L'ANTRO DELLA BESTIA
(Confusa paura di Demoni, Uomini Neri, Streghe e Diversi)
"C'è una belva nascosta nell'antro, una bestia assetata di sangue, che aspetta il tuo passaggio, è un animale immondo e osceno che sta da sempre in agguato...non fermarti mai davanti al buco nero che s'apre sulle porte dell'Inferno: alla soglia dell'antro ti attende la bestia, che non hai mai visto, che non conosci se non quando muori...non pensare che questo sia solo un sogno, una fiaba, un racconto...dentro la belva stanno nascoste tutte le diversità che il sapiente deve fuggire": dentro questa sorta di filastrocca, tanto brutta quanto efficiente per spaventare i bambini, si nascondono in qualche modo gli incubi di Halloween, la vigilia d'Ognissanti, in ambito anglossasone, americano, calvinista e puritano vissuta sull' inconsapevole recupero di mitologie orrorifiche, molto più antiche del Cristianesimo cui in teoria la ricorrenza dovrebbe appartenere. In queste parole, come in quelle di tante consimili formule (e non si dimentichi, seppur in altro contesto, l'ammonitrice simbologia della fiaba di "Cappuccetto Rosso"), si cela quindi il retaggio di paure arcaiche e soprattutto il timore per quanto sfugge alla norma morale e teologica del sistema in auge di cui si fa parte.
E. seppur con minor coloriture, lo stesso si riscontra in gran parte del folklore cattolico e latino: l'antro della belva diviene magari - come nel borgo di Dolceacqua - per non andare molto lontano da Ventimiglia sede dell'Aprosiana - il buco del Diavolo (individuabile sopra una località detta Portu), dove un macigno consacrato coll'incisione di una croce, opera forse dei Benedettini di un tempo quasi dimenticato, avrebbe dovuto imprigionare per l'eternità il tentatore delle notti: e, così di seguito lungo percorsi d'altura e poi di valle, sino all'agro di Susa, dove il Maligno, nascosto fra le acque del Cenischia presso Novalesa, sarebbe stato pronto ad afferrare gli inermi viandanti od ancora, nelle relative vicinanze, fino all'Orrido di Foresto, dove erano esistiti templi pagani, e dove fra gli anfratti delle rocce la tradizione popolare ravvisò a lungo i segni degli artigli d'un drago infernale inutilmente sbucato dall'ombra ad aggredire il sempre vincente S.Martino [R.CAPACCIO - B.DURANTE, Marciando per le Alpi - Il ponente italiano durante la guerra di successione austriaca (1742 - 1748), Cavallermaggiore, Gribaudo (ora Paravia-Gribaudo), 1993, p. 231: sterminati, come suggerisce l'indagine toponomastica, furono in ambiente cattolico gli insediamenti cultuali pagani, in questo caso di tradizione celto-ligure-romana con qualche estrema interferenza druidica, che il Cristianesimo profanò - seguendo i dettami di papa Gregorio Magno e valendosi dell'apostolato benedettino - esorcizzandone in negativo ogni superstite traccia di spiritualità, spesso ricorrendo, in un circolo quasi vizioso di rovesciamenti e sovrapposizioni liturgiche, all'idea della "grotta", dell'"antro", o del "gorgo divoratore" - che nel mondo delle acque è poi equivalente perfetto del buco nero in cui si celerebbe spesso e volentieri il "male", qualunque sia la forma assunta, volta per volta) .
In primo luogo verrebbe spontaneo cancellare queste memorie, riandando colla mente alle sciocchezze d'un certo occultismo contemporaneo, costruito appunto sui ruderi di quel vecchio folklore, ma poi, a ben leggere, si intravvedono paure e timori reali, trasformati in miti e favole angoscianti dalla tradizione popolare: e, ad un'analisi ancora più attenta - insensibile alle primigenie valenze salvifiche conferite, nell'opinione corrente, a siffatte "litanie" e "leggende" - si individuano spettri ben più reali dell'Orco fiabesco, dell'Uomo Nero o (ultimo in materia, ma spettacolarmente così energico da "emigrare" entro una pur superficiale visione orrorifica mediterranea) di Nightmare, l'ossessione che proprio da Halloween trae oggi la valenza del gioco esorcizzante quanto nel passato costituiva la forma estrema dell'angoscia.
Questi spettri, in realtà, hanno da sempre un buon retroterra nell'inconscio collettivo che comporta l'avversione per ogni forma di Diversità: la "belva dell'antro", come si è appena detto sopra, è davvero quanto non si conosce nè in verità si vuol conoscere perchè costituisce qualche cosa di diverso rispetto alla presunta Normalità della morale che governa, per settori e quasi a frammenti, il mondo conosciuto, quello cui però, caso per caso, si appartiene e che comunque si deve rispettare, poco importa quindi che sia una morale cattolica, luterana o calvinista od altro ancora, quasi all'infinito se mai fosse possibile.
Nel titolo di questo lavoro si elencano, solo in parte, alcune Diversità che sono state (e forse talora sono) alla base di autentiche fobie collettive, appunto delle tante belve nascoste nell'antro delle coscienze: e sono in più di un caso paure indomabili, che vanno da quelle medievali per i Demoni sin ai rigurgiti tremebondi di un Razzismo che nasce sempre e comunque dalla paura verso quanto e, soprattutto, verso chi non si conosce.
Riconducendo la riflessione in termini razionali si può dire che tutto il lavoro che segue è in fondo una costruzione storica e filosofica sul quasi sempre impossibile rapporto tra uomo-norma e uomo-scarto dalla norma: e già questi stessi presupposti del ragionamento non sembrano fausti e probabilmente non sarà mai loro destino diventarlo!
In teoria un discorso sulla Diversità non si dovrebbe neppure organizzare perché l'individuo intelligente (non stiamo neppure a scomodare il credente o l'uomo di fede vera!) dovrebbe trovarsi nella facile condizione di negare valore alla Diversità, disperdendone i significati alla luce di almeno cento filosofie: di modo che, al limite, si potrebbe anche affermare che se uno si mette a discutere dei Diversi - quando ne riprova pubblicamente la codificazione e per onestà intellettuale e per credo morale - in definitiva qualche dubbio, nascostamente e forse impudicamente, in sè pur lo deve invece nutrire, magari su un qualsivoglia, anche minimo, valore involontariamente conferito alle Diversità.
Per troncare alla radice un pensiero che pare già evolversi nei miasmi della tautologia, bisogna dire che chiunque, per quanto impegnato e perfetto sia [cosa che non credo mi riguardi!] può anche, personalmente e in senso teoretico, negare valore filosofico o, meglio ancora, morale all'idea di Diversità - pure alla faccia di Platone e del platonismo tutto - ma che, purtroppo, egli non sarà mai in grado di rifiutarle consistenza storica, cioè un'efficienza, resistente con straordinaria tenacia sin all'oggi; come a dire che "se posso ben sostenere che non esistono un uomo bianco ed un uomo nero diversi per colore, diritti e quindi stato etico-sociale ma solo due uomini assolutamente uguali per quanto distinti da elementi somatici ininfluenti sul complesso filosofico del diritto, alla stessa maniera non posso negare, che per secoli e intere civiltà, questa e tante altre differenze hanno costituito, e costituiscono, un modo certamente deprecabile quanto drammaticamente reale, di concepire e sclerotizzare, a favore di una specifica etnia dominante, una particolare socialità".
Ed ecco allora la ragion prima di questo lungo saggio che vuole ricucire la storia delle Diversità, tanto biasimevoli a dirsi quanto sentite in molteplici contesti culturali, e studiare nella loro incredibile varietà parte dei limiti umani che si son superati e parte fra quelli che ancora si debbono sconfiggere, per sconfiggere ogni volta un pò di più (per sempre ed in maniera definitiva - lo si è già detto - sembra quasi un'utopia, al giorno d'oggi almeno!) la "belva che sta nell'antro" e che ha creato nel passato i Cacciatori di streghe come in un relativo presente ha salvaguardato i Cacciatori di Negri mascherati da frati guerrieri nel circolo superstizioso dello squallido Ku-Klux-Klan.
Questo per premessa, ma il discorso è lungo ed anche settoriale, eminentemente per necessità di spazio: ma, poichè l'avversione per chi non è "come noi" e quindi " come si dovrebbe" (sic) è ancora molto diffusa e si ramifica tuttora, con sorprendente vigore fra giovani anche acculturati , vale la pena di ripercorrere il dibattito sulle Diversità - estremizzato e divenuto quasi angosciante nella frenetica età intermedia e in particolare fra '500 e '600 invece che, come s'usa credere ed insegnare, nel Medioevo - frequentando con una certa attenzione lo smisurato materiale documentario che su tale questione può offrire una monumentale biblioteca storica come è proprio l'Aprosiana di Ventimiglia.