I Conti di Ventimiglia estesero il loro dominio alla valle del Maro, uno dei due corsi d'acqua principali che concorrono a formare il torrente Impero: qui si radicarono profondamente e costituirono un feudo destinato a durare per parecchi secoli. L'espansione dei Conti di Ventimiglia non si rivolse però solo verso le valli liguri: parallelamente estesero la loro influenza a occidente, a Luceram (nell'alta valle del Paillon alle spalle di Nizza), e di qui alla valle della Vesubia, e forse alla Tinea e alla val de Blore.
Né va dimenticata la presenza avvolgente dei marchesi Clavesana nell’"'hinterland" delle comunità liguri ponentine, avvertibile in una politica volta a tagliare e condizionare gli espansionismi politico-economici dei centri costieri, secondo un indirizzo svolto poi con maggior fortuna dai Del Carretto.
Nelle vicine valli dell'entroterra di Nizza, sono sintomo dell'analoga importanza delle traverse la distribuzione e l'assetto delle signorie minori, nonché l'ubicazione delle presenze degli ordini militari e ospitalieri.
Tenendo conto di queste limitazioni e imprecisioni,
possiamo tentare un primo approccio all'esame delle
indicazioni offerte dalla bolla Religiosam vitam del 1246
(in Archivio Curia Vescovile di Mondovì, Abbazia del
Borgo, n.1246 da copia imitativa del 1308, notaio Andrea
Bruno), il documento più antico che ci aiuti in probabili
identificazioni: infatti, di altri possedimenti, come ad
esempio quelli nell'Astigiano attestati ad Agliano nel 948
(88), non abbiamo documentazione posteriore che consenta
la localizzazione, e mancano le testimonianze sulla più
antica dotazione. Nella bolla alcune chiese compaiono
citate per la prima volta, altre ci sono già note, ma con
diverso rapporto rispetto all'abbazia; alcune, come quelle
della diocesi di Nizza, le troviamo già documentate nell'XI
secolo, altre solo nel XII. In questa occasione, però, vorrei
privilegiare le presenze e i titoli liguri.
In diocesi Vigintimiliensi ecclesiam sancti Dalmatii de Bergegio cum pertinentiis suis
è l'attuale "San Dalmazzo di Tenda", non l'omonima località nel Savonese con cui il Riberi la identifica. Dopo le trasformazioni ottocentesche, gli ambienti attuali dell'antico priorato sono adattati ad uso privato. Bergegio è l'antico nome di San Dalmazzo di Tenda che in tale veste è citato spesso nei documenti del XII e XIII secolo ed era una località importante per le comunicazioni con Entraque e con l'alta valle dell'Argentina. Chi, disceso dal colle del Sabbione, si trovava al San Dalmazzo de Bergegio, veniva "proiettato" nel vasto comprensorio di Briga - lo osserviamo nello schizzo che ne dà il De Negri e in quello del Beltrutti come comitato di Tenda-, che si estendeva al pascoli nei territori delle alte valli dell'Argentina, del Tanaro e del Pesio .
E' spesso indicato come luogo di convegno per atti pubblici, per dirimere controversie, per composizione di pace, per formulazione di statuti e di leggi. Il suo ponte è citato il 16 maggio 1207 come punto di riferimento nelle convenzioni tra Briga e Triora.
In dioecesi Albingaunensi ecclesiam sanctae Mariae de Caneto a Tagia
In diocesi di Albenga troviamo la dipendenza di Santa Maria de caneto a Tagia. La chiesa è situata immediatamente fuori dell'abitato di Taggia, a poco più di cento metri dalla testata del lungo ponte che con sedici arcate scavalca il torrente Argentina, la fiumara di Taggia.
L'attuale edificio si presenta nella veste di un rifacimento settecentesco, mentre il portale è frutto di un recupero da un'altra chiesa taggiasca, Sant'Anna, ora distrutta. L'abside è stata ricostruita sulle tracce di quella originaria, nelle forme comuni dell'architettura ligure del XII secolo. Sul lato meridionale l'affianca l'agile campanile a tre piani di monofore e bifore, databile al XII secolo. All'interno sono stati recuperati in parte gli affreschi opera dei Cambiaso, del 1547 .
Anteriormente al 1246 la chiesa non è citata in alcun documento. Anche la sua dipendenza dal cenobio piemontese non ha altri riscontri: tuttavia il suo status di priorato è ancora ricordato nei decreti della visita apostolica di mons. Mascardi nel 1585, e nella prima metà del XVII secolo. Prove dell'esistenza più antica abbiamo però dall'archeologia. Gli scavi effettuati all'interno di Santa Maria del Canneto hanno messo in luce le tracce delle vicende dell'attuale edificio e della chiesa che lo ha preceduto: si tratta di un'abside, di una cripta e della scala che le dava accesso, di una fase di età romanica, e dell'abside di una precedente costruzione altomedievale.
Superate alcune infondate critiche legate all'identificazionee con la Bergeggi savonese, possiamo concludere la presenza a Taggia dei monaci di Pedona non costituisce un'ipotesi illogica. Ipotesi, questa, legata alla diffusione del culto di San Dalmazzo, culto che pare rapporsi alle millenarie piste della transumanza, lungo immutate direttrici sui versanti montani. A chi proveniva Piemonte, la possibilità di accedere alla bassa valle Argentina era suggerita dalla frequentazione degli alti pascoli alla testata della valle, dall'uso dei valichi e dei percorsi legati alla pratica della transumanza. Cli sfugge quanto intensi siano stati i rapporti lungo la valle del torrente Argentina, ma di questi abbiamo una prova indiretta dal tardo romano castelum de Campomarcio. La fortificazione ha dimensioni tali da postulare un'importante via di transito orientata verso i valichi dell'alta valle
In età tardo antica, la "mansio" di "Costa Balenae" (per altri Costa Beleni), l'approdo del "Tavia fluvius" dell"'ltinerarium Maritimum" (105), il battistero ed il complesso paleocristiano del V-VI secolo costituivano il polo di aggregazione allo sbocco della valle sul litorale, sorto sulla via Julia Augusta, poi a Roma per Tusciam et Alpes maritimas Arelatum usque. Alternativa al centro romano di "Costa Balenae" sarà la "Tabia" altomedievale, entità giurisdizionale sotto il titolo di Villaregia, riconoscibile nella bassa valle dell'Argentina sino alla stretta di San Giorgio di Campomarzio .
L'altro polo della valle è da ricercare nei transiti, e nei relativi incroci, nell'alta valle stessa. Il De Negri nel suo studio sull'estremo Ponente ligure ha indicato la viabilità in questo settore vallivo mettendone a fuoco percorsi e nodi, analisi successivamente ripresa dallo Stringa. Da Briga per il passo di Collardente (1601 m.) si accedeva ai pascoli dell'ampia conca di Verdeggia e di Realdo, quindi per il passo della Guardia (1461 m.) e la colla di Garezzo
(1795) si giungeva a Mendatica nell'alta valle Arroscia. Sempre da Briga, per la colla di Sanson (1696 m.), si andava a Triora, da dove, per i passi di Monega (1654 m.) e della Mezzaluna (1454 m.) si scendeva a Rezzo, in una valle laterale nella parte superiore della valle Arroscia. E' da sottolineare, in particolare, che in corrispondenza dei valichi citati essa intersecava la direttrice della "via marenca" (via mare-monti nell'etimologia ligure) più sopra già ricordata.
E' Triora che individuiamo come polo aggregativo dell'alta valle, e notiamo come la chiesa, ubicata nel nucleo più antico del paese, è dedicata a San Dalmazzo .
Nel loro insieme, queste considerazioni confermano l'ipotesi, nuovamente "non illogica", della presenza a Taggia dei monaci pedonensi. Solo rimane l'interrogativo di fondo relativo al momento del loro arrivo, legato al problema della cronologia della diffusione del culto di San Dalmazzo: alle fortune iniziali nel momento della fondazione longobarda del monastero piemontese o in quello carolingio, o, ancora, durante la ripresa dell'XI secolo? E' suggestiva ipotesi pensare alla spinta, avvenuta in età longobarda e favorita dalla politica regia, quando la presenza pedonense avrebbe allora scavalcato la fortezza di Campomarzio, fulcro delle difese della valle (non dimentichiamo che molti vollero identificare nel territorio di Taggia il distretto del kastron Tabia della De.scriptio orbis romani di Giorgio Ciprio). Ma si può anche pensare che i monaci contribuissero anch'essi con il loro umile e anonimo lavoro alla ripresa avviata allo spirare del X secolo, impresa di cui conosciamo le prime avvisaglie nelle concessioni a livello del vescovo Teodolfo nel 979 delle terre vastatae et sine habitatore relictae. Pur non disponendo di alcun elemento a supporto di qualsivoglia tesi, in ogni caso ci troviamo di fronte allo specchio di una penetrazione dovuta a una vitalità antica dell'istituto monastico.
In dioecesi Niciensi sancti Donati de Piastis, sancti Ferreoli de Maria, sancti Laurenci de Yllonci, sancte Maria de Ylloncia, sancti Petri in Cancio de loco Rigaldi, sancti Genesii de Bolio, et sancti Nicolai de Andobio, ecclesias cum pertinentiis earundem; prioratum sancti Dalmatii de Blora cum pertinentiis suis
In dioecesi Glandecensis sancti Michaelis de Priresto, sanctae Mariae de Salsis, sanctae Peirae de Salsis, sancti Ponti de Salagrifon, et sancti Dalmatii de la Ribrosta, ecclesias cum pertinentiis suis; prioratum sancti Benedicti de Priresto cum pertinentiis suis.
Consideriamo unitamente i due gruppi, poiché per entrambi valgono le stesse considerazioni. Sono località per la maggior parte conosciute dal confronto con la documentazione del Cais de Pierlas, dove le ritroviamo già citate nel XII secolo, come dipendenti della Chiesa nizzarda e notiamo che i priorati sono saldamente inseriti nelle valli che portano a Nizza, occupandone i nodi per il
controllo delle traverse e dei valichi minori, sì da avere libero passaggio da una valle all'altra. Utile per capire i legami da valle a valle è il confronto con le aree di influenza delle minori signorie locali. Si osservino particolarmente le distribuzioni delle signorie, accentrate sul Beuil, con Péone, Toubion, Roure, Marie, llonse, Rigaud, Pierlas, Thiery, Bairols, e su St. Sauveur e Rostaing in Val de Bloure, con Rimplas, Clan, Isola, St. Etienne e St. Dalmas, di cui erano consignori i priori di San Dalmazzo. Ulteriore utile confronto è quello con lo stanziamento degli ordini militari e ospedalieri e con le strutture viarie e religiose: i cartogrammi dimostrano il costante ripetersi di simili situazioni demopolitiche in un ampio arco diacronico (oltre alle pagine del Cais de Pierlas, per l'attestazione dei diritti dell'abbazia si vedano le indicazioni nei regesti del Riberi) .
Nei rapporti di dipendenza e filiazione è emblematico il caso di San Dalmazzo Valdeblore che, a ribadire gli stretti legami delle origini, ripete non solo gli schemi planimetrici dell'abbazia madre, particolarmente già evidenti nella cripta , ma anche l'impianto strutturale, ben messo in evidenza dai restauri degli anni 1978-83, curati dal Trubert (testo integralmente riprodotto dal saggio di G. COCCOLUTO cui si rimanda per ulteriori approfondimenti) .