Nella disposizione on line di materiale dell' Enciclopedia Treccani si legge: " Anghièra, Pietro Martire d'. - Storico e geografo (Arona 1457 - Granata 1526), di famiglia originaria di Anghiera (od. Angera). Trasferitosi a Roma, entrò in contatto con i maggiori rappresentanti dell'Accademia romana (Pomponio Leto, Platina) e vi conobbe l'ambasciatore spagnolo conte di Tendilla, che seguì poi in Spagna (1486). Qui entrò nella corte, da cui si allontanò (1488) per partecipare, al seguito del Tendilla, alle ultime campagne contro gli Arabi. Rientrato a corte e vestito l'abito ecclesiastico, fu nominato (1492) gentiluomo di camera della regina Isabella, che gli affidò (1501) un'importante missione in Egitto, della quale scrisse un'interessante relazione (Legatio Babylonica). Apprezzato consigliere, poi, del re Ferdinando (1505-16), dal 1518 appartenne al Consiglio delle Indie, portandovi la sua competenza testimoniata dalla grande opera, in forma di lettere, Decades de Orbe novo, composta, e in parte pubblicata, tra il 1493 e il 1525 [1º ed. completa, post., 1530: ove tra altre cose compare la prima descrizione della Palla di Caucciù e del gioco sacro di origine Maya detto Pok-a-Tok -volgarmente poi detto dagli Europei "Gioco della Palla" che si teneva in appositi sferisteri]. Altra opera importante, come fonte per la storia politica del suo tempo, è l'Opus epistolarum, raccolta di 813 lettere dirette dalla Spagna, tra il 1488 e il 1525, ad Ascanio Sforza e ad altri notevoli personaggi italiani e spagnoli (pubbl. 1530). In rapporto con Colombo, Vespucci, Vasco de Gama, Magellano, Cortés, ne seguì da vicino le imprese, sì che i suoi scritti e soprattutto le sue lettere rappresentano un materiale prezioso per la storia delle esplorazioni del tempo".
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Qual primo descrittore della costumanza è da giudicarsi il più attendibile anche se giovano alcune precisazioni: nonostante l'impresa Cortes ( la cui vera sembianza è poco nota data la sua volontà di non farsi che raramente effigiare come qui) nonostante le lettere che scrisse a Carlo V in cui oltre che a narrare le conquiste e le meraviglie del Nuovo Mondo traeva occasione anche per giustificare il suo operato da critiche che gli venivano mosse (qui a comprova del generale clima di violenza e contrasti per l'egemonia si possono leggere integralmente digitalizzate le relazioni di altri conquistatori non sempre con lui in sintonia).
Cortes per comprovare le sue gesta e dar prova delle meraviglie che ebbe occasione di vedere (e purtroppo anche distruggere) non ebbe occasione di ostentare i giocatori di palla o meglio del sacro Pok-a-Tok ma una volta che tornò alla Corte di Spagna nel 1528 condusse con sé alla presenza dell'Imperatore Carlo V fra lo stupore generale dei cortigiani un indigeno giocoliere, non tanto della palla, quanto di un funambolismo con una trave come si vede nell'immagine = a prescindere dal fatto che ottenne elogi e riconoscimenti dal Sovrano, certo più che per questa ostentazione folkloristico-esotica per molteplici altre ragioni facilmente comprensibili, Cortes fu in qualche modo gratificato dal tedesco C. Weiditz che non solo fece un ritratto di Cortes dal vivo ma che oltre all'immagine dei giocolieri amerindiani della palla effigiò dal vivo le esibizioni dell'indigeno funambolo con la trave (vedi) corredandole come si vede nell'immagine con una dicitura in tedesco nella parte alta del disegno ove si legge "(trad.)Questo è un Indio steso sul dorso che palleggia con i piedi un legno lungo e pesante come un uomo. Sotto l'Indio è stesa una coperta grande all'incirca quanto la pelle di un vitello<".
Con l'affermazione della Conquista e con il susseguirsi di un sempre maggior sfruttamento avverso gli Indigeni quella che qui fu ostentata come una capacità prodigiosa con cui allietare le corti divenne una forma d'ostentazione e guadagno sempre più frequente con l'espediente crudele di esibire a pagamento per un pubblico sempre meno qualificato altri esotismi amerindiani su cui presto si adoprarono i citati mercanti di Meraviglie condannati al pari di altri schiavisti da Padre Bartolomeo De Las Casas "L'Apostolo delle Indie" onde, come si è scritto, portare con sé in Europa, dopo averli acquistati, schiavi giocolieri da far esibire a pagamento non solo nelle Corti ma anche nelle Piazze e in occasione di Mercati e Fiere.
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