Il processo urbanistico di quell'area interna del territorio municipale
che viene comunemente definito << Vallecrosia alta >> (o << vecchia >>) è discusso e discutibile per tradizione critica.
La pietra miliare di ogni discussione è costituita dal Lamboglia che,
dopo difEcili sondaggi sul campo e su diversi documenti e repertori, annotò
in un suo fondamentale lavoro:
<< Vallecrosia: Valecrosa - 1487 in Vallecrosia (doc. in F. ROSSI, II
comune di Camporosso, p. 17); 1558 "via publica qua itur ad locum Valliscroxie" (perg. Com. Vent.); sec. seg. Vallecrosia passim.
Il paese, anche per
le sue caratteristiche architettoniche, non è molto più antico del sec. XV, e
deve essere stato fondato ex novo alla fine del medio-evo come una villa
del Comune di Ventimiglia, della cui circoscrizione costituì poi uno degli
" otto luoghi ".
Alquanto anteriore sarà il nome della Valle da cui il paese
ha tratto il nome, ma non di molto giacché sino
al secolo XIII l'appellativo corrente era quello di "Vallis Vernonis" (cfr. il
n. 143).
Antica è la deformazione in Vallecrosia, che è rimasto però nella
pronuncia " Valle incavata ", dal comune aggettivo "crosu" ("corrosus", Rew
2257). Cfr. in Provenza Villecroze (Var) - Valcroissant (Die) >> '.
Gran parte di queste osservazioni paiono ancor oggi rigorose ed inconfutabili, anche se dati, acquisiti di recente e proposti in questa sede in
occasione della discussione sugli edifici di culto, lasciano aperta l'ipotesi di
interventi urbanistici, secondari a precarie attività insediative, maturati ben
prima del 1400.
Molte confortate riflessioni inducono infatti a meditare
sull'eventualita di antichissimi insediamenti rustici venutisi a concentrare
nell'area dell'attuale << Vallecrosia alta >> e, più in generale per tutto il territorio segnato da questo luogo sino alla località dei "Piani"come già
segnalò Laura Balletto.
Un ruolo utile per la conoscenza
della vicenda umana medioevale in queste terre può essere costituito dalla
consultazione degli atti rogati dal ducentesco notaio Giovanni de
Amandolesio.
Questi operò infatti a Ventimiglia dal 1256 al 1264 quasi
continuativamente (salvo casuali spostamenti a Dolceacqua, Genova e Rapallo): dall'analisi del prezioso materiale si ricuperano infatti notazioni di
estrema utilita sulla vita di relazione nel territorio soggetto a Ventimiglia.
Dalle ricerche viene confortata l'affermazione del Lamboglia relativamente al fatto che il toponimo << Vallecrosia >> sia relativamente tardo: in
antico per l'area territoriale che si sta esaminando era usata la nominazione
alquanto generica di in territorio Ventimilii, in valle Vervonis (o Vervoni)
o quella più determinante di in Vervono (erroneamente documentato da
Gerolamo Rossi, il Lamboglia, nell'opera citata, accettò la lezione Vernone
la interpretò dal lato etimologico come << verno oscura >> e, contestualmente
non seppe giustificarsi la comparsa nel XVIII secolo del toponimo << Verbone >>, che è in definitiva un idronimo).
Il Verbona (var. Verbone) è come noto il torrente che taglia in due
parti Vallecrosia costiera e ad oriente del quale esiste il nucleo urbano del
borgo << medioevale >>: è dal punto di vista glottologico l'evoluzione "Vervonis (Vervoni, Vervono) in Verbona (Verbone)" risulta facilmente spiegabile.
In antico per indicare l'area di Vallecrosia si privilegiava quindi una
diversa nominazione ricavata con un artificio linguistico: oggi traducibile
nell'espressione << nel territorio di Ventimiglia, nella valle del Verbone >>.
I1 giudizio cosi espresso pare alquanto estensivo e teoricamente applicabile
a tutti gli altri borghi che segnarono e segnano dal lato urbanistico la vallata del Verbone: Perinaldo, Soldano, San Biagio; ma poichè i loro toponimi naturali erano già documentati dal XIII secolo, risulta evidente che
con quella nominazione particolare il duecentesco notaio de Amandolesio volesse alludere
espressamente al territorio dell'attuale Vallecrosia.
Da diversi atti rogati
da questo notaio reperiamo quella indicazione toponomastica, sempre adattata a luoghi tuttora inclusi nell'attuale area municipale di Vallecrosia.
Nel cartolare n. 56, atto n. 26a si parla di una certa Aldisia, vedova
di Iacopo Golabi, cui dal giudice venne assegnata la proprietà di diversi
terreni: una porzione di terra, coltivata a viti e fichi (valutata 16 lire di
genovini), risulta sita "in valle Vervonis" in località "Marcer" e ne vengono
tratteggiati i confini.
Superiormente era delimitata da una strada (quale
però?) mentre da qui la proprietà si stendeva per dodici canne circa e
mezzo (la << canna >>, unita di misura agricola, equivaleva a 12 palmi); da
un lato la pezza di terreno confinava con la terra di altri eredi di Iacopo
Golabi e da qui si stendeva per ben 45 canne: confinava poi per il restante
lato con le proprietà di Rainaldo Bolferio Maggiore e di Guglielmo Priore
(estendendosi da questa parte per 36 canne).
Tali dati, della seconda meta del XIII secolo, sono forse alquanto meccanici ma certamente esaurienti dal lato documentario e soprattutto testimoniano una vitalissima e attentissima (specie dal lato legale) presenza
umana nell'area di Vallecrosia: gia da essi comunque si ricava l'impressione che queste proprietà fossero in stretta relazione con nuclei insediativi
viciniori.
Nel marzo del 1258 Oberto Giudice, figlio del defunto Raimondo Giudice e curatore dei fratelli Giovanni e Marineto cede, ai fratelli Anselmo e
Manuele Ventura, una pezza di terra sita "in valle Vervoni" secondo i termini di un contratto "ad medium plantandum" (che era poi una sorta di contratto di locazione a lungo termine, in questo caso di 18 anni, il cui canone
era quasi sempre corrisposto in natura: metà o un quarto di prodotti.
Scaduti i termini del contratto la proprietà veniva divisa in due parti ma il
locatore conservava alcuni privilegi tra cui quello di scegliere per primo la
sua parte e il diritto di prelazione sulla parte assegnata al locatario in caso
di sua vendita).
La potente famiglia Giudice, latifondista per eccellenza del XIII secolo, deteneva vaste proprietà nel ventimigliese e particolarmente godeva
di vasta influenza economica nell'area ad oriente del Nervia. Nel caso citato
sopra, i riceventi si obbligarono a "plantare de ficubus" quella terra per un
periodo settennale di tempo e per il restante arco cronologico di 11 anni
si impegnarono "ad ipsam tenere, meliorare et usufructare": contemporaneamente si giudicarono tenuti a corrispondere annualmente ai locatari la
quarta parte dei profitti ("omnium proventum qui procedunt ex dicta terra"),
per giunta autoimponendosi di portare quei prodotti a Ventimiglia, all'interno dell'abitazione dei Giudice.
Questi ultimi erano una vera potenza economica: ed avevano i loro
clienti, il loro ossequioso seguito che gestivano da autentici << padri-padroni >>.
E stupisce che, dal XV secolo, non si abbia più indicazione della loro
presenza in quella specie di potentato che meno di due secoli prima gestirono nell'area del Verbone.
Il 23-X-1261 Aldina, sorella di Oberto Giudice e sposa di Oberto de
Volta, loco per quattro anni ad un certo Oberto Mighele tre lotti agricoli
posti "in valle Vervoni partim aggregatas et partim vacuas": il canone era
costituito dalla corresponsione annua della metà dei fichi e della quarta
parte "omnium blavarum et frumenti" (cartolare n. 57, atto n. 422).
Oberto, Giovanni, Marineto e Aldina Giudice discendenti ed eredi del
defunto Raimondo Giudice furono dunque autentici protagonisti della vita
economica della valle Vervonis; ma non furono gli unici. Quella zona era
fertile e riparata, molti altri proprietari vi concentrarono i loro sforzi o vi
intrapresero particolari attivita: quasi a testimoniare la valenza economica
e sociale che la localita andava assumendo nel giudizio dei ventimigliesi
del XIII secolo.
Il 7-XI-1259 Anselmo Guinanno ed Imberto de Tolosa vendettero a
Rainaldo Bulferio un appezzamento di terreno coltivato a fichi ed a viti
sito ad buccam Vervonis (cartolare n. 57, atto n. 129): il documento peraltro non è interessante solo per questa indicazione toponomastica o perchè
veicola il costo dell'operazione (lire 5 e soldi 10) ma per quella specificazione logistica che veicola, comunicando ai fruitori che gli insediamenti
agricoli sopravvivevano in qualche forma nell'area dei Piani alla foce del Verbone (il che non equivale ad una contraddizione con quanto detto
prima: l'area dei Piani conservo una sua significanza rurale ma questo non
comportava necessariamente una solida significanza urbanistica, di cui non
si ebbero adeguate tracce archeologiche e documentarie nei secoli seguenti).
La maggior parte delle operazioni economiche rogate dal de Amandolesio, a proposito dell'area nominata dal Verbone 6 si riferiscono a terreni
locati più all'interno rispetto alla linea costiera; il 17-IV-1264 un certo
Oberto Saonese cede a suo fratello Iacopo la terza parte di un suo prato
sito "in Vervono, ubi dicitur Alma Antiqua".
Confrontando questo documento con il precedente si ricava qualche stonatura, a prescindere dal fatto
che si ignorano le dimensioni di quelle proprietà; si evidenzia comunque
che la terza parte di un prato sito nell'interno valeva praticamente 4 volte
un terreno coltivato sito in prossimita della costa: cosa che potrebbe già
far ipotizzare un superiore valore riconosciuto alle proprieta della valle
Vervonis site in profondita od in altura. Ma questa, data la mancanza di
ulteriori documentazioni e confronti, rimane un'ipotesi e può essere anche
un'illazione; e meglio non insistervi in modo totalizzante, la si prenda
come un'intuizione e con tutto il beneficio dell'inventario.
Rimane invece un fatto provato, una realtà inconfutabile che l'area di
Vallecrosia ebbe nel XIII secolo una fioritura di iniziative, mascherate sotto
la specie ufEciale di diversi atti notarili.
Compravendite, cessioni, locazioni
di vario tipo sono prova che in quel tempo l'area dell'antico suburbio orientale di "Albintimilium" era al centro di molteplici interessi: a prescindere dal
fatto che mancano dati anteriori a quelli del de Amandolesio, giunge facile
sostenere che molto prima di quanto ipotizzò il Lamboglia, forse ancor
prima del XIII secolo, forse da sempre, seppur in modo oggi indecifrabile,
sia esistito qualche nucleo insediativo nell'area di Vallecrosia.
L'architettura del borgo << medioevole >>, così arroccata in un unicum
compatto e tanto aggrumata in uno spazio angusto ad oriente del "Verbona"
(-e), cui sino all'ottocento (come si ricava oltre che dall'atlante vinzoniano
anche da dati comunali) si giungeva per il tramite di una mulattiera egualmente ad est del corso torrentizio, non pare databile ad epoca molto remota: nella sua globalità l'impianto urbanistico pare ascrivibile ad epoca
di non molto anteriore al XV secolo.
Eppure, sondando con attenzione il terreno, lavorando sul campo e superando (col maggior tempo a disposizione e soprattutto grazie ai minori
impegni) le ambientali difficoltà d'indagine in cui si imbatte Nino Lamboglia (e in cui si è imbattuto chi scrive queste righe), non si possono non
riconoscere all'area di << Vallecrosia alta >> alcuni curiosi segreti.
Qua e là
si individuano testimonianze, forse solo << graffiti >>, di sorprendente vetustà: tracce di strutture e residui di edifici che presuppongono una datazione
molto arcaica. Come se, nell'incessante muoversi del tutto, anche le cose
più durevoli come i luoghi residenziali siano stati cancellati e poi diversamente riedificati.
Ma in queste aree, dove gli edifici civili paiono costruiti con la coscienza dell'umana precarietà, il concetto di monumento e relativo e l'organismo architettonico privato non fu mai caricato di monumentalità, al
limite fu marchiato coi segni della praticita. Ma il concetto di praticità
coimplica quello di superabilita: quando lo strumento di vita civile, sia
esso attrezzo, casa, mulino o altro, risulta tecnicamente superato esso viene
inesorabilmente cancellato, sostituito, escluso dal campo degli oggetti fruibili in quanto utili. Cosi nel passato remoto e cosl, probabilmente, avviene
nella quotidianità dell'oggi.
In queste aree il segno che colpisce, che si conserva non perchè fruibile
ma perche riconoscibile o comunque da riconoscersi attraverso le generazioni, è esclusivamente costituito dai frammenti della sacralità.