Informatizzazione a cura di B. Durante

"Mario Cappello [ nato nel quartiere era la "Chêuilla", in vico S. Giovanni Battista, poco lontano dalla casa natale di Paganini, il 13 gennaio 1895 - morto prematuratamente il 30 giugno 1954 ] è il commesso viaggiatore della canzone genovese. E batte ben il suo articolo, da vero genovese...ergo mercator: Quando tale articolo, o meglio, la canzonetta genovese era ancora nel Limbo, Mario Capello era già riconosciuto anche nelle case del Varieté delle principali città d'Italia come uno dei migliori melodisti, e cantatori di facili e sentimentali melodie italiane.
I pubblci lo ascoltavano con interesse e con il più vivo diletto perché oltre all'espressione sempre più viva e appassionata egli riusciva a dare al suo canto, un fraseggio chiaro, incisivo e note limpide, sonore, sicure e intonate, profuse da una voce facile e spontanea, d'un timbro metallico come una campana. Anni fa l'aveva tentato il teatro lirico, ma lo studio -lungo, paziente e graduale- non gli era permesso dalle sue quotidiane occupazioni. L'impiego lo teneva inchiodato al suo scagno per le ineluttabili necessità della vita, e soltanto qualche breve ora di giorno e la sera egli poteva dedicare alla sua irresistibile passione pel canto. Coltivò così il genere più leggero, più spiccio, più vario, anche perché più consentito al suo temperamento volubile, versatile e gioviale.
La sua fisionomia, spirante bonomia, arguzia e sempre aperta ad un sorriso tinto a volte di lieve canzonatura, poco si sarebbe adattata alle espressioni ora drammatiche, ora appassionate o languide dei tenori leggeri o lirici.
Cappello non si sarebbe trovato a suo agio nei panni di Rodolfo, di Alfredo, di Manrico, di Elvino, o di Johnson Ramarrez di Sacramento.
Meglio la romanza, la canzonetta per lui così facile ai mutamenti di espressione, e più consentanea al suo carattere di buon ragazzo vivace, modesto, sempre di buon umore, e in cerca di novità. Ci voleva la canzonetta genovese per perfezionare le sue promettenti qualità che dapprima non aveva potuto spiegare con quella convinzione, quella fermezza e costanza che gli sarebbero state necessarie per affermarsi come avrebbe potuto fra i migliori melodisti o tenori di grazia del varieté. Aspettava il suo astro, ecco tutto -come Enrico IV- e con la canzonetta genovese gli venne l'astro...e l'estro.
Il bernoccolo del teatro gli era nato già da ragazzo. Suo padre Antonio, un autentico portoriano, era pregiato scultore in legno; e dal padre si faceva pure scolpire le fisionomie dei fantocci che egli manovrava mandando in visibilio i suoi coetanei, con grande disperazione della madre sua [di nome Teresa], essa pure genovese e per conseguenza anche del maestro che certamente non poteva additarlo agli altri scolari come modello di eccessiva docilità e di esemplare diligenza.
Iniziò la sua carriera teatrale a sette anni col nobile incarico, affidatogli dallo stesso Papà Zane, di vestire gli ignudi, cioè gli artisti di legno di questo celebre marionettista, per una stagione rimasta famosa al Teatro Apollo, ventidue anni or sono.
Ma il Cappello, già fin da piccino aveva mire più alte. Voleva emulare, anzi far concorrenza a Zane, e un giorno, nel mettere in scena una tragedia davanti ai suoi coetanei, si accorse che gli mancava qualche artista, di una certa importanza. La necessità di colmare i ruoli scoperti lo costrinse a trafugare alla Compagnia Zane, ben provvista per ogni ruolo di teste di legno, qualche marionetta. Ma di tale forzata diserzione s'accorgeva ben presto lo stesso Zane, il quale, da vero capocomico, chiese la penale per quel trafugamento dei suoi forse migliori artisti. E fu il padre stesso del cappello che la pagò, rimborsando lo Zane nei danni e nelle spese.
Giovinetto, egli si affaccia alla ribalta del Teatro Nazionale, palestra di neofiti e anche punto di partenza per gli aspiranti a scene maggiori, e vi reciterà con Govi per qualche anno. Fu allora che cominciò a cantare, e ad attirare l'attenzione e la simpatia del pubblico con le interpretazioni vocali di romanze e di canzonette italiane e napoletane. Avevamo già un Cappello in embrione, una crisalide che si accingeva a mettere le ali per spiccare il volo e diventare una vedetta. Venne la guerra, ed egli che fu al fronte francese e prese parte a tutte le vicende del conflitto, rimanendo anche ferito, non abbandonò la sua arte prediletta, anzi vi si dedicò con più ardore, e con scopo filantropico. Cantò negli ospedaletti da campo e nei ritrovi militari, meritandosi gli elogi dei capi, e anche di qualche generale del quale egli conserva gelosamente gli autografi rilasciatigli in segno di riconoscenza e di ammirazione per l'arte sua così nobilmente esercitata.
Nel 1924 finalmente la canzone genovese ha in lui il suo assertore, il suo alfiere, Costanzo Carbone anima con le sue strofette tipi ed angoli genovesi e il Margutti dedica loro la sua fresca musicalità, dalla vena facile, spontanea e ricca di colorito locale. E l'interprete degno di questo nuovo folklorismo genovese, il necessario divulgatore e commentatore, è precisamente Mario Cappello.
Al Carbone e al Margutti si associano nella bella competizione altri poeti e musicisti locali.
Cappello accoglie tutti.
Egli non ha preferenze.
Purché la poesia e la canzone rispondano a quel carattere prettamente genovgese di poesia e di ritmo che è stato tracciato dai due pionieri, e che meglio si confà al suo temperamento.
La canzone genovese è già pel mondo spersa, come i genovesi di Dante.
I primi assaggi sul gusto del pubblico extra moenia furono fatti in Liguria, per le due riviere: e Mario Cappello e le sue canzoni vi diventarono popolari.
Quindi i successi veramente entusiastici per il sapore della primizia, e l'attrattiva della novità, si spostano in Piemonte, in Toscana, in Lombardia.
A Trieste il canto e la poesia genovese entusiasmano e Mario Cappello vi riporta un memorabile trionfo.
Dove il teatro e la commedia genovese non possono per molte ragioni trovar subito pubblici in grado di accettarli e di gustarli, la canzonetta nostra, in special modo se interpretata dal Cappello, esercita subito il suo fascino, s'impone e vi si insedia non meno che la secolare canzonetta napoletana.
Su ogni piazza Cappello ed il suo canto trovano pubblici entusiastici.
Una recente scrittura per la Germania, ad eccellenti condizioni, lo ha tenuto lontano per qualche settimana dalla sua Lanterna.
Chiamato ad incidere sui dischi della Parlophon, la più grande casa fonografica del mondo, il cappello ebbe a Berlino trionfi e onori, assieme a Carbone che gli fu compagno; e tutti i giornali berlinesi con articoli e pubblicazioni di fotografie, esaltarono questa brillantissima propaganda genovese che sta facendo il giro del mondo. Può darsi che fra qualche mese questa canzone genovese varchi l'Oceano per far sentire nell'America Latina le garrule note dei Tranvaietti da Doia, e quelle nostalgiche di Se ghe penso, e le romantiche di altre melodie nostre sentimentali o ridanciane, allargando così sempre più la conquista genovese che in questi guiorni ha intrapreso con brillante successo Gilberto Govi, con Bacigalupo e altri autori di stampo schiettamente nostrano (articolo del Caffaro di Anonio Elena edito alle pp.15-16 de Zena a Canta, le più belle canzoni genovesi (Torino, Le canzoni delle regioni d'Italia editrice, 1926, pp. 5 sgg.).