cultura barocca
riproduzione e informatizz. B. Durante L'Abbazia di Fulda in un'incisione di Mätthaus Merian l'Anziano,1655

Gotescalco chiamato anche Gottschalk, Gotescalco il Sassone o Gotescalco d'Orbais (Sassonia, circa 800 – Hautvilliers, 30 ottobre 869) è stato un teologo tedesco.
Figlio del conte Bern, venne mandato, ancora bambino, all'abbazia di Fulda come oblato, per esservi allevato e diventare monaco, secondo una pratica all'epoca molto diffusa (solo con papa Celestino IV (1241) fu permesso agli oblati di decidere se dedicarsi o meno alla vita monacale).
Studiò a Fulda e a Reichenau, dove conobbe Valafrido Strabone; tornato a Fulda, cercò di opporsi al voto di oblazione, entrando in conflitto con l'abate del convento, Rabano Mauro, che lo costrinse a pronunciare i voti; lo stesso Rabano scriverà a proposito della validità del voto di oblazione l'opera De oblatione puerorum.
L'opposizione di Gotescalco fu discussa nei sinodi di Magonza e di Worms, ma non si conosce la decisione presa a questo proposito: di fatto, Gotescalco fu monaco a Orbais, presso Soissons, in Francia, e poi a Roma e nel nord Italia.
La fama di Gotescalco è legata all'elaborazione della dottrina della doppia predestinazione (gemina praedestinatio): la predestinazione di un certo numero di creature umane alla salvezza e la condanna degli altri alla dannazione eterna, che egli riprende da Agostino d'Ippona e da Isidoro di Siviglia.
Per il vescovo d'Ippona, infatti, Dio concede la grazia secondo una decisione imperscrutabile: è perciò vano che l'uomo rivendichi suoi presunti meriti, che dovrebbero valergli la salvezza, di fronte alla libera decisione divina, stabilita fin dall'eternità.
Così stando le cose, secondo Gotescalco, come Dio ha liberamente deciso della salvezza di alcuni, ha insieme ab aeterno deciso anche della dannazione di tutti gli altri, come già Isidoro aveva stabilito nelle sue Sentenze (II 6, 1): «duplice è la predestinazione: alla vita per gli eletti, alla morte per i reprobi».
In questo Gotescalco viene difeso dai teologi Ratramno di Corbie, Lupo Servato, Floro di Lione, e dal vescovo di Lione Amolone, suoi contemporanei.
Di fronte alla prescienza e alla predestinazione di Dio, che secondo questa teoria coincidono, dal momento che il conoscere, in Dio, è insieme un decidere, restava da chiarire quale sia la funzione della venuta e del sacrificio di Cristo.
Per Gotescalco, Cristo è venuto non già a modificare le decisioni di Dio, ma ad annunciare agli uomini che vi erano dei predestinati alla salvezza ed a renderla possibile pagando per loro il prezzo della salvezza, morendo sulla croce.
L'annuncio di Cristo è così rivolto unicamente agli eletti, e solo per questi egli si è sacrificato, e non per tutti.
All'interpretazione di Gotescalco, il magistero ufficiale della Chiesa reagisce affermando come questa metta gravemente in dubbio la reale funzione mediatrice della Chiesa e il valore dei sacramenti che essa impartisce, una volta storicamente avvenuto l'annuncio di Cristo della decisione, necessariamente irrevocabile, del Padre.
Il pericolo rappresentato, nelle tesi di Gotescalco, dalla messa in discussione della funzione istituzionale della Chiesa, fu subito avvertito dalle gerarchie ecclesiastiche: le dottrine di Gotescalco furono condannate dai vescovi tedeschi riuniti presso l'abbazia di Sant'Albano presso Magonza nel 848 in un concilio presieduto da Rabano Mauro.
Espulso da Fulda, Gotescalco entrò nel monastero francese di Orbais.
Dopo una seconda condanna emessa da un concilio tenuto a Quierzy nel 849, presieduto dall'arcivescovo di Reims, Incmaro, Gotescalco fu, dopo una pubblica fustigazione, condannato all'ergastolo nel monastero di Hautvilliers, a Épernay, dove morì vent'anni dopo.
Incmaro distinse, nella controversia, la prescienza divina, consistente nella preventiva conoscenza delle azioni degli uomini, dalla predestinazione, in cui si realizza il premio dei buoni e il castigo dei malvagi.
Nel mezzo sta la Chiesa, la cui indispensabile funzione è pertanto garantita: essa si inserisce in quest'ordine che essa pretende sia stato voluto da Dio stesso.
Tuttavia il dibattito sulle tesi del monaco sassone continuò: la distinzione fra prescienza e predestinazione non sembra risolvere la difficoltà del problema, avendo distinto, nella potenza di Dio, il momento cognitivo dal momento della volontà di salvezza o condanna, come se Dio, pur conoscendo ab aeterno la condotta di ogni uomo, sappia e prenda decisioni a suo riguardo solo in un successivo momento.
Nell'850, su richiesta di Incmaro, Giovanni Scoto Eriugena scrisse a confutazione di Gotescalco la De praedestinatione: vi combatte la tesi della doppia predestinazione, sostenendo che non esiste una predestinazione dei dannati.
Infatti, come una è l'essenza divina, così unica è la sua volontà e da un'unica volontà non possono derivare due effetti contrari.
Sempre a motivo della sua essenza, Dio può essere solo causa di bene, perché il male è per lui, platonicamente e agostinianamente, un non-essere; inoltre non è possibile attribuire a Dio una pre-destinazione, un destinare prima, in quanto Dio è fuori dal tempo, in lui non esiste un prima né un dopo.
In Dio non vi può dunque essere né prescienza del male dell'uomo, né predestinazione al male.
Bibliografia
C. Lambot, Oeuvres théologiques et grammaticales de Godescalc d'Orbais, Louvain, 1945
K. Vielhaber, Gottschalck der Sachse, Bonn, 1956
J. Jolivet, Godescalc d'Orbais et la Trinité. La méthode de la théologie à l'époque carolingienne, Paris, 1958
L. Sturlese, Storia della filosofia tedesca del Medioevo, Firenze, 1990 ISBN 88 222 37404
B. Boller, Gottschalk d'Orbais: de Fulda à Hautvillers, une dissidence, Paris, 2004 ISBN 2-7480-2161-4
[testo da Wikipedia, l'enciclopedia libera on line]





















La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo, precisamente nel XII secolo, come movimento religioso, costituito da contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello promosso da Francesco d'Assisi.
Tradizionalmente si fa risalire la fondazione del movimento a Valdo di Lione (o Pietro Valdo o Valdesio, dalla latinizzazione Valdesius).
In realtà, l'origine dei Valdesi si confonde con il grande fermento di movimenti pauperistici di riforma del Cristianesimo sviluppatisi nel corso del XII secolo.
Oggi, esiste una via a Lione che porta il suo nome, nel 5ème arrondissement (rue Pierre-Valdo).
Valdo, si dice in seguito all'ascolto da un menestrello della vita di sant'Alessio, decise di approfondire lo studio della Bibbia: egli però non conosceva il latino, così si fece tradurre i Vangeli e altri scritti biblici in francese.
Fu colpito in particolar modo dalle parole rivolte da Gesù al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" (Matteo XIX, 21).
Decise allora, nel 1173, di abbandonare la moglie, far accogliere le figlie nel monastero di Fontevrault e offrire tutta la sua ricchezza ai poveri.
In seguito si circondò di un gruppo di seguaci con i quali, fatto voto di castità e vestiti solo di stracci, andava in giro a predicare il messaggio evangelico; ben presto il gruppo fu identificato con l'espressione Poveri di Lione.
La loro predicazione si svolse all'interno dell'"ortodossia" romana, rivolgendosi principalmente contro il dualismo cataro.
La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo concilio Laterano: essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice Alessandro III, il quale dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola.
In quel periodo l'annuncio del Vangelo infatti era riservato solo ai chierici e agli ecclesiastici, ai laici non era permesso predicare ed era persino sconsigliata la lettura diretta e personale della Bibbia.
Valdo tuttavia, insieme ai suoi seguaci, continuò a diffondere l'insegnamento cristiano nonostante il divieto papale, in piena disobbedienza; quindi, nel 1180, fu convocato dal cardinale Enrico di Marcy, vescovo di Albano, in un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la loro completa "ortodossia" e al contempo esposero quelli che consideravano gli "errori" dei catari.
Nonostante ciò, la predicazione da parte dei laici e delle donne e la lettura individuale della Bibbia erano aspetti considerati inaccettabili dalla Chiesa romana, consapevole del fatto che ammettere tale innovazione avrebbe significato dare il via ad un processo di trasformazione dagli esiti imprevedibili qualora la lettura e interpretazione dei testi sacri fosse permessa anche a fedeli non appartenenti al clero.
Tutto questo era stato ben compreso da Walter Map, rappresentante di re Enrico II Plantageneto al concilio lateranense del 1179, che a proposito dei valdesi aveva scritto: " Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo.
Iniziano ora in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati" (Walter Map, De Nugis Curialium) Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi.
La motivazione per tale scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico.
Nonostante la condanna papale, comunque, il movimento valdese continuò la sua espansione verso il Mezzogiorno di Francia e l'Italia (Piemonte, Lombardia, Puglia e Calabria), giungendo anche in alcune regioni della Germania, in Svizzera, e persino in Austria, Spagna, Ungheria, Polonia e Boemia.
Le comunità valdesi erano organizzate su due livelli: vi erano i "perfetti" o "barba" (che significa "zio", in contrapposizione al "padre" cattolico) che seguivano i tre voti monastici di povertà, castità, e obbedienza ed erano predicatori itineranti, e i semplici fedeli, che erano detti "amici" o "noti".
La comunità aveva tre gradi gerarchici: diaconi, presbiteri e vescovi e preparava i futuri predicatori in apposite scuole, gli "ospizi".
Osservavano la liturgia delle Ore e i digiuni, celebravano la Cena del Signore (nella Linguadoca con pane, vino e pesce) e la sera del Giovedì Santo praticavano la lavanda dei piedi.
Studiavano a memoria interi Vangeli e altre parti della Bibbia che Valdo aveva fatto tradurre nelle varie lingue popolari.
Dopo la scomunica, però, il movimento valdese perse la sua compattezza originaria e iniziò a sfaldarsi in gruppi locali differenziati tra di loro.
La prima grande spaccatura avvenne nel 1205 circa, quando una parte consistente di valdesi di Lombardia dette vita ad un gruppo autonomo detto appunto Poveri Lombardi (pauperes Lombardi).
Entrando in Lombardia i predicatori e le predicatrici valdesi poveri (fratres et sorores) miravano, come altrove, a costituire gruppi di amici o credentes che vivessero nel mondo, lavorassero e li sostenessero con le loro elemosine.
Vennero però qui a trovarsi in una situazione politica e sociale radicalmente diversa da quella d'oltralpe.
Trovarono infatti una miriade di Comuni in lotta perenne per la loro piena indipendenza dall'Impero e dal papato e, all'interno, lacerati dalle lotte tra partito guelfo e partito ghibellino.
I valdesi non ebbero problemi a inserirsi nelle strutture comunali, riuscendo anche a farsi eleggere alle cariche più importanti, ma la maggior parte di loro preferì restare ai margini della vita politica a causa del severo divieto del giuramento, dell'insistenza sulla povertà assoluta e per una certa sfiducia verso le autorità umane.
Il partito ghibellino sembrava spesso appoggiare questi movimenti ereticali, non però per un reale interesse per le questioni religiose, ma per sfruttare ai suoi fini l'anticlericalismo della loro predicazione.
E così, ad alcuni podestà che li difendevano e li appoggiavano, ne seguirono spesso altri che li condannavano e li bruciavano sul rogo.
Ma in Lombardia i valdesi vennero ben presto a contatto e furono influenzati da altri movimenti popolari di carattere sociale e religioso, da tempo presenti in loco o di nuova istituzione, come i Patarini, gli Arnaldisti e gli Umiliati.
I valdesi lombardi ne furono influenzati al punto da adottare dei provvedimenti che provocarono la reazione di Valdo fino alla scissione che ebbe luogo nel 1205, essenzialmente a causa di tre motivi: I predicatori in Lombardia entrarono a far parte di comunità di lavoratori e ne crearono delle proprie.
Secondo Valdo i predicatori non dovevano lavorare ma vivere in povertà delle offerte degli amici per non essere corrotti dalla brama di ricchezze.
I lombardi si scelsero un capo a vita nella persona del piacentino Giovanni da Ronco detto il Buono.
Valdo obiettava che l'unico preposto del loro movimento doveva rimanere Gesù Cristo.
I lombardi elessero dei ministri ai quali affidarono compiti sacerdotali, come la consacrazione dell'eucaristia.
Valdo temeva che questo fosse il primo passo per costituirsi come contro-chiesa: egli infatti aveva voluto creare una fraternità religiosa di predicatori che si impegnavano a supplire alle carenze del clero nella predicazione e nella cura d'anime, ma non dovevano sostituirsi ad esso.
Valdo voleva rimanere nella Chiesa romana e lavorarvi, anche se scomunicato.
Da questa prima divisione nacque una crisi del movimento che ebbe importanti evoluzioni nel giro di pochi anni.
Dal XIII secolo al XVI =Tra il 1205 e il 1207 Valdo morì senza essere riuscito a ricomporre lo scisma interno al suo movimento e la frattura con Roma.
Da allora molti gruppi iniziarono ad allontanarsi dall'ortodossia cattolica, rifiutando le gerarchie ecclesiastiche, giudicate peccatrici e malvage.
Quando il Concilio Lateranense IV nel 1215 definisce formalmente la dottrina della transustanziazione (cioè l'idea della presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucarestia), questa non trova consensi tra i valdesi.
A causa di queste tendenze il principale interprete del valdismo originario, Durando d'Osca, insieme ad un gruppo di discepoli, tentò di mettere fine al dissidio con le gerarchie ecclesiastiche facendo riconoscere dalla Chiesa romana i punti essenziali della primitiva ispirazione di Valdo.
La speranza però si rivelò illusoria: il papa, nel 1208, approvò il loro proposito di vita religiosa ma non colse i motivi centrali della loro ispirazione e il nuovo ordine, con il nome di Poveri Cattolici (pauperes catholici), fu orientato in funzione antiereticale.
Una sorte leggermente migliore toccò a Bernardo Primo e ai suoi seguaci, riconosciuti nel 1210 dalla Chiesa con il nome di Poveri Riconciliati, che riuscirono a inserire nel loro proposito il supremo magistero di Cristo e il mandato apostolico di predicare per la salvezza del popolo di Dio.
Entrambi i gruppi, comunque, non riuscirono nel loro intento di rifondare dall'interno la Chiesa né a sottrarre dalla presunta "eresia" gli altri movimenti valdesi.
Inoltre le gerarchie ecclesiastiche li guardavano con sospetto e furono spesso accusati di aver accettato l'"ortodossia" romana solo formalmente; nel giro di pochi anni, perciò, i Poveri Cattolici e i Poveri Riconciliati si esaurirono o furono costretti a fondersi con altri ordini religiosi.
I restanti membri del movimento valdese si erano organizzati in due gruppi, quello ultramontano e quello italico.
Nel 1218 la Società dei Fratelli Ultramontani (societas fratrum Ultramontanorum) e la Società dei Fratelli Italici (societas fratrum Italicorum) si incontrarono a Bergamo con l'intento di trovare una nuova unità, ma non riuscirono a ricomporre le loro fratture.
L'incapacità di trovare un accordo derivò probabilmente dalle diverse concezioni dei due schieramenti sulla natura del movimento.
Per gli Ultramontani si trattava ancora di una libera fraternità di predicatori e predicatrici, poveri e itineranti, che si dedicavano alla missione e alla cura d'anime all'interno della Chiesa romana, di cui riconoscevano la validità dei sacramenti nonostante la scomunica e la persecuzione; gli italici, invece, erano ormai sulla via di un distacco totale dalla Chiesa romana di cui contestavano la legittimità a causa della sua immoralità, procedendo infatti ben presto ad organizzarsi come chiesa alternativa.
La separazione tra le due tendenze del Valdismo continuerà ancora per gran parte del Duecento, soprattutto in Italia, ma finirà per perdere progressivamente di significato e, alla fine del secolo XIII, si noterà una convergenza delle due posizioni.
Gli Ultramontani dovranno rendersi ben presto conto che non era più possibile trovare sacerdoti cattolici disposti ad ammetterli alla celebrazione dei sacramenti e dovettero organizzarsi anch'essi in proprio.
I valdesi furono duramente perseguitati anche nei secoli successivi ma, a differenza dei catari, l'Inquisizione non riuscirà mai a spegnere il focolaio valdese nonostante la durissima repressione.
Vivendo nella clandestinità, e spesso riuscendo a nascondersi in zone eccentriche, il movimento valdese riuscirà ad arrivare al XVI secolo e ad aderire alla Riforma protestante calvinista nel 1532 col sinodo di Chanforan, segnando una svolta decisiva per il futuro della comunità.
La croce ugonotta, uno dei simboli valdesiNel Trattato sulla tolleranza Voltaire, passato alla storia come pensatore anticristiano per antonomasia, tanto da arrivare a sostenere che «ogni uomo sensato, ogni uomo dabbene, deve avere orrore per la setta cristiana», descrive una persecuzione di cui i valdesi furono vittime nell'aprile del 1545: " Poco tempo prima della morte di Francesco I alcuni membri del Parlamento di Provenza, sobillati da alcuni ecclesiastici contro gli abitanti di Mérindol e di Cabrières, chiesero al re dei soldati per appoggiare l'esecuzione di diciannove persone di questi paesi, da loro condannate: invece ne fecero sgozzare 6000, senza risparmiare né donne, né vecchi, né bambini; ridussero in cenere trenta villaggi.
Queste popolazioni, fino allora sconosciute, avevano il torto, senza dubbio, di essere valdesi: era questa la loro unica malvagità.
Da trecento anni vivevano in deserti e montagne che avevano reso fertili con un lavoro incredibile.
La loro vita pastorale e tranquilla ricordava l'innocenza attribuita alle prime età del mondo.
Le città vicine non erano conosciute da loro che per i prodotti che vi andavano a vendere; ignoravano i processi e la guerra.
Non si difesero: furono sgozzati come degli animali in fuga, che si spingono in un recinto e si uccidono".
Nel 1561 venne firmata la Pace di Cavour, primo esempio di libertà religiosa nell'Europa moderna.
In realtà il valdismo poteva essere confessato solo nelle zone di montagna, al di sopra dei 700 m.
Persecuzioni vengono scatenate in Puglia e soprattutto in Calabria, dove dalla fine di maggio al giugno 1561 un migliaio di Valdesi sono massacrati dalle truppe del Regno di Napoli con l'appoggio dell'Inquisizione di Roma.
Dal XVII secolo a oggi = Nel 1655 si perpetrano i massacri delle Pasque piemontesi.
Nel 1685, in seguito alla revoca dell'editto di Nantes, il duca di Savoia Vittorio Amedeo II sostiene la persecuzione dei valdesi e la repressione si trasforma in una vera "caccia al valdese" fin nelle valli interne del Pinerolese e della Val Pellice a sud di Torino.
2700 profughi riparano a Ginevra.
Nel 1689 mille valdesi, finanziati dal re d'Inghilterra Guglielmo III d'Orange, guidati da Enrico Arnaud, rientrano nella patria piemontese: è il famoso Glorioso rimpatrio.
Nel 1700 si instaura il ghetto alpino.
Nel 1848 con le Lettere Patenti di Carlo Alberto vengono riconosciuti i diritti civili e politici dei valdesi.
Nel 1850 si sviluppa il sistema delle scuole alpine di borgata a opera del colonnello inglese Charles Beckwith.
Gli antropologi chiamano "paradosso alpino" il fenomeno secondo il quale il livello di istruzione e di apertura culturale di una comunità aumenta proporzionalmente alla quota.
Lo stereotipo della comunità alpina come una realtà chiusa e impermeabile è contraddetta da realtà come quella valdese, che alla fine del XIX secolo presentava una percentuale di analfabeti trascurabile e vantava contatti con le élite culturali di mezza Europa.
Nel 1979 si sigla il patto di integrazione tra metodisti e valdesi in un'unica comunità confessionale.
Laicità dello stato, temi etici e progressismo sociale = I valdesi si sono sempre impegnati per favorire la piena laicità dello stato.
La chiesa valdese si è pronunciata come fortemente contraria all'esposizione del crocefisso, e più in generale di ogni simbolo religioso, in luoghi pubblici.
Per quanto riguarda i "temi etici", i valdesi hanno sempre favorito il dibattito su temi quali omosessualità, aborto, testamento biologico ed eutanasia, ponendosi di fatto in contrasto con la Chiesa Cattolica, interpretando le Sacre Scritture alla luce delle nuove scoperte teologiche, linguistiche e scientifiche, e in linea con la speculazione di illustri e venerati patriarchi cattolici quali San Paolo, Sant'Agostino e Santa Caterina da Siena.
La Commissione Bioetica della Tavola Valdese si è espressa in maniera articolata sia sull'aborto sia sull'eutanasia, con posizioni che sostanzialmente si possono riassumere nell'affermazione della centralità della responsabilità personale in queste delicate decisioni.
La Chiesa Valdese è anche impegnata nella diffusione del testamento biologico, i cui registri in molte città sono gestiti dalle comunità valdesi.
La Chiesa Evangelica Valdese, durante il sinodo del 2010, si è espressa a favore della ricerca sulle cellule staminali.
Valdismo e omosessualità = Per approfondire, vedi la voce Omosessualità e protestantesimo.
La Chiesa Valdese ritiene che il singolo credente sia guidato dallo Spirito Santo, e mantiene quindi un certo riserbo nell'offrire direttive specifiche nel campo dell'etica sessuale come in quello politico-sociale.
Ciononostante, un certo numero di valdesi si sono dimostrati molto aperti sul tema dell'omosessualità; la stragrande maggioranza del Simodo valdese si è dimostrata favorevole alla benedizione delle coppie omosessuali.
La Chiesa Valdese, inoltre, si impegna attivamente nella lotta all'omofobia e nel supporto alla comunità LGBT.
Il dibattito sul tema dell'omosessualità avviene anche tramite la R.E.F.O. (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e l'Associazione Fiumi d'acqua viva - Evangelici su Fede e Omosessualità".
Il 26 agosto 2010 il Sinodo della Chiesa Evangelica Valdese e Metodista italiana ha approvato con un ordine del giorno la benedizione di coppie dello stesso sesso, “laddove la chiesa locale abbia raggiunto un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni”.
Nell'ambito della Chiesa valdese esiste però una nutrita e militante opposizione a questa innovazione, a cui da voce il sito web www.valdesi.eu.
Essi ritengono essenziale la fedeltà alla Confessione di fede che sta alla base dell'identità della Chiesa valdese ed alla sua antropologia tradizionale che vede l'omosessualità come una degenerazione dai propositi creativi di Dio e quindi un peccato da confessare come tale e dal quale essere risanati attraverso il ravvedimento e la santificazione.
Nell'esegesi biblica, la Chiesa valdese, nelle sue espressioni oggi ufficiali, rifiuta l'approccio letteralista o fondamentalista, accostandosi piuttosto ai testi della Bibbia con il metodo storico-critico.
Anche i testi vetero- o neotestamentari che condannano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, come tutti gli altri passi biblici, vengono contestualizzati nell'ambiente storico e sociale in cui furono scritti, e interpretati alla luce di un messaggio evangelico universale e sempre valido.
Gli oppositori di questa concezione in ambito valdese ritiengono che l'interpretazione che vorrebbe "contestualizzare" la condanna dell'omosessualità sia errata e pretestuosa, frutto di un evidente revisionismo contrario alla millenaria tradizione ermeneutica cristiana.
BIBLIOGRAFIA
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SEMIPELAGIANISMO (Enciclopedia Italiana (1936) di Innocenzo Taurisano) = Eresia del sec. V, condannata nel II concilio d'Orange del 529. Il nome di semipelagianesimo fu usato dai teologi posteriori per caratterizzare la posizione dottrinale di questo moto eretico, il quale non nega la necessità della grazia e l'originale debolezza del libero arbitrio in ordine al bene, come fa il pelagianismo, ma ammette che l'uomo può cominciare senza la grazia l'opera della conversione e della salvezza, e che la volontà umana può corrispondere con le proprie forze all'appello della grazia. L'origine di questa eresia derivò da un moto reazionario contro la dottrina estremista di S. Agostino sulla predestinazione e l'assoluta gratuità della salvezza connessa con l'impotenza assoluta della natura umana in ordine alla grazia, principio primo di ogni bene meritorio. I monaci di S. Vittore nelle affermazioni agostiniane videro la negazione del merito e della libertà, e il loro abate Cassiano (350-432) nella conferenza XIII, De protectione Dei, scritta tra il 420 e il 426, traccia i lineamenti dottrinali di questo indirizzo chiamato poi semipelagianismo. Egli afferma che "per naturae bonum quod beneficio Creatoris indultum est, nonnunquam bonarum voluntatum prodire principia, et, nonnunquam etiam ab eo - arbitrio - quosdam conatus bonae voluntatis [gratia Dei] vel exigat vel expectet. Manet in homine semper liberum arbitrium quod gratiam Dei possit vel negligere, vel amare" (in Patrol. Lat., XLIX, coll. 918-20). Le lettere di Prospero di Aquitania e d'Ilario scritte a S. Agostino nel 429 per notificargli le nuove idee sorte nei monasteri di Provenza mostrano che quei monaci negavano la grazia preveniente. S. Agostino rispose alle lettere con i trattati De praedestinatione sanctorum e De dono perseverantiae, che resero la lotta più aspra tra semipelagiani e agostiniani. Con la morte di Agostino (430), i monaci di Provenza tentarono di dare credito alle loro idee mettendo in luce le conseguenze più estremiste della dottrina di Agostino sulla predestinazione e sulla grazia. Prospero d'Aquitania con varie opere difese la dottrina del maestro e ricorse al papa Celestino, il quale nella lettera inviata ai vescovi della Francia meridionale (431), pur esaltando la autorità di S. Agostino, lasciava insolute le questioni proposte. Agli attacchi ripetuti dei Provenzali, in risposta al libello di Vincenzo di Lérins (432) e per rovesciare l'autorità di Cassiano, appoggio principale degli avversarî, Prospero scrisse le Pro Augustino responsiones ad Capitula obiectionum Vincentianarum (in Patrol. Lat., XLV, col. 1843 segg.) e nel 433-34 il De Gratia Dei et libero arbitrio, Liber contra collatorem, in cui afferma contro i novatori che l'inizio della fede viene dallo Spirito Santo e che l'efficacia della grazia non viene dal libero arbitrio, ma "quoties enim bona agimus, Deus in nobis atque nobiscum ut operemur operatur" (in Patrol. Lat., XLV, 1861). Nonostante gli sforzi di Prospero, i Provenzali non furono condannati solennemente; ma il documento del diacono Leone, poi papa, uscito nel 432-440 e aggiunto posteriormente alla lettera XXI di Celestino, fece noto ai Provenzali che la Chiesa romana ripudiava la loro dottrina, quantunque non si pronunziasse sulle questioni più profonde e più difficili trattate da coloro che resistettero agli eretici. Questa posizione di riserva presa da Roma verso il moto provenzale mitigò gli attacchi e le espressioni contro S. Agostino e per circa 40 anni vi fu una tregua fra i due partiti. Nel 452, Fausto di Riez, già abate di Lérins, scrisse il trattato De gratia libri duo, in cui espose in modo sistematico la dottrina dei concilî d'Arles (473) e di Lione (474) sul predestinazionismo, riaffermandovi anche la dottrina di Cassiano e dei Provenzali sulla grazia. Il papa Ormisda nel 520, sollecitato dai monaci Sciti di Costantinopoli, dichiarò Fausto "non receptus", e rimandò a S. Agostino e ad "expressa capitula in scriniis ecclesiasticis contenta" per una dottrina certa sulla grazia e il libero arbitrio. S. Fulgenzio, in risposta ai medesimi monaci, scrisse l'Epistula XVII (in Patrol. Lat., LXV, col. 451 segg.), Ad Monimum (ibid., LXV, col. 153) e l'Epistula XV (ibid., LXV, col. 435) passata poi in diverse collezioni conciliari. In tutte queste opere è affermato senza reticenze l'agostinianesimo più stretto. Fu S. Cesario di Arles che portò la pace tra le due opposizioni ottenendo dal papa Felice IV i capitoli che, approvati dal concilio d'Orange (529), ottennero la conferma da Bonifacio II nel 531 e l'autorità dogmatica. Queste divisioni portarono la calma negli animi e posero termine alle controversie tra semipelagiani e agostiniani; ma se condannarono le posizioni dei primi, non approvarono tutte le conclusioni dei secondi. Bibl.: Per le decisioni conciliari, cfr. Patrol. Lat., XLV, coll. 1771-1792; J. Hefele, H. Leclercq, Histoire des Conciles, II, ii, Parigi 1908, p. 908 segg., 1085 segg. Per l'aspetto storico della controversia: P. Sublet, Le Sémipélagianisme, Namur 1897; F. Woerter, Beiträge zur Dogmengeschichte des Semipelagianismus, Paderborn 1898; P. Batiffol, Le Catholicisme de Saint-Augustin, 4ª ed., voll. 2, Parigi 1930; L. J. Tixeront, Histoire des Dogmes dans l'antiquité chrétienne, III, 7ª ed., Parigi 1928, p. 274 segg.