All’interno dello Stadio o più propriamente Sferisterio (molte città ne avevano, questo è per molti lati il più celebre ovvero lo sfristerio di "Chichen Itza" il cui toponimo è traducibile nel significato “Alla bocca del pozzo degli Itza) veniva praticato il gioco del Pok-a-Tok ossia il gioco della palla: su cui esistono, con qualche lacuna documentaria, interpretazioni anche
divergenti, seppur senza grosse distinzioni
ma che non aveva tanto una valenza ludica come per gli stadi od anfiteatri allestiti già ai tempi di Roma ma che comportava forti valenze religiose e mistiche connesse
con valenze sia strologiche che astronomiche.
La religione maya è quell'insieme di credenze politeiste, con una storia di più di 3000 anni, della civiltà maya precolombiana. Questa religione, che faceva fortemente riferimento alle forze della natura (sole, luna e pioggia in particolare), era una complessa forma di politeismo basata sul concetto di dualità: la vita e la morte, il giorno e la notte, il maschio e la femmina. I pochi elementi dell'antica religione che oggi sopravvivono non derivano dalla complessa teologia della classe sacerdotale, ma dalle credenze in semplici divinità mitologia della natura, come i Chac e le divinità della fertilità.
Il dio supremo era considerato Itzamà o Itzamnà, dio solare, inventore della scrittura e protettore dell'agricoltura. Altra divinità era Kukulkán, il serpente piumato a due teste, da alcuni identificato con il cielo. Infine, altre tre divinità fondamentali erano Ixchel (dea lunare, protettrice delle partorienti e delle attività femminili), Yum Kaax (dio del mais) ed Ahpuch (dio della morte).
La religione e i centri cerimoniali erano diretti dalla casta sacerdotale ah kin (il solare), con a capo l'ahaucan (principe dei serpenti), detentrice delle conoscenze astronomiche e del complesso calendario di feste che si svolgevano con riti propiziatori, sacrifici umani, preghiere e banchetti. I sacerdoti indossavano vestiti di pelle di cervo, di giaguaro o di altri animali per assumerne le capacità.
Solo tre testi maya completi sono sopravvissuti allo scorrere degli anni. I più furono bruciati dagli spagnoli durante l'invasione. È per questo che oggi risulta difficile conoscere profondamente la religione maya. I libri sono:
Il Popol Vuh (o Libro del consiglio) tratta dei miti della creazione terrestre, delle avventure delle divinità gemelle e della creazione del primo uomo;
I libri del "Chilam Balam" che descrivono le tradizioni della cultura maya;
Le Cronache di Chacxulubchen, altro libro fondamentale per la comprensione della religione maya.
Uno dei riti religiosi dei Maya più importanti era il gioco della palla "Pok-a-tok", metafora del sole (simile al gioco della pelota).
È solo con la conquista Tolteca, dopo il declino della civiltà maya che la religione assunse un carattere cruento ed aumentarono di frequenza i sacrifici umani.
Si afferma con il dominio azteco il non molto dissimile Tlachtli, conosciuto anche come palla centramericana o palla messicana, era uno sport sferistico praticato, al momento del suo apice, da quasi tutti i popoli precolombiani dell'America centrale. Oggi sopravvive solo in alcune comunità.
Le prime testimonianze del gioco ci sono fornite dai Conquistadores, precisamente da Hernán Cortés e i suoi soldati al seguito. Egli osservò che gli autoctoni messicani erano soliti praticare un gioco a loro del tutto sconosciuto che si giocava con una palla di materiale elastico e tuttavia molto pesante. Cortés ne fu così colpito che, nel 1528, decise di portare al re Carlo V una squadra di giocatori di Tlachtli per dare spettacolo in Spagna.
Ma Cortés non si limitò a questo: assistette a numerose partite nelle quali - notò - erano frequentissime le escoriazioni, le ferite e, in certi casi, vere e proprie mutilazioni, questo anche a causa del pallone molto pesante (circa 2 kg).
Da come ce lo riporta Cortés, il Tlachtli era uno spettacolo molto bello a vedersi, per la sua spettacolarità e la sua originalità tattica. Si basava sul fatto che, in un rettangolo di circa 45x18, due squadre di 10 giocatori (ma il numero poteva variare a seconda delle usanze dei vari popoli) si passassero la palla senza mai farla cadere a terra usando soltanto cosce, spalle, il bacino e la testa. Se poi una squadra faceva passare il pallone all'interno di uno stretto cerchio di pietra posto a metà del campo in una posizione sopraelevata, allora quella squadra era dichiarata vincitrice. Cortés ci informa che non era, tuttavia, la squadra a vincere ma solo il fortunato giocatore che aveva fatto passare il pallone nel cerchio e che egli poteva esigere dal pubblico o dalla squadra sconfitta ogni genere di denaro, gioielli e cibo. Se poi a vincere era il capitano, allora a lui si dovevano attribuire i massimi onori e non di rado i giocatori della squadra sconfitta venivano sacrificati al dio del gioco Xolotl, per placarne la collera.
Ultimamente si sta riscoprendo la possibilità che fosse il capitano della squadra vincente a essere sacrificato, in quanto la morte non era ritenuta una minaccia ma un dono, che permetteva l'avvicinarsi a Dio [da "Wikipedia, l'enciclopedia libera on line"]
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