Le origini degli insediamenti umani nella zona di BRA sono antichissime: sulle nostre colline la presenza dell'uomo è accertata già durante l'età neolitica. Nel periodo romano venne fondata, alla fine del II secolo a.C., lungo la valle del Tanaro la città di Pollentia (l'attuale Pollenzo), importante centro di traffico commerciale e militare tra i porti liguri e la pianura piemontese. La sua rilevanza nel mondo imperiale la si deve soprattutto alla sua collocazione strategica lungo due importanti vie di comunicazione, l'Aemilia Scauri e la Via Fulvia.
Essa venne citata da Plinio tra i nobilia oppida della Liguria antica come città famosa per la produzione di lane e vasi da mensa in ceramica fine. A testimonianza dell’antica Pollentia oggi rimane chiaramente percettibile solo l'anfiteatro, le cui strutture sono state sfruttate per le fondazioni delle case del moderno borgo di Pollenzo. Numerosi reperti archeologici sono stati rinvenuti ed oggi sono conservati presso il Museo Civico che ha sede in Palazzo Traversa.
L'ORIGINE della villa di BRA si deve probabilmente ad un gruppo di monaci dell'Abbazia di San Colombano di Bobbio che, costituitisi in priorato attorno alla Chiesa di S. Antonino, diedero origine, nel 1082 ad un borgo che si andò formando e ampliando nella località della Veneria, estendendosi sulle terre assegnate ad essi da Adelaide di Susa, la maggior parte delle quali era rappresentata dalla "braida", un vasto podere con annessa una notevole estensione di terra adibita a pascolo, a valle della collina (nella lingua longobarda Brayda significa per l'appunto "casa rurale con podere"). Poco dopo il Mille, si insignorì della Regione una ricca famiglia di estrazione militare che assunse il nome di De Brayda.
A poco a poco, a valle del castello eretto nella parte più elevata della collina, si andò sviluppando un nuovo agglomerato urbano anche grazie alla migrazione degli abitanti di Pollenzo (geograficamente meno difendibile dalle possibili scorrerie degli eserciti) verso le lande collinare. Protetta nei tempi più antichi da semplici fossati e palancate, la nuova villa andò sempre più rafforzandosi con potenti opere difensive. La disponibilità della famiglia permisero ai De Brayda di estendere notevolmente il loro territorio e di conquistare posizioni militari strategiche.
Bra divenne libero Comune nella seconda metà del XII° secolo anche se questo avvenimento fu causa di continue dispute e confronti con le potenze comunali di Asti e di Alba, che guardavano a Bra con interesse particolare: la sottomissione del borgo avrebbe infatti garantito il possesso di uno dei caposaldi più contesi di tutto il Piemonte sud-occidentale. Ma, per lo stesso motivo, non furono solo i due liberi Comuni a lei vicini ad insediarne l'indipendenza. Bra divenne oggetto di attenzione anche da parte dei Conti di Savoia, dei Marchesi di Saluzzo e dei Marchesi del Monferrato.
Ma le vere difficoltà per la famiglia signorile De Brayda cominciarono verso la metà del XIII° secolo: con l'acquisizione di varie proprietà terriere da parte di più famiglie locali, i feudatari braidesi perdevano nei confronti della popolazione l'autorità che ne aveva contraddistinto il dominio, tanto da doversi allontanare dalla città.In particolare, nel 1224, Bra venne ceduta al Comune di Asti, uno dei Comuni più floridi e potenti del nord Italia e da sempre in lotta con Alba. Proprio per contrastare il potere che il Comune astigiano stava assumendo nell'area, Alba decise di fondare una cittàper raccogliere gli esuli braidesi che mal tolleravano l'alternanza dei poteri tra i De Brayda e gli astiginai. Nel 1243 nacque in questo modo la Città di Cherasco.
Con la metà del XIII° secolo le piccole dispute tra le città del cuneese cessarono per superiori ragioni di Stato. Carlo d'Angiò, fratello del Re di Francia Luigi IX, divenne Conte di Provenza sposando l'erede di tali terre e cercò immediatamente di espandersi al di qua delle Alpi imponendo a Bra, così come a Cuneo, Alba, Cherasco, Mondovì, Acqui e Alessandria di riconoscere la signoria angioina con la quale dovettero venire a patti anche le più potenti Torino e Asti.
Dopo la breve parentesi del dominio angioino (terminato con la sconfitta di Roccavione del 1275) ed il successivo passaggio agli Acaja (ramo cadetto dei Savoia), Bra divenne nel 1341 parte integrante della Contea d'Asti controllata dai Visconti di Milano che diedero alla città i nuovi Statuti. E' in questo periodo che il vecchio castello, posto sulla cima del colle più alto, il Monte Guglielmo, venne restaurato e rafforzato; ad esso vengono poi affiancate opere di copertura difensiva.
Se durante il primo medioevo il borgo si ridusse ad una modesta comunità rurale, nel 1385 anche Pollenzo fu interessata da importanti lavori di ricostruzione del castello eretto in epoca anteriore. Il castello assunse così l'attuale forma a pianta quadrangolare con fossato e torre. L'avvento dei Porro nel feudo di Santa Vittoria condusse ancora a nuovi litigi per il dominio della zona pollentina: alla loro caduta, Bra ne perse metà del territorio, eretto in contea a favore di un ramo dei Romagnano di Santa Vittoria.
Nel 1515 Bra assistette impotente alla calata del Re di Francia Francesco I che, nella sua disputa con l'imperatore Carlo V, costrinse la città alla resa. Ciò non fu sufficiente al comandante delle truppe francesi, il celebre condottiero milanese Gian Giacomo Trivulzio, che, anzichè placare la contesa, non salvò Bra dal saccheggio e dall'atterramento delle sue fortificazioni per impedire che potessero diventare bastioni per le truppe imperiali.
Le medesime vengono poi rimesse a nuovo dagli stessi francesi, che occuparono nuovamente Bra nel 1531, tanto che nel 1552 le stesse vennero ampliate per difendere la città dalle truppe imperiali di stanza nella vicina Cherasco. Quello stesso anno il principe Emanuele Filiberto, figlio di Carlo II di Savoia, si mise a disposizione dell'imperatore nell'estremo tentativo di impedire che il suo ducato finisse completamente nelle mani dei francesi. La riconoscenza del potere imperiale fu tale da affidare allo stesso principe sabaudo ed a Ferrante Gonzaga di comandare le truppe che, sempre nel 1552, assediarono e conquistano in maniera cruenta il castello e l'abitato braidese. Per ordine dello stesso Emanuele Filiberto tutti i difensori della città furono passati a fil di spada e i soldati piemontesi fatti prigionieri furono impiccati come ribelli.
I meriti del giovane principe sabaudo furono tali che le truppe imperiali da lui guidate ottennero importanti e decisivi successi contro le armate francesi tanto da giungere alla firma del trattato di pace di Cateau-Cambrésis. A seguito di tale tratto il territorio di Bra fu annesso definitivamente al ducato di Savoia.
Bra assurse al rango di città nel 1760 su decreto di Carlo Emanuele III, che la incluse nell'appannaggio personale del proprio figlio Maurizio, duca di Chiablese. Nel frattempo anche il castello di Pollenzo entrò a far parte del patrimonio sabaudo, divenendo luogo di soggiorno della famiglia reale. Il Settecento fu anche il secolo che vide la città di Bra espandersi e fiorire sotto il profilo architettonico grazie alla presenza in città dell’eminente figura dell’architetto Bernardo Antonio Vittone che realizzò qui due assoluti capolavori dell’arte tardo-barocca: la tondeggiante facciata del Palazzo Municipale e la Chiesa di Santa Chiara.
Ma non solo il "secolo dei lumi" portò una ventata di rinnovamento nella città. L'Ottocento diede a Bra uomini di notevole levatura nei campi più disparati, in grado però di segnarne indelebilmente la storia e le vicende. Su tutti la figura di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (nato a Bra nel 1786), apostolo degli umili e dei derelitti, che fondò la Casa della Divina Provvidenza. Ma non solo nel campo assistenziale i braidesi ebbero modo di eccellere. Non si deve dimenticare, infatti, l’opera di Guglielmo Moffa di Lisio che, con Santorre di Santarosa, ebbe ad iniziare i moti carbonari del 1821. Tra gli uomini di studi e scienza ricordiamo il latinista Gandino, l'archeologo Edoardo Brizio, gli scienziati naturalisti Ettore e Federico Craveri (fondatori del Museo di Scienze Naturali che oggi porta il loro nome) ed il leonardista Giovanni Piumati.
Con il nuovo secolo Bra ebbe la forza di trasformare il proprio tessuto economico e produttivo. Le botteghe artigianali di cuoio e pellami, alimentate dalla ricca filiera dell'allevamento bovino tipico della pianura cuneese, si trasformarono in vere e proprie industrie conciarie. La loro presenza, la mano d'opera necessaria al proprio funzionamento, il mercato alimentato dalle forniture di calzature militari per le forze di stanza in città, finirono per connotare l’intero agglomerato e la sua popolazione, frutto di flussi migratori consistenti sopratutto dalle zone più povere del meridione italiano. Nacque così il nuovo volto industriale di Bra che, forte anche dell'espansione delle attività manifatturiere nella vicina Torino, mutò decisamente le tranquille abitudini della cittadina di provincia. In questo ambito si svolsero le vicende narrate da Giovanni Arpino (di famiglia braidese per parte materna) nei suoi celeberrimi romanzi o ne "L'uomo di Torino" di Velso Mucci.
Se oggi poco è rimasto del periodo delle concerie, il tessuto industriale di Bra ha saputo trarre da quell'esperienza la linfa necessaria per il suo sviluppo successivo. Quando dagli estratti tannici, indispensabili nella concia, si estrasse la formaldeide, le aziende braidesi riconvertirono le proprie produzioni facendo diventare Bra uno dei maggiori centri mondiali nella lavorazione delle materie plastiche. Oggi la città dispone di aziende che in svariati settori hanno saputo superare i confini nazionali ed ha enfatizzato ancor più il proprio ruolo di centro di scambi divenendo luogo di intermediazione nel commercio delle produzioni orticole autoctone, delle produzione vitivinciole, zootecniche e della ricca filiera agroalimentare delle zone di Langa, Roero e pianura cuneese.