cultura barocca
riproduzione e informatizz. B. Durante (vedi nell'immagine la sede conciliare che fu la cattedrale di Saint Maurice de Vienne)

Il Concilio di Vienne di cui qui si legge in traduzione il testo integrale cittadina della Provenza è divenuto tristemente celebre per la condanna dei Cavalieri Templari ma esso comportò altri provvedimenti come=tenutosi dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312 sotto Papa Clemente V (1305-1314) avvenne in 3 sessioni comportanti la Soppressione dell'ordine dei Templari - la disputa sulla povertà francescana - i decreti di riforma = eccone l'Indice Tematico: -Bolla di Soppressione dell'Ordine dei Templari
-Decreti - -(Sull'anima forma del corpo) - -(Obbligo di ricevere gli ordini sacri) - -(Sulle Beghine) - -(Sul culto cristiano) - - (Per l'insegnamento delle lingue orientali) - - (Sull'inquisizione) - -(Sui Begardi) - -(Sui Frati Minori).
Nel suo contesto ebbe un ruolo eccezionale l'analisi della figura di PIETRO DI GIOVANNI OLIVI in occitano Pèire de Joan-Oliu (Sérignan, 1248 circa – Narbona, 14 marzo 1298), è stato un francescano, predicatore e teologo francese.
PIETRO DI GIOVANNI OLIVI è considerato uno dei capostipiti del movimento francescano degli Spirituali.
Nato a Sérignan, in Linguadoca, entrò molto giovane nel convento dei Frati Minori di Béziers.
Studiò teologia a Parigi dove fu allievo di Guillaume de la Mare, John Peckham e Matteo d'Acquasparta e si laureò nel 1270.
Aderì alle tesi gioachimite e alle tendenze spirituali e rigoriste presenti nel movimento francescano, attirandosi sospetti di eresia: nel 1274 il generale dell'Ordine, Girolamo d'Ascoli, l'obbligò a ritrattare alcune sue opinioni e nel 1283 il nuovo generale, Bonagrazia da San Giovanni in Persiceto, proibì i suoi scritti, dopo che una commissione di sette frati dell'Università di Parigi aveva condannato come eterodosse trentaquattro sue affermazioni.
Con l'elezione a generale di Matteo d'Acquasparta, che era stato suo professore, ci fu una revisione dei suoi scritti, ma il capitolo generale francescano, convocato a Montpellier nella Pentecoste del 1287, ascoltata la difesa dell'Olivi, lo sciolse da ogni accusa.
L'Olivi aveva collaborato alla redazione della lettera bollata Exiit qui seminat di papa Niccolò III (promulgata il 14 agosto 1279) in cui si affermava l'assoluta povertà di Cristo e degli apostoli e la coerenza evangelica della scelta di totale povertà dei Francescani (cui era lecito raccogliere elemosine in denaro per il nutrimento dei malati, il vestito, la costruzione dei conventi e l’acquisto di libri).
Con questa lettera veniva anche istituita la figura del procuratore di nomina pontificia per l'amministrazione dei beni dei Francescani, che a nessun titolo potevano essere proprietari dei beni che usavano.
Il problema rappresentato da Pietro di Giovanni Olivi comincia a delinearsi esplicitamente nel Capitolo generale del 1282 (convocato a Strasburgo).
Il Capitolo affida a sette maestri dell'Università di Parigi (tra i quali i futuri ministri generali Arlotto da Prato e Giovanni Minio da Morrovalle) l’esame delle opinioni di Olivi.
Questo esame sfocerà nella condanna di trentaquattro proposizioni dell’Olivi in materia di uso povero dei beni materiali: un memoriale con l’elenco di queste proposizioni è mandato a tutti i conventi di Provenza, e in un documento (Littera septem sigillorum) vengono enunciate ventidue affermazioni che Olivi deve sottoscrivere in segno di ritrattazione.
Olivi inizialmente accetta di sottomettersi, anche se in seguito affermerà di essere stato costretto senza che gli fosse data la possibilità di sostenere le sue ragioni.
Il successivo capitolo di Milano (1285) proibirà a tutti i frati la lettura delle opere di Olivi.
Durante il capitolo elettivo di Montpellier (maggio 1287, capitolo in cui viene eletto ministro generale Matteo di Acquasparta), il ministro provinciale di Provenza, Arnaud de Roquefeuil, denuncia al Capitolo Pietro di Giovanni Olivi come capo di una setta superstiziosa e scismatica.
Comincia la fase più aspra dello scontro a proposito dell’usus pauper.
Pietro di Giovanni Olivi viene convocato perché si giustifichi, soprattutto in seguito alla composizione di un suo trattato proprio sull’usus pauper.
Le spiegazioni di Olivi vengono accettate dai capitolari.
Tra il 1287 e il 1289 egli fu professore di teologia (lector) presso il convento francescano di Santa Croce a Firenze, dove ebbe come studente anche Ubertino da Casale e probabilmente ebbe qualche contatto con il giovanissimo Dante Alighieri.
Risale a questo periodo la stesura di un notevole commentario all'Apocalisse, la Lectura super Apocalypsim (in seguito conosciuta anche come Postilla), in cui l'ispirazione gioachimita era evidente: la storia della Chiesa è descritta come una continua lotta tra carnalità e spiritualità, lotta che si dispiega attraverso diverse epoche in successione.
Nel 1289 l'Olivi venne designato dalla Corona d'Aragona come responsabile dell'educazione dei tre figli di Carlo II d'Angiò, tenuti in ostaggio da Alfonso il Liberale dopo la crociata contro la Corona d'Aragona risoltasi in una tragica sconfitta per i franco-angioini.
Il maggiore di questi tre ragazzi, che sarebbero stati riconsegnati al padre solo sette anni più tardi, Luigi, probabilmente sotto l'influsso dell'Olivi, decise di rinunciare ai diritti della primogenitura, si fece frate francescano e più tardi venne scelto come vescovo di Tolosa.
L'Olivi riconobbe la validità della abdicazione di papa Celestino V e quindi l'effettiva autorità del grande nemico dei Francescani spirituali, il papa Bonifacio VIII.
Nel 1289 venne trasferito a Montpellier, dove rimase fino alla morte, sempre impegnato nell'insegnamento della teologia.
Intorno all'Olivi si formarono circoli di uomini e donne devote (Beghini) che attingevano dalla spiritualità del loro maestro indicazioni di vita, soprattutto circa il modo di gestire il rapporto con il denaro.
L'Olivi è uno dei primi intellettuali cattolici medievali ad affrontare il tema del denaro e del prestito ad interesse (fino ad allora condannato, almeno formalmente, come usura).
La sua riflessione si muoveva anche sul tema della povertà francescana: la lettera bollata Exiit qui seminat aveva infatti risolto (in modo definitivo, apparentemente) il problema della proprietà dei beni dei Francescani, dichiarando che tutti i beni dei Frati Minori appartenevano alla Santa Sede che ne concedeva l'uso ai frati; eppure, secondo Pietro di Giovanni Olivi, la vera questione era proprio quella dell'uso che si faceva dei beni (la questione dell' usus pauper) e non delle modalità del possesso.
L'Olivi morì il 14 marzo 1298 e la sua tomba divenne ben presto meta di pellegrinaggi e luogo in cui si diceva avvenissero miracoli.
Le sue opere cominciarono a circolare anche in traduzione volgare.
Il capitolo generale francescano di Lione (convocato nel 1299) ordina di bruciare tutte le opere di Olivi.
Il 6 maggio 1312 il Concilio di Vienne promulgò il decreto Fidei Catholicae Fundamentum, in cui venivano esaminate tre tesi teologiche sostenute dall'Olivi: veniva riaffermata la dottrina tradizionale cattolica circa l'essenza divina, l'anima come forma del corpo e gli effetti del battesimo dei bambini, ma non ci fu ancora una condanna esplicita dell'Olivi.
Tale condanna venne invece con papa Giovanni XXII (1316-1334), quando ormai l'Olivi era diventato una delle autorità principali cui si rifacevano i Francescani (difensori della assoluta povertà di Cristo nella disputa contro i Domenicani) ma anche i sostenitori dell'imperatore Ludovico il Bavaro in contrapposizione al Papato.
La tomba dell'Olivi venne distrutta nel 1318 su ordine del Papa stesso, i suoi resti furono dispersi e diverse frasi della Lectura super Apocalypsim vennero condannate come eretiche ancora nel 1326.
La figura di Olivi fu oggetto di interpretazioni divergenti e spesso addirittura opposte, nei secoli successivi.
Lo storico del cristianesimo Ignaz von Döllinger, oppositore del dogma della infallibilità papale, affermò che per Olivi "la Chiesa che esiste oggi, cioè la Chiesa romana, è carnale e sarà progressivamente distrutta, in modo che progressivamente sia edificata la Chiesa spirituale".
Per lo storico francese Ernest Renan Pietro di Giovanni Olivi era "un religioso esaltato [...] secondo il quale questa Chiesa comunemente chiamata universale, cattolica e militante, è la Babilonia impura".
Secondo il teologo Henri de Lubac, invece, (con maggiore coerenza nei confronti dei testi di Olivi giunti fino a noi, ma anche con l'evidente preoccupazione di salvare Olivi da ogni accusa di gioachimismo) al francescano "si deve il primo trattato specifico sulla infallibilità papale [...] di una ortodossia perfetta. [Olivi] non aveva mai dato il minimo spunto ai detrattori della Chiesa gerarchica e [...] fu in persona per tutta la vita un modello di obbedienza".
Olivi è certamente antiaristotelico, sotto un triplice punto di vista: per le sue dottrine, per il suo temperamento, per la sua educazione rigidamente cristiana e spiritualistica.
Tuttavia il suo antiaristotelismo non è assoluto: le divergenze dottrinali dall'aristotelismo sono certamente più profonde e palesi che la consonanza con il pensiero di Aristotele, sarebbe tuttavia inesatto qualificare la posizione filosofica oliviana come esclusivamente e totalmente negativa nei confronti della speculazione aristotelica.
L'opposizione all'aristotelismo in Olivi è ispirata da ragioni molteplici e diverse, e si presenta quindi con caratteristiche e sfumature diverse.
Questa opposizione, tuttavia, scaturisce principalmente da tre considerazioni fondamentali: innanzi tutto dalla concezione diversa che il paganesimo offre della realtà del mondo, rispetto alla rivelazione cristiana; in secondo luogo dall'autorità eccessiva che secondo Olivi era attribuita ad Aristotele nelle università del tempo; e, infine, dai gravi errori che Olivi crede essere contenuti nella speculazione filosofica dello Stagirita.
In Olivi bisogna distinguere innanzi tutto un antiaristotelismo come momento specifico della sua visione generale della vita e della realtà, visione religiosa e cristiana.
Egli è antiaristotelico in quanto "aristotelismo" significava assenza della rivelazione cristiana, produrre una visione del mondo senza il sostrato e l'apporto vivo di una verità che trascende le forse naturali dell'intelletto umano: l'aristotelismo era così la cifra della scienza mondana in opposizione alla sapienza cristiana, della natura in opposizione alla grazia.
Olivi non rifiuta aprioristicamente ogni speculazione elaborata dai filosofi pagani, ma ove presuma che i filosofi insegnino l'errore, o che la loro dottrina non abbia il "sapore" della verità evangelica, egli denuncia apertamente e combatte quell'errore e quella dottrina, affinché discepoli poco avveduti non ne rimangano vittime.
Questa posizione guardinga e sfiduciata nel confronti delle possibilità umane costituisce il primo aspetto dell'antiaristotelismo oliviano.
Secondo lui l'aristotelismo non soddisfa il minimo di fondatezza e di concordanza con la rivelazione e con lo spirito della filosofia cristiana.
Un altro aspetto di antiaristotelismo in Olivi è quello contro il culto eccessivo della persona e dell'autorità di Aristotele.
È un antiaristotelismo occasionale, il quale più che per i concetti si qualifica per il modo con cui esso si esprime.
Qui è l'uomo Olivi, temperamento vivido e appasionato che attacca ed esplode contro il pagano Aristotele, di cui tenta di piegare e demolire l'ascendente, il fascino, il mito.
Affidarsi ciecamente ad Aristotele, per Olivi, significa incamminarsi in errori funesti.
Soltanto la Sacra Scrittura è fonte di autorità: nei confronti di ogni altra verità la sola autorità che vale è quella del ragionamento e dell'esperienza.
Ma c'è soprattutto un antiaristotelismo strettamente dottrinale, non più come atteggiamento spirituale generico contro l'invadenza di una filosofia pagana o come reazione personale e psicologica contro l'eccessiva autorità attribuita allo Stagirita, ma come posizione teoretica e sistematica, che investe determinati principi su cui si fonda e si articola una determinata visione della realtà, e che di quei principi denuncia l'inconsistenza e l'inefficacia, opponendovi altri principi ritenuti più validi ed atti a garantire, insieme con le esigenze della ragione, quelli preminenti ed insopprimibili della fede.
Bibliografia parziale = Henri de Lubac, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, Milano, Jaca Book, 1981, pp. 127-128 (da qui sono riportate anche le citazioni di Döllinger e Renan).
[da Wikipedia, l'Enciclopedia libera on line]