Francesco Stelluti da Fabriano fu uno dei quattro fondatori dell'Accademia dei Lincei (1603) e si avvalse nel 1630 di Giacomo Mascardi, lo stesso stampatore di Galilei, per realizzare questa volgarizzazione delle Satire di Persio.
Aprosio provò interesse particolare per la specificità dei suoi interventi: l'opera del Massa, di 44 pp., fu edita in Genova da Pietro Giovanni Calenzani nel 1667 e venne menzionata dall'Aprosio nel repertorio biblioteconomico de la Biblioteca Aprosiana (p.8): Aprosio entrò in possesso dell'opera dello Stelluti grazie ad un donativo di Andrea Paschiulli: l'opera attualmente non risulta però più reperibile alla biblioteca intemelia, e neppure in raccolte genovesi, fatto che induce a pensare che sia stata vittima di uno dei tanti saccheggi cui la raccolta libraria fu soggetta da metà XVIII secolo a metà XX secolo.
In primo luogo perché per realizzare le preziose tavole degli insetti rappresentati nel volume lo Stelluti si servì del "microscopio" in collaborazione con Federico Cesi (proprio Galilei gli mise a disposizione lo strumento che indagava i segreti dell'infinitamente piccolo): ed oltretutto pare che proprio in questa edizione delle Satire di Persio sia stata usata la parola "microscopio" (Galilei usava il nome da lui stesso coniato di "occhialino"): lo Stelluti cita l'uso del "microscopio" a p. 26 dell'opera commentando i versi 37-38 della IV satira che trattano dell'anatomia del gorgoglione (gurgulio = curculio) accostandola al pene maschile dall'allegorica fantasia di Persio.
Ma l'ammirazione aprosiana per lo Stelluti non fu solo perché usava uno strumento in grado di aprire nuove frontiere di osservazione nell'infinatemente piccolo.
Aprosio, al pari di Gasparo Massa, aveva cercato, seppur senza vero fondamento critico filologico, di rivendicare alla Liguria i natali di Persio alla Liguria.