La MACCHINA FOTOGRAFICA, invenzione peraltro dalla contestata paternità e comunque frutto di quel grande fervore scientifico francese che si esalterà nelle postulazioni del POSITIVISMO, non ha soltanto finito per dare luogo ad una tecnica rappresentativa oggettiva per la realtà ma ha condizionato anche l'espressione artistica: sia perchè ha generato una nuova forma d'arte (appunto quella della fotogafia) sia perchè ha influenzato le arti più antiche, dalla pittura alla letteratura come nel caso delle correnti del NATURALISMO e del VERISMO.
GIOVANNI VERGA (MASSIMO ESPONENTE DEL VERISMO ITALIANO)
IL POSITIVISMO E AUGUSTO COMTE
VERISMO E NATURALISMO
LUIS M. DAGUERRE ricercatore e fotografo, Nasce a Corneilles-en-Parisis in Francia. Pittore e scenografo teatrale, divide con Niépce il merito della scoperta della fotografia alla quale arriva per il suo lavoro di scenografo all'Opera di Parigi, dove utilizza il diorama, una sorta di fondale dipinto con l'aiuto della camera oscura, sul quale vengono proiettate luci e colori di intensità diversa in modo da creare effetti particolari e drammatici.
Nel 1824 inizia a fare degli esperimenti per riuscire a fissare l'immagine ottenuta con la camera oscura.
Dal 1826 al 1827 tiene una corrispondenza con Niépce con cui si associa nel 1829 per mettere in comune le esperienze.A portare Daguerre sulla strada della fotografia furono proprio gli esperimenti fotografici di Niepce, un ufficiale a riposo francese che stava cercando un metodo per realizzare delle litografie senza incidere a mano il disegno sulla pietra.
Nel 1816, dopo vari tentativi, Niepce era riuscito a ottenere delle immagini in negativo su una lastra ricoperta di cloruro d'argento esposta lungamente al sole.
Nel 1837, quattro anni dopo la morte di Niépce, riesce a mettere a punto la tecnica che chiama dagherrotipia.
Daguerre riuscì a migliorare di molto il procedimento lavorando soprattutto sulla nitidezza delle immagini, e rendendo l'operazione più breve: come si può evincere da quelle che sono le più antiche fotografie conosciute, UNA DEL 1837 e poco posteriormente UNA DEL 1838.
L'immagine di un soggetto veniva "impressionata" su una lastra di rame coperta da un sottile strato di ioduro d'argento, fotosensibile, che veniva esposta alla luce del sole per un'ora circa; l'esposizione avveniva in una speciale camera oscura munita di obiettivo, un apparecchio antesignano della macchina fotografica.
Lo sviluppo era ottenuto ponendo la lastra in una scatola contenente vapori di mercurio per circa 20 minuti: i vapori di mercurio infatti si depositavano sulle parti colpite dalla luce in modo da rendere visibile l'immagine latente formata dalla luce sullo strato di ioduro; l'immagine infine era fissata con una soluzione di iposolfito di sodio.
Si otteneva così una immagine del soggetto in positivo, specularmente invertita, visibile solo sotto un particolare angolo visuale, ma che non era riproducibile.
La sua scoperta è resa ufficiale da Arago, con una comunicazione all'Accademia delle Scienze, il 9 agosto del 1939.
Gli viene assegnata una pensione di 6000 franchi annui e riesce a farne assegnare una di 4000 franchi anche al figlio di Niépce.
Il dagherrotipo è accolto con entusiasmo ed è usato soprattutto per il ritratto. In Europa il dagherrotipo resta in auge fino al 1850 circa.
Poi viene sostituito dal calotipo negativo di H. Fox Talbot, mentre in America ha vita più lunga.
Muore a Bry-sur-Marne.
Verga ebbe i natali a Catania nel 1840 da una famiglia di Vizzini e nella stessa città morì nel 1922.
In Sicilia egli visse l'infanzia e la giovinezza sì che potè approfondire al massimo le sue competenze su quell'ambiente isolano che poi avrebbe descritto in molte sue opere.
Trasferitosi poi a Firenze e successivamente a Milano, si rese condapevole dei contrasti fra il nord e la sua terra ed in particolare della gravità della questione sociale dopo l'unità d'Italia.
La consapevolezza della sussistenza di irrisolti problemi lo indusse a soffermare la sua attenzione su alcuni limiti storici del meridione frettolosamente e maldestramente inserito da un'accelerata piemontizzazione nel contesto del neonato regno d'Italia: in particolare della questione meridionale egli studiò i tragici aspetti dell'ignoranza, della miseria e del brigantaggio.
Tali fatti storici influirono nei suoi lavori letterari e vi furono concretati in forza di una sua adesione, dopo un'esperienza letteraria languida e sentimentale in ambito del romanzo borghese, alle postulazioni del VERISMO che il conterraneo critico e romanziere Luigi Capuana (Gli ismi contemporanei) aveva coniato, con SIGNIFICATIVE MUTAZIONI, dal NATURALISMO FRANCESE.
Un'opera dalla critica ritenuta sostanziale per comprendere la conversione del VERGA dal romanzo borghese languido e sentimentale alla produzione veristica è la lunga novella
NEDDA
Vi si traccia la storia di una povera orfana di padre che, facendo la raccoglitrice di olive, si cura della madre ammalata sopportando ogni sorta di umiliazioni.
Morta la madre, Nedda, si innamora di un povero ragazzo da cui ha una bambina, purtroppo gracile che morirà presto: tragica sarà anche la sorte del giovane che, già ammalato, si rompe la schiena cadendo da un albero.
Nedda inaugura la figura del personaggio verghiano di vinto, personaggio che verrà recuperato in modo altamente artistico entro romanzi come i Malavoglia e il Mastro don Gesualdo.
LA POETICA VERGHIANA
Della sua poetica, Verga tratta nella novella Fantasticheria che appartiene alla raccolta di Vita dei campi e che per certi aspetti costituisce un archetipo dei Malavoglia.
All'inizio del Realismo, nella seconda metà dell'ottocento, in Italia si ha la reazione all'idealismo romantico e questa reazione si chiama positivismo in filosofia, realismo in letteratura.
Il realismo è la tendenza, l'aspirazione generale e generica al vero, al reale in modo diverso, parlando spesso della vita come è veramente anche nei suoi aspetti molto nobili che in Francia diede origine a opere come i Miserabili di Victor Hugò; sentirono questa tendenza generica al vero gli Scapigliati con il loro amore dell'orrido, del lugubre, degli aspetti più malsani della società reale.
Mentre il verismo fu come una scuola in cui, questa tendenza generica al vero, ebbe leggi poetiche e precise.
Non esiste una separazione fra le opere scritte prima di Nedda, perchè, per esempio, nelle opere passionali ( Una peccatrice) si parla pure di "vinti" come in -Storia di una Capinera-, è una giovane monacata per forza, che muore disperata; e quelle scritte dopo, perchè Verga ne parla in Fantasticheria (novelle che fanno parte della raccolta Vita dei campi) in cui bisogna farsi piccini per capire le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori e anche quella novella, sempre appartenente a "Vita dei campi", -L'Amante di Gramigna- in cui dice che l'opera d'arte deve sembrare che si è fatta da sè e la mano dello scrittore non si deve vedere, il romanzo deve essere come un fatto reale e spontaneo e seguì, però, in pratica l'impersonalità.
Lo scrittore non deve intromettersi nel racconto, ma nei riguardi della vicenda trattata deve assumere la posizione del narratore extradiegetico cioè esterno alla vicenda che cioè la studia nel momento in cui essa si sviluppa, come un osservatore e descrittore neutrole, quale un fotografo imparziale (da qui l'equpiparazione, nel giudizio del Verga, grande appassionato ante litteram dell'arte della fotografia, della tecnica dell'impersonalità con la tecnica della macchina fotografica).
I ROMANZI DEL CICLO DEI VINTI
Verga aveva pensato di scrivere cinque romanzi che rappresentano il -Ciclo dei vinti- ma soltanto i primi due furono finiti: I malavoglia in cui c'è la lotta per il pane quotidiano; Mastro Don Gesualdo in cui c'è il benessere e si vuole arrivare alla nobiltà; La Duchessa di Leira, in cui c'è la nobiltà, la vanità aristocratica, L'Onorevole Scipioni in cui c'è l'arrivismo (ambizione politica) ed infine L'uomo di lusso che riunisce tutti questi desideri che lo affaticano e lo fanno soffrire (il poeta).
Infatti il Verga stesso dice che in questo ciclo voleva studiare l'ansia del progresso che affatica l'uomo partendo dalle classi più umili per arrivare a quelle più elevate.
Ma tutte queste persone sono dei vinti.
Il Verga riuscì a finire solo i primi due romanzi perchè dopo Mastro Don Gesualdo il pubblico si era allontanato da lui anche per le critiche negative per cui Verga ne soffrì e si chiuse ancora di più ma soprattutto perchè, Verga, sentiva di trovare la vera poesia solo parlando della povera gente.
Il poeta vuole mettere in pratica le leggi del verismo che riguardano l'oggettività e l'impersonalità nel modo seguente: eliminando qualsiasi autobiografismo, cioè cercando di non mettere nei personaggi le proprie passioni personali (come invece successe nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis) non intervenendo con propri giudizi sui fatti e sui personaggi (come invece era successo al Manzoni con la sua ironia) parlando di fatti culturali che possono far vedere la personalità dello scrittore usando un linguaggio lontano dalla tradizione letteraria, una lingua semplice che userebbero gli stessi personaggi nei loro discorsi reali: una lingua, quindi, non dialettale, perchè l'uso del dialetto (non si capirebbe) pieno di sentimento, di psicologia, di modi di pensare dialettali, cioè siciliani: ossia un italiano comprensibile a tutti, un italiano parlato su base toscana, ma rispettando lo spirito e la sintassi del siciliano, quindi un siciliano sollevato in un nuovo e più poetico linguaggio.
Però anche se Verga dice di allontanarsi dalla tradizione letteraria egli ha un grande impegno nel curare la forma, difatti la critica ha parlato di classicità del Verga, cioè di un'espressione pura ed equilibrata.
Riguardo alla sua impersonalità, Verga anche se non esprime chiaramente i propri sentimenti, però questi stessi sentimenti sono continuamente presenti in tutto il racconto, quando si sente il dolore per il destino che non cambia e soprattutto la partecipazione affettuosa e la pietà per le sofferenze dei pescatori e dei contadini.
Quindi il Verga pur volendo fare un'indagine sociale fece un'opera umanissima di poesia, come dice il Russo; mentre gli altri scrittori fornivano documenti umani e scientifici lui dava uomini e sempre secondo Russo, Verga è scrittore morale non perchè diede giudizi morali ma perchè rese umana la vita degli umili, dei vinti e vide in essi un'anima umana, mentre il verismo vedeva soltanto un'insieme di forze materiali.
I temi principali dei romanzi di Verga sono la dura lotta quotidiana per la vita, attaccamento alla casa (I Malavoglia), la passione della "Roba" (Mastro Don Gesualdo).
Infatti i Malavoglia, come dice il Russo, hanno come centro politico "il focolare domestico", sono il poema della fedeltà alla casa, di una fedeltà quasi religiosa alla vita, alle usanze antiche, ai sentimenti semplici, quando si tradisce questa fedeltà ecco che si ha il dramma.
Considerato l’iniziatore del Positivismo, AUGUSTO COMTE nacque in Francia (Parigi) nel 1798. Ben presto iniziò a lavorare come segretario di Saint-Simon, con cui divenne amico e perfezionò la propria cultura filosofica e scientifica. L’auspicata riorganizzazione attraverso cui le scienze conseguono lo stato positivo, doveva, secondo Comte, subire un processo di sviluppo, contraddistinto da tre fasi chiamati stati o stadi: teologico, metafisico, positivo. Nel primo stato, che rappresenta l’infanzia, l’uomo pretende di conoscere le cose per mezzo della fantasia o entità soprannaturali (come Dio nel Cristianesimo). Lo stato metafisico, corrisponde alla giovinezza, l’uomo pretende di conoscere la natura delle cose, non per mezzo di entità soprannaturali, ma entità astratte. L’ultimo stato, rappresenta la maturità, in cui lo scopo fondamentale non è la conoscenza dell’essenza delle cose, ma una conoscenza fenomenica, basata su osservazione ed esperienza. Quest’ultimo stato comporta la realizzazione della filosofia positiva per dare una spiegazione scientifica.
Secondo Comte, tutte le scienze devono giungere allo Stato positivo. Per prima vi giungono le scienze più semplici, in un secondo momento quelle più complesse. Comte distingue inoltre le discipline che trattano materia inorganica (astronomia, fisica , chimica), da quelle che hanno per oggetto materia organica (biologia o fisica organica, sociologia), ritenendo quest’ultime più complesse. Dalla classificazione delle scienze furono escluse:
La matematica (ritenuta scienza fondamentale da cui derivano tutte le altre scienze);
La psicologia (che si interessa dei problemi del pensiero e della psiche, ritenuti da Comte impossibili da descrivere);
La filosofia (scienza particolare con la funzione di coordinare le varie scienze).
La scienza posta al vertice della piramide gerarchica delle discipline è la sociologia.
Essendo la più complessa è l’unica a non aver raggiunto lo stato positivo.
La sociologia si divide in statica e dinamica.
La statica riguarda le strutture permanenti della società (proprietà, famiglia…), la dinamica studia invece le trasformazioni della società nel tempo.
La categoria fondamentale della statica è l’ordine, della dinamica invece è il progresso, ed essendo statica e dinamica due aspetti indiscendibili della sociologia, non è possibile un ordine che non sia finalizzato al progresso, così come non è possibile un progresso che non si realizzi nell’ordine.
Ricostruendo lo sviluppo della società, la parte dinamica della sociologia, propone anche una vera e propria filosofia della storia, scandita nei tre momenti fondamentali già illustrati dalla dottrina dei tre stati.
1. Verismo e crisi del Romanticismo e del Risorgimento.
Questo movimento letterario trae origine dal clima del positivismo francese di A. Comte e del naturalismo letterario francese di E. Zola, di G. Flaubert, dei fratelli De Goncourt. Le tesi e le riflessioni sulla letteratura dei naturalisti francesi furono importate in Italia dal catanese Luigi Capuana, il principale teorico del Verismo italiano, e si affermarono soprattutto nell’ambiente evoluto e moderno di Milano. I principali esponenti del Verismo furono Luigi Capuana, autore di novelle, romanzi (Giacinta e il Marchese di Roccaverdina) e opere teatrali; Federico De Roberto, che nel romanzo I viceré narro le vicende degli Uzeda, nobilissima famiglia siciliana; Matilde Serao, che ritrasse nei suoi romanzi racconti e bozzetti la vita degli ambienti popolari di Napoli; Grazia Deledda che rappresento nei suoi romanzi e nelle sue novelle la vita e gli ambienti della Sardegna. La personalità più importante dal punto di vista artistico fu comunque quella di Giovanni Verga.
Nei suoi aspetti fondamentali, il verismo italiano presenta alcuni aspetti di continuità rispetto al Romanticismo, che poneva alla base della sua poetica il vero come oggetto dell'arte (si pensi al Manzoni e ai manzonisti). Ciò non toglie, tuttavia, che la genesi profonda del Verismo sia, in realtà, nella crisi interna dei Romanticismo, crisi che fu ad un tempo filosofica, politico-sociale e letteraria. La crisi filosofica si manifestò, come si è visto, nel passaggio dall’idealismo assoluto di Hegel alla tesi opposta del materialismo di Marx e Comte.
La crisi politico-sociale nasce dalla delusione storica nei confronti del “tradimento” degli ideali del Risorgimento, i cui risultati si dimostrarono insufficienti e fallimentari rispetto alle aspirazioni delle masse popolari e degli stessi intellettuali. L'epoca degli entusiasmi patriottici era tramontata si apriva ora l'epoca della costruzione della “Nuova Italia” e dunque della risoluzione dei problemi pratici (questione meridionale, sviluppo economico, costruzione di strade e ferrovie, lotta all'analfabetismo, ecc.); ma appunto a questo livello si rivelò il fallimento della borghesia: il popolo, infatti, si trovò sottoposto a un regime incapace di risolvere questi importanti problemi e che, dietro forme apparentemente democratiche e liberali, sotto molti aspetti si presentava non meno oppressore dello straniero. Gli scrittori veristi, infine, percepiscono anche l’esistenza di una crisi letteraria, perché il Romanticismo aveva ormai perduto il vero oggetto dell’arte, cioè la realtà viva della vita, smarrendosi nel sentimentalismo languido, sdolcinato ed artificioso del secondo Romanticismo di Prati e Aleardi.
Risulta evidente come la polemica verista contro la società e la cultura del tempo, con la forte carica innovativa che ne consegue, appaia distinta ma complementare agli atteggiamenti polemici degli scapigliati e di Carducci: al di là delle profonde differenze nelle motivazioni e nelle scelte etiche e letterarie, tutte queste tendenze culturali dimostrano la percezione, da parte del letterato, di un profondo malessere storico ed esistenziale, che determinano nella classe intellettuale profonde trasformazioni del proprio ruolo e della propria funzione sociale.