Durante la rivoluzione francese le donne cominciarono a rivendicare concretamente i propri diritti e la parità con l'altro sesso. La parigina Felicita de Keralio elaborò un "Quaderno delle rivendicazioni della Donna" nel quale si afferma che, facendo parte anch'essa della società, era logico che, accanto ai numerosi doveri, avesse anche dei diritti, primi fra tutti quelli politici. Furono quindi le parigine, soprattutto, a organizzare la loro protesta divulgando le loro idee e creando dei veri propri "Club Femminili". Ma i rivoluzionari uomini non accolsero le proteste, negando loro non solo il diritto di voto ma persino il diritto di associazione. I Club femminili furono quindi sciolti. Dopo la Prima Guerra Mondiale le suffragette ottennero i primi successi: dovettero sostituire gli uomini partiti per il fronte, lavorando nelle fabbriche e assumendo i ruoli chiave della società. Quando il conflitto ebbe termine non fu più possibile negare loro il diritto di voto. Nel 1919 le donne ottennero l’emancipazione giuridica, ampliando le funzioni di tutela, vedendosi riconosciuta la facoltà commerciale e facendo abolire l’obbligo dell’autorizzazione maritale sulla gestione dei propri beni e per rendere testimonianza in giudizio. Nel 1923 le donne italiane ottennero il diritto di voto alle elezioni amministrative, ma tale diritto non trovò applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali. In seguito, grazie al testo dell'inglese Jhon Stuart Mill, "The Subjection of Woman" del 1869, le donne inglesi ottennero il diritto di voto nei consigli municipali e nei consigli di contea (1880). Nel 1903 sorse un movimento politico femminista che lottò, con comizi e manifestazioni pubbliche, per ottenere il diritto di voto, o suffragio, per le donne: le militanti furono chiamate suffragette. Per fare breccia nella resistenza della società britannica, esse ricorsero, alla lotta aperta. Disturbarono i comizi dei deputati, incendiarono negozi, edifici pubblici, fino ad ottenere, nel 1918, il diritto di voto. Nel gennaio del 1918, il Senato degli Stati Uniti d'America approvava, con la prescritta maggioranza dei due terzi dei presenti, il diciannovesimo Emendamento costituzionale che poneva termine, dopo settant'anni, alla lunga lotta condotta dalle suffragette americane per ottenere il diritto di voto. L'Emendamento di cui si parla così recitava: "Il diritto di voto conferito ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da uno degli Stati in considerazione del sesso". La nuova disposizione, per il vero, entrò definitivamente in funzione solo il successivo 26 agosto 1920, quando il Tennessee, secondo la procedura richiesta dalla Carta costituzionale, la ratificò, ultimo tra gli Stati. Da allora, le donne americane ottennero (peraltro, precedute da poche altre fra cui le neozelandesi e le australiane) di poter votare senza alcuna limitazione. In realtà, si può dire che fu la prima guerra mondiale ad imprimere una improvvisa accelerazione alla questione e a portare alla vittoria il movimento suffragista. Infatti, quando Woodrow Wilson era entrato alla Casa Bianca il 4 marzo 1913 - dopo avere sconfitto Theodore Roosevelt e William Taft l'anno precedente - per prima cosa, aveva respinto un altro Emendamento inteso a dare il voto alle donne sostenendo che dovevano essere i singoli Stati dell'Unione e non il governo federale a controllare e decidere il diritto di voto. Un po' meno di cinque anni dopo, però, quando i soldati americani cominciarono a morire in Europa, tutto cambiò e, improvvisamente, lo stesso Wilson - confermato alla Casa Bianca nel 1916 - fu autore di una inattesa apparizione al Senato per appoggiare proprio l'approvazione di quello che diventerà il diciannovesimo Emendamento. Nel corso dei secoli la donna è potuta diventare qualcuno, nonostante ciò, le antiche difficoltà non sono ancora completamente scomparse. La presenza della donna, più frequentemente di un tempo, nelle professioni e nelle funzioni prima riservate all'uomo, indica che la condizione femminile è senza dubbio migliorata.
Nonostante l'insuccesso in Francia, il movimento di emancipazione femminile dilagò in altri paesi. In Inghilterra, nel 1792, apparve una " rivendicazione dei diritti della Donna", scritta da Mary Wollstonecraft, che nei paesi anglosassoni fu considerata la Bibbia del femminismo. Ma ci volle la rivoluzione industriale perché le donne potessero dimostrare concretamente l'importanza del loro ruolo della società.
La diffusione delle idee democratiche e socialiste e la crescita dei sindacati avevano prodotto un miglioramento delle condizioni di lavoro anche della donna. Nei paesi più avanzati, infatti, furono sancite innumerevoli leggi che controllavano il numero delle ore di lavoro svolte da tutte le operaie di sesso femminile, riconoscendo a esse anche i permessi di maternità. Tuttavia, però, la donna continuò ad essere tenuta in una condizione di inferiorità sia nella vita sociale che in quella familiare: nel lavoro, per esempio, erano meno salariate rispetto agli uomini, non potevano frequentare l'università e non avevano ancora ottenuto il diritto di voto in paesi come l'Italia. Proprio per rivendicare quest'ultimo diritto, nella seconda metà dell'Ottocento, nacquero i primi movimenti delle suffragette, così chiamate perché rivendicavano il suffragio femminile.
L'Italia ha raggiunto l' unità solo nel 1861: prima di allora, dalle alpi alla Sicilia, era frazionata in un mosaico di stati e staterelli talvolta persino ostili tra loro; un simile stato di cose non facilitava certo la diffusione della coscienza femminile. Nel nostro paese, quindi, la lotta per l' emancipazione della donna si accese in ritardo rispetto al resto dell' Europa, anche perché la rivoluzione industriale vi giunse solo verso la fine del secolo scorso; ma quando anche l'industria italiana dovette contare su un'alta percentuale di manodopera femminile la "questione donna" cominciò a interessare un po' a tutti. Il quadro sociale era complessivamente molto arretrato, anche per il forte influsso conservatore della Chiesa cattolica: alle donne venivano sconsigliate le attività fuori casa, le letture libere, l’istruzione superiore e universitaria.
Ai primi nuclei femminili organizzati aderirono in un primo tempo le donne della borghesia alle quali si affiancarono successivamente le masse femminili cattoliche e socialiste.
Tra queste ultime, sostenute dal partito socialista, si distinsero in modo particolare Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff; un notevole contributo alla divulgazione della condizione femminile, da secoli relegata in uno stato di assoluta inferiorità, giunse anche dal romanzo autobiografico "Una donna" di Sibilla Aleramo.
Nel 1910 le rappresentanti delle associazioni femminili italiane parteciparono al Primo Congresso Internazionale Femminile di Copenaghen, durante il quale l'8 Marzo fu dichiarato Giornata Nazionale della Donna. Anche le nostre suffragette, tuttavia, dovettero attendere ancora dei decenni prima di ottenere il diritto al voto. Questo venne infatti riconosciuto solo nel 1945 da un decreto di Umberto di Savoia, ultimo re d'Italia. In realtà, una proposta in tal senso era già stata fatta nel 1912 durante il governo Giolitti, che aveva concesso proprio in quell'anno, il diritto di voto a tutti gli uomini maggiorenni: ma il nostro Parlamento aveva bocciato tale proposta.
Nonostante tutte queste dure lotte, però, possiamo affermare con certezza che la vera parità dei sessi sia stata raggiunta solo sulla "carta": cioè la stabilisce la legge ma non l' opinione pubblica; non è raro, infatti, notare persone stupirsi nel vedere una donna guidare un aereo, una nave, ...
L' antifemminismo è ancora vivo, dunque, presso larghi strati della società: persino in coloro che -a parole - si proclamano favorevoli alla parità.
Per tutto l'800, le femministe statunitensi lottarono non meno tenacemente di quelle inglesi, senza ricorrere, però, ad azioni violente: loro manifestazioni tipiche furono parate, cortei con fiaccole e striscioni, comizi e marce di protesta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica. Proprio negli Stati Uniti, tuttavia, si verificò, all'inizio del secolo, un terribile episodio che la giornata della donna ricorda tuttora: l'8 marzo 1908 morirono durante un improvviso incendio, in una azienda tessile di New York, 129 operaie riunitesi in sciopero all'interno dell'edificio.
Non riscontrando i risultati sperati, le suffragette inglesi passarono, così, a forme di protesta più violente; così nel 1912 proclamarono la "Guerra delle vetrine" prendendo a sassate ogni negozio londinese. Nel 1913 il movimento suffragista ebbe anche la sua prima martire: una giovane inglese, Emily Davinson, che si gettò sotto la carrozza reale durante un affollato derby e rimase uccisa.
Il movimento femminista aveva fatto, però, molta strada non solo in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma anche in quasi tutti i paesi d'Europa, dove le donne riuscirono ad eguagliare l'uomo in tutti i campi e ad ottenere, persino, il diritto di voto.
La donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell'uomo. L'esercizio dei diritti naturali della donna non ha altri limiti se non la perpetua tirannia che le oppone l'uomo. Questi limiti devono essere infranti dalla legge, dalla natura e dalla ragione (dalla dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Francia 1789). Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo deve avere anche il diritto di salire sulla tribuna (Olimpia de Gouges, autrice fatta ghigliottinare da Robiespierre nel 1793).
(da articolo on Line Internet di Carlotta Riggi, Le suffragette I- II parte )