Sacrobosco, Ioannes : de
fu astronomo e matematico inglese fiorito nel 1230, nato a Holywood, oggi Halifax, morto a Parigi nel 1244 o nel 1256.
Sulle edizioni compaiono le forme nominali Ioannes de Sacro Bosco; Giouanni Sacrobosco; Ioannes de Sacro Busco; Ioannes de Sacrobusto, Ioannes de Sacro Busto, Giouanni di Sacrobosco; Sacro Bosco; Giouanni di Sacrobusto; Giouanni Sacrobusto.
Aprosio ne la "Biblioteca Aprosiana" dichiara di possedere una sua opera basilare: cioè la "Sfera" o De sphaera mundi, sorta di compendio del celebre testo tolemaico (Almagestum) diviso in quattro capitoli in cui si definisce la Terra come una sfera immobile, posta al centro del firmamento, secondo il sistema tolemaico-aristotelico , sono spiegati i circoli, equinoziale, celestiale, il primum mobile, l'eclittica dello zodiaco, ed ancora si discute su i sette climi, il movimento del Sole e dei pianeti allora conosciuti, le cause delle eclissi lunari e solari, formano il capitolo IV.
Quella di Aprosio è però un'edizione seicentesca: certo di valore non pari all'edizione veneziana del De sphaera mundi di Giovanni Sacrobosco, datata 28 (o 30) febbraio 1488 (come si evince dal colophon) e che si apre con una tavola silografica, realizzata presumibilmente nello stesso periodo in cui fu stampato l'incunabolo.
Nel XVI secolo l'opera prese ad affermarsi e noi abbiamo in particolare studiata questa bella edizione cinquecentesca.
Nell'opera Giovanni Sacrobosco cerca a tutti i costi di costruire un collegamento tra se stesso e Tolomeo Claudio,
volendo meritarsi una onorevole postazione nell'ambito dell'astronomia, quale "scopritore di astri" che in effetti mai scoprì.
Fu comunque un serio studioso di Tolomeo e dei suoi commentatori arabi del XIII secolo, soprattutto Al-Battani e Al-Farhani.
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Il gesuita Pellizzari Francesco, figlio di Giovanni Battista Pellizzari, nasce a Piacenza alla fine '500 La sua data di nascita non è infatti storicamente certa, ma si colloca tra il 1595 e il 1596. Più certezze, si hanno invece per la data di morte, avvenuta nel 1651.
Tra le frastagliate e scarne informazioni che sopravvivono fino a oggi, spiccano i lavori svolti in Spagna come agente del padre per il commercio di libri. Conosciuto come il piacentino Pellizzarius Franciscus, si dedica alla stesura di un'opera importante, grazie anche ai recenti studi dei passi dedicati alla condizione, giuridica e sociale, delle monache nel Seicento italiano.
Pubblica la sua prima opera dedicata all'economia dei conventi e dei monasteri e alla disciplina giuridica degli stessi nel 1644 dal titolo Tractatio De Monialibus (1 esemplare alla Biblioteca Aprosiana Tractatio de monialibus in qua resolvuntur omnes fere quaestiones (et ex his plurimae adhuc non tractatae) quae de ijs excitari solent in communi, et in particulari ... accessit formularium licentiarum ... Editio secunda ab ipsomet authore recognita et multis additionibus usque utilissimis aucta. Authore P. Francisco Pellizzario ... , Venetiis : apud Paulum Baleonium, 1646. - [24], 590, [48] p. ; 4°) .
messa poi all'indice dei libri proibiti nel 1693. L'opera in piena pergamena rigida con titoli in oro sul dorso venne ristampata appunto nel 1755, dopo che furono apportate le correzioni imposte dalla Sacra Congregazione dell'Indice (Index Librorum prohibitorum: Pellizzarius Franciscus. Tractatio de Monialibus. Donec corrigatur. Decr. 21 Apr. 1693. Correcta autem juxta editionem Romanam anni 1755. permittitur"). Questo trattato fu tradotto dalla lingua latina in quella volgare a beneficio delle monache e di altri religiosi.
Nel 1651 pubblica la sua seconda opera Manuale Regularium, un lavoro ben noto e probabilmente il più quotato e citato su le regole religiose. Questo comprende tutto un trattato generale sullo statuto dei monaci nelle comunità. Questi particolari trattati, che dovevano descrivere le classi e i particolari stati nella vita ecclesiastica, comprendono: gli ordini principali, la professione del vescovo, il diritto penale degli impiegati normali e gli studi particolari su determinati ordini, in particolare il 10° Trattato parla delle principali obligazioni delle monache e specialmente dei tre voti religiosi povertà, castita e obedienza e della clausura [testo da Wikipedia - on line]
Si riproduce qui dall'esemplare da raccolta privata dal testo poi censurato atteso che Aprosio potè conoscere solo questa versione e non quella espurgata secondo le indicazioni del S. Uffizio:
Tractatio de monialibus, in qua resoluuntur omnes fere quaestiones (& ex his plurimae adhuc non tractatae) quae de iis excitari solent in communi, & in particulari. ... Accessit Formularium licentiarum; quarum vsus in monialium gubernatione solet esse frequentior. Authore p. Francisco Pellizzario Placentino
, Venetiis : Apud Paulum Balleonium, 1678
[ 8, 473, 35 p. ; 4° - Marca su front. stampato in rosso e nero - Iniz. e fregi xil. - Segn.: p4 A-2H8 2I6- : Impronta - ust, eide on,& 23st (3) 1678 (R) - Localizzazioni in biblioteche pubbliche: Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi - Bari Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Città di Castello - PG - Biblioteca della Curia generale del Terzo ordine regolare di San Francesco - Roma - Biblioteca archivio S. Francesco alla Rocca - Viterbo]
***INSERISCI IL DISCO SECONDO (TESTI) E LEGGI L'OPERA DIGITALIZZATA E DOTATA DI MODERNI INDICI***
Turtureti, Vincenzo, autore siciliano e religioso di gran rinomanza atteso che fu cappellano del re spagnolo Filippo IV; visse a cavallo tra XVI e XVII secolo: di lui secondo il Servizio Bibliotecario Nazionale si conservano:
1 - Horae subcesiuae de nobilitate gentilitia, in tres libros diuisae. Auctore dom Vincentio Turtureto Siculo, Philippi 4. regis Hispani cappellano
...Nunc primum prodeunt cum duplici indice,
Lugduni : Sumptibus Ludouici Prost, Haeredis Rouille, 1624
- [28], 186, [14] p. ; 4o
- Marca (Aquila su globo contornata da due serpi: In virtute et fortuna) sul front.
- Segn.: *-3*4 4*" A-2B4
- Front. stampato in rosso e nero
- Impronta - elo- s,u* i-u- Inci (3) 1624 (R)
- [Variante del titolo] Horae subcesivae de nobilitate gentilitia, in tres libros divisae. ...,
-
Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Turtureti, Vincenzo,
Sacellu [!] regium hoc est De capellis et capellanis regum liber singularis cum notis perpetuis pro capella Aulae Hispanae d. Vincentij Turtureti Siculi ...,
Matriti : apud Franciscum Martines, 1630 (Matriti : ex officina typographica Francisci Martinez, 1630)
- [14], 126, [20] c., [1] c. di tav. : front. calcogr. ; 4o
- Segn.: " cv4 2cv8 A-P8 Q6 R-S8 T4
- Front. calcogr. inciso da Jean de Courbes
- Iniziali e fregi xil.
- Impronta - ame- o.9. s.a- satu (3) 1630 (A)
- [Variante del titolo] Sacellum regium hoc est De capellis et capellanis regum liber singularis cum notis perpetuis pro capella Aulae Hispanae d. Vincentij Turtureti Siculi ... ,
-
Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze
- Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano
- Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria - Napoli
- Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
- Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
In riferimento alle Amazzoni Franz Schreiber, di Berlino, pubblica, , nel Pfälzischen Presse del 27 aprile 1915 un
articolo dal titolo Donne combattenti, nel quale, sulla base di esempi antichi, moderni e
contemporanei, prova che, nel corso della storia, la presenza di soldatesse non è una rarità :
"Già nell’anno 529 a.C., il re dei Persiani Ciro fu sconfitto [co scrisseme Erodoto sui Messageti e Sciti guidati dalla regina Tomyris]
]da un esercito comandato da Tomiri, regina dei Messageti.
Anche di Zenobia, regina di Palmira, che visse nel terzo secolo dopo Cristo, sappiamo che spesso montava armata a
cavallo per condurre personalmente le sue imprese di guerra in Egitto e in Asia anteriore. Per inciso, Zenobia era una
delle meravigliose donne principesche dell’antichità, allo stesso tempo piena di grazia e di spirito, tanto che il retore
Longino, suo amico e consigliere, grazie alla conoscenza di lei avrebbe destato entusiasmo con il suo celebre libro “Del
sublime”, in cui egli con fine senso critico fa conoscere la grandezza della storia del pensiero e della scrittura.....
Sofronio Eusebio Girolamo (Stridone, Dalmazia 347 - Betlemme settembre 420), fu un traduttore della Bibbia dal greco e dall'ebraico al latino. È commemorato come santo (san Girolamo, in latino Hieronymus) dalla Chiesa cattolica, per cui è anche padre della Chiesa e dottore della Chiesa. Nell'iconografia è spesso rappresentato come un vecchio dalla barba bianca intento a scrivere, e per i suoi studi legati all'antichità è considerato il patrono degli archeologi.
Studiò a Roma, nel 379, ordinato prete dal vescovo Paolino, si recò a Costantinopoli dove poté perfezionare lo studio del greco sotto la guida di Gregorio Nazianzeno (uno dei "Padri Cappadoci"). Risalgono a questo periodo le letture dei testi di Origene e di Eusebio.
Dopo tre anni di vita monastica tornò a Roma, nel 382, dove divenne segretario di papa Damaso I e conseguì un notevole successo personale, ma alla morte del Papa il suo prestigio scemò e Girolamo tornò in oriente, dove fondò alcuni conventi femminili e maschili, in uno di questi trascorse gli ultimi anni. Morì nel 420.
Opere e attività culturale del Santo
La Vulgata, prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia, rappresenta lo sforzo più impegnativo affrontato da Girolamo. Nel 382, su incarico di papa Damaso I affrontò il compito di rivedere la traduzione dei Vangeli, successivamente, nel 390, passò all'antico testamento in ebraico concludendo l'opera dopo ben 23 anni.
Il testo di Girolamo è stato la base per molte delle successive traduzioni della Bibbia, fino al XX secolo quando per l'antico testamento si è cominciato ad utilizzare direttamente il testo masoretico ebraico e la Septuaginta, mentre per il nuovo testamento si sono utilizzati direttamente i testi greci.
Con il termine Vulgata si indica la traduzione in latino della Bibbia.
Girolamo fu un celebre studioso del latino in un'epoca in cui questo implicava una perfetta conoscenza del greco. Fu battezzato all'eta di 25 anni e divenne sacerdote a 38 anni. Quando cominciò la sua opera di traduzione non aveva una perfetta conoscenza dell'ebraico, perciò si trasferì a Betlemme per perfezionarne la conoscenza.
Girolamo utilizzò un concetto moderno di traduzione che attirò le accuse da parte dei suoi contemporanei; in una lettera indirizzata a Pammachio, genero della nobildonna romana Paola, scrisse:
"Io, infatti, non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l’ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone, che tradusse il Protagora di Platone, l’Economico di Senofonte e le due bellissime orazioni che Eschine e Demostene scrissero l’uno contro l’altro (…). Anche Orazio poi, uomo acuto e dotto, nell’Ars poetica dà questi stessi precetti al traduttore colto: Non ti curerai di rendere parola per parola, come un traduttore fedele"
(Epistulae 57, 5, trad. R. Palla)
Nel trattato Adversus Iovinianum, scritto nel 393 in due libri, l'autore esalta la verginità e l'ascetismo, spesso derivando le sue argomentazioni da autori classici come Teofrasto, Seneca, Porfirio.
Tra gli altri argomenti, in esso Girolamo difende strenuamente l'astinenza dalla carne dimostrandosi un vegetariano ante litteram:
"Fino al diluvio non si conosceva il piacere dei pasti a base di carne ma dopo questo evento ci è stata riempita la bocca di fibre e di secrezioni maleodoranti della carne degli animali [...]
Gesù Cristo, che venne quando fu compiuto il tempo, ha collegato la fine con l’inizio. Pertanto ora non ci è più consentito di mangiare la carne degli animali."
(Adversus Jovinanum, I, 30)
Il De Viris Illustribus, scritto nel 392, intendeva emulare le "Vite" svetoniane dimostrando come la nuova letteratura cristiana fosse in grado di porsi sullo stesso piano delle opere classiche. In esso sono presentate le biografie di 135 autori in prevalenza cristiani (ortodossi ed eterodossi), ma anche ebrei e pagani, che però hanno avuto a che fare con il cristianesimo, con uno scopo dichiaratamente apologetico:
"Sappiano Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non ha mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l’hanno fondata, edificata, illustrata, e cessino le loro accuse sommarie di semplicità rozza rivolte alla nostra fede, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza"
(Prologo, 14).
Le biografie hanno inizio da san Pietro e terminano allo stesso Girolamo ma, mentre nelle successive Girolamo elabora conoscenze personali, le prime 78 sono frutto di conoscenze di seconda mano non sempre completamente affidabili, tra cui Eusebio di Cesarea.
L’opera venne talora indicata da Girolamo stesso col titolo "De scriptoribus ecclesiasticis".
Assai interessante è il passo di una lettera all’amico Paolino da Nola, Girolamo si lamenta dei "dilettanti" che si arrogano il diritto di emettere sentenze sulla Bibbia:
"Agricolae, caementarii, fabri, metallorum lignorum que caesores, lanarii quoque et fullones et ceteri, qui variam supellectilem et vilia opuscula fabricantur, absque doctore non possunt esse, quod cupiunt. Sola scripturarum ars est, quam sibi omnes passim vindicent: scribimus indocti docti que poemata passim. Hanc garrula anus, hanc delirus senex, hanc soloecista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent, antequam discant […] et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, immo audacia disserunt aliis, quod ipsi non intellegunt. Taceo de meis similibus, qui si forte ad scripturas sanctas post saeculares litteras venerint […] sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia, quasi grande sit et non vitiosissimum dicendi genus depravare sententias et ad voluntatem suam scripturam trahere repugnantem […] Puerilia sunt haec et circulatorum ludo similia, docere, quod ignores, immo, et cum clitomacho loquar, nec hoc quidem scire, quod nescias"
(Epistula LIII ad Paulinum presbyterum, 7)
[TESTO DA "WIKIPEDIA L'ENCICLOPEDIA LIBERA ON LINE"]
VI./1. UNAM SANCTAM (18. 11. 1302)
a) (DS 870") Unam sanctam ecclesiam catholicam et ipsam apostolicam urgente fide credere cogimur et tenere, nosque hanc firmiter credimus et simpliciter confitemur, extra quam nec salus est, nec remissio peccatorum, sponso in Canticis (cf. Cant. VI,8) proclamante: ÆUna est columba mea, perfecta mea. Una est matri(s) suæ, electa genetrici suæ;" quæ unum corpus mysticum repræsentat, cuius (corporis) caput Christus Christi vero Deus. In qua unus Dominus, una fides, unum baptisma. Una nempe fuit diluvii tempore arca Noe, unam ecclesiam præfigurans, quæ in uno cubito consummata unum, Noe videlicet, gubernatorem habuit et rectorem, extra quam omnia subsistentia super terram legimus fuisse deleta. (DS 871") Hanc autem veneramur et unicam, dicente Domino in Propheta: ÆErue a framea, Deus, animam meam (cf. Psalm. XXI,21), et de manu canis unicam meam." Pro anima enim, id est pro se ipso, capite simul oravit et corpore, quod corpus unicam scilicet ecclesiam nominavit, propter sponsi, fidei, sacramentorum et caritatis ecclesiæ unitatem. Hæc est tunica illa Domini inconsutilis , quæ scissa non fuit, sed sorte provenit. (DS 872") Igitur ecclesiæ unius et unicæ unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum, Christus videlicet et Christi vicarius Petrus, Petrique successor, dicente Domino ipsi Petro: ÆPasce (Ioa. XXI,17) oves meas." Meas, inquit, et generaliter, non singulariter has vel illas: per quod commisisse sibi intelligitur universas.
a) Per imperativo della fede noi siamo costretti a credere ed a ritenere, che vi è una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica, e noi fermamente la crediamo e professiamo con semplicità, e non c'è né salvezza né remissione dei peccati fuori di lei - come lo Sposo proclama nel Cantico: ÆUna sola è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice". Essa rappresenta l'unico corpo mistico, il cui capo è Cristo, e (quello) di Cristo è Dio, e in esso c´è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Una sola infatti fu l'arca di Noè al tempo del diluvio, che prefigurava l'unica Chiesa; ed era stata construita da un solo braccio, ebbe un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa furono sterminati tutti gli esseri esistenti sulla terra. Questa (Chiesa) noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: ÆLibera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l'unica mia". Egli pregava per l'anima, cioè per Se stesso - per la testa e il corpo nello stesso tempo - il quale corpo precisamente Egli chiamava l'unica Chiesa, a causa dell'unità dello Sposo , della fede, dei sacramenti e della carità ecclesiale. Questa è quella veste senza cuciture del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Dunque la Chiesa sola e unica ha un solo corpo, un solo capo, non due teste come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro, perché il Signore disse a Pietro: ÆPasci le mie pecorelle". ÆLe mie", Egli disse, parlando in generale e non in particolare di queste o quelle, dal che si capisce, che gliele affidò tutte.
b) Sive ergo Græci sive alii se dicant Petro eiusque successoribus non esse commissos: fateantur necesse (est) se de ovibus Christi non esse, dicente Domino in Ioanne, unum (Ioa. X,16) ovile et unicum esse pastorem. (DS 873") In hac eiusque potestate duos esse gladios, spiritualem videlicet et temporalem, evangelicis dictis instruimur. Nam dicentibus Apostolis: ÆEcce gladii duo hic," in ecclesia scilicet, quum apostoli loquerentur, non respondit Dominus, nimis esse, sed satis. Certe qui in potestate Petri temporalem gladium esse negat, male verbum attendit Domini proferentis (Matth. XXVI,52). ÆConverte gladium tuum in vaginam." Uterque ergo (est) in potestate ecclesiæ, spiritualis scilicet gladius et materialis. Sed is quidem pro ecclesia, ille vero ab ecclesia exercendus. Ille sacerdotis, is manu regum et militum, sed ad nutum et patientiam sacerdotis. Oportet autem gladium esse sub gladio, et temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati. Nam quum dicat Apostolus: ÆNon est potestas nisi a Deo; quæ autem (cf. Rom XIII,1) sunt, a Deo ordinata sunt," non autem ordinata essent, nisi gladius esset sub gladio, et tanquam inferior reduceretur per alium in suprema. Nam secundum B. Dionysium lex divinitatis est infima per media in suprema reduci. Non ergo secundum ordinem universi omnia æque ac immediate, sed infima per media et inferiora per superiora ad ordinem reducuntur. Spiritualem autem et dignitate et nobilitate terrenam quamlibet præcellere potestatem, oportet tanto clarius nos fateri, quanto spiritualia temporalia antecellunt. Quod etiam ex decimarum datione, et benedictione, et sanctificatione, ex ipsius potestatis acceptione, ex ipsarum rerum gubernatione claris oculis intuemur.
b) Se quindi i greci o altri dicono di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, devono per forza confessare di non essere tra le pecorelle di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo gregge e un (solo e) unico pastore. Proprio le parole del vangelo ci insegnano che in questa Chiesa e nella sua potestà ci sono due spade, cioè la spirituale e la temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: ÆEcco qui due spade" - che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: ÆRimetti la tua spada nel fodero". Quindi ambedue sono nel potere (a disposizione) della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale. Però quest'ultima dev'essere esercitata in favore della Chiesa, l'altra direttamente dalla Chiesa; la prima dal sacerdote, l'altra dalle mani dei re e dei soldati, ma agli ordini e sotto il controllo del sacerdote. Poi é necessario che una spada sia sotto l'altra e che l'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice: ÆNon c'è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio", essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra, e, come inferiore, non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge da Dio, che l'inferiore sia ricondotto per l'intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari e immediatamente, secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Che il potere spirituale supera in dignità e nobiltà tutti quelli terreni dobbiamo proclamarlo tanto più apertamente quanto lo spirituale eccelle sul temporale. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall'esercitare il governo sopra le medesime.
c) Nam, veritate testante, spiritualis potestas terrenam potestatem instituere habet, et iudicare , si bona non fuerit. Sic de ecclesia et ecclesiastica potestate verificatur vaticinium Hieremiæ (Hier. I,10). ÆEcce constitui te hodie super gentes et regna" et cetera, quæ sequuntur. Ergo, si deviat terrena potestas, iudicabitur a potestate spirituali; sed, si deviat spiritualis minor, a suo superiori; si vero suprema, a solo Deo, non ab homine poterit iudicari, testante Apostolo (I. Cor. II,15): ÆSpiritualis homo iudicat omnia, ipse autem a nemine iudicatur." (DS 874") Est autem hæc auctoritas, et si data sit homini, et exerceatur per hominem, non humana, sed potius divina (potestas), ore divino Petro data, sibique suisque successoribus in ipso, quem confessus fuit petra, firmata, dicente Domino ipsi Petro (Matth. XVI,19): ÆQuodcunque ligaveris etc." Quicunque igitur huic potestati a Deo sic ordinatæ resistit, Dei ordinatione resistit , nisi duo, sicut Manichæus, fingat esse principia, quod falsum et hæreticum iudicamus, quia testante Moyse (Gen. I,1), non in principiis, sed in principio coelum Deus creavit et terram. (DS 875") Porro subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, diffinimus et pronunciamus omnino esse de necessitate salutis. Dat. Laterani, XIV Kal. Dec., Pont. nostri Ao. VIII.
c) Poiché la Verità attesta che la potestà spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: ÆEcco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni" e le altre cose che seguono. Se dunque il potere terreno devia, sarà giudicato dall'autorità spirituale; se poi il potere spirituale inferiore degenera, sarà giudicato dal suo superiore; ma se è quello spirituale supremo, potrà essere giudicato solamente da Dio e non dall'uomo, come afferma l'Apostolo: ÆL'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non viene giudicato da nessuno." Questa autorità infatti, benché conferita ad un uomo ed esercitata da un uomo, non è umana, ma piuttosto divina, attribuita per bocca di Dio a Pietro, e resa intangibile per lui e per i suoi successori in colui che egli, la pietra, aveva confessato, quando il Signore disse allo stesso Pietro: ÆQualunque cosa tu legherai ecc." Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone all'ordine di Dio, a meno che non pretenda come i manichei che ci sono due princìpi, il che noi giudichiamo falso ed eretico, perché - come dice Mosè - non nei principii, ma nel principio Dio creò il cielo e la terra. Per consequenza noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice. Data in Laterano, nell'ottavo anno del Nostro Pontificato.
San Bonaventura da Bagnoregio
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San Bonaventura da BagnoregioGiovanni Fidanza (Bagnorea, oggi Bagnoregio, 1217/1221 circa — Lione, 1274) è stato un religioso cristiano, un filosofo e teologo italiano, conosciuto con il nome di Bonaventura (assunto quando divenne frate francescano) o Bonaventura da Bagnoregio. Soprannominato Doctor Seraphicus, insegnò all'Università di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino.
Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa. È considerato uno tra i più importanti biografo di san Francesco d'Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda maior — si ispirò Giotto da Bondone per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi.
Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le "Costituzioni narbonesi", su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine.
La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana.
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria il 15 luglio.
La data in cui Giovanni Fidanza venne alla luce non è certa. Vienne collocata tra il 1218 e il 1221.
Nel 1235 si reca a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entra tra i Frati Minori. I suoi studi di teologia terminano nel 1253, quando diventa "magister" (cioè "maestro") di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare").
Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire tale licenza a religiosi degli ordini mendicanti, sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. E proprio nel 1253 scoppia uno sciopero al quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi dall'insegnamento.
Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257.
Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attoeno al 1260. In conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti. Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato ai danni dei corsi tenuti dai frati mendicanti. Tutto questo nonstante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti.
Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister.
Nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, e rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni della nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa.
Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l'unità dei Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine. Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260, contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei membri dell'Ordine: le Costituzioni dette appunto Narbonensi.
A lui, in questo Capitolo, venne affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi che, intitolata Legenda maior, diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine. Infatti il Capitolo generale succesivo, del 1263, approvò l'operà composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precendenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.[1]
Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti.
A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia.
Nel 1270 lascia Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tiene altre conferenze nelle quali attacca quelli che sono a suo parere gli errori dell'aristotelismo.
Nel maggio del 1273, già vescovo di Albano, viene nominato cardinale; l'anno successivo partecipa al Concilio di Lione (in cui favorisce un riavvicinamento fra le Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale muore, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.
Pierre de Tarentasie, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie, e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione.
Nel 1434 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua testa venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 maggio 1588 da un altro francescano, papa Sisto V.
Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal putno di vista teologico che da quello filosofico.
Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino.
Egli combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero.
Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo.
Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo.
Egli sostiene, infatti, che:
"(...) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre".
Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.
Nella sua opera più famosa, l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"), Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gli averroisti).
Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa, ricondurlo infine a Dio.
Secondo Bonaventura, dunque, il viaggio spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla ragione suprema di Dio stesso.
Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umile preghiera, poiché:
"(...) nessuno può giungere alla beatitudine se non trascende sé stesso, non con il corpo, ma con lo spirito. Ma non possiamo elevarci da noi se non attraverso una virtù superiore. Qualunque siano le disposizioni interiori, queste non hanno alcun potere senza l'aiuto della Grazia divina. Ma questa è concessa solo a coloro che la chiedono (...) con fervida preghiera. É la preghiera il principio e la sorgente della nostra elevazione. (...) Cosí pregando, siamo illuminati nel conoscere i gradi dell'ascesa a Dio".
La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla "scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:
1) Il grado esteriore:
"(...) è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio.
2) Il grado interiore:
"È necessario poi rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che ci conduce nella verità di Dio.
3) Il grado eterno:
"Infine, occorre elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua maestà".
Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi, l'anima ha anche tre diverse direzioni:
"(...) L'una si riferisce alle cose esteriori, e si chiama animalità o sensibilità; l'altra ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima (...).
Dunque, per Bonaventura l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umana, in quanto solo essa determina la «sinderesi», cioè la disposizione pratica al bene.
Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità "extra nos" (cioè "fuori di noi"), "intra nos" ("in noi") e "super nos" ("sopra di noi"). Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi:
come "vestigia" (o impronta) di Dio, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia;
come "immagine" di Dio, che si trova solo nelle creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà;
come "similitudine" di Dio, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio".
La Creazione dunque è ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria, e la natura non ha sua consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato. Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico, in cui i discepoli di Gesù dissero:
"Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli! Alcuni farisei tra la folla gli dissero: Maestro, rimprovera i tuoi discepoli. Ma egli rispose: Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre.
(Lc, 19,38-40)
Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre "gridano" tale loro legame col divino.
Opere
Breviloquium
Collationes de decem praeceptis
Collationes de septem donis Spiritus Sanctis
Collationes in Hexaemeron
Commentaria in quattuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi
De mysterio Trinitatis
De perfectione vitae ad sorores
De reductione artium ad theologiam
De Regno Dei descripto in parabolis evangelicis
De scientia Christi et mysterio Trinitatis
De sex alis Seraphin
De triplici via
Itineriarium mentis in Deum
Legenda Sancti Francisci
Lignum vitae
Officium de passione Domini
Quaestiones de perfectione evangelica
Soliloquium
Summa theologiae
Vitis mystica
Vedi = Giovanni Merlo, Storia di frate Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Maria Pia Alberzoni et al. Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana. Torino, Einaudi, 1997. pp. 28-30