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L'istituzione del DIVORZIO (e della forma particolare oltre che estrema costituita dal RIPUDIO) come scioglimento validamente costituito di un vincolo matrimoniale ha una storia antichissima sì che, se da un lato viene citato nell'Antico Testamento, in linea teorica risultava ammesso dallo stesso diritto ebraico mentre in ambito greco tracce della sua sussistenza si evincono addirittura nell'arcaica legge di Gortina.
Nel contesto dell'ecumene romano per intendere l'esistenza del DIVORZIO è inevitabile soppesare la valenza giuridica del MATRIMONIO inteso quale AFFECTIO MARITALIS, cioè un ACCORDO PREVENTIVO la cui decadenza comportava la fine dello STATO MATRIMONIALE sì che risultava implicitamente vana qualsiasi pattuizione preventiva di non contrarre DIVORZIO.
Secondo i prisci mores dell'età della repubblica il DIVORZIO risultava fatto raro, ma dal I secolo a. C. esso divenne tanto usuale, con la crescente liberalizzazione dei costumi, che l'imperatore Ottaviano Augusto, nel suo programma di moralizzazione entro le linee programmatiche della Pax mondiale prefissatasi, provvedette a limitarne gli abusi con due leggi, la De adulteriis e la De maritandis ordinibus: soprattutto si prefissò di regolamentare, entro la crescente usanza di MATRIMONI e DIVORZI per interesse, la restituzione della dote, provvedendo altresì a trasformare l'istituto del DIVORZIO da prassi, banalmente consuetudinaria, in momento sociale di una certa rilevanza formale.
Tali provvedimenti, specie in ambito socialmente elevato, non ebbero i successi attesi ed in effetti fu solo con gli imperatori cristiani che alla pratica del DIVORZIO furono opposte delle effettive limitazioni: in particolare nel 331 Costantino il Grande sanzionò le effettive ragioni per cui si potesse DIVORZIARE e tra queste comparvero cause di fondata valenza quali azioni delittuose tentate da uno qualsiasi dei coniugi (nel contesto comunque di ipotesi distinte per uomo e donna) come l'adulterio, la violazione dei sepolcri, il veneficio, l'omicidio.
Circa un secolo dopo Teodosio II (vedi qui CODEX TEODOSIANUS e LIBER III) riprese la materia ratificando ben distinte cause di DIVORZIO tra cui il DIVORZIO UNILATERALE (per responsabilità di uno soltanto dei coniugi) ed il DIVORZIO BILATERALE (vale a dire stipulato per reciproco consenso o mutuo consenso).
In epoca bizantina Giustiniano il Grande, nel periodo di massimo splendore allorché parve ricostituire l'unità dell'ecumene romana, proibì legalmente il DIVORZIO PER MUTUO CONSENSO e intervenne, con forti limitazioni, pure a riguardo dell'istituto del DIVORZIO UNILATERALE PER COLPA: in merito a ciò oltre al CODICE DI GIUSTINIANO giova leggere nell'intierezza il LIBRO XXIV del DIGESTO fatto redigere dallo stesso imperatore e specificatamente le seguenti rubriche: [Dig.24.1.0.R rubrica: de donationibus inter virum et uxorem ("sui doni scambiati tra sposo e sposa")], Dig.24.2.0. De divortiis et repudiis ("sui divorzi ed i ripudi"), Dig.24.3.0.Soluto matrimonio dos quemadmodum petatur ("Ottenuto lo scioglimento del matrimonio in qual modo si debba richiedere la restituzione della dote").
La costumanza giuridica di DIVORZIO ( e RIPUDIO) risultava comunque tanto radicata nella cultura classica da risentire di così formidabili resistenze che il successore di Giustiniano, l'imperatore Giustino II riabilitò per legge il DIVORZIO PER MUTUO CONSENSO.
Le invasioni barbariche non inficiarono granché tale ISTITUTO atteso che anche fra i popoli che gradualmente invasero e divisero l'Impero Romano d'Occidente il DIVORZIO era generalmente applicato: così nelle leggi barbariche dei longobardi e negli stessi capitolari dei Franchi si riscontrano tematiche e norme connesse all'istituto del DIVORZIO.
Anche il formidabile processo evangelizzatore della Chiesa cristiana finì per scontrarsi a più riprese contro questo arcaico e ramificato ISTITUTO del DIRITTO DI FAMIGLIA: per quanto la Chiesa fondasse uno dei suoi caposalti sul tema dell'INDISSOLUBILITA' DEL MATRIMONIO essa stessa si trovò a più riprese nella necessità di cedere alle richieste delle vigenti ed antiche costumanze.
A conclusione di una considerevole diatriba intellettuale e giuridica la Chiesa Cattolica riuscì a far riconoscere la INDISSOLUBILITA' DEL MATRIMONIO-SACRAMENTO (fatte salve eccezioni di scioglimento in casi gravi, come la contrazione della lebbra da parte di uno degli sposi) in forza di un laborioso processo di sottrazione del MATRIMONIO all'apparato burocratico civile (peraltro in crescente involuzione) a tutto favore della legislazione canonica: per conseguenza di tutto ciò la cognizione delle CAUSE MATRIMONIALI pervenne totalmente alla giurisdizione ecclesiastica che, come detto, comportava la CONDANNA dell'ISTITUTO DEL DIVORZIO.
Il Concilio di Trento, nel XVI secolo, giunse a perfezionare e cementare queste REGOLE DI INDISSOLUBILITA' DEL VINCOLO MATRIMONIALE: sull'asse delle conseguenze giuridiche si giunse al punto che nei Paesi di tradizione cattolica le LEGGI CIVILI disciplinarono l'ISTITUTO DEL MATRIMONIO secondo i criteri promulgati dai principi della religione.
Mutatis mutandis in ambito riformato e protestante, laddove la religione reputava il MATRIMONIO alla stregua di un normale CONTRATTO CIVILE, il DIVORZIO risultò globalmente accettato tanto dalle leggi dello stato che dai precetti religiosi.
La penetrazione dell'ISTITUTO DEL DIVORZIO in ambito cattolico si data solitamente dai fermenti illuministici del XVIII secolo ed il suo pubblico riconoscimento viene indicato con l'anno 1792 allorquando in seguito ai fatti della Rivoluzione proprio nella cattolicissima Francia fu introdotto il DIVORZIO.
Tale istituto ebbe poi una vera e propria sanzione in forza del CODICE NAPOLEONICO promulgato il 21 marzo 1804 per la nazione francese: tramite quindi i CODICI LOCALI DEI PAESI CONQUISTATI DAL BONAPARTE (strettamente redatti sulla base del CODICE NAPOLEONICO) l'istituto del DIVORZIO entrò nell'uso sociale in molti paesi cattolici e di conseguenza anche in ITALIA per la cui porzione autonoma, territorialmente la più consistente e detta REGNO D'ITALIA (in pratica tutto il nord) fu parimenti predisposto un CODICE CIVILE.
In effetti, ancor prima che al REGNO D'ITALIA (6 gennaio 1806) [il 23-IX-1805 al dipartimento del Taro cui erano stati annessi i ducati di Parma e Piacenza, il 30-III-1806 al principato di Lucca, il 22-X e il 26-XII-1808 al Regno di Napoli (esclusa la Sicilia rifugio dei Borboni), il 3-III-1810 ai 3 dipartimenti toscani annessi all'Impero una volta scomparso il Regno d'Etruria, il 17-III-1809 ed il 17-II-1810 nei estanti territori dello Stato della Chiesa, Umbria e Legazioni, uniti all'Impero (alla fine oltre che in Sicilia e Sardegna, per le ragioni addotte, non fu promulgato nella sola Repubblica di San Marino lasciata indipendente)] il CODICE CIVILE NAPOLEONICO del 1804 era stato contemporaneamente esteso ai 5 dipartimenti in cui fu diviso il Piemonte e poco dopo (25 maggio 1805) ai 3 dipartimenti della Liguria: vale a dire gli ex Stati italiani [soppresso Regno Sabaudo (con l'eccezione della Sardegna divenuta base dei fuggiti Savoia) ex ex Repubblica di Genova] assimilati entro la compagine imperiale.
Ebbene, nel contesto di tante novità, soprattutto a Milano e a Napoli, le uniche riserve su cui si soffermarono i governi locali, al momento di tradurre il CODICE in italiano, furono costituite proprio dal forte contrasto dell'ISTITUTO DEL DIVORZIO con il costume nazionale italiano, come ha scritto Carlo Zaghi (pp.380 sgg.): i sentimenti di opposizione furono peraltro analoghi in Liguria e Piemonte anche se, data l'assimilazione di queste regioni all'Impero, non vi poterono essere, in merito al Codice rimostranze di Governi locali (e del resto il Bonaparte si rivelò irriducibile in merito all'introduzione, nei suoi possessi diretti come negli stati satellite, di questo ISTITUTO GIURIDICO).
Comunque prescindendo dalle direttive e dalle aspettative di Napoleone in nessun luogo d'Italia il DIVORZIO attecchì davvero quale costumanza sociale e così, caduto il Bonaparte, il DIVORZIO, per effetto della Restaurazione, venne ovunque abolito e nemmeno dopo l'Unità d'Italia, pur fra qualche interessante progetto di legge, fu ripristinato: tale ISTITUTO sarebbe rientrato con vigore molto superiore in Italia solo nel 1970 per effetto della Legge 1-XII-1970 n.898.