"PATERA" (COPPA) VITREA

II Rossi trovò una coppa particolare del III sec. d.C., una PATERA VITREA, che cosl descrisse (necropoli di Ventimiglia, vecchi scavi): "ha dessa la forma di un vaso circolare incavato, del diametro di 0,195 internamente e di 0,198 esternamente e dell'altezza di 0,045, il quale presenta sulla superficie esterna intagli ed impronte che disegnano figure di mirabile esecuzione. Campeggia nel bel mezzo il figlio di Nettuno e di Anfitrione, il compagno delle Nereidi, voglio dire il semidio Tritone, il quale conserva le più belle forme d'uomo fino la, dove la schiena perde il nome; nel qual punto da un giro di pinne o natatorie, sbuca fuori una coda di pesce che si alza e si svolge in due ampie volute, per terminare in punta biforcata, mentre sul davanti, di sotto il ventre spuntano due gambe di toro, sulle cui estremità invece di zampe stanno due natatorie, come si riscontra nelle antiche pitture di quadrupedi ittiofagi. Il volto del semidio è disegnato di profilo a sinistra col capo cinto di una specie di diadema nel modo appunto, onde si vede rappresentato Tritone in un'erma colossale, descritta da E. Q. Visconti; il braccio destro prosteso è in atto d'impugnare una lunga conca marina, da cui si spicca un lambello che svolazza attorno; e un tale istrumento, segnale del suo ufficio, sparge il suon della canorea tromba, mentre colla sinistra sostiene una tazza che ha forma di un cratere di peregrino disegno. Guizzano attorno al Tritone, in guisa da occupare non solo tutto il fondo, ma ancora una porzione della sponda del vaso, quattro pesci dalla larga coda con lunghe pinne dorsali e ventrali; dei quali, uno sopra il capo, e gli altri tre sotto il ventre del semidio, vanno correndo da sinistra a destra, lasciando nelle intercapedini accoppiati a due a due, oggetti di forma elittica, i quali non si tarda a riconoscere per altrettante natatorie staccatesi dal dorso del Tritone e da quello dei pesci istessi"> (G. ROSSI, Di una patera in vetro trovata in un sepolcro dell'antica Albio Intemelio, in "Giornale ligustico", maggio-giugno 1885, p. 225 = "S.V.", pp. 21-22, con cenni agli antichi restauri del prezioso oggetto con saldature in mastice bianco ancora visibili: ora in Museo archeologico intemelio, V.R., fig. 135).
La Patera vitrea di cui il Rossi diede questa descrizione, pur nella sua raffinatezza, costituisce, assieme ad oggetti in vetro lavorato rinvenuti a Ventimiglia romana , una nota del livello tecnologico dell'industria romana sollecitata dalle esigenze di un mercato sofisticato, specie tra I e fine III sec. d. Cristo: al proposito vale la pena di prendere a campione pure un interessante corredo funerario rinvenuto nel 1973 in Piemonte e segnatamente ad Acqui Terme per intendere, contro opinioni opposte pregresse, il buon livello, sia artistico che di quantità industriale, della produzione ai tempi dell'Impero di Roma della PRODUZIONE DEL VETRO.
Esempio della produzione artistica del vetro, commercializzata sulle piazze imperiali, fu proposto dalla mostra I vetri dei Cesari (novembre 1987-marzo 1988) del British Museum di Londra (160 pezzi) di cui Giulia Ajmone Marsan ("Il Corriere della Sera", 20-XI-1987), sotto il titolo Magici vetrai di Augusto offre un' analisi di cui si propone qui un'ampio brano:" Gli artigiani romani erano in grado di creare dei veri gioielli usando queste tecniche tradizionali (provenienti dall'Egitto e dall'area Mesopotamica). Un esempio è il piccolo ritratto di Augusto, probabilmente parte di una statuetta votiva d'oro e d'argento: la testa dell'imperatore realizzata presumibilmente con il metodo della cera persa, e impressionante per il suo realismo e la sua intensità espressiva. Altrettanto impressionante è il cosiddetto "Vaso Portland": sul blu indaco dello sfondo dell'anfora, non più alta di 25 cm., si stagliano una serie di figure bianche; la scena mitologica fu probabilmente ottenuta soffiando prima del vetro blu in una forma ancora calda di vetro bianco opaco e poi, una volta raffreddato, il vetro bianco è stato asportato per ottenere il rilievo.
A quest'epoca, la seconda metà del I sec. a.C., l'industria fu rivoluzionata da una innovazione tecnologica: la scoperta che il vetro poteva essere lavorato soffiando la massa vitrea incandescente con una canna lunga circa un metro e mezzo.
Fino agli anni Sessanta si pensò che questa svolta fosse avvenuta durante il I sec. d.C.; nel 1961 però il prof. Avigad, un archeologo israeliano, trovò una bottiglia di vetro soffiato durante gli scavi di un cimitero nell'Oasi di Ein Gedi, sulla costa occidentale del mar Morto: una scoperta importante, dato che era noto che il cimitero era caduto in disuso tra il 40 ed il 30 a. Cristo.
Rendendo la produzione di recipienti di vetro semplice, veloce e poco costosa, questa innovazione rivoluzionò l'industria trasformandone i prodotti da oggetti di lusso accessibili ed apprezzati da pochi ad utensili comuni e diffusi in tutto l'Impero ed oltre i suoi confini (e questo giustificherebbe i numerosi oggetti in vetro esumati dalle necropoli di Albintimilium).
L'invenzione fu probabilmente portata in Italia da artigiani siriani durante i primi anni del regno di Augusto. La produzione dei vetrai romani, che continuavano a usare anche le tecniche tradizionali e a creare oggetti d'arte molto costosi per i ricchi (come la Patera di Albintimilium), ebbe una fioritura eccezionale, rimasta impareggiata fino al XV secolo, il periodo delle vetrerie veneziane... Anche privi di decorazione gli oggetti di vetro soffiato (esposti nel museo inglese) sono ricchi di eleganza, come dimostrano le linee semplici e compatte dell'anfora della prima meta del II secolo trovata in Kent. Una delle tecniche di decorazione piu diffusa era l'applicazione su vetro ancora duttile di gocce e strisce di vetro caldo. Tipica, per esempio, dell'altro grande centro della produzione del vetro in epoca imperiale, Colonia (che riversava in Italia le sue merci per il nodo di Aquileia), e una fiaschetta con due manici del II secolo: il vetro verdino e decorato da una serie di "pois" blu.
Oltre a questa tecnica, a partire dalla prima metà del I sec. d.C., si diffuse quella (usata ancora oggi) di soffiare il vetro in forme di terracotta.
Probabilmente uno dei primi e più raffinati artigiani a impiegare questo metodo fu Ennio e la sua scuola presso Sidone.
Due splendidi esemplari da lui firmati sono esposti nel museo inglese: una tazza blu con un motivo floreale e una brocca color ambra con disegni geometrici.
A partire dalla fine del I sec. d.C. i vetrai romani svilupparono anche un'altra tecnica tuttora in uso e nota fin dalla meta del XIV sec. a.C.: la produzione di recipienti trasparenti, incisi o tagliati.
Le risorse degli artigiani imperiali non si fermavano qui: ... effetti magici rivelano mani eccezionalmente abili: e non mancano nè le testimonianze archeologiche (come nel caso di questa splendida bottiglia) nè le registrazioni documentarie sui reperti di Luni
ove dall'epoca augustea era appunto segnalata la produzione di vetro.
Per veri e propri capolavori in materiale vitreo si pensi poi alla "Coppa Trivulzio" del IV secolo, trovata presso Novara: il recipiente di vetro bianco opaco e ingabbiato in una rete di vetro tagliato celeste e giallo collegato al corpo delltoggetto da piccoli ponticelli, sempre di vetro; sotto il labbro un'iscrizione blu ottenuta con lo stesso metodo: Bibe vivas multis annis.
Si ammiri ancora il Disch Kantharos, un calice trovato a Colonia, con una "rete" sempre di vetro, questa volta applicata per proteggere la doratura della coppa rappresentante tre putti.
Infine si osservi il "Piatto Paride" del III-IV secolo, probabilmente proveniente dalla Siria, dipinto a freddo sul retro. In colori intensi rossi e violacei e resa graziosamente la scena in cui Paride giudicò la bellezza di Afrodite.
La Patera vitrea intemelia era un oggetto d'arte che avrebbe certo potuto partecipare a questa esposizione; attualmente resta il segnale di un alto livello esistenziale di determinati gruppi sociali, per quanto i meno abbienti già fruissero di surrogati meno sofisticati e di uso pratico. Vetro opaco e colorato quasi sicuramente ad Albintimilium ornava le finestre delle case signorili, mentre rimane assai discutibile il suo uso in quelle condominiali.
La sostanza di queste riflessioni si concentra nel principio che in epoca romana a Ventimiglia e dintorni si godesse di un buon tenore esistenziale e si usassero attrezzi e suppellettili destinati ad una scoperta alquanto tarda: un certo manierismo nei gusti e l'abitudine ad ostentare la ricchezza portò i residenti a procurarsi oggetti sempre più preziosi e fini come il servizio da viaggio in argento.