro qualcuno, quando invece si dovrebbe agire; o se, con gli stessi intenti, addossassero a qualcuno questa colpa, oltre ad altre pene proporzionate alla qualità della loro responsabilità, il vescovo o chi è a lui superiore incorra senz'altro nella sospensione dall'ufficio per tre anni, gli altri nella scomunica.
Chi fosse incorso in questa scomunica non potrà essere assolto se non dal romano pontefice, salvo che in pericolo di morte - e anche allora solo dopo previa soddisfazione - senza che in ciò possa essere invocato qualsiasi privilegio.
Quanto alle altre norme stabilite dai nostri predecessori circa l'inquisizione, in quanto non contrastano col presente decreto, con l'approvazione del santo concilio vogliamo che continuino a conservare tutta la loro forza.
(Sui Begardi).
Noi che con tanto desiderio bramiamo che la fede cattolica prosperi in questi nostri tempi e che l'eretica perversità sia estirpata dai paesi fedeli abbiamo saputo con grande dolore che una certa setta abominevole di uomini perversi, chiamati volgarmente Begardi, e di donne rinnegate, dette Beghine, è sorta dannatamente nel regno di Alemagna per istigazione del seminatore di opere malvagie, setta che ritiene e professa con la sua dottrina sacrilega e perversa i seguenti errori. Primo, che l'uomo nella vita presente può acquistare tale grado di perfezione da divenire del tutto impeccabile, e quindi da non poter progredire più oltre nella grazia. Altrimenti - dicono - se uno potesse progredire sempre si potrebbe trovare qualcuno più perfetto di Cristo.
Secondo, che quando l'uomo ha raggiunto un tale grado di perfezione non ha più bisogno né di digiunare, né di pregare, poiché allora i sensi sono soggetti perfettamente allo spirito e alla ragione, cosi che l'uomo può concedere liberamente al corpo quello che gli piace.
Terzo, che quelli che si trovano in questo grado di perfezione e di libertà, non sono so- etti ad alcuna autorità umana né obbligati ad alcun precetto della chiesa, perché - dicono - dov'è lo spirito del Signore, ivi è libertà (23).
Quarto, che l'uomo può conseguire la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione nella vita presente, come l'otterrà nella vita beata.
Quinto, che ogni natura intellettuale è beata naturalmente in sé stessa; e che l'anima non ha bisogno del lume della gloria, che la elevi a vedere Dio e a goderlo beatamente.
Sesto, che esercitarsi nella virtù è proprio dell'uomo imperfetto, e che l'anima perfetta non ne ha bisogno.
Settimo, che baciare una donna senza inclinazione naturale è peccato mortale; ma che l'atto carnale, se la natura vi inclina non è peccato, specie quando chi lo commette è tentato.
Ottavo, che all'elevazione del Corpo di Cristo i perfetti non devono alzarsi, né mostrare alcuna riverenza, affermando che sarebbe per essi segno di imperfezione, se dalla purezza e dall'altezza della loro contemplazione discendessero tanto da meditare sul mistero o sacramento dell'eucarestia o sulla passione dell'umanità di Cristo.
Dicono, inoltre, fanno e commettono alcune altre cose, sotto falsa apparenza di santità, che offendono gli occhi della divina maestà e contengono un pericolo per le anime.
Ora noi, per dovere dell'ufficio che ci è stato affidato, crediamo necessario estirpare dalla chiesa cattolica questa detestabile setta e gli esecrandi suoi errori che abbiamo denunziato, perché non si propaghino più largamente e non vengano corrotte da essi le anime dei fedeli. Condanniamo per- tanto, con l'approvazione del santo concilio, questa setta con i suoi errori, riprovandoli del tutto e proibendo severamente che in avvenire qualcuno possa ritenerli, approvarli o difenderli.
Quelli poi che intendessero agire diversamente siano colpiti con le pene canoniche.
Inoltre i vescovi e gli inquisitori per l'eresia delle regioni dove si trovano questi Begardi e queste Beghine, esercitino verso di loro diligentemente il loro ufficio, informandosi sulla loro vita, sul loro comportamento e sulle loro concezioni delle verità della fede e dei sacramenti della chiesa. E puniscano debitamente quelli che abbiano riscontrato esser colpevoli, a meno che abiurati spontaneamente i predetti errori, non si siano pentiti e non abbiano offerto la giusta soddisfazione.
(Sui Frati Minori).
Sono uscito dal Paradiso, ho detto: irrigherò il giardino delle piantagioni (24) così dice il celeste agricoltore che, vera fonte della sapienza, Verbo di Dio (25), generato eternamente dal Padre e rimanendo nel Padre (26), ultimamente però, in questi giorni (27) fatto carne per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine (28), è uscito, uomo, per l'opera (29) ardua della redenzione del genere umano, presentandosi come modello della vita celeste, offrendo se stesso agli uomini.
E poiché l'uomo, oppresso spesso dalle preoccupazioni della vita, allontanava la mente dalla contemplazione di questo esemplare, il vero nostro Salomone ha creato nel seno della chiesa militante, tra gli altri, un giardino della sua compiacenza (30), lontano dai flutti procellosi del mondo, in cui si attendesse con maggior quiete e sicurezza a contemplare e conservare queste opere esemplari di tale modello. In questo mondo entrò egli stesso per irrigarlo con le acque feconde della grazia spirituale e della dottrina.
Questo giardino è la santa religione dei Frati Minori, che chiuso fermamente tutt'intorno dalle muraglie dell'osservanza regolare, contento interiormente solo di Dio, si orna abbondantemente di nuove piantagioni di figli.
Venendo in questo giardino, il Figlio amato di Dio coglie la mirra della mortificante penitenza con gli aromi (31), che diffondono in tutti con soavissima dolcezza il profumo attraente della santità. Si tratta del modello e regola di vita celeste proposto da S. Francesco, meraviglioso confessore di Cristo, che, con la parola e con l'esempio, egli insegnò ai suoi figli ad osservare.
Ma poiché i professi di questa santa regola ed i suoi zelanti devoti, come seguaci e veri figli di un tanto padre, desideravano - come dei resto desiderano ardentemente al presente - osservare senza tentennamenti in tutta la sua purezza ed integrità tale regola, accortisi che in essa vi era qualche elemento di incerta interpretazione volendo avere un chiarimento prudentemente sono ricorsi al sommo dell'apostolica dignità, perché resi certi da essa, ai cui piedi sono soggetti anche in forza della regola, potessero servire in coscienza il Signore senza alcun dubbio e con pieno amore.
A queste loro pie e giuste suppliche diversi nostri predecessori, porgendo l'uno dopo l'altro l'orecchio e l'animo, chiarirono i punti della regola che sembravano dubbi, diedero alcune norme e fecero qualche concessione come sembravano richiedere la coscienza dei frati e la pura osservanza della regola. Ma poiché le coscienze timorate - che temono qualsiasi cosa che possa sviarle dalla via del Signore - sono solite temere la colpa anche dove non c'è, le coscienze dei frati non sono state del tutto quietate dai chiarimenti dati. Pertanto su alcuni punti che riguardano la loro regola e il loro stato si formano e insorgono in esse dei dubbi, giunti più volte alle nostre orecchie e sollevati in concistori pubblici e privati. Per questo motivo i frati ci hanno supplicato umilmente perché noi cercassimo di apportare ai dubbi che si sono già affacciato, o che potranno affacciarsi in futuro, il rimedio opportuno di un chiarimento della sede apostolica.
Noi, quindi, il cui animo fin dalla più tenera età arse di pia devozione verso quanti hanno professato questa regola e verso l'intero ordine, ora, poi, dalla comune sollecitudine del governo pastorale che quantunque indegni, sosteniamo, siamo portati a favorirli, a farli oggetto delle nostre più dolci attenzioni e favori, tanto più ardentemente, quanto più di frequente e intensamente riflettiamo ai frutti abbondanti che dalla loro vita esemplare e dalla loro salutare dottrina vediamo continuamente derivare alla chiesa. Mossi da tali pii sentimenti, abbiamo creduto di dover porre tutta la nostra attenzione a compiere quanto ci viene chiesto e abbiamo, cosi, fatto esaminare questi dubbi da vari arcivescovi, vescovi, maestri in sacra teologia, e da altri letterati, prudenti e capaci, con ogni diligenza.
Poiché all'inizio della regola si legge: "La regola e la vita dei frati Minori è questa: osservare il Vangelo del Signore Nostro Gesù Cristo, vivendo nella obbedienza, senza possedere nulla di proprio, e nella castità"; e ugualmente, poco dopo: "Terminato l'anno di probazione, siano ammessi all'obbedienza, con la promessa che osserveranno sempre questa vita e la regola"; e verso la fine della regola: "Osserviamo la povertà, l'umiltà, e il santo vangelo del nostro Signore Gesù Cristo, come abbiamo fermamente promesso"; è rimasto incerto se i frati dello stesso ordine per il fatto stesso che hanno professato la regola siano tenuti a tutti i precetti e tutti i consigli evangelici. Qualcuno, infatti, diceva essere obbligati a tutti, altri soltanto ai tre famosi, e cioè: "a vivere nella obbedienza, nella castità e senza proprietà", ed inoltre a quelle norme che nella regola sono indicate con espressioni obbligatorie. Noi, su questo punto intendiamo attenerci all'operato dei nostri predecessori e crediamo dover rispondere al dubbio proposto, - chiarendolo, però, maggiormente in qualche cosa - che, dal momento che un determinato voto deve riguardare qualcosa di certo, non si può dire che chi fa voto di osservare una regola sia tenuto, in forza di questo voto ai consigli evangelici in essa non contenuti.
E che questa sia stata l'intenzione del beato Francesco, fondatore della regola, si prova da ciò: che egli incluse in essa alcuni consigli evangelici, tralasciando gli altri. Se, infatti, con quell'espressione: "La regola e la vita dei frati Minori è questa ecc." avesse avuto l'intenzione di obbligarli a tutti i consigli evangelici, sarebbe stato superfluo e vano menzionare solo alcuni nella regola e tralasciare gli altri.
Poiché è nella natura del termine restrittivo di escludere quanto gli è estraneo, e di comprendere ciò che gli è proprio, noi dichiariamo e diciamo che i frati suddetti non solo sono obbligati dalla professione della loro regola all'osservanza dei tre voti in se stessi, ma anche di tutte quelle cose che conseguono dai tre voti che la regola impone. Se, infatti, quelli che promettono di osservare la regola vivendo "nella obbedienza, nella castità, e nella povertà", fossero obbligati semplicemente e nudamente solo a ciò e non anche a tutto quello che è contenuto nella regola a precisazione di questi tre punti, senza motivo e senza ragione si direbbero poi queste parole: "Prometto di osservare sempre questa regola", perché da esse non nascerebbe alcuna obbligazione.
Tuttavia non è da credere che il beato Francesco volesse che i frati fossero obbligati in uguale maniera a tutto ciò che è contenuto nella regola e che precisa i tre voti o le altre cose espresse in essa. Anzi egli stesso ha distinto apertamente tra ciò la cui trasgressione è mortale in senso stretto e ciò la cui trasgressione non lo è, infatti per alcune di tali cose usa un verbo di comando o equivalente, mentre per altre si contenta di altre parole.
Similmente, poiché oltre a ciò che espressamente è riferito nella regola con una parola indicante comando, esortazione o ammonizione, vi sono altre cose accompagnate da un verbo di modo imperativo, positivo o negativo, si è dubitato finora se i frati fossero tenuti a queste prescrizioni, come se esse avessero forza di precetto. E poiché (a quanto abbiamo compreso) questo dubbio non è diminuito, anzi è cresciuto dopo che il nostro predecessore Nicolò III, di felice memoria, ha dichiarato che gli stessi frati in forza della professione della loro regola sono tenuti a quei consigli evangelici che in essa vengono espressi a modo di comando o di proibizione, o con parole equivalenti, ed anche all'osservanza di tutte quelle norme che sono imposte loro nella regola con espressioni obbligatorie, i suddetti frati, per conservare una buona coscienza, ci hanno supplicato che ci degnassimo dichiarare quali di queste espressioni debbano considerarsi equivalenti a precetti ed obbligatorie.
Noi, quindi, che amiamo le coscienze sincere, tenendo presente che nei problemi che riguardano la salvezza dell'anima per evitare gravi rimorsi di coscienza bisogna attenersi all'opinione più sicura, affermiamo che, anche se i frati non sono tenuti all'osservanza di tutte le prescrizioni per cui la regola usa verbi imperativi come di veri precetti e di quanto equivale ai precetti, tuttavia è bene che essi per l'osservanza integra e pura della regola si credano obbligati ai punti che seguono, come a norme equipollenti ai precetti. Perché poi queste norme, che possono sembrare equivalenti a precetti dal significato stesso del verbo, o almeno per la materia di cui si tratta, o anche per l'uno e per l'altro motivo, siano raccolte in compendio, dichiariamo che ciò che viene prescritto dalla regola: di non aver, cioè, più di una tunica "col cappuccio e di un'altra senza cappuccio"; cosi pure, di non portare le scarpe, e di non andare a cavallo fuori del caso di necessità; similmente, che i frati "abbiano vesti ordinarie"; che siano tenuti a digiunare il venerdì, "dalla festa di tutti i Santi fino al Natale del Signore"; che i "chierici dicano l'ufficio divino secondo l'ordine della santa chiesa romana"; che i ministri e i guardiani "abbiano molta cura per le necessità degli infermi e per rivestire i frati"; che, "se uno dei frati cade infermo, gli altri devono servirlo"; che "i frati non debbano predicare nella diocesi di un vescovo, quando fosse stato loro proibito da esso"; che "nessuno, assolutamente osi predicare al popolo, se non è stato esaminato, approvato e a ciò incaricato dal ministro generale", o dagli altri, a cui, secondo la predetta dichiarazione, compete; che "i frati che comprendessero di non poter osservare esattamente la regola, debbano e possano ricorrere ai loro Ministri"; che tutto ciò che sta nella regola a proposito dell'abito dei novizi e dei professi e del modo dell'ammissione e della professione, debba sempre intendersi secondo la regola, a meno che "non sembri, secondo Dio, doversi far diversamente" a coloro che ammettono all'ordine: tutto questo dev'essere osservato dai frati come obbligatorio.
L'ordine, ugualmente, ha inteso generalmente e ritiene ab antiqito che quando si trova nella regola la parola: si osservi, questa ha forza di precetto e dev'essere osservata dai frati come tale.
Poiché, però, il predetto confessore di Cristo, prescrivendo ai ministri e ai frati le modalità da osservare con quelli che sono accolti nell'ordine, dice nella regola: "Si guardino bene i frati e i loro ministri dall'esser preoccupati per le loro cose temporali, cosicché facciano liberamente di esse quello che verrà loro ispirato da Dio. I ministri, tuttavia, abbiano facoltà di mandarli da qualcuno timorato di Dio perché, secondo il loro parere, possano distribuire ai poveri i loro beni", dubitarono e dubitano molti frati se è loro lecito ricevere qualcosa dei beni di chi entra (nel loro ordine), se fosse loro donato; se possano indurli a donarli senza colpa alle persone e ai conventi; se i ministri stessi o i frati possano dare il loro consiglio per la distribuzione di tali cose, quando possano trovarsi altri adatti a consigliare e a cui mandare chi deve entrare.
Noi, però, riflettendo attentamente che S. Francesco con quelle parole intendeva proprio allontanare completamente in modo speciale i professi della sua regola - che egli aveva fondato sulla più stretta povertà - dall'attaccamento ai beni temporali di quelli che entrano, di modo che almeno da parte degli stessi frati l'ingresso nell'ordine apparisse santo e purissimo, e non sembrasse in qualche modo che avessero l'occhio ai loro beni temporali, ma che tendessero solo a consacrarli al divino servizio, disponiamo che in futuro sia i ministri che gli altri frati debbano astenersi dall'indurli a dare ad essi e dal dar consigli circa la distribuzione dei loro beni: per questo devono esser mandati da uomini timorati di Dio di altro stato, non dai frati. Apparirà cosi a tutti che essi sono zelatori diligenti, vigilanti e perfetti della paterna istituzione, cosi salutare.
Poiché, però, la regola stessa lascia libero chi entra di fare delle proprie cose quello che Dio gli ispira, non sembra illecito che essi, tenuto conto delle loro necessità e delle limitazioni della dichiarazione già fatta, possano accettare, se colui che entra volesse liberamente dare qualche cosa dei suoi beni, come elemosina, come fa con gli altri poveri. Però i frati devono essere guardinghi nell'accettare tali offerte, perché a causa della notevole quantità dei beni accettati non siano guardati con occhio sinistro.
Inoltre, poiché la regola dice che "quelli che hanno promesso l'obbedienza debbano avere una tunica col cappuccio, ed un'altra senza cappuccio, se vogliono"; e similmente: che "tutti i frati abbiano vesti ordinarie" - espressioni che noi abbiamo dichiarato essere equivalenti a precetti - volendo che esse siano meglio determinate, quanto al numero delle tuniche diciamo che non è lecito usarne di più, salvo le necessità che possono sorgere dalla regola, secondo quanto chiari il nostro predecessore Nicolò. Quanto alla ordinaria qualità delle vesti, sia dell'abito che delle tuniche, crediamo che si debba intendere secondo le consuetudini, le condizioni del luogo, sia quanto al colore, sia quanto al prezzo. Non si può, infatti, stabilire un unico criterio di giudizio, in queste cose, per tutte le regioni. Affidiamo questo giudizio sulla qualità semplice della stoffa ai ministri e ai custodi o guardiani, facendoli responsabili in coscienza dell'osservanza della regola nelle loro vesti. Lasciamo ugualmente al loro giudizio di determinare per quale necessità i frati possano portare le scarpe.
Dato che ai due tempi determinati dalla regola "dalla festa di tutti i Santi alla Natività del Signore", e specialmente la Quaresima, nei quali sono obbligati a digiunare, viene aggiunto nella stessa regola "negli altri tempi non siano obbligati, se non il venerdì", poiché da questo alcuni ne hanno ricavato che i frati del predetto ordine non sono tenuti ad altri digiuni, oltre questi, se non per convenienza, dichiariamo che ciò si deve intendere nel senso che essi non sono tenuti al digiuno in altri tempi, salvo i digiuni che vengono comandati dalla chiesa. Non è credibile, infatti, che l'autore della regola e chi l'ha confermata intendessero sollevarli dai digiuni, a cui per disposizione generale della chiesa sono obbligati gli altri cristiani.
Inoltre, poiché il Santo, volendo sopra ogni altra cosa che i suoi frati fossero totalmente alieni dal denaro, comandò "con fermezza a tutti i frati che in nessun modo ricevessero denaro o moneta sia direttamente che per mezzo di altri", lo stesso nostro predecessore, chiarendo questo articolo determinò i casi e i modi, attenendosi ai quali non si possa e non si debba dire che i frati ricevono denaro, direttamente o per mezzo di altri, contro la regola e la purezza del loro ordine. Noi diciamo che essi sono tenuti a guardarsi dal ricorrere a chi maneggia il denaro sia pure per motivi e con modalità diverse da quelle proibite, perché non si dica a buon diritto - se facessero diversamente - che essi trasgrediscono il precetto e la regola. Quando, infatti, si proibisce qualche cosa ad uno in generale, quello che non viene con- cesso espressamente si intende negato.
Ogni questua, quindi, di denaro, e l'accettazione di offerte in denaro nella chiesa o altrove, o colonnine o cassette destinate a ricevere il denaro di chi offre o dona, e qualsiasi altro ricorso al denaro o a chi lo ha, non concesso dalla dichiarazione predetta, tutte queste cose sono chiaramente proibite ai frati.
E poiché anche il ricorso ad amici particolari viene concesso espressamente solo in due casi, secondo la regola, e cioè "per le necessità degli infermi e per poter vestire i frati"; ed il nostro predecessore, già tante volte nominato, - date le necessità della vita - ha creduto bene di estenderlo anche ad altre necessità dei frati, che per un certo tempo potessero sopravvenire ed anche accumularsi col cessare delle elemosine, sappiano i frati suddetti, che non è loro permesso ricorrere a tali amici se non per i casi determinati o per casi simili a questi, quando si trovano in cammino o altrove. E ciò sia che siano essi stessi a dare il denaro, sia che siano degli incaricati da loro, sia che siano degli inviati o depositari, o con qualsiasi altro nome vengano designati, anche se si osservassero integralmente i modi concessi dalla dichiarazione di cui abbiamo parlato.
Finalmente, poiché lo stesso Santo confessore desiderava in ogni modo che quelli che professano la sua regola fossero staccati totalmente dall'affetto e dal desiderio delle cose terrene, e specialmente inesperti del denaro e del suo maneggio - come dimostra la proibizione di ricevere denaro, ripetuta più volte nella regola - bisogna che i frati, quando nei casi e nelle maniere prescritte è necessario ricorrere a quelli che hanno il denaro destinato alle loro necessità, stiano attenti con ogni diligenza e agiscano in tal modo, da mostrare a tutti di non aver nulla a che vedere, come in realtà non l'hanno, con quel denaro.
Il comandare, quindi, che e come il denaro debba essere speso, chiedere il conto delle spese fatte, o richiedere in qualsiasi modo il denaro, o riporlo, o farlo riporre, tenere la cassetta del denaro o portare la sua chiave, sappiano i frati che questi e consimili atti sono per essi illeciti. Far questo, infatti, appartiene solo ai padroni, che l'hanno dato e a quelli che essi hanno destinato a ciò.
Poiché, quindi, il Santo, volendo determinare la norma della povertà predetta nella sua regola, ha detto: "I frati non si approprino di nulla né della casa, né del terreno, né di qualsiasi altra cosa, ma come pellegrini forestieri, servendo il Signore, in questo mondo, nella povertà e nell'umiltà, vadano per l'elemosina con grande speranza" , alcuni nostri predecessori hanno spiegato che tale rinuncia debba intendersi sia singolarmente che in comune per cui essi hanno riservato a sé e alla chiesa romana la proprietà e il dominio di tutte le cose concesse, offerte, donate ai frati cose il cui uso, di fatto, è lecito all'ordine e ai frati stessi lasciando ad essi solo l'uso di fatto. Ora sono stati deferiti al nostro esame fatti avvenuti nell'ordine e che sembravano in contrasto col voto di povertà e con la purezza dell'ordine stesso. Cioè, per riferirci a quello che crediamo aver bisogno di rimedio: che i frati non solo sostengono di poter essere costituiti eredi, ma lo procurano; similmente, che talvolta percepiscono redditi annui in quantità cosi notevole che i conventi che li hanno possono viverci completamente; che quando nei tribunali vengono discussi i loro affari riguardanti anche cose temporali, essi sono presenti con avvocati e procuratori, e vanno personalmente a curarli; che accettano l'incarico di eseguire, ed eseguono in realtà, le ultime volontà e si intromettono talvolta nel dare disposizioni e nel fare restituzioni di interessi e di cose acquistate disonestamente; che in alcuni posti non solo hanno orti eccessivi, ma grandi vigne, da cui raccolgono erbaggi e vino da vendere; che al tempo delle messi e della vendemmia, mendicando o diversamente comprandolo, viene raccolto dai frati e riposto nelle cantine e nei granai, cosi abbondantemente grano e vino, da poter essi passare poi tranquillamente la loro vita per il resto dell'anno senza dover chiedere l'elemosina; che costruiscono o fanno costruire chiese ed altri edifici in misura eccessiva sia per la quantità, che per la singolarità della figura e della forma, e per sontuosità, cosi che sembrano non le abitazioni di poveri, ma di potenti.
Hanno, inoltre, in alcuni luoghi, tanti paramenti per le loro chiese e cosi preziosi, da sorpassare le grandi chiese cattedrali. Ricevono, inoltre, senza alcuna distinzione cavalli ed armi donati loro nei funerali.
La comunità dei frati, tuttavia, e specialmente i rettori dello stesso ordine affermavano che tali fatti, o almeno la maggior parte di essi, nell'ordine non avvenivano; che se si trova che qualcuno è in ciò colpevole, viene punito severamente; e che contro questi eccessi sono state già prese più volte ab antiquo disposizioni molto severe.
Desiderando, quindi, provvedere alle coscienze dei frati e togliere da esse ogni dubbio, - per quanto è possibile - alle questioni proposte rispondiamo come segue. Poiché, infatti, alla autenticità della vita è essenziale che ciò che si fa esteriormente sia specchio della disposizione interiore della mente e delle abitudini, è necessario che i frati, i qual,' con una rinuncia cosi grande si sono distaccati dalle cose temporali, si astengano da tutto quello che possa essere o sembrare contrario a questa rinunzia.
E poiché nelle successioni passa agli eredi non solo l'uso dei beni, ma, a suo tempo, anche la proprietà, e i frati non possono acquistare nulla per sé, personalmente o per il loro ordine, dichiariamo e diciamo che, considerata la purezza del loro voto, essi sono assolutamente incapaci di tali successioni, le quali per propria natura si estendono indifferentemente al denaro ed anche ai beni mobili e immobili.
Non è neppure lecito ad essi farsi lasciare e accettare il valore di queste eredità o tanta parte di esse, sotto forma di legato da potersi presumere che questo venga fatto in frode. Anzi lo proibiamo loro senza eccezione. E poiché i redditi annuali sono considerati dal diritto come immobili e ripugnano alla povertà e all'obbligo di mendicare, non c'è alcun dubbio che, considerata la loro condizione, non è lecito ai frati ricevere o avere qualsiasi reddito, come anche i possessi e il loro uso, non essendo loro concesso.
Di più: le persone che tendono in modo particolare alla perfezione devono evitare non solo ciò che è ritenuto male, ma anche l'apparenza del male. Ma la frequenza dei tribunali e l'insistenza, quando si tratta di cose da volgere a loro favore inducono a credere, proprio in base a quello che appare esteriormente e da cui gli uomini giudicano, che i frati che si occupano di questi affari, cerchino qualche cosa come loro proprio. Non devono, quindi, quelli che hanno professato questo voto e questa regola immischiarsi nei tribunali e nelle cause, perché possano avere testimonianza da quelli che sono fuori (32), soddisfino alla purezza del voto e si possa evitare con ciò lo scandalo del prossimo.
Inoltre, poiché i frati di quest'ordine devono essere alieni non solo dal ricevere, dal possedere, dal disporre, dall'usare il denaro, ma assolutamente anche da qualsiasi maneggio di esso - come il nostro predecessore, più volte nominato, ha affermato nei chiarimenti a questa regola - e poiché i professi dell'ordine francescano per nessuna cosa temporale possono far valere in giudizio i propri diritti, non è lecito e non conviene ai frati - anzi, considerata la purezza del loro stato, devono ritenerlo piuttosto loro proibito - esporsi a esecuzioni e disposizioni, non potendo per lo più queste cose esser condotte a termine senza liti e senza maneggiare e amministrare denaro. Che, però, possano dare un consiglio in questi affari non è in contrasto col loro stato, perché con ciò non viene concessa ad essi nessuna giurisdizione circa i beni temporali, o azione in giudizio o dispensa.
Quantunque non solo sia lecito, ma del tutto conforme alla ragione che i frati, i quali attendono assiduamente al- l'orazione e allo studio, abbiano orti e campi sufficienti al raccoglimento e alla ricreazione, ed anche, talvolta, per distrarsi corporalmente dopo questi lavori, e per avere i necessari ortaggi per sé; però avere degli orti perché vengano coltivati e se ne ricavino legittimi ed altri ortaggi da vendere, e avere delle vigne, questo è in opposizione alla regola e alla purezza dell'ordine.
Secondo quanto il suddetto predecessore ha dichiarato ed anche ordinato, se fossero lasciati ai frati per legato tali beni, come per esempio un campo o una vigna da coltivare e simili, i frati dovrebbero astenersi in ogni modo dall'accettarli, perché possedere questi beni per ricavarne a suo tempo il prezzo dei frutti, si avvicina alla natura e alla forma dei proventi.
Ancora, il Santo sia con gli esempi della sua vita, che con le espressioni della regola ha mostrato di volere che i suoi frati e figli, confidando nella divina provvidenza, rivolgano i propri pensieri a Dio (33), che pasce gli uccelli del cielo, che pur non raccolgono nei granai, né seminano, né mietono (34). Non è quindi verosimile che volesse che avessero poi granai e dispense, mentre dovrebbero sperare di vivere con la questua d'ogni giorno.
Non è, quindi, a cuor leggero che essi dovrebbero fare queste raccolte e queste conservazioni, ma solo quando fosso assai probabile, per esperienza, che essi non possano trovar in maniera diversa quanto è necessario alla vita. Lasciamo la decisione a tale riguardo ai ministri e ai custodi, sia insieme che singolarmente nel loro ufficio, col consiglio e col consenso del guardiano e di due prudenti sacerdoti del luogo e di due dei più anziani frati dell'ordine, onerando su ciò in modo particolare la loro coscienza.
Inoltre, il santo ha voluto fondare i suoi frati nella più grande povertà e nella più profonda umiltà, in affetto e in effetto, - come quasi tutta la regola proclama - bisogna quindi che essi né facciano fare, né sopportino che si facciano chiese o altri edifici qualsiasi, che per il numero dei frati che l'abitano debbano considerarsi eccessivi per quantità e grandezza. Vogliamo, quindi, che dovunque, in futuro, nel loro ordine si accontentino di costruzioni semplici e modeste, affinché l'apparenza non mostri esteriormente il contrario di una povertà promessa tanto solennemente.
Quantunque, inoltre, i paramenti e i vasi ecclesiastici siano destinati all'onore del nome divino, per il quale Dio stesso creò ogni cosa, Colui, tuttavia, che conosce le cose occulte (35), guarda principalmente all'anima di chi lo serve, non alle sue mani, né vuole che gli si serva attraverso quanto contrastasse con la condizione e lo stato dei suoi servi. Perciò devono essere loro sufficienti vasi e paramenti ecclesiastici decenti, convenienti per numero e grandezza. -Ma il superfluo e l'eccessiva preziosità, e qualsiasi ricercatezza in questa come in qualunque altra cosa non possono accordarsi con la loro professione e col loro stato. Tutto ciò infatti sa di tesaurizzazione e di abbondanza e deroga apertamente, secondo il modo di giudicare umano, ad una povertà cosi grande. Vogliamo, quindi, che quanto abbiamo premesso debba esser osservato dai frati e lo comandiamo.
Quanto poi alle offerte di cavalli e di armi, stabiliamo che si osservi per filo e per segno ciò che è stato definito con la dichiarazione riguardo alle elemosine in denaro.
Ma da quanto abbiamo esposto è sorta tra i frati una questione, fonte di molti scrupoli; se, cioè, dalla professione della loro regola essi siano obbligati ad un uso stretto e temperato, ossia povero, delle cose: qualcuno di essi, infatti, crede e dice che, come i frati fanno col loro voto una strettissima rinunzia alla proprietà, cosi viene imposta loro una sobrietà ed una povertà massima circa l'uso; altri, invece, affermano che in forza della loro professione non sono obbligati a nessun uso povero che non sia espresso nella regola, quantunque siano tenuti all'uso moderato imposto dalla temperanza, come e più - per la convenienza - degli altri cristiani.
Volendo perciò provvedere alla tranquillità di coscienza sei frati e por fine a queste contese, con questa nostra dichiarazione affermiamo che i frati Minori con la professione della loro regola sono obbligati a quegli usi poveri, indicati dalla stessa regola, e con quella obbligazione che essa con- tiene. Dire poi, come qualcuno afferma, che sia eretico ritenere che l'uso povero sia o non sia incluso nel voto di povertà evangelica, crediamo sia presuntuoso e temerario.
Finalmente, la regola, quando stabilisce da chi e dove debba farsi l'elezione del ministro generale, non fa assolutamente alcun accenno alla elezione o costituzione dei ministri provinciali. Da ciò poteva sorgere qualche dubbio tra i frati; volendo che essi possano procedere con chiarezza e con tranquillità nel loro agire, con questa costituzione, che avrà valore perpetuo, dichiariamo, stabiliamo e comandiamo che quando si dovrà provvedere ad una provincia il ministro provinciale l'elezione di esso sia riservata al capitolo provinciale, e che questo debba farla il giorno seguente a quello in cui sia stato radunato. La conferma dell'elezione sia riservata al ministro generale.
Se questa elezione fosse fatta in forma di scrutinio, e avvenisse che per la divisione dei voti si dovesse procedere a più elezioni senza un accordo, quella che sia stata fatta dalla maggioranza del capitolo numericamente considerato - senza che in ciò abbia parte alcuna il confronto o la considerazione dello zelo o del merito - non ostante qualsivoglia eccezione od opposizione della parte contraria - venga confermata o invalidata - conforme a quanto ad essi sarà sembrato opportuno secondo Dio - dal ministro generale, col consiglio dei membri scelti dell'ordine, dopo aver premesso un diligente esame. Se l'elezione fosse invalidata, torni al capitolo provinciale. Se poi il capitolo trascurasse di eleggere il ministro nel giorno predetto, la sua elezione passi liberamente al ministro generale.
Se infine al suddetto ministro e al capitolo generale per motivo certo, manifesto e ragionevole sembrasse opportuno che nelle province d'oltre mare, dell'Irlanda, della Grecia, o di Roma - nelle quali finora è stato osservato un diverso modo di elezione - il ministro provinciale venga eletto dal ministro generale col consiglio di membri scelti dell'ordine, piuttosto che con l'elezione da parte del capitolo: nelle province dell'Irlanda e d'oltremare sia senz'altro osservato, per quella volta, senza inganno, amore di parte, o falsità quanto il ministro generale col consiglio dei membri prudenti suddetti avesse creduto di stabilire; nelle province Romana e Greca, invece, solo quando il ministro della provincia venisse a morire o fosse sciolto (dal suo incarico) al di qua del mare.
Per quanto riguarda la destituzione dei ministri provinciali, vogliamo che si osservi quanto finora è stato osservato dall'ordine. Se avvenisse, inoltre, che i frati venissero a trovarsi senza il ministro generale, il vicario dell'ordine faccia quello che avrebbe dovuto fare il ministro, fino a che non si sia provveduto ad eleggere il ministro generale.
Che se nei riguardi del ministro provinciale si tentasse qualche cosa di diverso (da quanto abbiamo stabilito), questo sarebbe ipso facto vano e inutile.
NOTE
(1) Ger 31,15
(2) Ger 32, 31-35
(3) Os 9, 9
(4) Is 21, 3-4
(5) Is 66, 6
(6) Os. 9, 14
(7) Gb 18, 16
(8) Ez 28, 24
(9) Ger 50, 12-13
(10) I Re 9, 6-9
(11) Eb 1, 1
(12) Filippo IV (1286-1314)
(13) I Cor 3, 11
(14) Gv 19, 33-34
(15) Gen 2, 20-24
(16) Rm 5, 14
(17) I Cor 15, 45
(18) Ez 1, 4-28
(19) Gv 19, 33-35
(20) Ef 4, 5
(21) Sap 5, 6
(22) At 2, 4; I Cor 12, 30
(23) II Cor 3, 17
(24) Sir 24, 41-42
(25) Sir 1, 5
(26) Gv 14, 10
(27) Eb 1, 2
(28) Gv 1, 14
(29) Sal 103, 23
(30) Ez 36, 35; Gl 2, 3
(31) Ct 5, 1
(32) I Tm 3, 7; Col 4, 5; I Ts 4, 11
(33) sal 54, 23; I Pt 5, 7
(34) Mt 6, 26
(35) Dn 13, 42