Informatizzaz./ripr. Durante

N. CUNEO NEL SUO ANCORA UTILISSIMO VOLUME SULL'EMIGRAZIONE ITALIANA IN ARGENTINA NEL XIX SECOLO HA RIPRODOTTO QUESTA STAMPA APPORTANDO LA SEGUENTE DIDASCALIA: "PIANTA DELLA CITTA' DI GENOVA: 1829 (DALLE RACCOLTE DI PALAZZO ROSSO, GENOVA)"











I PORTI DELLA SPERANZA: GENOVA, LO SCALO E L'EMIGRAZIONE
Lo
SCALO DI GENOVA fin dai primi decenni del XIX secolo costituì un punto di riferimento per quanti intendevano lasciare l'Italia alla volta di terre straniere, in particolare i PATRIOTI sfuggiti alle prime persecuzioni: la superstite documentazione topografica ed iconografica permette tuttra di evidenziare le potenzialità del grande PORTO MEDITERRANEO, sovrastato dalla MOLE DELLA LANTERNA.
Col trascorrere del tempo l'APPRODO GENOVESE addirittura potenziò questa sua VALENZA cui peraltro contribuiva lo sviluppo di tutto un SISTEMA IMPRENDITORIALE ED ARMATORIALE che faceva perno tanto sul grande PORTO ligure quanto sulle sue DIRAMAZIONI STRUTTURALI, che potevano andare dallo stesso territorio periferico di Genova (comunque sempre votato ad una prevalente attività marinaresca: si vedano ad esempio i casi nei primi anni dalla II metà dell'Ottocento, di PEGLI e SAMPIERDARENA) ad altre postazioni, specie nella RIVIERA DI PONENTE ove si segnalavano lo SCALO MINORE DI SAVONA e la vasta area marinaresca di VARAZZE ove erano impiantati arsenali per la costruzione di navi.
nel periodo compreso tra il 1876 e il 1901, continuò a rappresentare il primo porto italiano dell'emigrazione.
In base ai dati statistici si sa che vi transitarono e vi s'imbarcarono 1.922.968 persone, il 61% del totale nazionale di quegli anni.
La percentuale di traffico per il porto ligure verso la fine del XIX secolo prese a scemare per giungere al 54% ai primi del Novecento: da quel momento in poi prevalse lo scalo di NAPOLI peraltro assai più comodo per i tantissimi emigranti meridionali che la miseria, connessa all'epansione del latifondo ed alla carenza di una politica agraria peraltro resa ardua da reitarate carestie, spingeva oltre oceano.
Inoltre le linee che facevano capo a Napoli comportavano la meta statunitense, che andava diventando quella privilegiata a scapito dell'America Meridionale, per cui Genova era lo scalo italiano d'elezione: eppure la grande città ligure, ancora per un quarto di secolo, costituì un punto cardine del flusso migratorio con un numero di persone imbarcate che annualmente ammontava ad una percentuale pari al 15 e il 25% dei suoi residenti.
In effetti a Genova sin dal 1850 avevano preso a "lavorare" varie imprese specializzate nel trasporto di emigranti: in media disponevano di tre o quattro navi attrezzate per trasportare anche cinquecento persone a viaggio.
La struttura portuale risultò mediamente all'altezza delle esigenze del traffico e non vi mancarono le migliorie tra cui la realizzazione del nuovo Ponte Federico Guglielmo e quindi della prima stazione marittima.
La città, all'opposto di Le Havre, Amburgo, Marsiglia o Liverpool, si dimostrò però restia a rinnovarsi in funzione delle esigenze di accoglienza di una massa crescente di viaggiatori, per giunta, molto spesso, poveri di adeguate risorse per una propria adeguata sussistenza.
In merito alla realizzazione di opportuni ricoveri tutto, in effetti, rimase allo stato larvale di progettazione: questa purtroppo fu la risposta pubblica data alle ideazioni non peregrine, per esempio, di Pietro Giaccone che, nel 1892, pensò all'attivazione quale asilo per emigranti di due capannoni a Santa Limbania, o di Luigi Solari che nel 1898 avanzò la proposta di ristrutturare un vecchio piroscafo, sì da trasformarlo in decorosa nave-albergo.
Quale conseguenza a siffatto disimpegno politico si ebbe l'offerta crescente, ed esosa, dei privati, soprattutto con il proliferare di locande per emigranti: che, per esempio, da 28 nel 1903 celermente salirono a 33 nel 1905 ma che, in media, erano sempre locali modesti, destinati, per la scarsa cura igienica, a diventare veicoli di infezioni e malattie contagiose.
Per alcuni salire sui vascelli sembrava una liberazione, pareva finalmente di avere sotto i piedi un pezzo della "terra promessa": ma non era così...il viaggio era solo all'inizio!
Dal 1880 era tramontata l'era della navigazione a vela ed era iniziata quella dei grandi bastimenti a vapore che riducevano ad 8 giorni (fino ad un massimo di 14) la durata di una traversata atlantica, che contava invece svariate settimane ai tempi della vela.
Tale novità, che poteva sembrare e in termini di tempo era di fatto un grande vantaggio, comportò però uno stravolgimento del settore marittimo, che venne caratterizzato da uno sfruttamento sempre più globale, industrializzato e concorrenziale, il cui fine era la produzione di cespiti crescenti per le grandi flotte, come ad esempio la Cunard, la White Star, la Hamburg-America, in selvaggia competizione non solo sul traffico "di lusso" ma pure sul trasporto degli emigranti.
Si potenziarono molte navi al parossismo delle capacità sì da portare nelle stive oltre mille passeggeri.
Questi, prima dell'imbarco, venivano lavati con un bagno disinfettante e dovevano passare una prima visita medica mentre i loro bagagli subivano un accurato processo di disinfestazione.
Tutto ciò non era connesso ad alcuna preoccupazione umanitaria: le compagnie marittime, atteso che dovevano pagare un'ammenda di 100 dollari per ogni emigrante cui era rifiutato l'ingresso negli Stati Uniti, si rifiutavano di imbarcare chi apparisse malato o menomato.
E non a caso medici della Hamburg-America si recarono addirittura negli Stati Uniti per studiare i metodi di esame dei medici americani impeganti ai cancelli d'ingresso per emigranti, soprattutto ad Ellis Island.
Ma anche se alla partenza i referti sanitari potevano risultare confortanti i disagi della traversata erano quasi sempre caratterizzati rilevanti, tali da causare malanni di vario genere.
In particolare il semplice viaggiare nelle stive poteva minare i fisici più gracili per la scarsa ventilazione, gli spazi ristrettissimi, la carenza di igiene, lo stesso rumore.
Lo scrittore Edward Steiner, in merito alle condizioni di vita degli emigranti nelle stive del lussuoso transatlantico Kaiser Wilhelm II, annotò: "Non c'è né spazio nè sotto coperta né sul ponte.
I 900 passeggeri sono stipati come bestie. Col tempo buono è impossibile passeggiare sul ponte e con quello cattivo egualmente impossibile respirare aria pulita fra le cuccette. Le stive delle moderne navi dovrebbero essere considerate inadatte al trasporto di passeggeri".
Le proteste delle organizzazioni umanitarie riuscirono ad ottenere consensi crescenti e finalmente un rapporto al Congresso degli Stati Uniti d'America, nel 1909, sanzionò pubblicamente come le condizioni nelle stive fossero da giudicarsi inumane, gravemente perniciose sia per la salute che per il morale dei passeggeri.
Per siffatte iniziative dal 1910 la maggior parte delle linee marittime surrogarono le stive, nelle nuove navi, con sistemazioni di terza classe e i dormitori vennero sostituiti da cabine da 4 o 6 mentre, per quanto concerneva i pasti, si prese la nuova abitudine di non servirli più tramite distribuzione in giganteschi marmittoni ma riunendo gli emigranti in sale provviste di grandi tavolate ove potessero dignitosamente prendere posto.