Verso il novembre del 1860, carico di gloria, Garibaldi ha preso stanza a Caprera: la sua esistenza da novello "Cincinnato" non è tuttavia quieta. Un fremito attraversa l'Italia e sono tante le lettere che lo raggiungono, sia da parte di singoli cittadini, che di organizzazioni operaie che di intiere città.
A celebrarlo concorrono molteplici letterati di varia estrazione ed anche di tempi diversi: nell'immagine sopra è riprodotto da Biblioteca privata di Ventimiglia un raro OPUSCOLO in cui DOMENICO GUAITIOLI (poeta della Compagnia filodrammatica veneta) celebrando con un proprio CANTO, e con un INNO di Vincenzo Defrancesco sottotenente della "Divisione calabro-siculo-avezzana", l'onomastico di Garibaldi trasse occasione per caldeggiare un suo intervento anche a favore del Triveneto: in forme diverse, da quelle più pensose sino ad una autentica venerazione, si manifestò quel moto popolare cui fu dato il nome di GARIBALDINISMO, moto sincero che, nella sua onesta spontaneità, riponeva nell'"eroe" la capacità di risolvere qualsiasi problematica.
Il generale, forse suggestionato più che lusingato da tanta umana fiducia, finisce per alimentare nel suo animo un grande progetto, che tuttavia non può non riuscire sospetto al governo torinese della Destra Storica di Cavour (che mira soprattutto a consolidare e piemontizzare il nuovo e complesso stato italiano): proprio mentre Cavour e consensualmente Vittorio Emanuele II si propongono di dimensionare ed inquadrare (anche attraverso un sottile lavoro politico di epurazione dei quadri ufficiali più apertamente legati a Garibaldi o comunque volti a ideali democratici) l'ESERCITO MERIDIONALE che ha debellato al Volturno le armate borboniche di Francesco II, Garibaldi nutre il contrastante ideale di mobilitare le imponenti forze che già furono al suo seguito nell'impresa dei "Mille" sotto l'insegna dei Comitati di Provvedimento per Roma e Venezia.
La delusione di Garibaldi, difronte alla realizzazione del piano governativo, diventa alla fine estrema.
L'"Esercito Meridionale" (data la sua eterogeneità e la pericolosa valenza rivoluzionaria) come detto ha finito per diventare invece un problema secondo gli intendimenti di Cavour e per questo -sorprendendo un impreparato Garibaldi- lo Stato porta celermente avanti la liquidazione della Nazione Armata e l'assimilazione delle forze giudicate fedeli e sicure -dopo la citata aspra selezione soprattutto dei quadri ufficiali- che finisce per essere assorbita entro l'Esercito REGOLARE
E' quindi inevitabile che il ritorno di Garibaldi a Torino verso i primi di aprile del 1861 (in qualità di deputato per il Collegio di San Ferdinando di Napoli) coincida con un suo aperto scontro nei confronti del Primo Ministro proprio sul tema del Corpo dei Volontari Italiani e conseguentemente sul problema del riarmo e della guerra liberatrice del Veneto e di Roma.
La seduta parlamentare del 18 aprile, prima, l'incontro con Cavour presso Vittorio Emanuele II, dopo, ed infine la lettera di Garibaldi a Cavour del 18 maggio successivo scandiscono le tappe ravvicinate di uno scontro che non ha possibilità di giungere ad un credibile compromesso: Cavour muore improvvisamente il 6 giugno 1861.
Tornato a Caprera Garibaldi vive momenti personali di estrema delusione nonostante il continuare delle epistole di apprezzamento da ogni parte del mondo.
Mentre il nuovo ministro Bettino Ricasoli aspira a cercare una qualsiasi soluzione diplomatica e pacifica della QUESTIONE ROMANA, Garibaldi punta la sua attenzione di accanito interventista verso Venezia, il Friuli e , genericamente, l'est d'Europa.
Il suo esercito ha patito le liquidazioni e le assimilazioni di cui si è detto ma il generale non disdegna di procedere ad un reclutamento analogo a quello che fu possibile per l'impresa dei "Mille": anche per questa ragione guarda con estrema simpatia all'istituzione di una Società Nazionale per il Tiro a Segno, ritenendola una palestra ottimale per la formazione bellica di una gioventù mediamente non avvezza all'uso delle armi (e per questa ragione accetta la vicepresidenza di siffatta Società).
Dalle basi della Società e del suo processo di diffusione panitaliano, nella primavera del 1862 Garibaldi fa prendere il via ad una chiarissima campagna propagandistica per un nuovo reclutamento.
L'idea di un intervento nel TIROLO non coglie impreparato nessuno, anche perchè tutte le attività avvengono alla luce del sole, visto anche -giova dirlo- una presa di posizione governativa decisamente contraddittoria sin dall'inizio della propaganda di tale progetto.
La diplomazia entra però velocemente in azione, viste soprattutto le posizioni contrarie della Francia e della Confederazione germanica (della Prussia in particolare): dalla blandizie e da un sostanziale disinteressamento, a fronte delle pressioni diplomatiche, il Governo della Destra (come detto preoccuopato eminentemente di conferire stabilità al nuovo Stato) procede velocemente ad arresti ed alla soppressione di ogni preparativo bellico contro il Tirolo sino al momento finale dei sanguinosi scontri di piazza a Brescia: e proprio in merito a ciò si PRONUNCIA E PUBBLICA l'onorevole Boggio.
Garibaldi sta comunque divenendo un "problema" per la politica della Destra Storica.
Fallite le operazioni contro il Tirolo, Garibaldi sposta la sua attenzione verso il meridione, dove l'annessione ha finito per assumere i tratti dell'occupazione e dove sa di poter contare sull'appoggio di tanti suoi antichi sostenitori.
Egli non ha in vero nessun programma sovversivo: vuole piuttosto riprende in pieno la QUESTIONE ROMANA.
Le proteste della Francia non frenano la volontà garibaldina di interventismo e nel contempo il ministro Rattazzi, anche per evitare uno scontro diretto ed impopolare con l'"eroe dei due mondi", preferisce -sbagliando- attendere, come sembrano far presagire i tempi e le notizie diplomatiche, un'insurrezione popolare a Roma, che tuttavia ritarda.
Tale ritardo induce Garibaldi a lasciare la Sicilia ma non per ritirarsi a Caprera (come vanamente suggeritogli da emissari governativi) ma per raggiungere il continente e, risalendo il Meridione, assalire lo Stato Pontificio.
Temendo le ritorsioni francesi (ma anche per salvaguardare la propria autonomia) il Governo giunge allo scontro armato.
Il colonnello Emilio Pallavicini, cui è affidata l'impresa, manda ad ASPROMONTE in realtà un solo battaglione: ma tale forza è sufficiente, il 29 agosto 1862, per aver ragione della debole formazione capeggiata da Garibaldi, che peraltro resta ferito.
Il generale è quindi arrestato e imprigionato nella fortezza del Varignano dove rimane sino al 5 ottobre 1862, allorché può tornare libero in forza di un'amnistia e quindi sottoporsi ad un'operazione per risolvere i problemi datigli dalla mai risolta ferita patita nello scontro di Aspromonte.