da T. O. De Negri

Nel periodo più prospero dell'impero l'abitato di Albingaunum si estese anche fuori del perimetro delle mura fin sotto la collina del Monte. infatti, nel corso di lavori nell'attuale letto del fiume Centa si sono scoperti un complesso termale con numerosi ambienti (fra il II e il IV sec. d.C.), che sono stati messi in relazione con terme ricordate da un iscrizione, oggi perduta, ma nota da una trascrizione, e sette piloni dell'acquedotto; più oltre la necropoli (II-III sec. d.C.) con tombe a recinto lungo la strada romana e, a ridosso della collina, la zona paleocristiana di San Calogero con il complesso delle rovine della basilica e del monastero nelle sue varie fasi con il reimpiego di materiali romani. Sull'altro lato della città, a occidente, fuori dalle mura ma in asse con il decumano massimo, è stata scoperta a livello di fondazione una vasta costruzione a quadriportico, con al centro un monumento a grandi blocchi, databile al I secolo d.C., in seguito abbandonata e utilizzata per una necropoli tardoromana e bizantina. L'edificio, caratterizzato dalla sua ubicazione ed assialità con il decumano, è da ritenersi un mercato extra-moenia come quello di recente scoperto (e nuovamente interrato) ad Aquileia. Ad Albingaunum non vi sono dunque edifici urbani romani emergenti fuori terra, ma l'impianto romano è più evidente che altrove attraverso la città medievale che lo conserva in modo così vivo e in più con la suggestione di un mondo comunale preservato fuori dal tempo. Fuori città, sulla spianata della collina del Monte, che è stato probabilmente il luogo dell'insediamento fortificato preromano, sorgeva l'anfiteatro, ora in gran parte demolito. Insolitamente costruito al sommo di una collina, di esso restano tratti del muro perimetrale esterno con contrafforti, dell'ellisse interna che circondava l'arena e uno degli ingressi principali di grandi proporzioni. Sul colle si segue, in una pittoresca passeggiata archeologica in zona agreste, il percorso della via Julia Augusta, conservata a tratti in tagli nella roccia e nel lastricato a pietrame e gradini, rimaneggiata nel medioevo con fasce laterizie, che si snoda a mezzacosta fino ad Alassio fiancheggiata da una serie di mausolei e di ruderi; spicca, all'inizio, il cosiddetto 'Pilone', monumento funerario del II secolo d.C., molto restaurato dal d'Andrade nel 1892 e danneggiato nell'ultima guerra. È del tipo detto 'tromba a torre', e consta di tre corpi quadrangolari (in muratura in conglomerato piena a paramento di blocchetti spaccati) sovrapposti, coronati in alto da un attico che formava due nicchie con le statue dei defunti. Sulla fronte a mare è una nicchia a volta entro la quale sono due nicchie per le urne funerarie. Presso Cisano sul Neva è un monumento funerario simile, detto 'torre dei Saraceni'. Una serie di sepolcri monumentali a fianco della strada, convenzionalmente indicati con lettere dell'alfabeto, rappresentano, con i recinti funerari di Ventimiglia (in gran parte non più conservati), un raro esempio in Liguria di architettura funeraria del tipo 'a recinto' con nicchia semicircolare o colombario con loculi, oltre che di strutture a piccolo apparato con inserti opus reticulatum (blocchetti disposti diagonalmente a losanga) e di opus incertum rivestito di intonaco (all'interno tracce di affresco) del I secolo d.C. Alcune miniature appartengono invece a una villa che non è stata esplorata. Come a Ventimiglia, anche se in proporzione assai minore, la necropoli ha restituito corredi funerari, per lo più reperti in ceramica, e, inoltre, un'urnetta funeraria marmorea decorata con motivi vegetali e uccelli; più raro è un puteale marmoreo decorato con bucrani e festoni secondo la tipologia delle are rotonde sconosciuta in Liguria. Un solo pavimento musivo recuperato si affianca alla maggior documentazione di Ventimiglia; si tratta di un mosaico geometrico del I secolo, con motivi quadrangolari e a losanga che sono più propri dell'opus sectile. Numerose epigrafi funerarie e onorarie, di cui molte anche paleocristiane, testimoniano l'attività di lapicidi. Albenga paleocristiana nella sua forma urbis venne riedificata da Costanzo III, dopo le devastazioni dei Goti e dei Vandali, tra il 414 ed il 417 come si ricava da un'iscrizione (C.I.L., V, 7781) e da un passo di Rutilio Numaziano (F. DELLA CORTE, La ricostruzione di Albingaunum [414-417 d.C.], in "Rivista di Studi Liguri", L, 1984, pp. 18-25). Le fonti attribuiscono a Costanzo III il restauro del porto, delle mura, di case private e di pubblici edifici ma non gli attribuiscono interventi a favore degli edifici ecclesiastici, opere forse avvenute in modo autonomo su committenza vescovile. Tuttavia il complesso vescovile era incastonato nel tessuto della città romana e la Cattedrale si trovava sel sito dell'antico foro (J. COSTA RESTAGNO, Albenga, topografia medievale, immagini della città, Bordighera, 1959 ed Ead., Albenga, le città della Liguria, 4, Genova, 1985. Su possibili restauri di Costanzo in Ventimiglia di Nervia mancano dati così precisi e dopo la distruzione di fine IV sec. od inizi del V, l'archeologia recupera tuttora materiale di distruzione, accumulato però in "fosse di scarico" aperte per coprire le macerie ma anche per ottenere terra vegetale. Da ciò si deduce che nella città romana di Nervia doveva sopravvivere una pur modesta vita locale: una distruzione successiva (di V o VI sec.) fa pensare ad un intervento militare su siti abitati, cosa che traspare a Nervia da rifacimenti d'età bizantina e longobarda (Albintimilium ...cit., p.69).