cultura barocca
riproduzione e informatizzazione di B. Durante

PALAZZINE DEL "PORTOFRANCO" IN UN'INCISIONE DI FINE XVIII SECOLO DI A.GIOLFI E G.L.GUIDOTTI































DA LETTERE AD UN AMICO. VIAGGIO DI GENOVA DEL 1774
di
GIAMBATTISTA BIFFI
[Il testo è tratto dal manoscritto conservato alla Biblioteca Governativa di Cremona sotto la segnatura: aa. I. 2. Le lettere erano dirette al suo amico cremonese l'abate Antonio Pizzoni. Biffi ebbe a compagno di viaggio l'avvocato Giuliano Vacchelli: L'opera è riprodotta integralmente in Miscellanea di storia ligure, I, Genova, 1958, pp. 383 sgg.]
"Genova 22 8bre 1774, sabato
Carissimo d. Antonio,
Non si aspetti ad un'esatta descrizione di Genova. Né io né anima vivente è capace di fargliela. Le dirò solo che questa dominante è una città tutta composta di palazzi, ognuno de' quali fa inarcar le ciglia; veder le piazze e le intiere contrade formate da queste moli, tutte o a grandi marmi e colonne e statue. o pur dipinte a colori imponentissimi o anche co' l'uno e l'altro unitamente.
Vi sono tanti palazzi e di tale belezza, da guernirne e decorarne cinquanta città, e chi non sapesse cos'e Genova facilmente, in vedendola, potrebbe venirle in mente che tutti i re della terra si fossero accordati ad alloggiare in una sola città. Su questo proposito, d. Antonio mio, la cosa va alla sorpresa, allo stupore, alla meraviglia. Questi patrizi non so se vivano da cavaglieri, ma so che allogiano da monarchi. Venga a vedere la strada nuova massimamente, la Lomellina, la Balbi, quella che va a' Banchi e poi mi dirà se ponno descriversi. La piazza della Nonciata è una spezie d'ovato, una superba chiesa in fronte, cinque vie drittissime che d'in mezzo si scuoprono e queste formate e la piazza tutta da tante reggie che unendo al sontuoso, al grande dell'architettura e della maestà il dilettevole di spaziosi orti pensili e di verdeggianti agrumi posti ove altrove non veggonsi che tegole, formano una scena incantatrice.
Se non paragono Genova all'antica Babilonia o a Persepoli, non saprei a quale tra le moderne pareggiarla per dargliene un'idea! E chi potrà contrastarle il titolo di superba che gode cosi a buon diritto! Mi figuro vedere questa metropoli in occasione d'una qualche publica alegrezza, illuminata la notte con fiaccole e fanali, quantità d'istromenti di musica risuonare d'intorno e più del solito spessa farsi la moltitudine: qual spettacolo per qualunque europeo, ma per un caraibo, un moscovito, per un lodigiano, per un cremonese, qual vertigine di sorpresa! L'affluenza del popolo, l'aria sollecita ed occupata d'affari dalla moltitudine, la frequenza delle botteghe, la ricchezza delle merci, tutto, persino l'angustia delle contrade, internate, oscure, ma maestose, da un'aria al totale di opulenza e di una grandezza che piace. Là muli carichi di mercanzie che in grandi schiere defilano, qui uomini che trasportano robba e mercadanti uniti che concertano affari, ad ogni volgere di contrada, fabriche che s'inalzano, schiavi che passano, forastieri mille che interpellano, ogni cosa da luogo a riflessioni e pensieri d'invidia per questo gran paese, e d'umiliazione per noi.
Che non può il traffico e l'industria secondati dalla situazione e fomentati dal governo? In un paese posto in mezzo al dirupi, ove niente nasce naturalmente, alle sponde d'un mare sterile e borascoso e posta una città di centocinquantamila persone e tutto vi si trova e tutto abbondantemente. Sonovi magistrati sui grani, sulle carni, sui vini, che sono quasi tutti di Francia, sopra ogni genere di vettovaglia.
. . . Le leggi della Republica sono dolci ed il governo mittissimo, le pene blande e moderate, alcun dice anche di troppo. I nobili sono singolarmente rispettati, ne v'ha mercadante ed artista che non si procuri il padrocinio di alcuno di questi signori, tanta è l'influenza che hanno in ogni cosa. Vorrei la nazione generalmente un po' più ospitaliera e meno avida, ma questo difetto proviene forse ed emana da quelle virtù, parte di scielta e parte di necessita, che fanno prosperare questa republica, cioè dall'economia, dalla frugalità, dall'amore dell'occupazione e dell'ordine e da quella geometria d'abitudini e d'azioni che se alterare si vogliono o sconvolgere, ciò deve essere a peso d'oro. Ma vedo che mi perdo in politica, e non e questo il mio scopo, lo che me ne sono proposti tant'altri nelle mie osservazioni e in conseguenza nelle mie lettere che anderò dirigendole. Ho veduto oramai tutte le chiese e vi ho rimarcato dei veri capi d'opera di alcuni pittori di qui. Ciò formerà una lettera. Non so se un'altra basterà sulle gallerie. Dica lo stesso del mare e di altre rimarcabili cose.
Carissimo d. Antonio.
Genova, lunedì 24 8bre
. . . Prima della casa Balbi siamo stati a veder Porto franco. Tutte le merci che per il mare arrivano in questo porto e da dove si alza il sole e da dove tramonta si depositano in tanti magazzeni fabricati per ordine ed in ottima simetria per modo che formano una città. Quivi sono le ricchezze d'Italia e di gran porzione d'Europa. Questa fabrica e questi magazzeni sono custoditi da guardie, sotto la più imediata protezzione della Republica. Niuno vi dorme la notte, a cagione del fuoco credo. D'estate si apre mattina e dopo pranzo; l'inverno la mattina soltanto. Si figuri una fiera perpetua e avrà un'idea di Porto franco. Sempre folla grande, che trasporta balle di mercanzie, chi sollecito parla con un capitano di nave, tutto ha moto, tutto ha vita, ogni cosa e animata.
Entrando in quel rispettabile luogo mi sembrava mi venisse incontro il genio benefico protettore di questi popoli e dirmi: io ho imaginato questo stabilimento e con le proprie mie mani ho inalzata !la fabrica; sembravami che la buona fede scacciata per tutt'altrove qui si fosse rifugiata a presiedere, ad aumentare i contratti. Il silenzio ad ali lente parevami che volasse sopra i magazzeni te nendo il dito alla bocca, a indicare segreto, acciò riescan gli affari, e moderazione in non disturbare le altrui occupazioni: intanto un gran gigante che col capo toccava le nuvole, tenente un piede in terra e l'altro sul mare, vestito colle stoffe de' più lontani paesi, placido in volto, robusto, serio, ben nodrito, versando d'ambe le mani l'oro guardava con un'estrema compiacenza questa città e questo loco singolarmente.
Non vorrei che questa visione fosse l'effetto del punch che ho bevuto a bordo un vascello inglese questo dopo pranzo. Oltre que sto siamo stati col marchese Viale a bordo d'un provenzale e d'un olandese" [Nel suo diario, intitolato Cose notabili accadute in Cremona dal I° ottobre 1777 al 24 ottobre 1781 Biffi noterà il 22 novembre 1777 come giungesse a Cremona Francesco Viale, patrizio della repubblica di genova, fratello della contessa Giulia Schinchinelli: "Questo cavagliere è uomo di grandissimo ingegno, originale ed amabile in tutte le cose sue. Si pose anni sono in corrispondenza coll'imperador di Marocco, andava sulle traccie dei Medici. La sua patria e l'Italia lo guardava attonita: non so qual contratempo interuppe le vaste sue idee . . . " Francesco Viale infatti era uomo dai molti interessi. Inviato genovese a Firenze nel 1766, divenne amico del favolista Lorenzo Pignotti. Tornato a Genova, raccolse un'ampia collezione e si occupò d'architettura. Creò una compagnia per commerciare col Marocco e finì, nel 1794, per essere tormentato dal governo della Repubblica per la sua amicizia con l'agente francese Tilly e con il gruppo dei patrizi novatori]. "Lei non potrebbe credere come questi capitani mercanti sono politi nell'accogliere chi li va a trovare in quelle loro case fluttuanti! E Vacchelli monta scale di corda, viene a bordo, il vento le spenachia il topé "[tope', toppe, dal francese toupet, definito dal dizionario settecentesco dell' Alberti: " adornamento moderno che si fa de' capelli tratti dall'insù della fronte all' indietro" ]" e naviga ardito come un Anson "[George Anson (1697?1762), ammiraglio inglese, noto soprattutto per la circumnavigazione della terra compiuta tra il 1740 e i1 1744, da lui descritta in un libro]" ed un Ruiter.
Prima di venire a teatro dove abbiamo avuto la rapresentazione del Cid di Pietro Cornelio, il marchese Viale mi ha presentato al doge che presentemente è il serenissimo Francesco Grimaldi "[Pier Francesco Grimaldi ( 1715 ? 1781 ), doge dal 1773 al 1775]". Questo principe è d'un aspetto maestosissimo, accoglie i forastieri con la maggior grazia del mondo; il suo abito da camera è curioso: sotto veste e calzoni di damasco ponsò "[ponsò: dal francese ponceau (papavero) "colore come di fuoco" (Alberti)]", calzette e scarpe dello stesso colore con una gran perucca alla dolfina ed una soprana indosso pavonazza.
Sopragiunsero delle dame e vari cavaglieri ed ho avuto Una pieccola idea del modo loro di conversare. Si parla molto di amalati, di morti, di raccomandazioni d'anima, di sentimenti divoti, ciò che mi ha edificato, sicome pure mi sorprende la pietà e divozione in generale di questo popolo. Le chiese son sempre popolate ogni giorno ed edificantemente il teatro è spogliato la sera.
Genova, mercoledì 26 8bre del 74
D. Antonio carissimo,
. . . Al dopo pranzo col nostro marchese Viale fummo al mare, il quale non era placidissimo e andammo a bordo d'una nave danese proveniente da Bergen di Norvegia. Non ho termini per dirle quanta sia l'onesta, il candore, la grossolana, sincera polizia, le non finte accoglienze di queste buone persone di mare. Spiegarono bandiera mentre eravamo a bordo, che è la maggior distinzione che far possono e verso sera ritornati nel nostro gozzo rientrammo per la porta del molo.
Quivi incontrai monsignor Cambiaso "[Monsignor Michelangelo Cambiaso era stato pro?legato in Romagna nel 1767?1769, ma non fu mai né nunzio, né internunzio a Napoli]", già destinato nunzio del papa a Napoli. Senza avermi veduto mai né tampoco fosse inteso il mio nome dal marchese che me le presentò, principiò ad uccidermi con delle riverenze, con delle proteste, con un fiume di stima, d'ossequio, di servitù. Qual contrasto, quanta differenza fra un capitano di nave di Norvegia ed un prelato di corte di Roma!
Quegli con un eccellente bichier di vino mi augurava prosperità e sinceri certo erano i suoi voti e certo ero di essere ben venuto, questi, coi suoi superlativi e le offerte precipitose, ero sicuro che non pensava né pure a me intanto che meco parlava.
La sera fossimo secondo il solito al teatro, ove si rapresentò assai bene il Figliol prodigo di Voltaire. Questa sera avremo La coquette coriée e per dimani dovevamo avere Il fanatismo o Maometto, ma la religiosità del maestrato preposto al spettacoli ha creduto travedervi per entro dell'empietà e per assicurare la conscienza torre qualunque pericolo ai fedeli prudentemente l'ha proibita. La nazione in generale è assai divota, ne è una prova il dolcissimo tribunale della sacrosanta Inquisizione che tutt'ora in Genova sussiste a vera edificazione e spirituale conforto dei fedeli. Non è valso il mal esempio di mezz'Europa che ha spento questo freno dell'eresia, questo flagello dell'empietà, quest'argine della magia e delle stregonerie. E' vero pero che il padre reverendissimo inquisitore non vuol far niente se non se la intende con due senatori e ciò è male perché in verità i secolari non se n'intendono proprio mente di materie ecclesiastiche, capacissimi di rifiutare il loro voto, trattandosi d' abbruciare un uomo , d' immurarlo vivo, di slogarle le ossa ed altre simili caritatevoli operazioni che dai reverendi padri predicatori si usano sui corpi per la salute delle anime. Si frequentano moltissimo le chiese, si pensa giù alla buona come si faceva a Milano vent'anni sono, si detestano i cattivi libri e in generale non se ne leggono molti né di cattivi né di buoni.
I1 popolo è fiero, risentito, robusto, bravo nell'armi, ne v'ha pericolo che lo sgomenti. Testimoni di ciò i marinari genovesi che sono forse i migliori d'Europa, testimoni le prodezze fatte dagli abitanti queste riviere e questi monti nell'ultima guerra. Alla decisione del portamento, alla precisione delle risposte, al maschio dello stesso tuono di voce lei potrebbe giudicare di quanto dico, i ragazzi non hanno dipinta in volto e ne' lenti moti quella polentagine che si ritrova fra i nostri.
Il mercante è sobrio ed acurato, e oltre misura osservatore delle pratiche tutte de' suoi antecessori. Il nobile è altiero generalmente, rispettato, ma non prepotente, e se come individuo è capace d'un colpo o d'un risentimento di vigore, unito agli altri in consiglio e dolce e moderatissimo. Mi diceva uno rischiarato patrizio che per contenere un tal popolo vi sarebbe abbisognata altra truppa che quella che esiste, ma che suppliva a tener in freno la moltitudine il timore delle vendette particolari.
Le donne non vi sono belle, smilze e picciole per lo più, si direbbe che il sale della marina le ha essicate; hanno una cert'aria di dispetto che è curiosa, sono poco colte anche nel primo ordine. A questa regola facci pero delle grandi eccezzioni: la marchesa Viale, per esempio, e per la figura e per lo spirito è donna da brillare e da piacere dovunque.
Siamo stati questa mattina a vedere la galleria di Marcello Durazzo "[doge della repubblica di Genova dal I767 al 1769]" e al dopo pranzo quella di monsignor Cambiaso: dovrei dirgliene tropo per dirgliene qualche cosa, e cosi e meglio niente. Hanno questi signori cose da monarca, né guardan dietro ad un migliara di filippi più o meno quando si tratta di un pezzo che loro piace. Prima di pranzo fummo a vedere i forni publici, fabrica come tutte le altre d'una sontuosità unica o forse di questa republica. Là entra Cerere in grano e sorte Cerere in pagnotte da saziare ogni dì sessanta o settanta milla persone: un forastiere perderebbe moltissimo a non avere vista una tal cosa.
Nel ritornare avanti pranzo a casa stavo passeggiando su quella parte di mura della città che guarda il monte: di là scoprivo l'infinite case di campagna, i moltissimi palazzi sorprendentissimi che adornano que' monti e fanno fuori di Genova un'altra città della città stessa più grande, più bella e più popolata. La giornata serena, un venticello che temperava il calore del sole incomodo anche in fine d' ottobre, acresceva il bello a un tutt'insieme di per se stesso incantatore.
Ecco, tacito dicevo tra me stesso, quanto vale e quanto può libertà! Cerca in vano tutto ciò ove generalmente si serve, questi sono ~ dolci frutti d'economia, grandiosità e splendore: le conseguenze del fasto sono avilimento e invidia negli altri, miseria e mendicità in chi l'esercita. Cercansi virtù maschie? Esempli da secolo, azioni antiche romane tra moderni popoli? Tra popoli liberi soltanto si potran rinvenire. Si acusano i Genovesi di troppa economia e la loro sedulità agli affari la chiamano avarizia. Io mi credo autorizzato a chiamarla, a giudicarla mezzo ond'essere generosi. Chi ha eretto i spedali ove ricoveransi e socorronsi tutti li homini infermi indefinitamente d'ogni nazione e d'ogni religione? E chi eresse superbi asili ai poveri, chi li dottò? Chi raccolse i pupilli, chi lasciò grandiosissime somme colle quali ogni giorno sostentare, strapar dalle fauci di morte que' tanti individui della nostra spezie ridotti dalle sventure all'ultime miserie nelle quali 1'insensibilità del cuor nostro e le distrazioni gli lascierebbero perire, e che altro mai poteva produrre, poteva effetuare così grandi cose se non se la sobrietà, l'ecconomia, la pazienza, l'aplicazione republicana?".