ZAPPI, Giovan Battista Felice Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020) articolo di Claudia Tarallo "Giovan Battista Felice Zappi nacque ad Imola il 18 marzo 1667 da Giovanni Evangelista e da Maria Maddalena Borelli. Ebbe un fratello, che gli premorì, e una sorella, Costanza che sposò il ferrarese Marco Antonio Flamini (Imola, Biblioteca comunale, Mss., 173, lettere a Marco Antonio Flamini). La famiglia Zappi deteneva un ruolo di spicco nella vita politica di Imola fin dal Medioevo. Zappi discendeva dal ramo di San Pietro e fra i suoi antenati vi furono poeti e intellettuali: nello specifico, il bisnonno Giovan Battista fu autore del Prato della filosofia spirituale (Bologna 1577). Studiò inizialmente grammatica presso il Collegio dei gesuiti nel convento di S. Agata a Imola: pare che qui, appena undicenne, avesse composto i suoi primi esercizi poetici. Nel 1680 si trasferì a Bologna per studiare nel Collegio Montalto, dove ebbe come maestri Camillo Ettorri, Fulvio Magnani, Lelio Trionfetti per gli studi umanistici e Alessandro Guidotti per gli studi di legge. Si laureò nel 1685 ricevendo il diploma dottorale dalle mani di Ulisse Giuseppe Gozzadini. Nel 1687, dopo aver effettuato un breve tirocinio a Bologna, si trasferì a Roma, alloggiando presso i principi Vaini di Imola. Qui svolse il praticantato presso gli studi legali di Paolo Quintili prima e di Pellegrino Masseri poi. Il primo sonetto che Zappi compose, stando a quanto il poeta dichiarò a Ludovico Antonio Muratori, fu O pellegrin che ’n questa selva il piede, scritto per la morte di Cristina di Svezia (Carteggio di L.A. Muratori, 1975, p. 179, lettera dell’11 giugno 1707). Sostiene Crescimbeni che a Zappi fu commissionato l’elogio funebre da incidere sul sepolcro della regina. Non appena giunto a Roma fu accolto subito nelle Accademie degli Infecondi e degli Intrecciati, dopo conobbe alcuni poeti che condivideranno con lui l’esperienza arcadica, in particolare Vincenzo Leonio e Giuseppe Paolucci. Nel corso della sua vita Zappi fece parte di importanti accademie come quella romana dei Concili, nella quale intervenne con dissertazioni di argomento dogmatico e di storia della Chiesa, la Crusca (13 marzo 1717), gli Industriosi di Imola, i Filergiti di Forlì e gli Intronati di Siena. Frequentò inoltre le conversazioni di Marcello Severoli, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni, il quale tentò di fargli accettare il canonicato di S. Lorenzo in Damaso senza successo poiché Zappi preferì mantenere lo stato laicale. Soprattutto però il suo nome è legato all’Arcadia, della quale fu tra i quattordici fondatori nel 1690, col nome pastorale di Tirsi Leucasio. Fu stimato dai pontefici Clemente XI e Innocenzo XII: in particolare papa Albani lo favorì nominandolo assessore del Tribunale per l’agricoltura, membro di quello per le Strade e consulente per la congregazione di Propaganda fide. Parallelamente alla sua attività forense, che esercitò a Roma per trentuno anni e anche a beneficio della città di Imola (Imola, Archivio storico del Comune, Mss., 37, lettere scambiate fra Zappi e il Comune fra il 1694 e il 1719; Alla Sagra Congregazione del buon governo… per l’illustrissima Comunità d’Imola contro le communità di Riolo, Mordano e Casola etc. Risposta al ristretto contrario, Typis de Comitibus, 1715), Zappi si dedicò con sempre maggiore profitto alla poesia e all’oratoria nella quale manifestò un indubbio talento. La sua fama, irrobustita dai successi delle composizioni poetiche recitate in Arcadia e non solo, varcò rapidamente le Alpi: una sua canzone per Luigi XIV intitolata Le visioni (1695, si legge in Rime, 1723, pp. 66-68) fu molto apprezzata dalla corte francese. A Muratori il poeta rese noto che i suoi versi erano stati tradotti in varie lingue (Carteggio di L.A. Muratori, 1975, p. 181, lettera del 6 luglio 1707). Con Vincenzo Leonio Zappi dette avvio nel 1695 alla pratica arcadica delle declamazioni in prosa (Prose degli Arcadi, I, Roma 1718, pp. 274-298): argomento dello scritto era, nella finzione pastorale, il furto di uno sciame di api. Fu anche il primo, stando a quanto dichiara Giovan Battista Catena, a introdurre in Arcadia l’egloga in terza rima intarsiata di vari metri. Il 25 maggio 1700 Zappi pronunciò l’orazione per la recuperata salute di Innocenzo XII; poco dopo tornò a Imola per curare una sua indisposizione (in una lettera dell’11 maggio 1707 dichiarò a Muratori di essere stato infermo per sei anni: Carteggio di L.A. Muratori, 1975, p. 175). Nel 1701 avviò la corrispondenza con Muratori che è documentata fino al 1707: oggetto dello scambio epistolare furono le poesie di Zappi che Muratori intendeva includere nella Perfetta poesia (II, Modena 1706). Zappi si dimostrò al riguardo un critico severissimo delle proprie opere: nella lettera del 13 agosto 1701 dichiarò di comporre sempre improvvisando e di essere stato sempre attento alla liceità degli argomenti proposti, soprattutto quando trattava di temi erotici (Carteggio di L.A. Muratori, 1975 p. 172). Nel 1702, su invito di Clemente XI, declamò l’orazione inaugurale dell’Accademia del Disegno: per la prima e unica volta quest’onore toccò a un laico e l’orazione fu universalmente apprezzata (Orazione recitata nel Campidoglio l’anno 1702 in occasione dell’Accademia de’ pittori, scultori, ed architetti nella quale si distribuiscono i premj sotto i gloriosi auspici di Clemente XI, in Le Pompe dell’Accademia del Disegno, Roma 1702, pp. 3-50). Durante un soggiorno a Napoli, accolto onorevolmente dal viceré, conobbe il musicista Alessandro Scarlatti che mise in musica alcune canzonette improvvisate da Zappi. Il 2 luglio 1705 sposò Faustina Maratti, figlia del celebre pittore Carlo: pare che queste nozze avvenissero sotto gli auspici di Clemente XI, il quale già aveva sostenuto le rivendicazioni di Faustina nel processo contro Giangiorgio Sforza Cesarini che nel 1703 aveva tentato di rapirla. La coppia ebbe tre figli: Luigi, poeta di non eccelsa fama, Livia, che sposerà il nobile lucchese Carlo Guidiccioni e Rinaldo che morirà a soli due anni nel 1711. I due coniugi dettero vita a un sodalizio letterario, oltre che umano, che attirò attorno a sé molti poeti e intellettuali: la casa degli Zappi, a Roma e ad Albano, fu infatti frequentata da molti arcadi e secondo Francesco Maria Mancurti, biografo del poeta, fu proprio durante queste conversazioni che Crescimbeni ideò la sua Arcadia (1708) nella quale non mancò di elogiare Zappi. Peraltro, già nella Bellezza della volgar poesia (1700) Crescimbeni aveva scelto Zappi come protagonista del terzo dialogo. Anche Benedetto Menzini, critico tutt’altro che incline agli elogi, lo esaltò nell’Accademia Tuscolana (Roma 1705, pp. 23-28) mentre Girolamo Baruffaldi nei Baccanali (Venezia 1722, p. 113) lo proclamò «l’immagin vera / del gran lirico Chiabrera». Questi elogi bilanciano la successiva, celebre stroncatura di Giuseppe Baretti che nella Frusta letteraria (I, Carpi 1799, p. 10) definì Zappi «inzuccheratissimo». Nel 1713 Zappi inaugurò una contesa giudiziaria col ramo famigliare di San Domenico per entrare a far parte dei Consiglieri della città di Imola: da questo scontrò pare che scaturissero anche alcuni epigrammi denigratori nei confronti di Faustina. Zappi però vinse la causa e fu annoverato fra i dodici Consiglieri della città. Ammalatosi negli ultimi anni di vita, morì a Roma il 30 luglio 1719 e fu sepolto in S. Maria degli Angeli a Roma. La sua morte fu commemorata da Michele Giuseppe Morei, Niccolò Forteguerri e molti altri arcadi. Quattro anni dopo la sua scomparsa apparvero le Rime dell’avvocato Giovan Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti sua consorte. Coll’aggiunta delle più scelte di alcuni rimatori del presedente secolo, Venezia 1723. L’edizione, curata da Giovan Battista Catena, fu dedicata a Ulisse Gozzadini che aveva laureato Zappi nel 1685. In questa fortunata edizione sono raccolti sonetti di tema amoroso, sacro, encomiastico ed ecfrastico (piuttosto noto il componimento in lode del Mosè di Michelangelo, Chi è costui che in sì gran pietra scolto), canzoni, egloghe, seguite dalle rime di Faustina. In questi versi, che rappresentano parzialmente la produzione del poeta, emerge la sua vena anacreontica e idilliaca che ebbe immensa fortuna in Arcadia. Altre sue rime sono comprese nel primo, terzo, settimo, ottavo e nono volume delle Rime degli Arcadi (Roma 1716-22, I, pp. 282-311; III, 392-393; VII, 380 s.; VIII, 331-341; IX 82, 197, 214, 241) e nelle raccolte di Agostino Gobbi (Scelta di sonetti, e canzoni de’ più eccellenti autori, III, Bologna 1711, pp. 208-220) e in quella di Bartolomeo Lippi (Rime scelte di poeti illustri de’nostri tempi, Lucca 1709, pp. 99-102). [per la bibliografia si rimanda a questo articolo i Claudia Tarallo nel DBI]