Informatizzazione a cura di B. Durante

Il mezzo migliore per intendere l'origine e la fortuna della CANZONE GENOVESE è di rifarsi a quegli storici della musica e del folklore od ancora a quei giornalisti che ne hanno personalmente conosciuto le vicende. Tra questi è da rammentare G. B. Rossi che nell'introduzione dell'ormai introvabile e celebre raccolta Zena a Canta, le più belle canzoni genovesi (Torino, Le canzoni delle regioni d'Italia editrice, 1926, pp. 5 sgg.) ha lasciato scritto:"...Correva l'anno -direbbe uno storico cattedrattico- 1924 e precisamente il mese di dicembre, quando a COSTANZO CARBONE venne l'uzzolo della canzone genovese.
S'era detto: perché in questo risvegli folkloristico, anche la Liguria non fa qualche cosa? Perché anche noi, al pari delle altre regioni, non possiamo cantare le bellezze del nostro cielo, delle colline e del mare? O che forse ci manca l'uno, le altre...e l'altro?
L'idea di fondare la canzone genovese gli piacque e la vagheggiò un poco...Guardò dietro di sè: di poeti dialettali ce n'erano. Molti e buoni: Antonio Patore, Raffaello Cogorno, Umberto Villa, Amedeo Pescio, Luigi Tramaloni, Alessandro Sacheri, Marino Merello.
Ma canzonieri -nel vero senso della parola- non ne vide. Sentì in lontananza qualche nenia, qualche ritornello scurrile...E si decise...a parlarne in giro per tastar terreno, prima; da buon genovese.
Tutti scossero la testa. Nessuno vedeva la possibilità di poter inserire un canto, una cantilena nel terreno aspro e ferrigno di questa Liguria ubertosa. Bussò alle porte dei poeti. Gli rinchiusero i vetri sulla faccia. I musicisti invece lo spronarono. Ci fu chi lo consigliò: -Bandisci un concorso con canzoni dialettali e canzoni italiane che si riferiscano a Genova, alla Liguria. A Genova, di genovesi ce ne son pochi. Non tutti capiscono il dialetto, specie se cantato...
Fu allora che Carbone si decise. Espose l'idea a tre giovani che si dilettavan di lettere con la complicità necessaria d'una loro pubblicazione che usciva...quando poteva, ma che manteneva intatto il suo nome di Superba. E' giusto ricordare i nomi di questi entusiasti: C. O. Guglielmino, T. A. Buoninsegni e Nello Brunetti. Un genovese e...due toscani. Il trio si propose di accettarne il patrocinio...e le spese. Due giorni dopo i giornali di Genova chiamavano a raccolta poeti e musicisti. La nuova gara avrebbe avuto luogo al Teatro Giardino d'Italia, l'8 gennaio 1925. Carbone e gli amici attendevano, con l'animo sospeso, i primi risultati. Niente!
Uno solo rispose, sul principio. Raffaello Cogorno, il quale già in addietro, senza mire e senza scopi, aveva scritte un apio di poesie che il maestro genovese Armando Bosso, qualche tempo prima di morire, le aveva musicate. Cogorno ne portò una di Bosso e due nuove da musicare. Carbone s'affrettò a ripubblicare sui quotidiani, altri inviti: nulla! Qualche cosa arrivò poi: non erano canzoni. Erano delle poesie, scritte in un genovese arabo, genovese impossibile, errato nella fraseologia e nella ortografia. Uno dei primi ad aderire al Concorso fu...un piemontese: Wolfango Cuniolo. Non aveva pretese, ma era un entusiasta. Scriveva certe frasi che poi a lui stesso riuscivano ostiche e allora, da una parte, segnava la versione italiana e aggiungeva: Arrangiate voi! Io non so scrivere il genovese. Carbone non si disaminò: passò al maestro Aldo Crotto, aggiustandola, una di queste canzoni e precisamente Da Lanterna a Portofin, ch'ebbe poi uno schietto successo. Come stentavano ad aderire i poeti genovesi! Allora Carbone -more solito- ricorse ad uno stratagemma. Gettò giù una canzone, lui. Fu appunto Tranvaietti da Doia, la canzone musicata dal maestro Margutti, diventata ormai famosa.
Scrisse poi in italiano, Viuzze d'Albaro, che gli musicò T.A. Buoninsegni. Ma tanto all'una come all'altra, non mise il suo nome. Firmò la prima: C. Costa e la seconda: G. B. Podestà. E così le annunciò sui giornali.
Fu il tenore Mario Capello (colui che poi doveva diventar celebre quale interprete) che, appena lette le due canzoni, insistette:
-Bisogna farli venire qui, questi due autori. Potranno dare qualcosa di più...Ci saranno utili.
Carbone si scusò: dovette confessare che i due autori altro non erano che lui...e promise però, in compenso di preparare dell'altro materiale.
E preparò: Digghe de scì e sigoa [di cui si possono vedere qui
musica e parole], A-o Belvedere [di cui si possono vedere qui musica e parole], Ciassa del Pontexello, [e Boccadaze] che musicate anche queste dal maestro Margutti, diventarono di dominio pubblico. Intanto il Carbome disponeva il programma e provvedeva al soggetto degli scenari: Treuggi de S. Brigida [di cui si possono vedere qui musica e parole] e Gexa de S. Giulian.
Soggetto il primo, popolare e pittoresco; gentile e mistico il secondo. Curò i preparativi, con una amore ed una pazienza degna del migliore encomio.
C'era però attorno, uno scetticismo, da esasperare, eppure se ne parlava ovunque.
La preparazione fu laboriosa e febbrile. Diffidenze nacquero ad ogni piè sospinto. Carbone formulava comunicati ai giornali e correva a tutte le redazioni a pregare, ad insistere per la pubblicazione.
...all'8 di gennaio, il debutto serbò delle sorprese. Vennero cantate, al Giardino d'Italia, le canzoni italiane e genovesi scelte da una commissione di critici d'arte.
Essi erano Carlo Panseri del Secolo XIX, Antonio Elena del Caffaro, Fabio Invrea del Cittadino, C. M. Brunetti del Giornale di Genova, Avv. T. Carpi del Lavoro e M. Olivieri del Successo. Le canzoni su Genova, in italiano piacquero; quelle genovesi entusiasmarono. Al punto, che di molte se ne volle il tris...".
Il pur severo e precedentemente scettico Carlo Panseri fu quasi lapidario nel sanzionare un indubbio trionfo: E' stato un magnifico successo decretato da un magnifico pubblico. Confesso francamente non credevo tanto.
Ritornando sull'argomento, qualche tempo dopo, il letterato genovese A. L. Fiorita scrisse: La canzone dialettale genovese, ha avuto la sua consacrazione: il pubblico, accorso con molto scetticismo -come sempre, a Genova, e ne è una riprova la caduta clamorosa recentissima di Straccinara- si è convertito a poco a poco, per merito delle liriche e dei quadretti indovinati: e per merito delle musiche riuscitissime.





BACCICIN
(parole di Costanzo Carbone, musica di Attilio Margutti)
O Baccicin, vattene a câ,
o Baccicin, vattene a câ,
o Baccicin, vattene a câ
teu moae a t’aspëta
e a t’ha lasciòu o lumme in ta scâ
e a t’ha lasciòu o lumme in ta scâ
e a t’ha lasciòu o lumme in ta scâ
e a porta averta
Servassae che lë a m’aspëte
se mi in fondo do caroggio
gh’ho a Manena, a mae strofoggio
ch’a me sta sempre a aspëtâ.
E a l’é lì, mi l’ho zà vista
gh’ho, d’accordo, streito l’euggio.
Lë a s’asconde derrê a-o treuggio
perché a l’ha da ruxentâ.
O Baccicin vattene a câ...
e a t’ha lasciòu o lumme in ta scâ...
Servassae che lì in ta scâ
se me lasciae asseiso o lumme,
mi no posso soffrî o fumme
sol7do petrolio e do stoppin.
E se poi veuggio in ta scâ
ä Manena dâghe un baxo,
no beseugna fâghe caxo,
mi o lumin veuggio asmortâ!
O Baccicin, lascime stâ,
o Baccicin, no m’angosciâ
questa canson no stâ a cantâ
perché a l’é vegia.
E i vexin no veuggio manco
che arvindo a porta adaxo
possan vedde se gh’é un baxo
in sce lerfe de-a mae ce!
I vexin, Dio me n’avvarde!
gh’é a Gigin, a moneghetta,
ch’a stâ sempre lì in vedetta
da-o pertuso a guersezzâ.
Andemmo, dunque, sciu a dormî
l’amô in ta scâ, t’ae un bello dî,
ti no o peu fâ! Te peuan scoxî
gh’é a luxe elettrica!
O Baccicin, vattene a câ,
o Baccicin, vattene a câ,
o Baccicin, vattene a câ
teu moae a t’aspëta
"











Successivamente a questa inaugurale esperienza altri importanti momenti segnarono l'evoluzione della canzone genovese e la fonte documentaria migliore è ancora G. B. Rossi p p. 10 della citata raccolta Zena a Canta, le più belle canzoni genovesi (Torino, Le canzoni delle regioni d'Italia editrice, 1926, pp. 5 sgg.) ove si può leggere: "...Fu allora che Carbone decise, in libertà d'azione di riprendere questa craturina per tentare, lui e Margutti e Cappello, rifocillandola, di darle nuovo respiro.
E respiro ne ebbe!
Venne l'aprile, e Stefano Pittaluga -schietto ed avveduto genovese, proprietario oggi di quasi un centinaio di cinematografi- ospitò nel suo ricchissimo locale di via XX Settembre -l'Orfeo- la canzone genovese...
Fu qui che il successo fu pieno, clamoroso, imponente. Programma tutto genovese: il maestro Aldo Crotto -genovesissimo- aveva musicate Gexa de S. Giulian e Amiàdo de Castelletto di Carbone e fu un trionfo magnifico, nell'interpretazione di Cappello. Il Cogorno portò Muje neigre, musicata dal margutti ed ebbero un subisso d'applausi. Una scena d'ambiente, di assieme, coronava lo spettacolo. Il quale si ripetè ben venti sere, a teatro stipatissimo.
Ma qui un altro poeta s'era aggiunto. Lo stesso cantore: il tenore Mario Cappello. Entusiasta del suo apostolato, anche lui aveva voluto scrivere la sua brava canzone. E scrisse Ponte de Caignan musicata dal maestro Mori. Tema sentimentale, nostalgico, reso con con tocchi vivi e coloriti. Il pubblico si commosse e verò qualche lacrima di tenerezza.
Fu allora che Cappello, visto l'esito della sua prima canzone ne scrisse un'altra Ma se ghe penso in cui rafforzò le tinte sentimentali. Ed il pubblico bevve la nuova canzone -musicata magistralmente dal margutti- con una gioia incontenibile...
Dopo Genova, la Canzone genovese passò a Sampieradrena. Fu poi a Sestri Ponente, a Cornigliano, alla Certosa di Rivarolo. Passò quindi -era l'epoca dei bagni- a Pegli, a Savona, ad Alassio, Bordighera, a S. Remo. Divenne popolare e -la sera- comitive allegre cantavano queste canzoni imbevute, impregnate di profumi nostrani... Poi passò la riviera di levante. L'introdusse, messaggero magnifico, il Cappello a Rapallo, a Chiavari, a Spezia, a carrara, a Lucca ed a Pisa. Si insinuò nell'entroterra e fu ad Alessandria, a Voghera, a Pavia, a Valenza, a Vercelli.
Stefano Pittaluga volle inaugurare il suo teatro Fenice di Trieste, con la canzone genovese. Anche a Trieste, Cappello trionfò ed ebbe feste indimenticabili. Un redattore del Piccolo pubblicò una lunga intervista fatta con il grande interprete.
Poi...la canzone arrivò a Torino e precisamente al Balbo: la rappresentazione fu accompagnata da un trionfo di pubblico e critica che il quotidiano La Stampa celebrò apertamente in un articolo dichiaratamente encomiastici pubblicato il 16 marzo 1926.