FOCEA

Antica città della Ionia in Asia Minore, posta sul promontorio che chiude il golfo di Smirne. Grazie a 2 ottimi porti divenne un importante centro commerciale e fondò due colonie importanti Lampsaco sull'Ellesponto e Massalia sulle coste galliche. Focea stessa o Massalia dedussero altre colonie sulle coste della Gallia e della Spagna, fino a Menace (l'odierna Malaga) mentre relazioni commerciali venivano intrattenute col regno di Tartesso. Quando verso il 546 i Persiani assalirono Focea molti suoi abitanti emigrarono in occidente e per un po' si stabilirono in Corsica ma poi, sconfitti nelle acque di Alalia da forze congiunte etrusco-cartaginesi, si insediarono ad Elea nell'Italia meridionale. Ormai priva di importanza Focea partecipò in modo gregario all'insurrezione ionica contro i Persiani, benché il comandante della flotta greca, Dioni, fosse un focese. Durante la guerra siriaca Focea resistette con ostinazione ai Romani che la saccheggiarono e l'avrebbero distrutta per aver partecipato all'insurrezione di Aristonico se Massalia non avesse intercesso a suo favore. Tra i resti importanti della città, presso l'attuale Foça si ricordano le rovine del grande tempio di Atena del VI sec. a.C. (ma estremamente interessanti sono i ruderi imponenti della fortezza ivi eretta dalla Repubblica di Genova, a protezione delle sue colonie e dei suoi commerci, nel XIII sec).




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Il RATTO, come lo intendiamo noi, non era noto agli antichi ROMANI per cui esisteva il TOPO che si identificava con il MUS MUSCULUS.
Nel secolo III Aelien fece cenno ad un'invasione di RATTI nella regione a nord del Caspio.
Non si hanno segnalazioni storiche successive ma -analizzando l'epoca storica e le zone di provenienza- si direbbe che i RATTI si spostavano, dall'Asia centrale o comunque dall'Europa centro-orientale, seguendo le diverse ondate di BARBARI
che si abbatterono sull'Impero di Roma e poi su quello di Bisanzio.
La prima citazione italiana nota di RATTI data al 1313 e si trova nella raccolta dei Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento a cura di A. Schiaffini, Firenze, 1954 (85): "Uno gentile e potente uomo, sedendo intra cavalieri in uno nobile convito fu assalito da topi che decti sono racti".
L'uso del termine RATTO - RATTI per indicare un nuovo genere di roditori, estremamente più forte, competitivo e pericoloso dei tradizionali TOPI, da questa data si ripete attraverso il tempo e gli autori delle più svariate regioni italiane dal Sacchetti al Bellincioni ad Agostino Giustiniani.
Dal XV secolo il termine RATTO (-O) è di uso comune per indicare un nuovo (per l'Europa occidentale) formidabile tipo di roditore: eppure tuttoggi la linguistica ritiene il termine RATTO di etimologia incerta.
Il BATTAGLIA scrive: "voce di area panromanza (di genere femminile nello spagnolo e nel portoghese) di origine incerta.
La sua diffusione in area romanza (cfr. il francese 'rat') e germanica occidentale (cfr. ted. 'Ratze', ant. alto ted. 'ratta') ha fatto pensare a una formazione onomatopeica...secondo altri, derivato da 'ratto' nel senso cioè di 'rapido', o dal germanico 'rato'; cfr. latino scientifico 'rattus'...".
Il temibile roditore cui si riferiscono queste descrizioni propriamente è il RATTO NERO. Fu proprio il RATTO NERO, in quell'età intermedia in cui IGIENE PUBBLICA e PRIVATA, uno dei veicoli fondamentali delle gravissime EPIDEMIE DI PESTE NERA che colpirono l'Italia e l'Europa tra XIV e XVII secolo.
Secondo quanto scrisse l' illustre naturalista spagnolo Félix Rodrìguez de la Fuente (Enciclopedia Salvat de la Fauna, Salvat S.A. de Ediciones, 1970), il RATTO DELLE CHIAVICHE (detto anche in volgare italiano "SURMOLOTTO") sarebbe apparso in Europa Occidentale solo nel XVIII secolo.
La prima citazione sarebbe stata forse quella del Pallas per cui nel 1727, spaventati da un terremoto, orde di questi roditori avrebbero attraversato il Volga.
Però già verso il 1553, stando al Gesner, si avrebbe avuta una prima testimonianza della pur rada presenza di questo roditore in quanlche zona dell'Europa centrale.
Tuttavia è fuor di dubbio che l'invasione dell'Europa ad opera del RATTO DELLE CHIAVICHE fu portata a termine nell'arco del XVIII secolo, quando in effetti le epidemie di peste erano scomparse: secondo l'Hainard il temibile roditore sarebbe giunto in Inghilterra sulle navi commerciali verso il 1730, solo nel 1793 a Parigi accanto ai ben noti RATTI NERI per la prima volta si sarebbero visti dei RATTI DELLE CHIAVICHE ed in Svizzera sarebbero poi comparsi nel 1803 quando, in effetti, la loro "conquista" del mondo occidentale era inarrestabile.
I due grandi roditori hanno così finito per contendersi, abitando aree similari, la supremazia sul territorio e per lungo tempo ha prevalso l'opinione che il RATTO NERO abbia ceduto il controllo di vaste arre geografiche al più biologicamente attrezzato RATTO DELLE CHIAVICHE.
Ma attualmente la letteratura scientifica tende a ritenere che le due specie si spodestino alternativamente seguendo leggi naturali ancora indecifrate.
Per esempio, stando al Valverde, in tutta l'area elvetica si sta attualmende verificando una graduale riconquista teritoriale del RATTO NERO che sta rioccupando vaste aree teritoriali già perdute a causa dell'invasione del RATTO DELLE CHIAVICHE che attualmente sta battendo in ritirata.




Il CANE è stato quasi certamente il primo animale addomesticato dall'uomo (secondo una certa letteratura il II, subito dopo la renna).
Stando ai paleontologi, che si avvalgono del non irrilevante contributo dell'archeologia, si individuano tipi di "Terriers" su monumenti funebri dell'antico Egitto.
La tomba di un faraone della X dinastia (circa 2300 anni a.C.) è ornata dalle figurazioni di 4 CANI: un volpinoide, un segugio, un levrieroide e un animale tipologicamente prossimo al Basenji congolese (in cui molti vedono il progenitore del moderno "Terrier").
Gli Assiri allevavano invece un CANE DI GRANDE MOLE ritenuto progenitore dei MASTINI contemporanei. Secondo il Keller quei giganteschi CANI ASSIRI sarebbero a loro volta derivati del CANE DEL TIBET animale di enorme mole e che ancor oggi esiste seppur in taglie ridotte.
Secondo le più recenti interpretazioni scientifiche la gran parte delle attuali razze canine deriverebbe dal MASTINO ASSIRO che sarebbe stato diffuso per il mondo conosciuto dalle navi dei FENICI.
Il CANE è animale conosciuto in ogni cultura del mondo.
In Iran, nel VII secolo a. C., Zarathustra lo celebrò nell'"AVESTA" (libro sacro della religione mazdeista) affermando che "il mondo sussiste per l'intelligenza del cane".
L'antichissima civiltà cinese, quella amerindiana dei maya, degli aztechi e degli inca rivelano sculture in cui sono raffigurati dei cani.
I Romani, dovettero apprezzare molto i CANI non solo per i servigi che prestavano ma anche quali ANIMALI DA COMPAGNIA dotandoli di COLLARI DI IDENTIFICAZIONE per poterli ritrovare anche dopo una casuale perdita od una possibile fuga.
E' comunque fuor di dubbio che essi allevarono allevarono anche formidabili MOLOSSI DA COMBATTIMENTO alla stregua di quanto fu un uso tra i Britanni.
Nell'agro di Roma, in Abruzzo e in varie altre aree del meridione si individuano forti CANI DA PASTORE (per esempio il PASTORE ABRUZZESE MAREMMANO) la cui origine è da ascrivere all'epoca di Roma ed agli allevamenti di cani che vi si organizzarono.
Allo stesso modo il possente MASTINO NAPOLETANO è un discendente dei MOLOSSI che i romani utilizzavano anche per la guardia e che venivano detto CANI DA CORTE e/o DA CORTILE.
In questo caso l'archeologia ci ha lasciato una testimonianza eccezionale grazie agli scavi di Pompei (con Ercolano e Stabia una delle tre cittadine sepolte dall'eruzione del Vesuvio nell'agosto del 79 d.C.).
Proprio a Pompei si ebbe infatti il rinvenimento, tramite la procedura-ricostruzione a calco di gesso dell'impronta del corpo avvolta dalla lava, delle fattezze pressoché perfettamente individuabili di un grosso CANE DA GUARDIA d'epoca imperiale.
Columella, nel I secolo d.C., nel De re rustica diede un'accurata descrizione di questi animali e prima di lui il greco Senofonte aveva già scritto un libro sull'arte venatoria.
Durante l'IMPERO venivano dislocati all'estero degli ufficiali, detti "procuratores cinogiae", che avevano il compito di raccogliere CANI pregiati d'allevamento.
Questi venivano quindi portati nella capitale dove venivano allevati ed addestrati in appositi canili. I romani classificavano i cani in "CANES VENATICI" (CANI DA CACCIA: a loro volta distinti in CELERES, che rincorrono la selvaggina, PUGNACES, che attaccano la selvaggina) in CANES PASTORALES (CANI DA PASTORE preposti alla cura di mandrie e greggi) e in CANES VILLATICI (CANI DA GUARDIA alle case, alle fattorie, ai campi, a negozi e luoghi di ritrovo).
Il Medioevo ed il Rinascimento segnano quindi il trionfo dei CANI DA CACCIA, selezionati in particolare dalle razze dei SEGUGI le cui mute era appannaggio di re e potenti. Spesso le grandi famiglie, comprese le importanti casate italiane, usavano scambiarsi CANI CAMPIONI o intere MUTE come regali di estrema importanza.
Prese peraltro ad acquisire un rilevo sempre maggiore il CANE DA SALOTTO ed il CANE DA COMPAGNIA apprezzati soprattutto dalle dame: diponti celebri rimandano al visitatore le sembianze di cani da compagnia di queste epoche lontane, animali che in molti casi nemmeno hanno perduto la loro tipologia avendo dato origine a razze giunte quasi immutate ai giorni attuali