Dal XIV secolo l'Islam, ormai completamente soggetto all'IMPERO OTTOMANO, aveva, per il tramite di una rete di contatti, la sua percezione geografica del mondo occidentale; e Rasciddodin,
Primo Ministro degl'Ilkhanidi a Tabriz, nel Giame ot tavarikh ("Raccolta
delle Storie") aveva forse un'idea ancora confusa della Liguria, ma già ne
comunicava i confini, l'importanza strategica, la potenza economica e commerciale: " ... Accanto a tale territorio (Francia) c'è un altro paese assai
florido e molto popoloso, si chiama Genova, e possiede duecento galere,
ciascuna equipaggiata di trecento guerrieri. I mercanti Franchi che viaggiano per l'Egitto, la Siria, il Maghreb, o per Bisanzio e Tabriz, partono in
nave da quel fondaco... ".
Pur con qualche incertezza (la Capitale Genova nomina nel brano
tutto il territorio ligure), Rasciddodin aveva già alcune cognizioni
importanti e parlava di ricchezze di un territorio, che, due secoli dopo,
non sarebbe stato così ben difeso; Babur e soprattutto Evliya Celebi nel
Seyahatname ("Diario di Viaggio") furono i più brillanti, potenti e dotti
rappresentanti letterari dell'espansionismo turco verso un'Europa, nel
XVI sec. sconvolta da rivalità tra Francia, Impero,
Spagna e Piemonte con Genova indebolita e quasi serva degli Iberici.
Molti libri parlano oggi delle scorrerie della flotta ottomana sul
Ponente ligure, quando dall'armata turca, congiunta ad un contingente
navale francese, davanti a Nizza sabauda ed assediata si staccavano di
mano in mano nuclei di vascelli, per lo più galeotte, che si spingevano a
predare sulla vicina ed indifesa costa del territorio della Repubblica di
Genova.
Due date
furono particolarmente funeste
La forte TAGGIA, con autorizzazione del Senato, ma a spese della
Comunità, dal 1540 si era andata dotando di una buona cinta muraria, i cui lavori
con lunghe pause terminarono soltanto nel 1564, essendo stati ripresi
sveltamente dopo l'assalto del 28 Giugno 1561: dalla relazione del Calvi apprendiamo che
la grossa Taggia, come previsto nella lettera dello schiavo di Algeri fu poi di fatto ASSALITA NEL 1564 ma che l'artiglieria, lo schermo
primario alle mura dell'Argentina ed il valore dei difensori ebbero la meglio dei Turcheschi.
Nel 1563 i corsari investirono direttamente i borghi meno forti di
Pompeiana, Cipressa e Terzorio: la fortificata Taggia sarebbe stata un "osso
troppo duro", tenendo conto che la squadra navale d'attacco ora era di soli 9
vascelli, contro i 17 (o 18) del 1561, e che già in qualche modo aveva dovuto
preoccuparsi dell'artiglieria del forte San Lorenzo: Ulugh-Alì, che poi era un
rinnegato calabrese di nome Luca Galerni, sapeva ormai che per Taggia era
opportuna una forza maggiore, un copano per deviare le acque, le "scale di
corde e i ganci di ferro", oltre che una adeguata attrezzatura, per l'assedio e la
scalata alle muraglie, e tutto ciò spiega il contenuto della lettera dello schiavo in
Algeri che nel Luglio 1564 paventava, su fondate voci, un massiccio assalto
a Taggia.
Per ironia della sorte la forza di dissuasione di Taggia spinse in due riprese
questi predatori verso POMPEIANA: il paese era povero, la Comunità a sue spese
difiicilmente si sarebbe potuta armare e fortificare contro i Turcheschi,
per giunta guidati da cristiani rinnegati, a volte ottimi conoscitori dei siti, come
nel 1561 un tal Nasomozzo di Pompeiana.
Le TORRI DI AVVISTAMENTO E DIFESA, che sarebbero state 7 secondo lo
Zunini, non erano in gran parte ancora realizzate e la loro capacità era più di
preavviso: con una luce intermittente, nei tempi pericolosi della notte, dalla Torre
dei Panei si sarebbe dovuto segnalare l'avvicinamento dei nemici (fuoco di
brutto"; tante intermittenze quante navi avvistate); la popolazione si sarebbe
poi potuta rifugiare nelle torri prossime al borgo, od anche dentro una
Parrocchiale, alla quale fossero ridotti gli accessi bassi (questo potrebbe
spiegare la monofora murata nella Chiesa di S. Maria Assunta).
Il notaio Filippi, riferendosi ai fatti del 1563, si domandava perché le
persone di Cipressa, Terzorio e Pompeiana non si fossero raccolte
e quindi riteneva attivi dei ricettacoli, delle case forti o delle torri atte a
contenere la popolazione; il Podestà di Porto Maurizio non ritenne plausibile un errore umano, una negligenza (e del resto il cannoneggiare del
forte di San Lorenzo avrebbe dovuto creare qualche indiretto allarme) e
annotò " ... Però essi (di Pompeiana e Terzorio) loro, come si detto
sopra, se l'hanno in parte causata, perché erano avvisati...": a rigor di
logica la presunta negligenza degli abitanti di Pompeiana e Terzorio
può anche essere dipesa dal fatto che nel 1561 le loro proprietà e le
loro persone erano rimaste sostanzialmente immuni, rispetto al luogo
del Castellaro, che era stato investito e che, per essere sede dei
feudatari e quindi più ambito, anche nel 1563 si pensò dovesse essere
assalito prioritariamente.
E' difficile individuare la realizzazione, con esatta indicazione
cronologica, delle Torri in Pompeiana e quindi si va per ipotesi: l'unica
certezza sta nell'impreparazione del 1563, cui si allega a
giustificazione l'impotenza del genovese Magistrato delle galee,
che, disponendo di sole 4 galee (e poi addirittura 3), tassò la
popolazione delle Riviere per potenziare, senza risultati, la flotta e
lasciò alle iniziative e alle deboli finanze locali l'onere delle
fortificazioni, mentre il Governo emanava Grida che sarebbero dovute
essere norme vincolanti, ma che di fatto erano banali consigli
del tipo che ciascuno dovesse " ... provedere a la salute sua e dei suoi
beni in quel milior modo che li sarà più comodo, quando si inviasse
(giungesse) detta armata, o parte di quella, per questi nostri mari...",
oppure suggerendo che nel caso di arrivo dei Turcheschi " ...
Ogn'uno si alegerisca delle sue cose, per evitar così persone inutili, cioè:
donne, putti, e vecchi inhabili come i beni... (come a dire che nei
borghi dovessero rimanere solo uomini vigili e militanti - A. Bacherini,
Sanremo Antica, Torino, 1962, I, p. 187 e sgg.).
Il sistema di Torri in Pompeiana, comunque, a prescindere dalla
qualità e dai tempi di funzionamento, sopravvisse come estremo
baluardo di difesa fino al sec. XVIII, anche se dal 1566 la pressione
turchesca andò scemando e forse continuarono la loro
attività predoni più antichi, come i lupi, di cui Padre Calvi, cronista dei
Domenicani di Taggia, scrisse " ... In quel tempo (1535) irruppero,
nella zona detta degli Allegari molti lupi vespertini, famelici, divoranti non
solo greggi ma anche gli uomini...": i pirati e poi le pestilenze né
stornarono la paura, ma a lungo rimasero in agguato!: tanto che ancora
nell'800 ne parlò il Canonico Lotti!
Presso l'Archivio di Stato di Genova (Sala Senarega, n.410) Nilo Calvini ha individuato una lettera ufficiale del Podestà di Sanremo Luca Spinola che ragguagliava la Signoria del pericolo occorso dalla podesteria per effetto di un assalto di pirati turcheschi.
La missiva dice:"Illustrissimo Signor Duce e magnifici Signori Governatori, so, dico qualmenti questa notte passata, a le 5 hore, capitò qui 9 galeote le quali si accostarono alla spiaggia e calorno gente in terra e puoi all'alba ne capitò altre 6 le quali medemamente calorno gente e ne deteno asalto grandissimo per doe volte a li quali, mediante l'iuto di Nostro Signore, havemo dato buona risposta combattendo per spacio di 8 ore. E se ne sono morti parecchi. Puoi si sono imbarcati e per quello che puosso giudicare hano preso parecchie done e puti per queste vile. Non si è potuto far altro essendo qui puocca gente, ché sono fuora. Pregiamo Vostre Signorie Illustrissime si contentino mandarne qualche provviste, cioè di polvere, sarte da balestra e corda d'archibuggi e piombo facendolene puoi, passate le furie, pagar ogni cosa, non prima. A Vostre Signorie Illustrissime quanto puoso mi racomando e priego mi dieno posanza da puoter comandare l'ordinar le ville vicine ne dieno soccorso e aiuto bisognando; e così comandar qui sotto gravi pene perché sono puocco ubbidienti. Nostro Signor Iddio a Vostre Signorie Illustrissime presti longa felicità e a noi doni vittoria. Da San Remo a li VII d'agosto a hore 15 del XLIII/ Luca Spinola".
In effetti la tradizione sostiene che i barbareschi, non riuscendo ad aver ragione della città, si diressero nella VALLE DI VEREZZO (trovando naturalmente meno resistenza, di modo che poterono rapire donne e bambini) e vi fecero razzie finché non furono raggiunti dal podestà Luca Spinola che, nello scontro alla PARA' presso Verezzo avrebbe avuto la meglio su di loro sin a costringerli alla ritirata.