La questione di SAN SECONDO, la cui chiesa (vedi l'immagine sopra ed ancora la moderna chiesa che ha sostituito questo edificio sacro) sorse nel 1602 su una diruta cappella a S. Martino, più volte indicata nei rogiti notarili dal XIII secolo, è da connettersi ad un culto antico proveniente dal Piemonte e a lungo alimentato dalla tradizione spirituale ventimigliese sino al punto di fare del Santo il patrono della città ligure. Una certa confusione storico-agiografica (Paganetti, Della Istoria ecclesiastica della Liguria..., Genova, presso Bernardo Tarigo, 1765, p. 22) indusse a credere che il martirio di S. Secondo sia avvenuto a Ventimiglia e precisamente nel "Vallone" che da questo prese il nome. In realtà il Santo venne martirizzato nel territorio del Municipio romano di Vercellae, nel luogo ove ora sorge la frazione S. Secondo di Salussola. Le benemerenze apostoliche di Eusebio Vescovo di Vercelli portarono a una diffusione su area padana e ligure della venerazione per tale Martire, anche se a Ventimiglia fu prioritario il culto per S. Martino, poi venuto meno, che valse in antico per la conversione degli ariani (S.V., p. 412). II monachesimo pedemontano infiuenzò notevolmente la religiosità ligure in un periodo di lunghi scambi culturali e spirituali secondo il tragitto Ventimiglia - Pedo (Borgo San Dalmazzo) - Certosa di Pesio - Novalesa: all'abbazia della Novalesa secondo il Meyranesio (Pedemontium sacrum, in M.H.P., Script., IV, 1282), in un messale membranaceo, poi passato in proprietà di E. De Levis, si sarebbero conservate le Orazioni riguardanti S. Secondo di cui Carlo Cipolla (Monumenta Novalicensia vetustiora, I, Roma, 1898, p. 374, nota 3) riporta la prima: "Da, quesumus omnipotens Deus, ut qui beati Secunti martyris tui sollemnia colimus, eius precibus gloriosis a cunctis erroribus, seu periculis absoluti, aeternae vitae participes effici mereamur ". L'abbazia di Breme che, per donazione di Adalberto padre di Berengario II di Ivrea, giunse ai monaci novaliciensi forse agli inizi del 929, con una bolla di Eugenio III, datata Segni 9-2-1151 (1152), ebbe la confermazione di svariati possessi per il Piemonte e la Liguria ed "... in episcopatu Vigintimiliensi (Vintimiliensi) ecclesiam sancte Marie Dulcisaque, ecclesiam sancte Lucie...": a Ventimiglia e Dolceacqua su antiche chiese avevano quindi diritti i monaci di Breme e della Novalesa a testimonianza di una loro storica influenza sulla zona intemelia (orig. perduto, copia permag. nell'Archivio Arcivescovile di Torino, categ. 41, mazzo I, n. 1; trascr. consunta nella busta II dell'Abb. Noual., in Arch. Stato di Torino; copia tarda cartacea nell'Abbazia di Breme = D. PROMIS, Mon. Hist. Patr., Chart., I, 797-800, n. 493; v. Cipolla cit., Acta, p. 253 e glosse). L'analisi della bolla papale permette di riconoscere una variegata serie di possessi del monastero di Breme (Novalesa) già concessi da Innocenzo II (1130-1143): nelle diocesi di Pavia, Vercelli, Asti, Ventimiglia, Torino, di St. Jean de Maurienne, di Ginevra, di Vienne, di Embrun, di Milano, di Gap solo per citare i luoghi più importanti. Tale antichità di diritti prova una storica influenza del monastero ed in particolare della sua influenza spirituale: del resto la realtà di scambi tra la costa ligure e questo grande polmone spirituale o comunque con l'area torinese e confermata dall'analisi di una costituzione del IX secolo con cui si stabilì che in pubbliche scuole di Torino (e Ivrea) dovessero intervenire studenti da Ventimiglia, Albenga, Vado, Alba (Antichi Vescovi di Torino, Torino, 1858, p. 32). Queste riflessioni confortano nel sostenere non solo una continuità di spostamenti, costa ligure-Piemonte, dall'antichità all'Alto Medioevo sulla direttrice di vecchi tragitti liguri-romani, ma permettono di riconoscere la formazione culturale e spirituale dei gruppi colti intemeli in area piemontese così da alimentare e continuare nella città natale espressioni di fede maturate nelle località sede di studi. Il "piemontese" S. Secondo, di tradizione eusebiana e vercellese, potè benissimo essere stato introdotto in Ventimiglia anche in dipendenza di questi scambi culturali e per certe convergenze di onomastica. Mons. Ercole Crovella con due suoi interventi di seguito riprodotti nella parte comune, ha comunque il merito di aver risolto definitivamente la questione di S. Secondo (Ist. Gior. XXIII della Pont Univ. Lat., 1968, XI, Bibl. Sanctorum e La Chiesa Eusebiana, in Quaderni dell'lstituto di Belle Arti di Vercelli, 1969): "Due passiones trattano di SAN SECONDO, ma una sola contiene notizie e riferimenti, mentre l'altra, conservata in un codice del monastero di San Maurizio in Magdeburgo, è piuttosto un'omelia parenetica. La prima "passio", scritta probabilmente nel sec. VI, contiene notizie di diverso valore storico. Alcune si salvano dalla severità della critica e si limitano ad affermare che S. fu decapitato per avere confessato la fede quando l'impero era retto da Diocleziano e Massimiano; altre appartengono al folklore agiografico, e si riferiscono all'origine egiziana del martire e alla sua professione di milite della legione tebea; le rimanenti notizie indicano il luogo dove S. fu decapitato ed accennano ad una traslazione delle sue reliquie. Queste ultime notizie richiedono un attento esame, essendo molto discusse e contestate, mentre invece meritano fiducia, come ci proponiamo di dimostrare. Si hanno indicazioni di una terza "passio" conservata nell'archivio del capitolo cattedrale di Vercelli, alla quale fecero riferimento il Mombrizio nel sec. XV e il Ferrero, vescovo di tale città al principio del sec. XVII, ma finora non è stata rintracciata. La presenza di questo documento a Vercelli, di cui non si può dubitare, ha probabilmente un rapporto con la tradizione locale, che colloca il martirio di S. nel villaggio dei Vittumuli o Vittimuli, compreso nella giurisdizione del Municipio romano di Vercellae. Le ragioni a favore di questa tradizione hanno acquistato maggior valore in seguito a uno studio recente sull'antichità di alcune pievi della diocesi fra le quali è compresa quella dedicata al nostro martire, che si trova precisamente nel territorio dei Vittumuli o Vittimuli. La "passio" che esaminiamo afferma che S. fu decapitato in tale territorio ed a evitare possibili incertezze o confusioni rievoca la presenza di Annibale in esso: "Uno milliari prope castellum caesarium, quod ab Annibale nomen Victimolis accepit". Si suole invece assegnare il luogo del martirio a Ventimiglia, e questa deviazione trova la sua origine nella contaminazione dei due toponimi, risalente ad epoca nella quale si era perduta la conoscenza del Vittimulo vercellese. Di tale contaminazione si trovano indizi nei martirologi, i più antichi dei quali, come il Vetus Romanum di Adone, quello grande dello stesso autore e quello di Usuardo, hanno Victimilium, mentre in quello Romano odierno il toponimo antico è sostituito con Albintimilium. Non sfugge ad alcuno che il Victimilium degli antichi martirologi è ben diverso dall'Albintimilium più recente e che il primo nome è più affine a quello di Victimulum o Victumulum della tradizione vercellese. E' anche notevole 1'accenno ad Annibale che si legge nel brano citato della "passio". Il condottiero africano, infatti, disceso dal valico delle Alpi trattenne le sue truppe proprio presso Victumulum, e si scontrò in quei dintorni con gli avamposti dell'esercito romano nell'autunno del 218 a.C., prima della battaglia della Trebbia. Il Pareti, nel secondo volume della sua Storia di Roma e del mondo romano, colloca nel territorio dei Vittimuli il detto scontro, spiega l'etimologia del nome dal fiume Victium, ora Elvo, che scorre in quella zona, donde Victimuli erano chiamati gli abitanti, e determina con esattezza il luogo nella frazione S. Secondo dell'attuale comune di Salussola. Dell'antichissimo villaggio scrissero Strabone e Plinio a proposito delle miniere d'oro colà sfruttate dagli abitanti. Il primo lo designa con la forma "Ictumulon" e il secondo con "Ichtimulorum". Livio narra lo scontro tra Romani e Cartaginesi e non ignora che i nativi del luogo si chiamavano Ictumuli; i codici recano anche la forma Victumuli e altre, ma non è certo che queste ultime si riferiscano al territorio vercellese. I Romani designavano la città ligure di Ventimiglia con Albium Intimilium o Albium Intemelium, forma corrispondente a quella greca "Albion Intimilion" come si legge in Strabone, che usa anche "Albintominion" oppure con "Albintimilium" e "Intimilium", come usa Tacito. La contaminazione di quest'ultima forma con Victimilium degli antichi martirologi appare quindi possibile, e di conseguenza si comprende il passaggio ad Albintimilium dell'odierno Marrirologio Romano, che volle correggere la lezione antica, ritenuta errata. Nel Medioevo il nome preromano, alquanto alterato, continuava ad indicare la località antica dell'ager vercellensis, sui colli della Bessa, nome antichissimo e preromano indicante tutta la vasta zona, nella valle di S. Secondo, come sempre fu designata dal nome del martire locale, non lungi dall'attuale comune rurale di Salussola. In un diploma dell'anno 826 (Muratori, Annali d'ltalia, V, 553) si legge: "in pago Ichtimolum quod pertinet ad comitatum vercellensem id est in villa quae dicitur Budella". II villaggio dei Vittimoli o Ittimoli si trovava dunque nel contado di Vercelli e nel territorio del borgo di Biella. Con diploma del 999 Ottone III donò il castellum Victimuli alla chiesa di Vercelli, e i diplomi di Enrico II del 1007, di Corrado del 1039, e di Enrico III del 1054, menzionano il montem Victimuli. Come si vede, il toponimo incominciava non sempre con la V, ma anche con la I, e questa è altra causa della contaminazione con la forma romana di Intimilium usata da Tacito per indicare Ventimiglia. Dopo l'anno 1054, non consta che il Victimulum sia indicato in documenti o diplomi, e l'eventuale silenzio può derivare dalla distruzione del castello o dal cambiamento del nome. Nei documenti citati si vede che la località, prima designata come pagus, divenne castellum, poi mons; e queste variazioni sembrano indicare l'effetto delle incursioni barbariche e saracene e dell'emigrazione degli abitanti. L'accenno alla presenza di Annibale nella zona dove fu decapitato S., che leggiamo nella nostra "passio", ci fa persuasi, dopo questo richiamo sui toponimi, che l'agiografo non escogitò una falsa etimologia, come affermò il Lanzoni, ma riferì esatte notizie di avvenimenti antichi, il cui ricordo non doveva essersi spento negli abitanti, come il passaggio del generale africano e il suo scontro con i Romani. Gli antichi Vittimuli dovevano custodire le spoglie del martire, altrimenti non si comprenderebbe perché la loro pieve portasse il nome di S. Secondo; né si può accettare l'iporesi che essi dedicassero un oratorio o memoria in onore di un cristiano ucciso nella lontana città di Ventimiglia, senza possederne le reliquie. La stessa "passio", oltre ad essere precisa quanto al luogo del martirio, informa pure che il suo corpo "perductum est usque ad urbem Taurinensem... iuxta fluvium qui Duria nuncupatur". Questa traslazione non avvenne in tempo vicino alla esecuzione capitale, ma molto più tardi, come si può dedurre da memorie documentate, e la notizia che la riferisce dovette essere aggiunta al testo primitivo. La regione dei Vittimuli subì gravi incursioni durante le invasioni barbariche a partire dal sec. V, in modo più grave e persistente a causa delle scorrerie dei saraceni, i quali, dal castello di Frassineto in Provenza, di cui si erano impossessati, comparivamo improvvisamente al di qua delle Alpi a saccheggiare, uccidere e devastare le popolazioni indifese. Una Vita medievale del b. Pietro Levita, del quale erano state trasferite le reliquie da Roma a Vittimulo probabilmente nel sec. VII, lamenta che questo luogo fu devastato da ripetute incursioni, quantunque esso si trovasse in posizione naturalmente forte, ed afferma che le difese ("moenia") disposte dagli abitanti furono smantellate e le chiese devastate e abbattute. In queste tragiche circostanze è facile pensare che la popolazione, nel fuggire in cerca di luoghi sicuri, abbia portato con sé il sacro presidio del proprio martire, per collocarlo presso la Dora Riparia, non lungi da Torino, come dice la "passio". E' documentata infatti l'esistenza di una chiesa dedicata al nostro S. in tale località, appartenente al monastero della Novalesa. Avendo anch'essa subito devastazioni dai saraceni, i monaci non abbandonarono colà le reliquie del martire, ma le portarono con loro durante i primi anni del sec. X quando fuggirono dalla valle di Susa, dove sorgeva il loro famoso monastero, e si raccolsero in un altro presso le mura di Torino, in posizione meno esposta alle incursioni. Le reliquie del martire ebbero poi venerata collocazione nella cattedrale torinese di S. Giovanni, dove tuttora sono conservate. La chiesa di S. Secondo presso la Dora fu poi donata da Landolfo vescovo di Torino al monastero di S. Giovanni d'Angely presso La Rochelle in Francia con atto databile tra il 1010 e il 1018; essa però non fu accettata a causa dello stato di abbandono in cui giaceva, e perciò il successore Guido la concesse più tardi ad altri monaci. Un documento dello stesso Guido, del 1044, si occupa ancora della chiesa di S. Secondo presso la Dora, ed afferma che era ridotta in rovina dai pagani, cioè dai saraceni: "ecclesia Sancti martyris Secundi, sita non procul a Taurinate urbe super flumen Doriae, quae a paganis corrupta nondum fuerat usquequaque reparata". Questi documenti si accordano dunque perfettamente con la "passio", che indica il luogo della prima traslazione da Vittimulo alla località sulla riva della Dora presso Torino. Si può quindi concludere che la "passio" stessa merita fiducia non solo quando indica nel Vittimulo dalle reminiscenze cartaginesi il luogo del martirio del nostro S., ma anche quando riferisce la prima traslazione delle reliquie. Più tardi esse furono una seconda volta trasferite a cura dei monaci della Novalesa, che si erano rifugiati presso le mura di Torino, come abbiamo ricordato. San Secondo non può quindi avere alcun rapporto con Ventimiglia; egli è un martire della regione dei Vittimuli, decapitato non prima del 286 e non dopo il 306, sotto Diocleziano e Massimiano. La comunità cristiana del luogo dedicò a lui una memoria od oratorio, che divenne centro ecclesiastico della pieve di S. Secondo, organizzata dal protovescovo vercellese S. Eusebio nella seconda metà del IV sec., o poco più tardi da uno dei suoi successori. La Chiesa vercellese commemorava S. martire il 28 agosto, anche dopo 1'abolizione del rito eusebiano, come risulta da un calendario del sec. XVII e da una pubblicazione del 1740. Ora non se ne fa più menzione nel Proprio vercellese. Torino venera nel santo uno dei patroni della città e ne conserva le reliquie nella cattedrale. Una ricognizione fu eseguita nel 1584 dal visitatore apostolico, che descrisse il reliquiario nel quale erano allora conservate, opera pregevole di argento fatta a guisa di torre, sormontata da una mezza figura di guerriero armato di clava. Ora le reliquie sono custodite nella stessa cattedrale, in una cappella fregiata dello stemma del comune con altare marmoreo e nicchia che contiene la statua argentea del santo. Vi fu anche eretta la Confraternita di S. Secondo martire con bolla di Alessandro VII del 1657, dopo che nel 1630, durante la terribile peste, il martire venne dal comune e dal popolo proclamato patrono della città. Una grandiosa chiesa parrocchiale, aperta al culto nel 1882, dedicata a S., conserva una reliquia insigne avuta dalla cattedrale, e conferma la venerazione dei torinesi verso il loro protettore. Ventimiglia conserva nella cattedrale la reliquia del capo di un Secondo, che taluni vogliono sia il Secondo venerato a Torino".