cultura barocca

LODOVICO ADIMARI

Ora andiamo oltre [scrive ancora Dino Provensal in questo suo fondamentale studio su L. Adimari].
Il di 8 giugno il Gran duca Cosimo ricevette questa lettera inviatagli in gran segretezza dal Principe di Carrara:
"Ser.mo Sig. mio Pron. Col.mo/ Fece hieri ricorso alla presenza mia per mezzo di questo Padre Guardiano de' Cappuccini, capitato a caso a Pietra Santa, la Moglie del S. Lodovico Adimari, rappresentando le violenze del Marito che seco più volte si era dichiarato di volerla morta; et acciocché non apparisse la violenza, ha asserito la medesima al detto P. Guardiano, che da qualche giorno in qua la forzava col ferro alla mano a prendere sera, e mattina certa bevanda. Considerato da me caso tanto deplorabile, risolsi questa mattina spedire al Sig. Maggiore Navarrette un mio confidente con lettera remissiva, come nell' annessa copia, rimet tendomi poi all'istesso circa il prendere le riso lutioni, che più havesse stimato opportune la sua prudenza per assicurare la Vita alla Dama, che poi mi sarei pigliato l' assunto di raguagliare V. A. dell' urgenza del caso, che mi haveva indotto a ricorrere a lui per il pronto rimedio cosi richiedendo la qualità  dell' affare, già  che a mio credere la reiterata bevanda, et il cattivo stato della Dama non dava tempo di spedire a V. A. In questo punto ricevo dal S. Navarrette la risposta con la notitia dell' esecutione che per maggior distintione rimetto a V. A. per staffetta; supplicando humilmente l' A. V. a gradire in questo fatto la riverentissima attentione e li riflessi verso le angustie della Dama suddita di V. A. che supplico per il totale sollievo compartirle l'efficacissima sua protetione, e sicurezza, non solo per lei stessa, quanto per il soggietto, per il quale è insorta la gelosia mentre questo pure può rimanere sottoposto a pericolo di Vita, stante le dichiarationi che si presentono ne habbia tatto il med.o S. Adimari. Degnisi V. A. non farmi autore di tali notitie, et honorarmi di molti comandi e della continuata buona gratia. Fa cendo intanto all' A. V.ra hum.a riv.ia/ Di Massa Li 8 Giugno 1685/ Di V. A. Ser.ma/ Um.mo Dev.mo et oblig.mo Ser.e/ Il Principe di Carrara./ [Nota = Questa lettera è contenuta nel R. Arch. di St. di Firenze. (Archivio Metliceo S. A, S, Baroni e SS.ri d' Ecc.za 1683-87. Lettere e Minute. i044, 290). La minuta della lettera è nel R. Arch. di St, di Massa, Sezione Arch. Ducale: Carteggio del Sig. Carlo II, principe di Carrara ad annum. (Col nome di Principe di Carrara designavasi l' erede presuntivo del Duca di Massa). La minuta è uguale alla lettera, salvo differenze insignificanti: in luogo di maggiore Navarrette è¨ scritto signor N.]
E quest'altra vi era acclusa:
(Copia)
"Ill. Sig.e / Si tratta di un caso di urgentiss.ma qualità , che ha bisogno della Divina mano, e della gran prudenza di V. S. per impedirne l' effetto, al quale vi è¨ poco tempo per il rimedio. Al Cancelliere Colombi che ne resta pienamente da me informato in tutta confidenza, si compiaccerà  V. S. prestar intiera fede pregandola di custodire in sommo secreto l'affare. Si contenti adunque adoprarsi in tutte le maniere a lei possibili perché alla sua risposta raguaglierà poi il Ser.mo Gran Duca, acciò dall'autorità  di S. A. si piglino li ripieghi, e si proceda nei modi più proprij. Attendo quanto prima risposta per scrivere a Fiorenza adeguatamente, e rappresentare alla med.a A. li giusti motivi dell' instanze, che a V. S. ne faccio; mentre humilmente confido, che la sua somma bontà , e benignità  sia per degnarsi non solo di gradirli, ma ancora approvarli. Prego inoltre la gentilezza di V. S. non farmi autore, nè consapevole della presente materia per restarle infinitamente obligato, e le bacio le mani./ Massa li 5 Giugno 1685./ Ser.re Il Prin. di Carrara./ [Nota = R. Arch. di St. di Firenze. Filzi cit., e. 291.]
Ecco ora la lettera del Navarrette al Princicipe di Carrara:
"Ecc.mo Sig.re Sig.re e Pad.ne Col.mo/ In esecutione delli cenni di V. Ecc.za convenni con questo Sig. Commissario del modo di rimediare all'inconveniente accennatomi, onde subito fu posto in carcere il Sig. Lodovico Adimari, et in questo punto sono andati li famigli per fermare anche la cameriera (che credo seguirà ) et acciò la moglie del suddetto signore non resti sola, ha havuto il medesimo Sig.re Commissario la bontà  di mandarci subito la sua suocera, quale l' assi sterà , et intanto si farà  visitare dal medico per remediare a quello si potrà . Suppongo che V. Ecc.za haverà la bontà  di dar parte al Ser.mo Gran Duca per espresso, che cosi risolvendo. La supplico che voglia compiacersi ordinare alla staffetta, che mi faccia motto, acciò con tale pronta occasione possa ancor io adempiere al mio debito con raguagliare del tutto S. A. Ser.ma et in caso la staffetta passi di notte potrà  picchiare a questa porta della Terra, ch' io spedirà per farla introdurre; e troverà  le lettere pronte. Non so se cosi haverò ben servita l'Ecc.za V.ra alla quale facendo humil.ma riverenza, con il più humile ossequio l'accerto viverà sempre l'opera della giustizia.
di Pietra Santa li 8 giugno 1685 ore 23./
Di V. Ecc.za alla quale soggiungo che anche/ la cameriera è prigione/ Umil.mo et Obbl.mo Ser.re/ Fernando Navarrette/ [Nota = L' originale di questa lettera si trova nel R. Archivio di Stato di Massa, Carteggio cit. Nello stesso Carteggio noto la seguente lettera trascrittami insieme agli altri documenti di Massa dal conte d.r Luigi Staffetti al quale mi piace render le più vive grazie per la sua cortesia squisita : "Ecc.mo Sig.re/ Ricevuta ora la lettera delT E. V. subito son partito per Pietrasanta e con la maggiore segretezza possibile ho la medesima recquietata alle mani del Sig. Comandante Navar retti, quale incontinenti ha mandato a chiamare questo Sig. Commissario in Rocca, e discorsi colà  molti modi per sortir l' intento dall' E. V. bramato, si è fermato, di fare arrestare col braccio della Giustizia il Sig. Adimari, qui porre in sicuro la sua Sig.ra Consorte; e dati dal Sig. Commissario gli ordini opportuni è riuscito farlo prigione nel palazzo di Giustizia, e poscia fatte pigliare le donne che accudivano al servizio della Signora: e la medesima è¨ stata posta in sicuro nella mia casa dove habito, servita e guardata dal Sig. Commissario, sua Sig.ra suocera e consorte; ne porto pertanto a V. E. le notizie per il presente espresso, non havendo havuto luogo di farlo con lo spedito dal Sig. Comandante perché mi è convenuto per salvare l' apparenza tornare a Pietra in calesse ad incontrare le mie sorelle per essere creduto tornare con esse mentre col fine resto col baciarle humilmente le vesti. / Di V. E. Humil. mo Servitore devot. mo / Battista Colombi. / Pietra Santa addi 18 Giugno 1685".]
La lettera seguente, scritta al Principe di Carrara, muta ad un tratto quanto pareva risultare dai documenti veduti finora:
" Ecc.mo Sig.re Sig.re e Padrone Col.mo/ Comparve questa notte alle ore cinque la staffetta di V. Ecc.za, lessi la spedizione, e sigillata la riconsegnai alla medesima, con lettera scritta da questo Sig. Commissario, e me assieme, diretta all'Ill.mo Sig. Segretario Panciatichi, che conteneva l' instanza fattami da V. Ecc.za et il deposto del Sig. Cancelliere Colombi. A suo tempo non mancherò rappresentarle quello ricaverò dalla risposta, credendo certo, che il Ser.mo Gran Duca approverà  il fatto, essendo tutto a fine di bene. La dama si è fatta condurre in casa il Sig. Commissario, dove sarà  ben governata, e iersera la feci visitare da questi medici, quali trovai già  informati, in parte, del fatto ; ben è vero che dissero non credevono che vi fusse novità  di veleno e tra tanto li ordinarono robba infrescativa. Che V. Ecc.za habbia la bontà  di ringraziarmi dell'operato, lo riconosco dalla di lei grande generosità  d'animo, che compartisce simile honore.a chi non ha merito alcuno, ma solo l'obbligo di servirla, come sempre farà. Che quanto in risposta delle due humanissime sue mi resta il supplicarla dell' honore delli suoi da me stimat.mi comandi, che cosi conoscerò havere la grazia di V. Ecc.za. Alla quale soggiungo, che il negozio non lo sa che il Sig. Commessario et io, e si terrà celatissimo. E facendole humil.ma riverenza l'accerto che sarà sempre ambizioso di vivere di V. Ecc.za/ Di Pietra Santa adi 9 Giugno 1685 / Humil.mo et Obb.mo Sev.re/ Fernando Navarrette"
Dunque l' Adimari era innocente e sua moglie una perfida calunniatrice? Prima di rispondere a questa domanda, dovremo esaminar qualche documento ancora. L' 11 giugno lo zelante Navarrette cosi scriveva al Principe:
" Ecc.mo Sig.re Sig.re e Pad.ne Col.mo/ La risposta del negozio consaputo da V. Ecc.a è stata diretta a questo Sig. Commessario, che però egli ha potuto prima di me avvisarli quanto in quella si conteneva (come il medesimo mi dice haver fatto). Non ostante per mio debito le do parte come non solo il Padrone Ser.mo ha approvato quanto qui s'è operato nel medesimo negozio, ma di più ordinato se ne faccia processo, come già  si è¨ cominciato a fare, con porre in sicuro anche tutti li familiari del Cancelliere consaputo. Nella medesima lettera scritta al Sig. Commessario, impone al medesimo che mi dica, io voglia avvisare a V. Ecc.a , come non ha il Ser.mo Gran Duca potuto prontamente risponderle, ma che lo haverebbe fatto con il primo ordinario. Questo è¨ quanto posso per adesso accennarle, in esecuzione delli di lei comandi, delli quali mentre umilmente la supplico, con il più humil ossequio, mi confesso indelebile di V.a Sig.a Ecc.a/ Di Pietra Santa il di 11 giugno 1685 / Humil.mo et Obblig.mo Servitore/ Fernando Navarrette"
E finalmente abbiamo la parola del Granduca il quale scriveva al Principe di Carrara:
"Ill.mo et Ecc.mo Signore. / Con la staffetta speditami da V. Ecc.za ricevei la sua lettera delli 10, e gli altri fogli a quella uniti, onde compresi la natura del Caso di Pietrasanta, che diede all' Ecc.za V. motivo di interporvi la cortese efficacia del suo zelo, col fine lodevolissimo di cooperare al rimedio di maggior male. Anche il Maggior Navarretti ha dato parte di ciò ch'era seguito per gli Atti di quel Tribunale, né ho io potuto non approvarli, mentre sono conformi alle regole di giustizia, e si tratta di cosa grave, che richiedeva prontezza d'espedienti, e di cautele. S'andrà  adesso procedendo in causa secondo l'esigenza della materia: e sia pure certa V. Ecc.za che non verrà  punto cimentato il suo nome, e ch'io saprò custodire, come conviene, la confidenza da lei usatami per tutti quei rispetti che la qualitò  sua, e il fatto stesso persuadono. Mentre dandole grazie dell' obbligante pensiero, ch'ella volse avere di conformarsi in ciò pure a' miei sentimenti, saranno questi sempre disposti a ricambiare in ogni opportunità  di suo servizio una si gentil premura; e con la stima che devo al suo merito, resto augurando all' Ecc.a V. dal cielo tutte le più felici avventure/ Dalla Pietraia 12 giugno 1685/ Aff.mo di V. Ecc.za/ Il Gran Duca di Toscana".
Che cosa disse la voce pubblica di un fatto cosi strano e grave, l'arresto di un Capitano nella sede stessa del suo Capitanato?
Ecco quanto si legge nel Diario del Sausier:
"Ricordo come nel mentovato mese ed anno fu d'ordine del Gran Duca esiliato dagli Stati di S. A. S. sotto pena della testa il .Sig. Lodovico Adimari Gentiluomo Fiorentino di bellissimo ingegno, ma di pochissimo cervello, il quale era in governo a Pietra Santa. La causa non si poté¨ mai chiaramente sapere: si disse però pubblicamente, che egli aveva tentato di avvelenar la moglie ed ella lo querelò, e fu processato. La cagione per che egli tentò d'avvelenarla fu l'essere egli innamorato d' una vedova di quel luogo della quale si disse, ch' egli aveva avuto un figliuolo, il quale aveva fatto morire con aver anco promesso a detta vedova di volerla sposare, ogni volta che gli venisse dinnanzi la moglie la quale in effetto s' ammalò di gravissima infermità . Al qual tempo d'ordine di S. A. egli fu fatto prigioniero in detto luogo, e vi fu tenuto Anche la moglie fu risanicata, e ritornata in Firenze a casa del Zio che era un Cerbini Cancelliere della Curia del Nunzio, e poco dopo entrò in un Convento, e l' Adimari, scarcerato ed esiliato, se n'andò a Lucca dove tutta via dimora. Questo Adimari è l'ultimo avanzo di quei IV Gentiluomini, che nella Chiesa di S. Francesco di Paola fecero scendere di Pulpito uno di quei padri che predicava, essendo gli altri tre stati ammazzati, che uno fu il Cav. Giuliano Ricasoli Rucellai, l' altro l' Abate Cepperelli et il Sig. Bartolomeo Tornaquinci."
Abbiamo citato il diario del Sausier perché ¨ quello che narra il fatto più diffusamente. I diarii del Settimanni, del Pastoso e del Bonazzini raccontano il fatto quasi con le stesse parole. [Nello stesso diario del Sausier è scritto: " il 21 marzo 1669 l' abate Cepperelli fu ammazzato dicesi dal Cav. Giovanni Antonio Rossi nel canto di Via delle Carrette e di via Fiesolana." - Diario del Sausier ms. nella Biblioteca Moreuiana di Firenze, Voi. VI. - Vol. XII, pag. 497. - Ms. Palatino-Capponiano 55 della Nazionale di Firenze, pp. 296-97. Questo diario va dal 10 dicembre 1640 al 5 giugno 1690. Il Pastoso è mons. Piero Dini arcivescovo di Fermo. Di questo diario dà un' accurata notizia pubblicandone due aneddoti Pietro Bioazzi (Esercitazioni bibliografiche. Firenze, Le Mounier, 1859. II, V.). - Bisdosso già  cit., pp. 382-83. ].
Soltanto, prima di ricordare l'altra marachella dell'Adimari, l'ingiuria fatta contro il predicatore, il Settimanni avverte: "Questo Adimari era un Gentiluomo letterato, e ottimo Dicitore in Rime eziandio all' improvviso ma altiero, e di cattivi costumi". [Nota = E curioso che tutti i diaristi pongano il fatto nel mese di luglio, meutre avvenne indubbiamente nel giugno, come risulta dalle lettere scambiate fra il Granduca e il Principe di Carrara. Penso che l' errore di un diarista il quale scriveva qualche tempo dopo il fatto sia stato riprodotto da tutti gli altri, poiché, come ho detto, quei diarii narrano il fatto quasi con le stesse parole].
Avendo finora udito prima l' Adimari, poi i suoi accusatori, poi la voce pubblica, è giusto che parli anche la difesa.
Cosi Pier Capponi, gentiluomo e amico intimo dell'Adimari, scriveva a Caril Antonio Gondi, uno dei segretarii del Granduca:
Ill.mo Sig.re mio Pron. Col.mo/ Con il più vivo sentimento dell' animo sono a dar parte a V. S. Ill.ma come questa mattina è venuto a mia notizia, che la sera degl' 8 del corrente alle 23 ore in pubblica piazza di Pietra Santa dal Bargello di quel luogo fu fatto prigione il Sig Adimari (per quanto disse) d'ordine di S. A. S. Quale io sia rimasto, non mi diffonderà a significarlo a V. S. III.ma alla quale basterà  dire, che è mio Amico, e per tale lo riconosco fin tanto, che non mi costi [sic] esser reo di cose che mi obblighino a scordarmi, ch'egli sia stato tale; la pratica però, che per quasi diciotto anni ho havuta con lui, non mi lascia credere, ch'egli possa haver fatte cose indegne, voglio ancora sperare, che non habbia commesso delitti capitali, onde si deva procurare, che la pena non sia tale, come senza fallo diverrà con la sola ritenzione in segrete in tale stagione in Pietra Santa in suggetto ancora convalescente. La stima che V. S Ill.ma ha dimostrato di questo povero Cav."* mi fa pigliare la confidenza di supplicarla a volere indagare la causa di questa resoluzione, e somministrarmi qualche lume et aiuto per soccorrere un amico (se però è tale, et in grado che cosi possa continuarlo a chiamare) assicurando V. S. III.ma che la perdita d' un tal soggetto, non sarebbe tanto piccola da  non compiangersi ancora da chi con lui non ha interesse alcuno; Piaccia al Sig.re Dio, che sia luogo alla clemenza del Ser.mo P.rone, acciò possa compassionare un povero Cav.re con tre piccoli flgliolini [Nota: Due maschi e una bambina: di questa finora non avevamo avuto notizia: la prima notizia intorno ad essa è data da un documento lucchese da noi pubblicato più innanzi a p. 101] senza altro assegnamento che le sue virtù. Starò attendendo qualche avviso dalla benignità  di V. S. Ill.ma almeno di consiglio per sapere come posso contenermi e facendoli umiliss.ma reverenza resto/ Di V. S. Ill.ma/ Firenze 12 Giu. 1685.
Dev.mo et Obblig.mo Ser. Vero Pier Capponi"
[Questa lettera si trova nella filza Medicea 1609, Carteggio del Segretario Carl' Antonio Gondi (R. Arch. di Stato di Firenze)].
C'è ¨ tutto il doloroso stupore, lo sbalordimento, direi, di chi ode accusare una persona reputata assolutamente onesta.
E ora diciamo poche parole noi. Può far sorridere leggere nel diario del Salvini (questi era amico dell' Adimari) a proposito del ritorno dall' esilio del nostro poeta: "... venne in Firenze Lodovico Adimari che era stato alcuni anni in esilio per alcune minchionerie fatte [Diario di Salvino Salvini. (Ms. Marucelliauo A. 139)].
Si, veramente si trattava di minchionerie!
Ma si noti che il Salvini stesso, pur adoprando la parola più mite che fosse possibile, non nega la colpa dell' Adimari. Si noti ancora quel che abbiamo fatto rilevar prima, cioè¨ che il contegno dell' Adimari verso la vedova pareva strano assai e più indulgente che a buon giudice non convenga: e più strano ancora è¨ l'accanimento suo contro quel povero diavolo che aveva avuto il coraggio di lanciare il suo j' accuse sfidando tutto e tutti. Inoltre il lettore avrà  forse osservato che l' Adimari si serve sempre della signora Brigida Gerini per esaminare la donna, di quella signora Gerini la quale (v. lett. 21 giugno 1684) par che fosse sua amica e che questa dapprima non ottiene alcuna confessione non solo, ma pare anche possa accertare che l'imputata non è incinta (lett. 27 agosto 1684). Poi ad un tratto, quando l'aborto è già  avvenuto, non si sa come la vedova confessi tutto molto facilmente alla Gerini.
Tutto questo noi diciamo perché le lettere relative alla vedova di Bozzano e l'accusa terribile che piomba sul capo dell' Adimari ci sembrano essere in relazione stretta: altrimenti non avremmo neppure pubblicato quelle lettere le quali darebbero poca luce per chi come noi vuole studiare la vita dell' Adimari. Ma la relazione fra quelle lettere e l'accusa fatta a Lodovico a noi pare, come abbiam detto, assai stretta: giudichi in ogni modo chi legge. ([Nota = Alcuno osserverà  che, a quanto pare dalla lettera senza data che comincia " Dopo la diligenze etc." la vedova avrebbe confessato di essere stata l' amante del prete[scrive ancora Dino Provensal in questo suo fondamentale studio su L. Adimari]. E' vero, ma poiché noi qui raccogliamo le prove e gli indizii per un processo relativo all' Adimari, dobbiamo anche ammetter la possibilità  di una menzogna di lui].
Rimane l'altro fatto non meno grave: il tentato uxoricidio. Anche qui abbiamo gravi dubbii. Tutte le prove in favore ed a carico dell' Adimari già  le abbiamo esposte pubblicando i documenti. Certo è¨ notevole che i medici dicessero "che non vi fusse novità  di veleno" e si contentassero di dare alla donna "robba rinfrescativa" . [ Lett. del Navarrette (9 giugno 1685) a p. 87. - V. lett. del Principe di Carrara (8 giugno) a p. 83] .
Ma poichè, come risulta dalla testimonianza della Maria, il veleno le era stato propinato solo " da qualche giorno" e per l'appunto nel giorno in cui era stata visitata dai medici non lo aveva bevuto [ota = Infatti il giorno 8 giugno (v. lett. del Navarrette a p. 85) era stato incarcerato l'Adimari il quale, secondo la testimonianza della Maria, soleva dare a questa il veleno ogni sera e la donna fu visitata dai medici la sera di quel giorno 8 (hiersera dice la lettera scritta il dì 9 dal Navarrette e pubblicata da noi a p. 83)].Può darsi che i medici non abbiano saputo scoprire Fazione venefica: Inoltre sarebbe strano che fossero inventate le minacce di morte fatte dall' Adimari alla moglie non solo, ma al supposto suo amante [Nota = V. lett. del Principe di Carrara (8 giugno) a p. 87].
Vogliamo per debito d' imparzialità riferire non una testimonianza, (che ormai non ne abbiamo più) ma un giudizio personale, secondo noi di pochissimo valore, dato dal Passerini in torno al fatto [Mss, Passerini nella Bibliot. Naz. di Firenze, n. 157 = "Fondo Passerini": collezione donata nel 1877 da Luigi Passerini, comprende 235 mss., 4438 voll. e 2640 opuscoli. Collezione genealogica Passerini. Indice delle famiglie nobili (Sala Mss. Cat. 8) Inventario topografico a schede, fino al n° 230 (Uff. Mss. Cassetta 44) - (M. Scarlino), Repertorio numerico compilato in data 25 agosto 1976 Sala Mss. Vacchetta, cc.22-25. P. O. Kristeller, Iter italicum, I (London-Leiden 1963), p. 169]
Il Passerini il quale, non sappiamo con quanto fondamento, dice che l' Adimari con la moglie visse in continua discordia così narra il fatto di cui ci occupiamo: Per opera di lei [della moglie] Lodovico fu esiliato nel 1685, appena tornato dal governo di Pietradera, accusato di averle propinato il veleno per sbarazzarsene, a fine di sposare una donna plebea che lo aveva reso padre di un figlio che era stato soffocato in culla. Ma sembra pure che la moglie accusatrice non fosse innocente perché ad istanza di lui fu racchiusa nel Convento di San Girolamo sulla Costa.
Abbiamo detto che il giudizio ci sembra di poco valore, in primo luogo perché non era strano in quei tempi che una giovine donna separata dal marito si rinchiudesse in convento per iscansare i pericoli del mondo [Nota = Meno strano poi è il caso trattandosi della
Maria Cerbini Buonaccorsi che era, come dicono i diaristi, nipote del Cancelliere della Curia del Nunzio] ; secondariamente perché la vita dell' Adimari scritta dal Passerini ha non pochi errori di fatto [Il Passerini erra, per esempio, quando dice che l Adimari mori il 22 luglio 1708 mentre tutti i diaristi contemporanei pongono la data della morte ai 23 giugno, data ripetuta poi dal Negri e dagli altri biografi. Inoltre dice, senza citar la fonte, che l' Adimari ad istanza di Luigi XIV fu richiamato dall'esilio; notizia di dubbia autenticità ; e non cita neppur la fonte asserendo (egli solo) che fra i due coniugi ci fu continua discordia.
Cosi ancora erra il Passerini dicendo che la moglie dell' Adimari mori nel 1722, mentre mori (secondo il Registro di Morti magliabechiano cit. e tutti i genealogisti) il 23 dicembre 1723. Un altro errore fa circa il secondo matrimonio della Maria Cerbini: ma di ciò a suo tempo. Del resto, se accettassimo la testimonianza del Passerini, l' Adimari non solo non sarebbe scagionato delle colpe appostegli, ma apparirebbe per di più infanticida o complice per infanticidio].
E poi, l' accusare la moglie salva forse il marito? A noi pare piuttosto che l' infedeltà  della donna sia un motivo per creder possibile la gelosia dell' Adimari con le delittuose conseguenze.
E qui siamo costretti ad abbandonare la questione perché non abbiamo alcun'altra prova od indizio da porre innanzi. Il processo dell' Adimari fu vanamente cercato e fatto cercare da noi negli archivi di Firenze, di Pisa, di Lucca, di Massa, di Pietrasanta. In tutti questi archivii abbiamo rinvenuto qualche notiziola che riferiamo lungo il corso del nostro studio, ma il processo pare introvabile. Fu soppresso per ordine del Gran duca trattandosi di un gentiluomo di famiglia illustre [quindi in funzione dei previlegi di casta e foro]? Non possiamo rispondere con sicurezza a questa domanda perché¨, com'è¨ noto, troppo incompleto è¨ ancora l' ordinamento interno dei nostri archivii perché¨ qualche documento cercato a lungo invano non possa ad un tratto venir fuori. Del resto, come vedremo, questa non è¨ la sola lacuna che noi abbiamo riscontrato là  ove credevamo sicuramente di dover trovare carte relative all' Adimari.
Non abbiamo dunque più né prove né indizii, ma non possiamo fare a meno di osservare una coincidenza veramente singolare fra l'accusa fatta all' Adimari e un passo delle satire di lui.
Prima e dopo l' Adimari [scrive ancora Dino Provensal] da 'parecchi scrittori misogini è¨ stato detto che la donna dev'esser bastonata, parecchi han detto che è dolce la morte della moglie, come il mordace poeta greco, (Ipponatte) qualcuno, in ischerzo però, può anche aver consigliato di ucciderla. Ma chi può mai, con l'intento di apparire scrittore morale e con fine educativo, consigliare di avvelenare la moglie? Non so se tale idea sia mai venuta in mente ad alcuno di quei tanti drammaturghi i quali hanno preso a tema l' infedeltà  della donna e l' uxoricidio. La morte altrui cagionata con un'arme può approvarsi da chi conserva in sè per atavica trasmissione i più barbari pregiudizii. Ma il veleno? Ebbene, Lodovico Adimari così scrive nelle sue satire:

Quando femmina rea la man si toglie,
Debbe il marito oprar fune e balestra.
Ferro e Veleno a rintuzzar sue voglie;

E se il pugnai vien manco alla sua destra,
Se fia poco il bastone al fiero assalto.
Non fia che manchi in casa una finestra


[Adimari. Satire. Londra (Livorno) 1788, pp. 86-87 = (noi ci valiamo della II edizione delle "Satire" del 1764). Queste parole furon male intarpretate per una evidente svista dal chiaro prof. A. Belloni nel suo bel lavoro II Seicento (Milano, Vallardi, s. a., p. 215). Egli infatti scrive: ... ai mariti [secondo l' Adimari] non resta altro scampo che di gettarsi dalla finestra: (Sat. II). Ora, i vv. della satira ii che noi abbiamo riportato nel testo hanno certamente il significato attribuito loro .da noi e non quello supposto dal Belloni. Per chi non ne fosse persuaso, citiamo qui i versi che seguono a quelli riportati sopra e che spiegano ancor meglio il concetto dell' Adimari:
Donna che poggia con l' ardir troppo alto,
Che ha lieve il capo ed al cervello ha 'l'ale,
Da Planzio impari a far d' Apronia il salto
]
Ferro e veleno dice l' Adimari, E il Principe di Carrara scrive: ... la forzava col ferro al la mano a prendere sera e mattina certa bevanda [ V. la lett. del dì 8 giugno a p. 82] .
Ecco (se nuovi documenti accerteranno la colpa dell' Adimari) un caso veramente curioso di coincidenza fra la vita e l'opera letteraria di uno scrittore.
Nel 1685 dunque l' Adimari batteva la via dell' esilio. Usciva da Firenze con un' accusa infamante e non crediamo che nell' andarsene lasciasse ogni cosa diletta più caramente. Della moglie non doveva importargli gran che, sia ch'egli veramente ne avesse voluto la morte, sia che ella lo avesse calunniato, la qual cosa certo non doveva renderla cara a lui. Quanto ai bambini, essi non rimasero abbandonati. Buonaccorso segui il padre nell' esilio : Smeraldo fu accolto amorosamente da Pier Capponi, l' amico fedele dell' Adimari: Allegra, una bambina nata non sappiamo ben quando, fu posta in un convento di Lucca. [Nella dedicatoria della Parafrasi dei Sette Salmi Penitenziali che si legge nelle Poesie sacre e morali (Firenze, Cecchi. 1696), l' Adimari, volgendosi alla Marchesa Lucrezia Medici nei Capponi, loda la volontaria tutela incaricatasi [da Pier Capponi] del suo figliuolo nell" assenza del padre dalla Toscana, da lui riguardato come suo proprio. Certamente questo figliuolo era quello Smeraldo che visse fino al 25 settembre 1722 (v. l' Indice delle Famiglie Fiorentine Marucelliano C. 45, p. 252), poiché Buonaccorso morì a Lucca bambino come si vede dal sonetto in morte di lui (Poesie sacre cit., p. 103)].
Della sua vita d'esilio poco possiamo dire. Abbiamo cercato di seguir 1' Adimari passo per passo, nelle varie città , ma ad onta di tutti i nostri sforzi non abbiamo potuto colmare parecchie vaste lacune [Nota = Non abbiamo potuto recarci che io cinque o sei delle città  ove fu l' Adimari e non sempre, dove non potemmo recarci personalmente, trovammo bibliotecarii ed archivisti cortesi. Da Genova, ad es., non potemmo mai avere risposta. Le lacune che noi abbiamo dovuto lasciare saranno colmate da qualcun altro, se, come a noi, ad alcun altro sembrerà  che questo singolare personaggio del secolo XVII meriti la fatica di qualche ricerca].
Secondo la testimonianza di tutti i diaristi, Lodovico riparò a Lucca appena fu cacciato in esilio. Che cosa facesse a Lucca non sappiamo: certo non doveva essere molto ben veduto se per tre volte noi troviamo che le autorità  si occupavano di lui invigilandone sospettosamente gli atti.
Il 15 giugno 1686, sabato sera, il Gonfaloniere lucchese diede una notizia un po' dubbia al Magistrato dei Segretarii.
" Li [al Magistrato] fu data parte da S.[ua] E.[ccellenza] che nell' E.[ccellentissimo] C.[onsi glio] si era trattato della persona dell' Adimari fiorentino, dimorante in questa Città , per fre quentare il convento di S. Giovannetto, dove si sente che habbia una figlia ia educatione, e restorno di pigliarne informatione" [Nota = R. Archivio di Stato di Lucca. Magistrato dei Segretarii, Deliberazioni, N. 33 (15), anni 1683-94, p. 21. Questa è la prima notizia che abbiamo della figliuola dell' Adimari]
Si capisce che non dovesse piacer troppo la presenza dell' Adimari in un convento di monache !
Passato un mese, il Consiglio Generale di Lucca in una sua adunanza segreta trovava a ridire su qualche altro atto dell'esule florentino:
" A dì 16 Luglio 1686. Martedì mattina, / fu detto, che potesse dar fastidio, che Lodovico Adimari fiorentino habitante in questa città  procurasse ricavare notitie antiche; sopra di che fu detto che haveva ricercato un libro delle armi Nobili di quella Città, e si messe a parte questo particolare, havendo detto S. Ecc.a che il Magistrato de' Secretarli haverebbe invigilato gli andamenti di d. Adimari" [R. Archivio di Stato di Lucca, Riformazioni Segrete, Consiglio Generale, 394, anni 1685 - 1687, p. 125] .
Insomma è chiaro che a Lucca non ce lo volevano. Egli vi rimase, non ostante ciò, fino agli ultimi mesi del 1687. Dopo questo tempo, mentre egli si era recato a Genova per farvi un breve soggiorno, gli fu data notizia che era stato cacciato anche da Lucca. Infatti vediamo:
"A di 9 Nov.re 1687. Dom.ca il giorno. In/ Nome D.ni Amen. L' III.mo Mag.to in pieno numero./ Sentita la lettera di Mons.r Vicario, e le notitie che si sono havute di qualche pericolo di scandalo in qualche Monastero di Monache per la permanenza in questa Città  di Lod.o Adimari fiorentino, resolsero che si facesse prohibitione al med.o Adimari di ritornare in questa Città  e Stato, con scriversili da me a Genova dove si ritrova presentemente notificandoli la d.a prohibitione, e che si inviasse la lettera a M.r Miche langelo Bendinelli per il securo recapito". (In margine del foglio è scritto: " Presentata la lettera in proprie mani, di detto S.r Adimari dal serv.re del S.re Michelangelo Bendinelli come per sua lettera dei 15 Nov.e 1687 che sarà  in filza) [Nota = Noi tuttavia non abbiamo potuto trovare questa lettera del BandinelIi; non crediamo però di aver fatto una gran perdita poiché già ne conosciamo il contenuto]
Ricominciava dunque per l' Adimari la vita raminga resa più dolorosa dalla perdita del suo Buonaccorso a cui pare volesse bene. [Nota = Induciamo che intanto fosse morto Buonaccorso poiché il padre, nel sonetto in morte di questo bambino, dice che lo aveva perduto a Lucca (v. Poesie sacre e morali cit., p. 103). Dunque è presumibile che sia morto prima dell' esilio dell Adimari da Lucca: quando troviamo ch' egli era di nuovo in questa città (probabilmente di passaggio) il figlio era già  morto. Infatti dalla lettera di Pier Capponi in data 24 gennaio 1691 appare che Lodovico era a Lucca, ma da una lettera antecedente (3 aprile 1690) dello stesso Capponi (ambedue le lettere son pubblicate più innanzi) risulta che l' Adimari aveva ormai un solo figlio].
A Genova non sappiamo quanto tempo si trattenesse ; per tre anni non abbiamo alcuna notizia di lui [Nota = Soltanto sappiamo che prima del 1687 fu ascritto all'Accademia dei Concordi di Ravenna poiché figura nel Catalogo degli Accademici Concordi viventi nel 1687 premesso alla Miscellanea poetica degli Accalemici Concordi di Ravenna (Bolo gna, Benacci, 1687)] e per la prima volta ne ritroviamo il nome il 3 aprile 1690 in una lettera del senatore Pier Capponi, il suo amico fedele.
Cosi il Capponi scrive al Segretario del Granduca Cari' Antonio Gondi :
"Ill.mo Sig.r mio P.ne Col.mo/ E' noto a V. S. Ill.ma quanto io habbia sempre compatito il povero Sig.re Lodovico Adimari nelle sue disgrazie in riguardo della mia amicizia, ma ancora per vedere andare in malora una famiglia nobile e delle buone del nostro paese; ora a questo s' apre la strada a qualche sollievo per tirare avanti la vita sua, e del figliolo, che s' alleva nel seminario di Prato per non poter fare maggiora spesa la quale ancora a dirla a V. S. III.ma confidentemente esce la maggior parte dalla mia borsa, cosi contentandomi per qualche tempo per che questo ragazzo non vadi in malora con tutto il suo bello spirito, non inferiore punto a quello del padre, mentre nell'età  di otto in nove anni haveva fatto tutto il corso della grammatica con ammirazione del Maestro, quello dunque che si rappresenta al Sig.re Adimari è che il Duca di Mantova lo vorrebbe al suo servizio, e glien' ha data intenzione, riserbandosi di informarsi segretamente se ciò possa essere con buona grazia del P.ne Ser.mo benché egli confidi nella Clemenza di S. A., ad ogni modo mi si raccomanda acciò procuri di assicuramelo maggiormente: onde io supplico V. S. Il.ma di parlare al Sig.r Bassetti, al quale credo che sarà scritto acciò lo favorisca e l'aiutij; quando tal negozio poi capitassi a lei non dico niente perché so quanto da V. S. posso sperare. Quando poi bisognasse parlare al Sig.r Panciatichi ancora dico mi rimetto alla sua prudenza. Mi perdoni deil' incomodo, ma so che V. S. Ill.ma mi avrà  buono amico dell'amico, so che questa è una grazia involla in molta giustizia, ma tulio si piglierà  per una grande elemosina. Mi onori de' suoi reveriti comandi e della sua stimat.ma grazia, che sono e sarò sempre / Di V. S. Ill.ma/ Firenze 3 aprile 1690/ Dev.mo et Obbl.mo Ser. Vero Pier Capponi"[Nota = Si notino queste parole coraggiose (trattandosi dell' Adimari caduto in disgrazia del Granduca) le quali dimostrano che il Capponi non aveva creduto mai alla colpa dell' amico suo. Tuttavia bisogna credere che il Capponi avesse ben poca speranza nella riabilitazione dell' Adimari, perché¨ dopo la lettera del 12 giugno 1685, nelle sue frequenti lettere al Gondi il Capponi non parla più della cosa = R. Arch. di Slato di Firenia. Lettere al Segretario Carl' Antonio Gondi. (Arch. Mediceo, fil.B 1609)].
Noi crediamo che il Granduca dovesse trovarsi in un grave impiccio. Certo non avrebbe fatto un bel servizio al Duca di Mantova nascondendogli l' accusa tremenda che pesava sul capo dell' Adimari e la condanna che perciò gli era stata inflitta.
Qui si presenta un quesito difficilissimo a sciogliere e si affaccia un nuovo sospetto circa la condotta già  dubbia assai di Lodovico Adimari.
II Negri, il Mazzuchelli, il Passerini, per citare soltanto i più autorevoli biografi, ci dicono che l' Adimari "servì qualche tempo il Duca Ferdinando Carlo di Mantova in qualità di gentiluomo di camera, e si fece conoscere per uomo dotto e ne riscuote estimazione per lo suo sapere e per le sue nobili qualità,  amore" [Note = Scritt. d' Italia, T. I, Parte I, pp. 142-44. - Ms. più volte cit. - Ist. degli Scritt. Fior. cit. p. 362] Abbiamo citato le parole del Negri, ma il fatto è narrato da tutti e tre quei biografi e quindi ripetuto da quanti per incidenza si occuparono dell' Adimari.
A noi, come abbiamo osservato, pareva strano che il Granduca avesse raccomandato presso il Duca di Mantova un uomo cacciato in esilio per gravissima colpa. Ma d' altra parte, poiché tutti dicono che l'Adimari servi in corte di Mantova e aggiungono che dal Duca egli ebbe il titolo di marchese, parrebbe che il Granduca poco onestamente fevorisse l' Adimari fosse pure a danno del Duca. Poi, vedendo che l'Adimari nei frontespizii di tutte le sue opere posteriori al 1690 pone il titolo di marchese (titolo che gli Adimari non avevan prima di lui) dovremmo credere che veramente il Duca mantovano conferisse al poeta la dignità  marchionale.
Ebbene, non solo non abbiamo trovato alcun documento che dimostri la permanenza dell' Adimari alla corte di Mantova; ma nell'Archivio Gonzaga non v' ha cenno del titolo di marchese dato all' Adimari nel Registro dei Decreti ducali che va, senz' alcuna interruzione, dall'anno 1669 al 1708. E le accurate ricerche fatte a Mantova in parte da chi scrive queste pagine, in parte da  persone dotte di cose mantovane [Nota = Fra queste ci piace render vive grazie all'illustre dott. Alessandro Luzio e al sig. Alberto Mangili il quale ultimo estese le sue ricerche anche al di fuori dell' Archivio] non hanno approdato a nulla.
Dunque? Dovremmo credere che l' Adimari avesse l' audacia d' inventar di sana pianta la sua permanenza a Mantova e gli onori ivi ricevuti? Dovremmo credere che egli il quale, come vedemmo, faceva a Lucca sospette ricerche d'araldica, si fosse arbitrariamente preso il titolo di marchese? In tal caso non si sarebbe mostrato indegno congiunto di quell'altro pseudo - Adimari (il Consigliere Don Biagio) che andò a rischio di esser pugnalato per la velleità  di apparir di scendente degli Adimari fiorentini.
Ma certo in questo fatto Lodovico avrebbe dimostrata una cosi pericolosa audacia che la cosa pare. incredibile. E' una delle tante questioni che noi non siamo riusciti a risolvere ed il lettore ci perdoni se lo conduciamo per una selva di dubbii, poiché abbiamo fatto quanto stava in noi per seguire ogni barlume ed ogni traccia [Note = dobbiamo però osservare che se anche l' A. fu a Mantova vi dovett'assere per un tempo brevissimo, poiché il 3 aprile 1690 il Capponi chiedeva per l'amico suo la commendatizia dal Granduca, il 10 ottobre 1690 l'Adimari era a Bologua (v. la lettera al Balì Gondi di cui diramo tra poco), e nel '91 lo troviamo prima a Lucca (24 gennaio, lett. del Capponi pubblicata più in nanzi) poi a Bologna (v. la "Serenata a Filli"). Nel '92, come vedremo, l' Adimari tornò a Firenze]
Verso la fine dell'anno 1690 troviamo una notiziola che ha solo un'importanza relativa. Nel fascio delle lettere del Balì Gondi [Note = Arch. di St. di Firenze. Filze Medicee, n. 1609] v'è la copia d'una lettera di Lodovico. In questa lettera, scritta da Bologna il 10 ottobre 1690, l'Adimari prega il Marchese Gerini Maestro di Camera della Principessa di Toscana di fargli avere dal Granduca una lettera al Cardinal De Angelis in favore di un D. Giacomo Mantovani.
L'Adimari, il quale come Capitano di Pietrasanta era stato soggetto immediatamente al Granduca, non si rivolge ora a lui direttamente ed è naturale, poichéegli era ancora in esilio per un'accusa infamante. Ma se aveva l'ardire di cercare un favore dal Granduca, sembra che alla Corte di Toscana cominciasse a spirare un vento favorevole per lui e ch'egli lo sapesse. E infatti la sua domanda venne accolta favorevolmente dal Gerini, il quale, pregando il Gondi di fargli ottenere quella lettera di raccomandazione, comincia cosi: "Volendo il Serenissimo Sig. Principe Padrone compiacere benignamente le supplicazioni del Sig.re Lodovico Adimari.... " [Note = Arch, di Stato di Firenze. Filze Medicee, ibid.]
Da Bologna il nostro poeta dovette recarsi a Lucca, sia nascostamente, sia avendone ottenuto il permesso: e preferiamo la prima ipotesi poiché nessun documento dell'Archivio di Lucca accenna alla grazia ottenuta dall' Adimari.
A Lucca ebbe ancora qualche fastidio come appare da questo frammento di una lettera scritta da Pier Capponi al Gondi:
"III.mo Sig.r mio P.ne Col.mo/ Con tale occasione non voglio tralasciare di rappresentare a V. S. Ill.ma quello, che accadde al povero Sig.re Lodovico Adimari pure in Lucca il quale con la solita sua amorevolezza verso di me compose una Canzone sopra il mio viaggio in Inghilterra, la fece stampare e mandommi un fagotto d'esemplari a Firenze, ma prima che questo mi giungesse, mi pervenne una lettera dell' Adimari, con la quale mi pregava di non dar fuori tal composizione per non rovinare Io stampatore al quale era stato negato dall' istesso magistrato di Lucca il Publicetur, per le cause che a suo tempo mi havrebbe detto a bocca come poi fece, e la causa della negativa fu, perché havevano osservato che il Poeta toccando la Missione ch'il Ser.mo Gran Duca haveva di me fatto al Re d'Inghilterra, haveva detto:
Da un Re grande
A Regnator Maggiore

Se l'Adimari disse bene se lo può V. S. Ill.ma immaginare, e piaccia a Dio, che i! suo lamentarsi con grande zelo molto non li pregiudicasse: come torno, farò a V. S. Ill.ma veder la composizione che ancor vive segreta... / Pisa 24 Genn. 1690-91/ Di V. S. Ill.ma/ Dev.mo Obbl.mo Ser. Vero/ Pier Capponi"
A Bologna invece, ove tornò dopo queste brevi gite a Lucca e a Pisa, l'Adimari era ben accolto e rispettato. L'accusa che lo aveva fatto fuggire da Firenze o non era nota o non dovette essere creduta giusta poiché vediamo che il poeta fiorentino è ricevuto con tutti gli onori nei saloni aristocratici.
Una sera fra le altre, in occasione della fiera del '91, i conti Calderini diedero proprio a lui l'incarico di comporre una serenata per diver tire le dame. E l' Adimari, quegli che più tardi doveva diventare notissimo come poeta misogino, se la cavò egregiamente dovendo fare il galante.



Quando ritornò a Firenze Lodovico Adimari? V'è una piccola questione che speriamo di risolver facilmente. Nell'Archivio di Stato di Firenze trovasi questa lettera di Lodovico al Segretario Bassetti:
Illus.mo Sig. mio P.ne Colen.mo/ Siccome con umil rassegnazione della mia volontà  presi dal Serenissimo mio Signore l'ordine di uscire da i suoi stati cosi con la medesima prendo adesso la grazia generosa di poter ritornarvi. Subito che ne hebbi l'avviso da S. A. Regale [Nota = Il Principe di Danimarca, come vedremo più innanzi] mossi per Genova a ringraziarla, nel quale ufficio havendo a Lui rendute le grazie che li doveva mi sono riserbato nell' intimo del cuore quelle che dovrà rendere a i piedi del mio Ser.mo P.ne Havrà  V. S. Illus.ma la bontà  intanto di testificargli questi miei sensi che son figli del mio fedelissimo ossequio.
La lettera di V. S.Ill.ma mi è giunta in Genova non havendomi trovato in Bologna onde scuserà  la tardanza della risposta e del ringraziamento alle cortesi espressioni del suo buon animo. Mi tratterrò ancora qualche giorno per obidire ai Comandi Serenis.mi e per fine con farle divotis.ma riverenza me le ricordo/ Genova li 31 Maggio 1692/ Di V. S. Ill.ma/ Divotis.mo et Oblig.mo Servo/ Lodovico Adimari
[Nota = Sta fra le lettere di Diversi nella filza medicea 1590. Cat.a leggio del Segretario Apollonio Bassetti: Lombardia, 1691-92].
E v'è anche quest'altra lettera pure al Bassetti :
" Illus.mo Sig.mio P.ne Colen.mo/ Accuso l' umanissima di V. S. Ill.ma con la copia d' altra scrittami in Bologna e in essa leggo la licenza di tornare a Firenze dove sarò per rendere le grazie che debbo al Ser.mo P.ne a i piedi del quale inchinerò la mia volontà  da vicino siccome umilm.te ho sempre fatto ancor da lontano. Al medesimo aprirò meglio i sensi del mio ossequio e spero che la somma bontà  del Serenissimo conoscerà la perfidia della mia sventura che ha voluto farmi apparire quel che io non sono: a V. S. Ill.ma . invio intanto gli atteslati delle mie tante obbligazioni e la supplico a voler proteggere le mie ragioni mentre riverendola con umil rispetto resto/ Genova li 7 giugno 1691/ Di V. S. Ill.ma/ Divotiss.mo et Oblig.mo Ser.e/ Lodovico Adimari" [Nota = Codice Marucelliano A. 139].
Finalmente, nel Diario di Salvino Salvini amico e più tardi biografo dell' Adimari è scritto così: "A di detto [9 settembre] venne in Firenze Lodovico Adimari che era stato alcuni anni in esilio per alcune minchionerie fatte e fu rimesso dal G. Duca, chiestogli dal Principe di Danimarca quando fu in Firenze, e andato a Pisa a' Piedi di S. A, egli gli ordinò che .andassi a Firenze e stessi in S. Pancrazio fino a nuovo ordine". Dunque al)biamo una lettera del '91, e una (che per il contenuto sembrerebbe antecedente) del '92: quanto alla notizia del Salvini difficile è stabilire a quale anno si riferisca, poichè il Diario consta di una quantità  di fogli corrosi dall' umidità  e ricuciti senz'ordine molti anni dopo la morie dell'autore. Ma poichè il Salvini e l'Adimari stesso (nella lettera del '92) accennano al Principe di Danimarca, possiamo con sicurezza riferirci al 1692.
Infatti il Principe Reale di Danimarca giunse in Firenze il 5 maggio 1692 [ Nota = V. nel Diario del Settimanni ad annum. la descrizione delle feste che furon fatte in Firenze per la venuta di questo Principe] dopo avere in altra citta ricevuto la supplica dell' Adimari. A Firenze prestò i suoi buoni ufficii presso il Granduca, sicché il 31 maggio l' Adimari potè scrivere la lettera che noi abbiamo riportato più indietro: quanto alla lettera del 7 giugno 1691 essa ha, per un evidente errore di penna, la data dell'anno precedente. Dunque poniamo senz'altro la data del 9 settembre '92 alla notizia del Salvini e al ritorno dell' Adimari.
Resta cosi dimostrato una volta di più che l' Adimari non dovette per nulla a Luigi XIV il suo ritorno dall' esilio e quindi non per gratitudine di tal favore egli scrisse l'anno seguente le Poesie a Luigi XIV come dissero quanti si sono occupati del nostro poeta.
Tornato l' Adimari in Firenze, non vediamo nulla che ci dimostri vivo il ricordo della sua vita passata e dei delitti attribuitigli. Forse verso l'uomo che aveva ricuperato la grazia del suo Principe si dimostrò a poco a poco favorevole anche l'opinione pubblica: forse anche il timore di dispiacere al Granduca tenne a dovere più di una lingua maledica.




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