informatzzazione a cura B. Durante

GIAMBATTISTA RUBINI IN UNA SUA INTERPRETAZIONE DELL'OTELLO DI ROSSINI [ DA ARCHIVIO MUSEO DELLA CANZONE DI VALLECROSIA (IM)]



"La STORIA DEI CANTANTI ITALIANI in patria e all'estero - il melodramma dilagò fuor dei confini rapidamente - è storia ingemmata di glorie, ma anche punteggiata dai capricci e dall'arbitrio, com'è quasi sempre quando l'amore si tramuta in idolatria: gente che, non garbandole uno spartito, cava dal baule (e si disse: l'aria del baule) una cantata extra, apposta per poter sfogare vocalizzi ardui o filature fin che c'è fiato, o gorgheggi a cascata; gente che vuol la spada sulla scena per levarla sul punto del motivo che ascende, e magari si è in un convento di certosini.
Però il divismo riguardava i cantori non sofisticati - poiché si debbono trascurare gli uomini che cantavano da soprani (i famosi sopranisti, di cui i più celebri: Gaetano Maiorana detto il Caffarelli, 1703-1783, Carlo Broschi detto il Farinelli, 1705-1782), ed era, come è ovvio, una deformazione delle voci quali deve avere lo spettacolo lirico: tenore, baritono, basso; soprano, mezzosoprano o contralto - il divismo, si diceva, lo si può fare incominciare col chiudersi del diciottesimo secolo e l'aprirsi del diciannovesimo, quando cioè spariscono dalla scena i
sopranisti; e fece centro soprattutto sul tenore.
Disse un trattatista:
Le note del tenore toccano il cuore per la dolcezza accompagnata dalla forza. Nel percorrere la scala dei toni, il tenore esprime una ricca varieta di affetti, e massimamente l'amore .
Il primo tenore da ricordare in questo senso è Angelo Amorevoli ( 1716- 1798) . Poiché nel suo naturale registro diatonico giungeva al do sopracuto e usava il si bemolle limpidamente, fu in certo mo do colui che fece intendere come si potesse fare a meno dei sopranisti. Rispetto ai "capricci", citiamo il tenore Luigi Marchesi detto il Marchesini (1754- 1829).
Non si esitò a chiamarlo "divino" per la straordinaria malia della sua voce; "schermo a tanta dolcezza il cor non ave", si scrisse.
Borioso per tanti successi, negli ultimi anni della sua carriera non accettava di cantare se non a patto d'entrare in scena a cavallo (anche se la scena rappresentava un tinello...) e con un altissimo pennacchio in testa.
Ma il "tenore dei tenori", anzi il "re dei tenori" come lo chiamarono, fu GIAMBATTISTA RUBINI (1795-1854): autentica meraviglia per la dovizia dei fiati e per il cristallo purissimo della vocalizzazione.
Eccelse in ogni opera, specialmente nella
Sonnambula di Bellini (la diede egli per primo con Giuditta Pasta) e nell' Otello di Rossini.
Sopravanzò il maestro suo, Andrea Nozzari ( 1775- 1832)' come già aveva eclissato Giacomo David (1 750- 1830), che pur era stato l'idolo del Teatro alla Scala per un quarto di secolo, e quel Domenico Ronconi (1772-1839) che era parso il
non plus ultra ai pubblici di mezza Europa e della Russia.
Senza la potenza di Rubini, ma con scuola maggiore, Nicola Tacchinardi (1772-1859), segnò la perfezione del canto tenorile.
Ma egli era stato violoncellista di merito e conosceva quali fossero le ardue strade da superare per giungere alle grandi affermazioni. E' colui che fu detto il
tenore gobbo , per la sua figura tozza. Mai un'incrinatura nello smalto della sua splendida voce. Aperse a Firenze una scuola di canto e i suoi allievi, fra cui la celeberrima Frezzolini, eccelsero.
Adesso, accennato a voci d'altro registro -fra gli idoli di quel tempo i bassi Filippo Galli (1783-1853) e Luigi Lablache (1794- 1858)- s'arriva ai tenori moderni.
Il famoso Mario (1810-1883), cioè il nobile Giovanni de Candia, strabiliò i pubblici di tutta Europa per la sua voce vellutata e però capace di alto squillo. Era un ufficiale del re di Sardegna, ma abbracciiò la causa di Mazzini. Per questo, esule in Francia, esordì col nome di Mario, dovendo necessariamente nascondere il suo nome vero. Gli
Ugonotti di Meyerbeer furono il suo cavallo di battaglia. Cantò, oltre che in questa opera, in molte altre, ma segnatamente nella Lucrezia Borgia di Donizetti e nell'Otello di Rossini.
E conobbe inauditi trionfi in tutta l' Europa. Aiutò gli esuli con generosità mai vista. Tornato in Italia con un enorme patrimonio, lo dispensò ai bisognosi fino a ridursi pressoché in miseria. Morì a Roma e sulla sua salma ci furono anche i fiori della regina Vittoria d'Inghilterra e della regina d'Italia. Aveva sposato nel 1856 Giulia Grisi, colei che era stata la prima Adalgisa nella
Norma di Bellini alla Scala ( 1831 ).
Due tenori stranieri furono notissimi per qualità vocali in certo modo opposte: il francese Gilbert Duprez (1806-1896), creatore della parte di Arnoldo nel
Guglielmo Tell di Rossini, dove sfoderò, primo al mondo, i1 do di petto; lo spagnolo Julian Gayarre ( 1844- 1 890), che usava un falsetto autentico ed era apprezzatissimo per le sue smorzature. Gayarre contribuì alla fortuna dei Pescatori di perle d i Bizet. Quest'opera segnòtuttavia la fine della sua carriera. Infatti, nel 1889, a Madrid, nel si naturale della romanza Mi par d'udire ancor la nota gli si frantumò, ed egli ebbe il coraggio di ritirarsi subito dalla scena.
A questi, segue la rosa dei tenori del pieno Ottocento (e del primo Novecento), la cui voce
di retta molti ricordano ancora.
Roberto Stagno ( 1 836-1897), voce calda e di ricco squillo, cantò per più di vent'anni in Spagna dove, dopo che ebbe sostituito nel 1863 il grande tenore Mario nel
Roberto il diavolo, non intendevano staccarsene più. Si chiamava in realtà Vincenzo Andreoli, ma prese il nome di Roberto per ricordo di quel fortunatissimo esordio nell'opera di Meyerbeer. Fu nel 1890, a Roma, il primo Turiddu della Cavalleria rusticana di Mascagni, accanto a Gemma Bellincioni, diventata la sua compagna d'arte e di vita. Le eccezionali qualità della sua ugola gli consentirono le tessiture più ardue e più dolci, dall' Otello di Verdi alla Marta di Flotow.
Angelo Masini ( 1844-1926), tenore lirico e di grazia, fu senza rivali fra il 1875 e il 1890. Per ritorsione, giurò che non avrebbe mai cantato alla Scala, e mantenne il giuramento. Della voce di lui disse il giovane Tamagno:
un violino no che strappa le lacrime.
ALESSANDRO BONCI (1870-1940) fu il miniaturista della melodia, il primo che ripulì il linguaggio musicale dal manierismo della fine dell'Ottocento. Nessuno martellò come lui l'
E' scherzo od è follia del Ballo in maschera di Verdi".