INF. DURANTEIl mondo del vino ha già conosciuto il suo diluvio. Il flagello arrivò inaspettato nella seconda metà del secolo scorso, proprio al culmine di un periodo di grande floridezza per la viticoltura europea. Il Settecento era stato un secolo di fortuna crescente, con i vini francesi a dominare il mondo (malgrado il sequestro e la messa in vendita di molte delle più importanti proprietà in seguito alla Rivoluzione) e la ripresa, in Germania, dei bianchi del Reno e della Mosella dopo i guasti della guerra dei Trent'anni. Il Secolo dei Lumi per il vino aveva significato inoltre approfondimento delle conoscenze teoriche e miglioramento delle tecniche di vinificazione: nella seconda metà del Settecento gli studi di Lavoisier, il chimico che quantificò la trasformazione dello zucchero in alcol, contribuirono a descrivere i meccanismi della fermentazione, e nelle cantine fecero la loro comparsa torchi con vite di ferro e gabbia, antenati dei più moderni torchi idraulici.
Il diciannovesimo secolo si apre dunque all'insegna dell'ottimismo per produttori e commercianti. Le fortune economiche li inducono a chiudere un occhio su fenomeni preoccupanti come la sofisticazione e la crescita indiscriminata degli impianti: per alimentare una produzione che sta assumendo proporzioni abnormi si ricorre spesso a varietà americane, più resistenti e produttive. Saranno proprio queste il veicolo delle malattie che metteranno fine agli anni del benessere spensierato, a causare "i dispiaceri" di cui parla Hugh Johnson nella sua Story of Wine.
Una prima avvisaglia si presenta con l'oidio, un fungo che attacca le viti compromettendo la qualità e la quantità dei raccolti. La malattia è sconfitta nel giro di una decina d'anni, quando si scopre nello zolfo un ottimo antidoto contro di essa, ma ecco affacciarsi un pericolo ben più grave, rappresentato da un parassita micidiale, un afide che si nutre delle foglie e delle radici delle viti e che, una volta insediatosi in un vigneto, non lo abbandona prima di averlo distrutto completamente.
La fillossera, originaria del continente americano, sbarca in Francia, alle foci del Rodano, negli anni in cui le navi a vapore hanno ridotto il tempo della traversata dell'Atlantico a una decina di giorni, consentendo al parassita di sopravvivere a un viaggio che doveva aver intrapreso molte volte in passato senza riuscire a giungere vivo nel Vecchio Continente. Dal porto di arrivo lo sconosciuto "puceron" si diffonde in tutta Europa, in Nord Africa, nel Medio Oriente e persino in India. Neppure Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica ne saranno esenti. I suoi effetti devastanti sono notati per la prima volta nella zona di Arles nel 1863. Individuata e battezzata nel '68 da Jules-Emile Planchon, agronomo di Montpellier, la Phylloxera vastatrix nel '71 è già attiva in Svizzera e in Portogallo. Nel '75 compare in Austria-Ungheria, e da qui infesterà l'Europa centro-orientale, dalla Grecia alla Russia. Nel '76 è a Bordeaux, due anni dopo a Meursault, in Borgogna, e in Spagna; nel '79 in Italia, nel 1880 in Germania e alla fine del secolo è presente anche in Algeria e nella Champagne.
Sono quarant'anni nel corso dei quali i vignaioli, a lungo impotenti, le tentano tutte: scendono in campo studiosi seri insieme a improvvisatori e ciarlatani, attirati dai premi delle organizzazioni di produttori e dalla pubblica amministrazione, proponendo rimedi più fantasiosi che efficaci. Dapprima le sole pratiche valide sono irrorazioni dei vigneti con preparati chimici, ma a prezzo di operazioni abbastanza complicate oltre che costose.