A Roma, l'incendio ed i crolli erano una vera e propria consuetudine.
Più che il fuoco sacro custodito nel tempio di Vesta, in città erano tristemente conosciute le fiamme dei roghi che divoravano le case e la vegetazione.
Non mancavano, infatti i materiali che innescavano ed alimentavano gli incendi: il legno era ampiamente impiegato nei pavimenti, nei solai e nelle coperture degli edifici, mentre, nelle case ardevano i camini a legna.
Le fiamme, inoltre ardevano costantemente nelle cucine e le torce illuminavano le strade.
A tale situazione si aggiungeva, nei luoghi dei sinistri, la costante mancanza di acqua, nonostante la presenza in città di diversi e maestosi acquedotti, che ve ne adducevano grandi quantità.
Non esistevano, infatti, colonne montanti di acqua che la portassero oltre il piano terreno dei grandi fabbricati(insulae), costituiti da tre a quattro o cinque piani e, di conseguenza, quando un incendio scoppiava a quei livelli era molto difficile che pochi orci o catini potessero bastare a domarlo.
Tra questi grandi roghi, che culmineranno nel famoso e catastrofico incendio sviluppatosi nell'anno 64 d.C. sotto l'imperatore Nerone (54-68 d.C.) e nell'altro non meno distruttivo, avutosi durante il principato di Commodo (128-195 d.C.), la vita a Roma era un fiammeggiare quotidiano di roghi minori.
Fin dai tempi più remoti dell'epoca repubblicana, per salvaguardare la città dai pericoli e dalle conseguenze degli incendi erano designati alcuni triumviri che, dal fatto di espletare l'incarico anche di notte, vennero chiamati triumviri notturni.
Per disporre di uomini pronti al soccorso, in caso d'incendio, fin da quei tempi si era dislocata, come riferisce il giureconsulto Paolo Diacono, una compagnia di servi pubblici alle porte ed alle mura della città, affinché all'occorrenza potesse prontamente accorrere sul luogo del sinistro.
A tale compagnia, opportunamente dislocata nel territorio, si aggiungeva poi l'iniziativa privata, che poteva organizzare compagnie di servi.
Avveniva, inoltre, che cittadini facoltosi, celebrando qualche festa nei loro sontuosi palazzi, non solo avessero cura di tener pronti grandi recipienti pieni d'acqua per qualunque bisogno ma, come racconta Giovenale, disponessero anche di far vegliare l'edificio tutta la notte da parte di compagnie di servi forniti delle attrezzature necessarie per spegnere eventuali incendi.
L'impero di Augusto e la militia vigilum
Quanto poco efficace potesse riuscire l'opera di simili istituzioni presenti nell'Urbe ai tempi della Repubblica per combattere gli incendi è dimostrato dal successivo radicale interesse posto al riguardo nell'epoca dell'Impero.
L'imperatore Cesare Ottavio Augusto (33 a.C.- 17 d.C.) organizzò una vera e propria militia vigilum.
Lo scopo essenziale dell'istituzione della milizia augustea fu non solo quello di pervenire e reprimere gli incendi, ma anche quello di punire direttamente o di deferire al Prefetto dell'Urbe chiunque, per incuria e negligenza, rendesse possibile o provocasse incendi.
Inoltre, era anche demandato alla militia vigilum il compito di ricercare la causa degli incendi e di individuarne e fermarne gli autori o chi aveva maldestramente custodito il fuoco usato nelle case sia come fonte di calore che come mezzo di illuminazione.
Questo corpo forte di 7000 uomini, era diretto da un praefectus vigilum, ed era organizzato in 7 coorti, suddivise a loro volta in sette centurie, composte di un centinaio di vigili capitanati da un centurione. Ogni coorte assicurava il servizio nel territorio di due regioni (Augusto suddivise la città in quattordici regioni), collocando la caserma (statio) in una di esse, un distaccamento e un corpo di guardia (excubitorium) nell’altra.
Il motto della Militia era “Ubi Dolor Ibi Vigiles”, "dove c’è il dolore ci sono i vigili".
Con pertiche, scale e corde, erano attrezzati per gli incendi e disponevano, inoltre, di speciali coperte (centones) che, opportunamente bagnate, venivano utilizzate per soffocare le fiamme.
Per l’adduzione di acqua attraverso tubature in cuoio, ricorrevano a particolari pompe (siphones) e del resto, come anche si constata per un centro di provincia come Ventimiglia Romana, per molteplici servigi, pubblici e privati, la RETE IDRICA nella romanità era infinitamente più sviluppata che in ogni altra epoca storica, prescindendo dall'attualità, sì da rendere fattibile un approvigionamento abbastanza rapido dell'acqua necessaria.
Purtroppo, dopo la grande stagione dedicata alla realizzazione di MACCHINE dalla scuola greca di Alessandria, l'ARCHITETTURA ROMANA come si evince dallo STUDIO DI VITRUVIO (che pure dedicò alle MACCHINE il libro finale della sua monumentale opera sull'architettura ed in particolare l'ottavo capitolo dello stesso libro all'analisi dei MECCANISMI IDRAULICI) non ci ha lasciato significative testimonianze letterarie (è certo comunque che, nella coscienza del tempo, come si scopre (e non solo) dai reperti del gigantesco PLASTICO DI ROMA o FORMA URBIS, era maturata la consapevolezza d'aver sempre sotto mano i progetti e le piante degli edifici sia per le riparazioni che per gli interventi assistenziali, senza doversi muovere in un dedalo di luoghi misconosciuti).
Spesso si passavano mano a mano secchi cosparsi di pece (vasa spartea) o recipienti detti hamae.
Naturalmente disponevano anche di asce, ramponi, zappe e seghe.
I vigili, avevano il compito di spegnere e prevenire gli incendi, di reprimere la delinquenza, di vigilare e perlustrare la città, di ammonire gli inquilini e di tutelare il patrimonio dei cittadini.
Prestavano servizio sia di giorno che di notte, ed erano acquartierati in stazioni la cui ubicazione è stato possibile localizzare nell'odierna topografia della città per alcune testimonianze archeologiche pervenuteci delle sedi della militia vigilum della Roma antica.
La Caserma della Prima Coorte è risultata essere nel pieno centro.
Nella zona sotto Piazza SS. Apostoli furono infatti rinvenuti e sono tuttora interrati i resti dell'edificio, ove era anche la sede del Comando di tutte le Coorti.
La Caserma della Seconda Coorte doveva trovarsi, invece, secondo quando affermato dall'archeologo Lanciani in area prossima alle odierne Via Cairoli e Via Bixio,presso la Via Principe Eugenio, nella zona limitrofa a Piazza Vittorio Emanuele.
Disgraziatamente di tale caserma non si hanno resti archeologici.
Il sito è stato individuato grazie ad epigrafi, a suo tempo rinvenute.
La Caserma della Terza Coorte, in base al rinvenimento di una lastra marmorea, trovata nel 1873 durante alcuni scavi presso l'angolo nord-est del complesso delle Terme di Diocleziano, è stata localizzata nell'attuale Piazza dei Cinquecento, in luogo antistante la Stazione Termini.
La Caserma della Quarta Coorte analogamente si deve supporre, in base ad iscrizioni rinvenute, che si trovi al di sotto della zona prossima all'odierna chiesa di S. Saba sul colle Aventino.
La Caserma della Quinta Coorte, identificata ed esplorata, risulta ubicata sul colle Celio, nella Villa Mattei, ora Villa Celimontana, facente parte del patrimonio della Amministrazione Comunale di Roma.
La Caserma della Sesta Coorte, individuata dall'archeologo Lanciani, risulta avere ubicazione al di sotto della Piazza della Consolazione, presso l'omonima chiesa sita ai piedi del Campidoglio.
La Caserma della Settima Corte venne rinvenuta nei resti di un edificio, ora riportati alla luce, che si trovano nella zona tra Via della Lungaretta e Via dei Genovesi, di fronte alla chiesa di S.Crisogono.
La caserma dei Vigili di Ostia Antica, sede di un distaccamento della Settima Coorte, venne scoperta nel 1888, nel corso di scavi, dal Prof.Luciani.
Oggi è possibile visitarla, nell'area archeologica di quell'insediamento romano, tra Via dei Vigili, Via della Palestra e Via della Fontana.
[Tratto dal volume I Vigili del Fuoco al servizio del paese 50 anni di attività del Corpo Nazionale 1941-1991 Edito dal servizio documentazione e relazioni pubbliche del C.N.VV.F. ]