ABEGLIO/ABELLIO

Per gli antichi cartografi il sito aveva notevole importanza strategica perché da qui si accedeva a un castello poi diruto, dei "Monti Abeglio inferiore e superiore" (anche ABELLIO e ABELLIOTTO: struttura montana che per la storia dei Liguri occidentali ebbe rilievo strategico e religioso qual base dell'arcana divinità di BELEN).
Si poteva poi raggiungere l'itinerario del Roia sulla linea di Airole, Olivetta S.Michele e "Penna": vi si individuano resti edili dei Doria di Dolceacqua tra cui i resti di un CASTELLO che, nel XIV sec., ebbe peso per le gesta di Imperiale Doria.












Le Nuove Mura furono progettate e decise nel 1626 per sostituire le trincee e bastie provvisorie di terra e fascine, affrettatamente compiute lungo lo stesso percorso nel 1625, quando la Repubblica si era trovata in grave pericolo, minacciata dall'Armata franco-savoiarda; quindi in molti era sorta l'idea di rendere quelle opere campali più stabili e soprattutto permanenti per difendere la Superba città di Genova in modo definitivo, traducendole in una lunga cinta di mura bastionate. Genova in quel tempo era già munita di una ben robusta cinta bastionata, più evoluta rispetto alle antiche Mura medioevali, ma ormai incapace di contenere l'espansione continua dei borghi sempre più dilatati e soprattutto inadatta a proteggere la città e il porto dai tiri sempre più lunghi delle batterie del nemico. "La settima cinta è quindi molto più ampia dell'area effettivamente abitata, che resta quella dei bastioni del 1536, e risponde all'esigenza di intercettare i crinali che scendono al mare e le vie d'accesso sia da levante che da ponente, comprendendo inoltre l'intero arco portuale, anche questo murato, dalla Lanterna al Molo." La Repubblica di Genova , in un quadro storico-politico segnato da profonde incertezze, aveva capito che era ormai tempo di affidare la difesa della propria indipendenza ad una efficiente organizzazione militare. Il sottile gioco politico delle alleanze non era più perseguibile a causa delle incertezze legate all'inaffidabilità di un alleato come la Spagna ed alle sempre più grandi ambizioni dei Savoia. La Spagna nella primavera del 1571 si era annessa il territorio di Finale con il proposito, poi rivelatosi inutile, di creare quello sbocco al mare tanto reclamato dalla regione della Lombardia. Il Ducato di Piemonte pure ambiva ad una ambiziosa possibilità di poter "raggiungere" il mare in un modo più agevole rispetto a Nizza e quindi Genova pareva essere sempre di una importanza strategica. Un terzo motivo, considerato da molti storici, con ragione, il più immediato e che dette l'avvio alla costruzione delle Nuove Mura, fu la breve guerra per il Marchesato di Zuccarello, fra il 1624 e il '25 . Nel mese di marzo del 1625, l'esercito piemontese ben organizzato, rapidissimo nelle manovre, conquistò ad uno ad uno tutti i castelli di confine. Caddero Ovada, Rossiglione, Voltaggio e altrettanto velocemente raggiunsero a Genova le notizie delle sconfitte, confuse e ingigantite per quel carattere ligure chiuso, pessimista per natura, ma certo non rassegnato a subire la resa. In aiuto alla Repubblica e al suo Porto questa volta giunse la squadra navale di Spagna, mentre fuori città spontaneamente, si organizzò una difesa provvisoria delle alture. "Tutti con grande ardore si posero all'opera" e guarnirono i monti di trincee, muri a secco, palizzate, lungo un percorso indicato da una Commissione di Esperti tra cui primeggiava Padre Vincenzo Maculano. Una linea fortificata, che seguiva il crinale della Lanterna fino alla Bastia di Peralto e di lì, attraverso il Castellaccio e lo Zerbino si congiungeva con le Mura Vecchie sopra il Bisagno. Queste opere seguite frettolosamente sotto la minaccia di un assedio che poi non si verificò, costituirono, durante gli anni che seguirono, un primo tracciato per l'opera definitiva delle Nuove Mura. L'opinione pubblica intanto si stava sempre più convincendo che, per una patria libera, era quindi indispensabile creare un immenso recinto onde poter dominare e non essere dominati, e che fosse e riuscisse il più ampio possibile. Si formò quindi un grosso dibattito, si chiese il parere di molti uomini illustri i quali intervennero, ognuno con una propria proposta, fino a quando finalmente fu decretata dal Senato, il 19 aprile del 1626, l'opera definitiva delle Nuove Mura.
L'opera definitiva delle Nuove Mura fu decretata dal Senato il 19 aprile del 1626. Il testo fu sottoscritto dal Senato "e siglato su uno dei due garandi rotoli, lunghi in tutto sei metri, dov'era stato disegnato in scala di palmi 1:1000 l'intero percorso con la forma di ogni bastione, eccetto, come precisa il documento, la parte 'sita alla bastia di Promontorio'. Quel tratto rimaneva sospeso, in attesa di un ulteriore esame per decidere se si dovesse lasciare l'antica fortezza 'fuori o dentro' le Nuove Mura." Per dare inizio alla fabbrica uno dei più gravi problemi era quello di come poter ottenere i denari necessari: quindi tutte le fabbriche private vennero sospese per avere abbondanza di 'mazzacani', e di materiali da costruzione come soprattutto di calce; tutti gli uomini della città dai 17 ai 20 anni ogni anno almeno dovevano lavorare dalle 6 ai 20 giorni scelti ad arbitrio; vennero messi a disposizione del cantiere sia muli che somari almeno 2 giorni su 6; vennero richiesti dei mattoni a seconda della disponibilità dei padroni di fornaci; tutti i 'camalli' della città e dei sobborghi dovevano partecipare almeno 16 giornate all'anno; e così via. Assicurati quindi i mezzi per avere il denaro, gli uomini e i materiali, l'8 novembre si riuniva una Commissione per collocare la prima pietra; si pensò che la Lanterna fosse il sito più idoneo, il simbolo della città oggi oramai perso poiché soffocato dal tempo, dal degrado e dall'incuria; fu scelto quel luogo poiché rappresentava la porta principale della città con i suoi baluardi destinati a guardarla, quasi a proteggerla. Venne celebrata la Messa sacra dall'Arcivescovo Domenico De Marini poi da tutto il Clero, dai religiosi, dalle confraternite, nonché dai Consoli di tutte le Arti. Una settimana dopo la cerimonia inaugurale, fu finalmente presentato al Senato il progetto per la costituzione del Magistrato delle Nuove Mura. Il Magistrato si componeva di un Presidente e da sei membri scelti fra i nobili cittadini i quali, a turno di due, diventavano Deputati: ogni mattina si recavano solerti in un ufficio a loro assegnato presso il Palazzo Ducale per sbrigare le pratiche correnti "tra l'altre come saldare li conti e sottiscrivere li mandati della fabbrica perché possano esser pagati da quel Magistrato di Azenda che a questa impresa deve imporsi." Un altro membro era Deputato alla fabbrica e il suo incarico consisteva di andare in cantiere per visitare i lavori e decidere e ordinare cose lievi e di poter "castigare fino a due tratti di corda li operai delinquenti e farli carcerare." Il Magistrato inoltre disponeva di un cancelliere, un sottocancelliere, un sindaco, due targette (uscieri), un bargello, ed era autorizzato ad assumere tanti soprastanti (assistenti ai lavori) quanti ne poteva avere bisogno. Al Magistrato delle Nuove Mura si era aggiunto un Magistrato dell'Erario o d'Azenda formato da cinque nobili cittadini che avevano l'importante compito di amministrare i finanziamenti finché la fabbrica non fosse finita; collaboravano con essa un cancelliere ed un cassiere. L'istituzione formatasi quindi restò tale fino a quando la fabbrica delle Nuove Mura potrà essere dichiarata finita. Cominciarono finalmente le costruzioni presso la Lanterna e sul Bisagno ma i lavori procedevano assai lentamente. Nel frattempo, si riconosceva l'importanza di difendere in modo adeguato il settore murario verso il Bisagno; Dopo l'impulso iniziale, dai vivaci dibattiti sulla progettazione fino alla cerimonia di posa della prima pietra alla Lanterna, sembra che la fabbrica subì un periodo di rallentamento, che permase per quasi due anni fino a quando nell'aprile del 1630 si elesse un nuovo Magistrato delle Mura: Giacomo Lomellini, colui che, in qualità di Doge, aveva posto la prima pietra sotto la Lanterna. Il 20 maggio 1630 venne eletto Architetto e Capo d'Opera il Maestro Bartolomeo Bianco, poiché fu necessario disporre di un architetto, non distratto da altre occupazioni, che avesse l'incarico di vigilare che tutto il lavoro fosse eseguito secondo il disegno approvato e a regola d'arte, mentre un mese prima venne nominato alla direzione della fabbrica delle Mura, il Deputato Ansaldo De Mari che aveva già lavorato per la Repubblica quando diresse i tracciamenti per le Nuove Mura, seguendo i consigli del Domenicano Padre Vincenzo Maculano da Fiorenzuola il quale, in seguito, lascio` la sua mirabile impronta progettando il recinto del Gianicolo a Roma e le Fortificazioni di Malta. La guerra che era iniziata nel 1626, dopo un gran variare di eventi, finalmente fini` nel 1630 con la morte di Carlo Emanuele; si stabili` la pace e i Genovesi si convinsero sempre di più di condurre a termine il progetto della grande cinta bastionata e muraria iniziata in realtà senza un disegno definitivo. Quindi solo nell'aprile del 1630 venne approvato dal Senato il "Disegno delle Nuove Mura della Città di Genova approvato dai Serenissimi Collegi con Decreto del 19 aprile 1630"; è un disegno compreso in due ampi rotoli di carta, contrassegnati rispettivamente come parte I e parte II, in uno dei quali e` rappresentato, con semplice linea, il tracciato dalla Lanterna a Peralto e nell'altro dalla punta di Peralto fino al Bisagno. Questi disegni furono eseguiti senza alcuna descrizione di misura e di quota, ma indicano l'intero perimetro con le cortine e i bastioni poi fedelmente realizzati. Inoltre rappresenta una stesura quasi definitiva da assegnare al tracciato murario, poiché il progetto venne approvato con riserva: ancora non era stato deciso il percorso, che dovevano seguire le Mura dalla parte degli fino al monte Peralto. Questa incertezza provoco` un dibattito nel quale emerse la brillante personalità di Frate Vincenzo Maculano da Fiorenzuola, un dottissimo uomo religioso dell'Ordine dei Domenicani, maestro indiscusso nell'arte delle Fortificazioni che "... veniva sovente consultato e più sovente ancora incaricato di dare disegni di fortezza, che si eseguivano poi dagli Architetti, sotto la sua direzione". Fu infine confermata l'ipotesi di far passare le Nuove Mura sul Promontorio e finalmente fu presentato un calcolo, una stima dall'Architetto Bartolomeo Bianco e dall'Ingegnere Bastiano Ponzello che rimase definitivo poi nell'ottobre del 1631 quando si decise di attenersi al primitivo progetto: fu poi "suffragata da un'ultima relazione di Padre Don Giovanni de Medici in data 20 ottobre 1631 pienamente approvata dal Senato il 20 dicembre 1631". Finalmente il 19 dicembre 1631 si potevano contare 22 lotti dati in appalto in diversi punti della lunga cinta. Per capire meglio le modalità tecniche ed amministrative seguite durante la costruzione delle Mura seguiamo il Capitolato che C. Bruzzo ha descritto grazie ai documenti che ha trovato nell'Archivio di Stato di Genova contenuti nelle filze "Nuove Mura, anni 1630-1631-1632".
Essendo il recinto delle Nuove Mura assai esteso e dovendo seguire dislivelli spesso forti, l'esecuzione fu ripartita in numerosi "posti" (lotti), dati a "scarzo" (cottimo) a "scarzeratori" (cottimisti) con successivi appalti eseguiti secondo un capitolato. I primi contratti d'appalto vennero stipulati dal Magistrato delle Nuove Mura il 26 aprile 1630; si verifico` l'impossibilita` di poter gestire contemporaneamente tutto il personale e il materiale necessario per l'esecuzione dell'opera su tutto il percorso per cui si convenne di "dar principio alla fabbrica delle nuove mura cominciando dalla bastia di Peralto e Castellazzo". Dalla parte del Polcevera , dal Forte Sperone alla Lanterna, invece i lavori procedevano molto lentamente e fino a tutto il 1630 era stato solo appaltato un primo lotto dalla Lanterna verso gli Angeli a Francesco Peluggo e Masino Lavarello. Nel febbraio 1631 furono ancora appaltati sul lato del Bisagno altri 5.200 palmi dal punto in cui terminava il lotto assegnato a F. da Novefino alla località le 'Arbore' all'altezza dell'attuale stazione Brignole affidando i lavori ad un gruppo di 'scarzeratori': Daniele Gazella, Sebastiano Ponsello, Antonio dell'Aggio, Pietro e Bernardo Cantone. Dal febbraio 1631 fu infine deciso di seguire il primitivo tracciato, più ampio, decisione suffragata da un'ultima relazione di Padre Don Giovanni de Medici in data 20 ottobre 1631 pienamente approvata dal Senato il 20 dicembre 1631. Furono cosi` appaltati da settembre ad ottobre 1631 tre lotti da S.Benigno fino al bastione della . Il primo a Bernardo Cantone, un secondo a Andrea Orrigone ed il terzo di nuovo a B. Cantone. Infine da novembre 1631 ad aprile 1632 furono affidati, ai seguenti 'scarzeratori' tutti i rimanenti lotti dagli Angeli al Peralto. Il tratto ancora incompiuto tra Peralto e Castellaccio fu suddiviso in tre lotti. Nel frattempo fu progettato dall'ingegnere militare Francesco Pristini, che fu espressamente chiamato da Milano, il complesso percorso delle 'Fronti Basse' a bastioni reali doppi, lungo il piano del Bisagno. L'opera fu suddivisa in cinque lotti distinti, dalle 'Arbore' fino a congiungersi con le Mura Vecchie di Carignano. Tutti questi intraprenditori dovevano impegnarsi a terminare in tutte le sue parti il cinto di mura entro e non oltre l'anno 1632. Nello stesso tempo un nuovo dibattito si preannunciò quando si creò il problema di dover definire la collocazione delle porte e dei portelli lungo la cinta. Infatti venne consultato per l'opera delle Nuove Mura, Giovanni De Medici, un ingegnere militare, il quale sosteneva che il nuovo recinto doveva comprendere la Bastia di Promontorio, si doveva aprire la porta della Lanterna sul piano anziché sul dorso di S. Benigno e si doveva prolungare il muro marittimo lungo tutta la scogliera. E con questo consulto furono eseguiti i lavori nel 1639. A conferma del problema è stata ritrovata infatti una lunga relazione datata 20 ottobre 1631 intorno alle Fortificazioni di Genova nella quale si cercava di individuare il luogo dove costruire la Porta della Lanterna, sottoscritta dal Consiglio che alla fine aveva opinato per una porta principale sul piano della Lanterna. Nel dibattito intervenne Padre Vincenzo Maculano da Fiorenzuola per proporre l'inserimento di due porte principali da collocare una alla Lanterna e l'altra al Bisagno mentre Ansaldo de Mari sosteneva la necessità di aprire una porta grandiosa nella costiera tra i due baluardi mediani del Bisagno e 5 portelli dal lato di terra e cioè allo Albero (ora Porta Romana) ed agli Angeli, a Multedo, a S. Bernardo e S. Simone, i quali ultimi erano già da tempo aperti. Sempre il De Mari pensò di inserire altri portelli lungo le Mura lungo il mare, "da Porta Lanterna a Porta S. Tommaso, progettati già dal De Medici e cioè uno a S. Lazzaro, un secondo a S. Teodoro ed un terzo al ponte dal quale il Signor Principe Doria aveva ingresso nei suoi giardini". All'inizio del 1632 si riaccese nuovamente una disputa circa la posizione della porta principale da aprirsi nella Valle Bisagno; infatti il Balliano proponeva la porta di Albera poiché era "posta all'esterno sulla dirittura della strada maestra, al di dentro scorrente, ha edifici bellissimi, larga e tra le più magnifiche di Genova", ma, dopo aver sentito il Maculano, il De Medici e dopo aver esaminato altre proposte, il Consiglio votò infine la proposta del De Mari approvando quindi la possibilità di fare due sole porte principali, una alla Lanterna e l'altra al Bisagno, chiamata Porta Pila, scartando l'idea del Balliano di considerare la Porta Romana, e confermando i portelli già definiti precedentemente. Definito il circuito delle mura, collocate lungo il suo lungo percorso le porte e i portelli, si formulò il bisogno di ricreare le strade di accesso alla città in modo adeguato, cercando di rispettare la condizione urbana in cui si trovava Genova in quel periodo sebbene si scatenarono delle proteste da parte dei proprietari che si videro espropriare i propri orti e terreni indispensabili per il passaggio delle pubbliche vie di comunicazione. Cominciata il 7 dicembre 1627, si poteva ormai dire che tra aprile e maggio la costruzione delle mura poteva considerarsi conclusa; "il gran circolo di questi rampari di terra e di mare citando il Cevasco misura: da S. Benigno allo Sperone, metri 6160; dallo Sperone alla Strega, metri 6490; dalla Strega alla Porta del Molo Vecchio, metri 2360; dal Molo Vecchio alla Lanterna, metri 4550; con un totale di metri 19560 e cioè metri 12630 dalla parte di terra e 6930 da quella di mare". Inoltre, verso la fine del secolo XVII lungo il percorso di tutta la cinta, si potevano contare 137 garitte per le sentinelle, collocate sugli angoli dei bastioni nei punti più sporgenti delle mura .Il 24 marzo 1639, dopo un sopralluogo del Sig. Federico Imperiale e dell'Arch. Bastiano Poncello lungo i posti e i presidi intorno al porto, si ordinò l'ampliazione dei posti di guardia al Baluardo dell'Arsenale ed alla Torre della Darsena mentre all'inizio di febbraio del 1641 "per ordine pubblico si demoliva l'antica Torre della Darsena del porto, costituendola in Baluardo per maggior sicurezza di quella bocca e nel mese di settembre, dietro disegno dell'Ansaldo De Mari, si cominciava a fabbricare un andito sopra le vecchie mura della città dalla parte di terra affinché le ronde ordinarie potessero girarle per maggior loro sicurezza".
I progettisti, in quel tempo, per progettare le Nuove Mura e tracciarle nel suolo, dimostrarono perfettamente di conoscere bene i sani principi dell'arte delle fortificazioni, anzi costruirono una opera che per quei tempi rappresentava un esempio nuovo e originale rispetto alle tendenze del momento sia per come sono state costruite e sia per la forma stessa dei bastioni più ampi e più semplici e con i fianchi rettilinei, differenti da quelli cinquecenteschi. Le Mura sono state costruite attraverso una organizzazione razionale di cantiere dove ognuno aveva un compito ben preciso e specifico; inoltre era stata suddivisa l'opera in lotti separati affinché tutti potessero collaborare quasi contemporaneamente in modo da poter terminare la costruzione in breve tempo. Per la realizzazione delle Mura invece, come si è già detto precedentemente, per prima cosa era stato assegnato l'appalto per il posto di Peralto, il baluardo estremo della futura cinta, e poi, fissata la forma geometrica di questo, fu sufficiente impostare lungo l'andamento del crinale generatore, la direzione di due cortine successive, sia sul lato di Levante che quello di Ponente, per risolvere la costruzione geometrica del bastione corrispondente e cosi` via fino all'estremità inferiore dell'intero percorso. Questo fa presumere che il progetto della cinta, schematizzato al massimo nel momento delle delibere, fosse diventato progetto esecutivo nel momento in cui fosse fissato sul terreno la linea capitale. Quindi, invece di legare il tracciato delle Mura a forme geometriche prestabilite, i progettisti stabilivano direttamente sul terreno il tracciato delle Mura, determinando sia la lunghezza delle cortine, sia l'ampiezza dei bastioni i quali sono sempre stati costruiti in asse con i diversi crinali secondari per fronteggiare più facilmente una ipotetica direzione di attacco. Per quanto riguarda la tecnica muraria, i progettisti dell'opera cercarono di utilizzare il materiale dello stesso luogo ma soprattutto usarono la roccia come base del sistema murario sfruttando quindi le forme naturali del terreno che ancora oggi si può vedere, esaminando la parte esterna delle Nuove Mura, come in alcuni punti affiori la roccia tagliata regolarmente secondo la pendenza assegnata alla scarpa, e possiamo verificare nei punti in cui la cinta ha subito recenti interruzioni "la tecnica costruttiva a scalino". La cinta muraria, un'opera di una così straordinaria importanza, richiedeva quindi, oltre al materiale litico ben scelto ricavato quasi sempre dallo sbancamento, un ingente quantitativo di altri materiali da costruzione e di attrezzi di lavoro. La sabbia era un materiale abbondante per cui la sola difficoltà consisteva nel trasporto che si eseguiva esclusivamente a soma fino al luogo di utilizzo; proveniva o dal Polcevera o più spesso dalle spiagge fossili di Sampierdarena e Cornigliano mentre invece venne usata l'arena del Bisagno, non considerata buona e mercantile, solo "con conditione che prima di metterla in lavoro sia passata e crivellata". La calce invece fu oggetto di speciali provvedimenti poiché vi erano poche fornaci, e per aumentare la produttività, fu deciso "che tutto il personale addetto alla preparazione della calcina e al suo trasporto potesse 'udita però la massa' lavorare nei giorni festivi". Venne nominato pure un Commissario della calcina, un certo G.B. Poggio, il quale, sotto le istruzioni di Ansaldo De Mari, doveva provvedere "... che tutti li capi degli scarzi habbino con facilita` e prontezza la calcina necessaria". Doveva quindi essere sempre informato degli obblighi dei fornaciari, dei bisogni degli scarzeratori, degli arrivi della calce sia in porto sia sui posti di lavoro e conoscere l'andamenti delle cotture nelle varie fornaci. Partite di calcina provenivano, oltre che da Sestri Ponente e da Cogoleto, anche dalle "... spiaggie di Borghetto, della Pietra, di Spotorno, di Vado, di Arenzano e di Voltri, nonche` di Monterosso e della Spezia sulla riviera di Levante". Con la calce e la sabbia si componeva la malta per legare la muratura di pietrame; "spesso la sabbia è addizionata da laterizi macinati che aumentano la resistenza all'acqua della malta. Essa è in genere molto coerente, ed ha normalmente subito deboli attacchi da parte dell'acqua piovana nello strato protettivo di rinzaffo, specialmente dove si formano ruscellamenti". Per la muratura furono usate pietre di diverse misure, sbozzate ma non riquadrate ad esclusione degli spigoli dei bastioni e del cordone, la fascia sporgente a sezione semicircolare situata alla sommità del muro di scarpa, sotto al parapetto, il cui lavoro era affidato all'arte paziente degli scalpellini. Durante il cantiere altre opere secondarie vennero affidate, dopo ulteriori trattative, agli impresari che a loro volta disponevano il da farsi come, per esempio, la costruzione delle guardiole, piccoli casotti sporgenti che si trovano agli angoli dei bastioni per dare riparo alle sentinelle che avevano il compito di sorvegliare il recinto, di controllare il compagno, di avvistare il nemico. Ne furono costruite numerosissime e infatti, verso la fine del XVII secolo, lungo la nuova cinta si poterono contare "137 garitte per le sentinelle, collocate sugli angoli dei bastioni e nei punti più sporgenti delle mura e cioe`: 6 dalla Porta di Carignano sino a ... 10 dal Casone di Bisagno sino a Porta Romana, 11 da Romana a S. Bartolomeo , 6 da S. Bartolomeo a S. Bernardino, 14 da questo a S. Simone, 23 da S. Simone allo Sperone, 31 dallo Sperone a Granarolo, 23 da Granarolo a Porta degli Angeli, 14 dagli Angeli a S. Benigno". La loro struttura si componeva di una gabbia di ferro formata "da due cerchi e vari ritti del peso di circa Kg.56" poi rivesti da mattoni, materiale questo che ebbe in realtà un impiego molto limitato; infatti, oltre alle guardiole, "altri mattoni si adoperarono saltuariamente per il repascimento delle mura, come si può verificare tuttora esaminando alcuni tratti delle mura (una nota di spese contiene, fra l'altro, quella per 500 mattoni negri che 'servono a ripascere in parte le nuove mura al Castellazzo.')". Per quanto riguarda la provvista del ferro invece il "Magistrato delle Nuove Mura stipulò all'inizio dell'opera un contratto con Bartolomeo Pizzorno e Rolando di Rossiglione Superiore" per provvedere alla realizzazione dei diversi attrezzi da usare poi nella grande fabbrica per scavare il terreno e rompere la roccia. Un altro materiale di primaria importanza, indispensabile per l'uso, era l'acqua che sembrava mancasse totalmente lungo il percorso delle mura sulla sommità delle alture che circondano la città; il Magistrato delle nuove mura, per facilitare la provvista dell'acqua, aveva fatto eseguire dei particolari lavori sia per migliorare le già esistenti raccolte di acqua piovana, sia per condurre l'acqua da Peralto al Castellaccio sebbene nella maggior parte dei casi veniva trasportata dentro dei barili a soma. Il Magistrato inoltre, con una delibera del 23 agosto 1630, provvedeva ad assegnare solo alle imprese l'uso esclusivo delle fontane pubbliche ordinando che "nessuno ardisca prendere acqua dalla fontana la quale e` in strada pubblica vicino a detto posto e questo sotto ogni pena arbitraria a detto Ill.mo Magistrato". Sempre per disposizione del Capitolato, "per evitare difficoltà e contestazioni nelle misure del rivestimento murario, indicato con il nome di 'repascimento' (voce dialettale ancora in uso per indicare il rifinimento delle facciate) che necessariamente variava molto da un punto all'altro secondo che la qualità del terreno consentiva un taglio più o meno regolare, è adottato uno spessore medio costante di due palmi (circa m.0.50)" (nota ). Possiamo verificare inoltre che non appare la polvere da mina fra tutti i materiali descritti nel Capitolato come del resto non vi è nessun accenno all'attrezzatura indispensabile per l'uso della mina e delle polveri; si deduce che si intendevano eseguire gli scavi richiesti dalla costruzione delle nuove mura senza l'uso di esplosivi ma solo con l'opera manuale dei rompitori e degli scalpellini. Solo nel 1630 "si ha però notizia che gli scarzeratori al posto di S. Benigno per 'più loro utile' fecero uso di mine che danneggiarono gli abitanti della Coscia di San Pier d'Arena; costoro si rivolsero al Magistrato delle Nuove Mura chiedendo che ordinasse agli scarzeratori che 'cessino di far le mine da fuoco, e rompino le pietre con picconi o altro migliore espediente che parrà alle Sig.rie Loro Ser.me". Per confermare questa contraddizione possiamo citare un manoscritto di un viaggiatore del 1644 che narrava il suo incontro con la città sostenendo che "Giù dal Faro della Lanterna abbiamo preso dei cavalli e fatto il circuito della città, lungo l'intero percorso delle Nuove Mura (costruzioni di una prodigiosissima ed erculea industria); lo testimoniano quegli enormi massi sui monti che sono stati spaccati e fatti saltare con la polvere da sparo per renderli ripidi e inaccessibili ... ". Furono molte altre le disposizioni citate nel capitolato per quanto riguarda le rigorose attenzioni che tutto il personale doveva attenersi per la costruzione delle Mura; sebbene infatti lo svolgimento dei lavori dipendesse dalla paziente ricerca e provvista dei materiali, la celerità del lavoro dipendeva oltre dal quantitativo di mano d'opera che a quel tempo era disponibile considerando come allora mancavano quei mezzi meccanici che anche nei lavori murari e di scavo agevolavano molte operazioni di cantiere. A questo proposito Padre Vincenzo Maculano da Fiorenzuola, in un suo esposto presentato il 12 aprile 1630 al Magistrato delle nuove Mura con il quale propone dei consigli che poi furono effettivamente seguiti, fa dipendere l'esecuzione dell'opera dai lavoratori in quel momento disponibili. Infatti, durante i lavori fra le bastie di Peralto e di Castellaccio, "si può ritenere probabile che quando il lavoro verso la primavera del 1632 si trovò esteso contemporaneamente su 27 posti (lotti), il numero dei lavoratori sia stato di circa 5200, senza tener conto del personale certamente numeroso addetto ai trasporti della calcina, arena e altri materiali e del nucleo che era alla diretta dipendenza del Magistrato per custodia e la distribuzione dei materiali e per lavori diversi (sistemazione delle acque, baraccamenti, ecc.)". Nella primavera del 1632, quando la fabbrica delle nuove mura era ormai ben avviata, per avere un ulteriore aumento di mano d'opera e soprattutto di muratori si proclamò un decreto con il quale si accordava a tutti gli operai addetti alla fabbrica uno speciale beneficio: "un salvacondotto generale per qualsiasi debito ed obbligazione civile purché non ecceda le lire 400, valevole per tutta la durata del loro servizio entro il limite massimo di un semestre". Qualche giorno dopo, il 5 maggio del 1632, venne preso un altro provvedimento con il quale si ordinava la sospensione "... per la durata dell'anno in corso, nella città e in tutto il Dominio qualsiasi fabbrica pubblica e privata eccettuate le nuove mura" e nello stesso tempo venne imposto ai vari capi d'opera "di sospendere le fabbriche ove si impiega calcina e di astenersi dal cominciare altre 'sotto ogni gravame e arbitraria pena'". Questo totale divieto danneggiava ovviamente molti interessi sia dei privati sia delle comunità religiose; per piccoli lavori di manutenzione ordinaria, di riparazione per esempio di tetti che lasciavano piovere nelle stanze abitate e quindi era indispensabile un intervento, vennero presentate al Magistrato delle domande di licenza che appunto le accordava solo in questi casi di evidente urgenza. Una così rigorosa 'legislazione' ovviamente provocò degli abusivismi: chi non riusciva a ottenere una licenza infatti cercava di procurarsi clandestinamente sia operai che materiale. Inoltre fu preso un provvedimento di ordine sanitario per prevenire il diffondersi della peste che in quel periodo rappresentava una grave minaccia per la salute pubblica della città. Infatti il 25 maggio 1631 venne nominato Ansaldo De Mari "Commissario dell'Ufficio di Sanità della Ser.ma Repubblica di Genova nella fabbrica delle nuove mura" per poter controllare tutto il personale addetto alla fabbrica; per evitare che persone provenienti dai luoghi infetti potessero entrare liberamente nella città, "ordino` che tutti i maestri, operai e qualunque altra persona addetta alla fabbrica fossero muniti di una bolletta con nome, cognome, patria e contrassegno valevole per 15 giorni e firmata da uno dei tre soprastanti a ciò delegati, le cui firme dovevano essere depositate alle porte dell'Arco, Acquasola, Strada nuova, Carbonara e S. Tommaso per facilitare il controllo da parte dei Commissari, Ufficiali e altri deputati alle porte".
Lungo il recinto delle Nuove Mura furono inserite le porte d'accesso alla città. L'originario spartiacque era attraversato, in vari punti, da "strade" provenienti dal suburbio, le quali discendevano per entrare nell'abitato attraverso le Porte nelle mura cinquecentesche. Con la realizzazione del nuovo recinto non era (naturalmente) possibile mantenere tutti quei percorsi; si decise quindi di "riunire" quelli contigui in un'unica strada principale. Nel punto in cui questa intersecava la cinta s'inseriva una Porta d'accesso. Ognuna di queste era stata ideata senza ponte levatoio; questo fu inserito, solo in alcuni casi, tra la fine del '700 e l'inizio dell'800. Partendo dalle Fronti Basse, la prima entrata era tramite la monumentale Porta Pila : questa era collocata all'incrocio con via XX Settembre, all'altezza della corsia degli autobus lungo l'asse dell'attuale via Fiume. Secondo alcune fonti la porta, destinata alle fortificazioni di Porto Maurizio, fu trasportata a Genova per ordine dei Padri del Comune tra il 1647 ed il 1649. Nel 1891, durante la demolizione delle Fronti Basse, il Comune decise di abbattere anche la porta, la quale fu invece salvata e spostata nel 1899, inserendola nel Bastione Montesano in un sito oggi non più esistente, cancellato dall'espansione della stazione Brignole. Intorno al 1940 fu nuovamente smontata e collocata nel sito attuale, al termine della seconda guerra mondiale. Ai lati sono diverse lapidi commemorative. Seguiva Porta Romana più modesta come presenza. Era situata all'imbocco di via San Vincenzo. La sua denominazione deriva dalla strada romana che, provenendo da vico Dritto Ponticello (attuale zona piazza Dante) e via San Vincenzo, usciva dalla porta in oggetto dirigendosi verso Borgo Incrociati, l'attuale via Torti e, l'odierno corso Gastaldi. La porta fu demolita nel 1891. Proseguendo a salire incontriamo la Porta San Bartolomeo , oggi nascosta dai servizi della Ferrovia Genova-Casella. Era l'unica, in città, a presentare il ponte levatoio sollevabile da contrappesi sferici. Questo accesso deve il suo nome all'omonima chiesa (oggi in corso Armellini), alla quale conduceva. Secondo un'antica usanza dei genovesi riguardante il periodo della Pentecoste, dopo la messa alla chiesa di San Bartolomeo degli Armeni il popolino, passata la Porta, si dirigeva sui terrapieni (zona attualmente occupata dalla stazione ferroviaria di Genova - Casella) a far pranzo sull'erba, mangiando la tradizionale frittata con l'insalata selvatica. Verso la fine dell'ottocento, l'usanza del "mangià in sci terrapin" andò declinando. Quella successiva è porta San Bernardino , la quale prende il nome dalla vicina chiesa. Fino al 1896 restava chiusa dalle 21 alle 4 e mezza di mattina. Nell'ottobre 1942 fu colpita dai bombardamenti; fino allora aveva mantenuto integro, anche se bloccato, il ponte levatoio con il suo sistema di chiusura (uguale a quello dello Sperone). Dalla Porta, nell'ottocento aveva origine la via delle Baracche, il cui accesso attuale risale agli anni '30. Segue Porta delle Chiappe o di San Simone. Secondo una tradizione popolare, nel 1346 qui passò Santa Brigida, la quale profetizzò che un giorno Genova sarebbe stata ridotta ad un cumulo di rovine, ed i pellegrini passando sopra il monte ed indicando verso la valle, avrebbero detto "Là era Genova". Fino al 1898 rimaneva chiusa di notte. Il nome, secondo alcune fonti, deriva da una cappella dedicata ai SS. Simone e Taddeo "protettori del popolo genovese", situata in epoca remota all'apice di salita San Simone. Sul versante della val Polcevera si apre Porta Sperone, situata all'interno del Forte omonimo, nata come sortita ma divenuta Portello a scopo prevalentemente militare con la realizzazione del Diamante. Presso via ai Piani di Fregoso troviamo Porta Granarolola quale è sormontata da uno stemma di marmo. Era originariamente provvista di ponte levatoio. Da qui passava l'antica strada proveniente da Begato la quale, attraversata la Porta, discendeva verso l'attuale via Adua). L'antico percorso d'accesso, all'inizio del XX secolo, è stato sostituito dalla rotabile attuale; la Porta è rimasta così abbandonata e l'antica strada cancellata da rovi e sterpi. La Porta degli Angeli seguente a quella di Granarolo, deve il suo nome alla chiesa dei Carmelitani demolita nel 1810, situata nei pressi. Provenendo da Sampierdarena, la prima che s'incontrava era Porta della Lanterna realizzata tra il 1633 ed il 1643. Nel 1827 si pensò di demolirla: invece ne fu costruita una nuova a doppio fornice, un centinaio di metri prima, provvista dello stemma sabaudo. L'antica Porta, a causa del suo unico accesso, era in un certo senso ingombrante e d'intralcio alla viabilità. Nel 1877 se ne decretò la demolizione. Contemporaneamente, con una petizione popolare che raggiunse le oltre diecimila firme, se ne richiedeva la conservazione; ciononostante nello stesso autunno si procedette, quasi in sordina, alla sua demolizione. Del monumento rimangono solo la statua della Madonna e la sottostante scritta POSUERUNT ME CUSTODEM (naturalmente conservati in luoghi separati). Come purtroppo spesso avviene a Genova, non si è avuto nessun riguardo per un monumento del passato. Sorte migliore ha avuto l'ottocentesca Porta la quale, in seguito alla demolizione del colle di San Benigno, nel 1930 fu smontata e riposta sotto la Torre della Lanterna.
Numero 1 Bastione Inferiore del Prato; Numero 2 Bastione di Porta Pila; Numero 3 Bastione di Porta Romana; Numero 4 Bastione Montesano; Numero 5 Bastione Zerbino (di Montesano o Ricci) (dello Zerbino al Baraccone); Numero 6 Bastione Fieschine; Numero 7 Bastione Cruciferi; Numero 8 Bastione Porta San Bartolomeo; Numero 9 Bastione Piatto di San Bartolomeo; Numero 10 Bastione Lasagna; Numero 11 Bastione di Porta San Bernardino; Numero 12 Bastione Santo Erasmo Numero 13 Bastione San Simone; Numero 14 Bastione Piatto di Porta Chiappe; Numero 15 Bastione delle Forche; Numero 16 Bastione Castellaccio; Numero 17 Bastione della Caserma; Numero 18 Bastione Piatto del Forte Castellaccio; Numero 19 Bastione Beato Amedeo; Numero 20 Bastione Dritto al Lagaccio; Numero 21 Bastione a piè dello Sperone; Bastione di Puin, compreso nel Forte Sperone; Numero 22 Bastione Punta dello Sperone; Bastione della Torbella o della Poterna, compreso nel Forte Sperone; Numero 23 Bastione dell'Avanzata dello Sperone; Numero 24 Bastione Neviera; Numero 25 Bastione Fontana; Numero 26 Bastione della Caserma; Numero 27 Bastione del Piazzale; Numero 28 Bastione della Polveriera; Numero 29 Bastione Piatto del Garbo; Numero 30 Bastione Chiappino; Numero 31 Bastione Santa Caterina; Numero 32 Bastione dei Magazzini; Numero 33 Bastione della Porta di Granarolo; Numero 34 Bastione del Piano di Granarolo; Numero 35 Bastione di Monte Moro; Numero 36 Bastione 1° Verso Polcevera; Numero 37 Bastione 2° Verso Polcevera; Numero 38 Bastione di San Cristoforo; Numero 39 Bastione di Porta Murata degli Angeli; Numero 40 Bastione Porta Angeli; Numero 41 Bastione Promontorio; Numero 42 Bastione San Bartolomeo Ovest; Numero 43 Bastione della Concezione; Numero 44 Bastione Cimitero degli Inglesi; Numero 45 Bastione Sampierdarena; Numero 46 Bastione di San Benigno; Numero 47 Bastione Piazza d'Armi San Benigno; Numero 48 Bastione Porta Nuova Lanterna; Numero 49 Bastione Avanzato della Lanterna; Numero 50 Terrazza a pie' della Lanterna; Numero 51 Batteria a Fior d'Acqua della Lanterna; Numero 52 Bastione del Passo al Molo Nuovo; Numero 53 Bastione Quarantena al Passo Nuovo; Numero 54 Bastione del Dazio; Numero 55 Bastione del Portone della Lanterna; Numero 56 Bastione allo Scavo della Pietra; Numero 57 Bastione all'Ospedale Militare; Numero 58 Bastione Sant'Antonio; Numero 59 Bastione San Lazzaro; Numero 60 Bastione San Teodoro; Numero 61 Bastione Batteria a Denti; Numero 62 Bastione N° 1 San Benedetto; Numero 63 Bastione N° 2 San Benedetto; Numero 64 Bastione N° 1 Giardino del Principe; Numero 65 Bastione N° 2 Giardino del Principe; Numero 66 Fronte di Porta San Tomaso; Numero 67 Bastione al Molo Vecchio; Numero 68 Batteria Nuova del Molo Vecchio; Numero 69 Batteria della Malapaga; Numero 70 Bastione delle Grazie; Numero 71 Bastione Castello e dell'Oratorio; Numero 72 Bastione Sarzano; Numero 73 Bastione Campana; Numero 74 Scalo dei Servi; Numero 75 Bastione Santa Margherita; Numero 76 Bastione della Griffa; Numero 77 Bastione della Cava o Janus; Numero 78 Bastione San Giacomo e San Giovanni Battista; Numero 79 Bastione della Scuola; Numero 80 Bastione Porticciolo; Numero 81 Bastione Polveriera; Numero 82 Bastione della Strega o Capo di Carignano; Numero 83 Bastione Quartieri Nuovi; Numero 84 Bastione Cappuccine; Numero 85 Bastione Superiore del Prato; Numero 86 Bastione di Santa Chiara; Numero 87 Bastione San Leonardo; Numero 88 Bastione Porta d'Arco; Numero 89 Fronte dell'Acquasola; Numero 90 Bastione Villetta Dinegro; Numero 91 Fronte del Portello; Numero 92 Bastione al Castelletto; Numero 93 Bastione San Girolamo; Numero 94 Bastione di Carbonara; Numero 95 Bastione Pietra Minuta; Numero 96 Bastione della Neve; Numero 97 Bastione San Giorgio; Numero 98 Bastione San Michele; Numero 99 Bastione San Tomaso; Numero 100 Bastione Darsena.
Nel 1638, sotto la direzione dell'architetto Giacomo Aicardo ma con la devota assistenza di Ansaldo de Mari, il Molo Nuovo fu finalmente completato mentre rimanevano sempre invariate le antiche muraglie del '500 lungo il mare sotto la collina di Castelletto fino all'antico Molo e dalla Porta del Molo fino a quella di S. Tomaso di cui troviamo una descrizione del Podestà: "...che in conformità della deliberazione già fatta l'anno 1594, si tirasse una cortina dalla muraglia dell'Arsenale sino al baluardo di S. Tomaso, per retta linea verso detta piattaforma uscente fuori in mare, acciò potesse servire per fianco a detta cortina. Che in fondo della stessa verso la Darsena si facesse altra piattaforma che rispondesse alla suddetta; la quale cortina cominciasse sopra una nuova scogliera da costruirsi dal fondo del Darsenale esistente, sino al citato baluardo di S. Tomaso per retta via verso detta piattaforma, in conformità del disegno". Quelle antiche mura erano ormai considerate "...vecchie mura cadenti, corrose dal salmastro e dalle ondate, che meno di cinquanta anni dopo dovevano subire la più tragica delle prove del fuoco, quella del bombardamento navale del 1684". Dopo il bombardamento del 1684, Genova attraversò un periodo relativamente tranquillo: i Padri del Comune continuavano a mantenere la manutenzione della sola città entro il circuito delle mura vecchie, mentre i Collegi si occupavano di deliberare i continui lavori da farsi, dopo aver sentito il parere del Magistrato di Guerra, ma soprattutto della Giunta delle Fortificazioni, ente sempre esistito e dal quale dipendevano gli Ingegneri Militari. Un evento particolare rappresentò nel 1713 la proposta del Magistrato di Guerra di istituire "...una scuola di architettura militare per l'addestramento da dieci a dodici giovani figli di ufficiali, affidandone la direzione al Sottoingegnere Gherardo de Langlade. È una iniziativa che risponde ad una esigenza molto sentita da parte del governo, di formare un gruppo di ingegneri nazionali in grado di agire autonomamente nelle pratiche delle fortificazioni e dei confini, ma che purtroppo, dopo alcuni anni di attività e con la morte del de Langlade, non sarà più riattivata". Inoltre, "tra il 1717 e il 1745, i quattro ingegneri militari nazionali: Matteo Vinzoni, Gaetano Lorenzo Tallone, Alberto Medoni e, dopo il 1722, Domenico Carbonara, vengono impiegati dalla Giunta dei Confini quasi esclusivamente nel rilevamento topografico del territorio, mentre i problemi riguardanti le fortificazioni sono affidati a due ingegneri forestieri: all'irlandese Patrizio Geraldini e al ticinese Pietro Morettini". Questo tentativo di formulare una nuova scuola e soprattutto di specializzare nuovi talenti nell'arte delle fortificazioni è molto sentito dalla Repubblica di Genova che sentiva il bisogno poi applicativo di aggiornarsi sulle nuove tecniche europee. Infatti si assisteva ad una continua innovazione delle armi, era aumentata la gittata delle artiglierie, ma soprattutto erano cambiate le tattiche di assedio formulate da Sebastien La Prestre, marchese di Vauban e dal suo rivale, l'olandese Menno Van Coehoorn, per cui anche Genova si sentì coinvolta a rivedere ancora il sistema difensivo della città mediante la possibilità di realizzare una serie di opere esterne per tenere il nemico il più lontano possibile dalla cinta bastionata. Al Vauban, maresciallo di Francia, il primo dei ranghi del Genio "...viene spontaneamente associato a tutta l'architettura militare realizzata nel corso del XVII secolo: la sua attività fu così ricca di riconoscimenti che il Maresciallo di Francia fu ben presto assunto a simbolo dell'architettura militare francese. In oltre cinquant'anni di carriera realizzò più di centosessanta fortificazioni percorrendo tutto il territorio francese, e si distinse non solo come progettista, ma anche nella condotta degli assedi, le cui tecniche raggiunsero con Vauban una perfezione tale che ancora in pieno Ottocento mostrano intatta la loro validità". Quando i francesi, alleati ai genovesi, cresciuti in un clima culturale particolarmente influenzato dalle teorie militari del Vauban, videro la nostra cinta seicentesca, pensarono che il nostro sistema difensivo poteva essere insufficiente a difendersi dagli attacchi degli Austriaci e quindi proprio a loro fu affidata la nuova impostazione del problema. A Genova si realizzarono dapprima "un complesso sistema di opere campali, provvisorie, che permettevano di protendere la linea di sicurezza ben oltre il perimetro delle mura, per precludere al nemico le vie di transito e le postazioni elevate, da cui le mura potevano essere colpite. La linea di difesa campale consisteva per lo più in sistemi talvolta complessi di argini, terrapieni, fossati, con piccoli fortilizi di fortuna, le ridotte, munite di artiglieria: rimangono ancora molti segni di queste linee trincerate, un patrimonio unico in Europa che meriterebbe una giusta valorizzazione". Questo è quello che fecero i Genovesi e i Francesi nel 1747, due anni dopo che era scoppiata la guerra di successione Austriaca quando cioè Genova si trovò minacciata dagli Austriaci alleati agli Inglesi. In quella guerra infatti la Francia e la Spagna si opposero alla successione al trono di Maria Teresa e Genova fu costretta a difendere il proprio territorio di Finale, considerato sempre ambito per uno potenziale sbocco al mare. Genova, abbandonata dai Francesi e Spagnoli, fu costretta nel giugno del 1746 ad arrendersi agli Austriaci che, con i Piemontesi, erano giunti fino a Campomorone. Ma "il popolo non accetta questa situazione, resa ancor più cruda dalla richiesta di rendere completamente inermi tutte le attrezzature difensive, e sul finire del 1746 eccitato dall'episodio di Balilla, origina una sommossa durata cinque giorni costringendo gli occupanti a lasciare la città. Questi però ripiegano sulle alture a nord e a ovest delle due vallate del Polcevera e del Bisagno, dando inizio ad uno stato d'assedio che durerà fino al luglio dell'anno seguente". Genova allora cercò di riorganizzare una difesa grazie di nuovo ai rinforzi della Francia e della Spagna, progettando e realizzando in tempi effettivamente brevi una ristrutturazione delle fortificazioni. Infatti "nella guerra del 1747 contro i Tedeschi, furono ristorata la muraglia, e ridotta a quel maggior grado di resistenza, che diveniva necessario pel maggior perfezionamento delle artiglierie e sotto la direzione del valente ingegnere de Sicre erano condotti a termine questi lavori, fra i quali un gran cavaliere dello Sperone in cui situare una batteria che domina la montagna, che a quel sito conduce". Emerge quindi la grande personalità del Primo Ingegnere dell'esercito dell'Infante di Spagna, Jacque de Sicre, assunto dal governo il 13 novembre del 1745 con il titolo di Maresciallo di Campo, il quale si impegnò a progettare, insieme al Bissy, e con l'aiuto di un gruppo di ingegneri militari sia genovesi (il Capitano Domenico Carbonara, il Tenente Nicolò Medone, il Colonnello Matteo Vinzoni) che francesi (il Capitano Pierre de Cotte) una proposta per la realizzazione di nuovi forti esterni suddivisa in quattro gruppi di trinceramenti ). Ancora oggi, sui crinali dei nostri monti, possiamo individuare tracce di alcune opere campali che venivano utilizzate per difendere gli accampamenti e come linee di sbarramento di campagna e, come abbiamo già detto, consistevano in argini, terrapieni e fossati; infatti scavi di una certa dimensione li troviamo lungo le pendici del monte Diamante; "il tracciato di queste valli è a dente di sega, e ciò consentiva ai difensori appostati di colpire l'attaccante col fuoco incrociato e di proteggersi vicendevolmente nei tratti di argine contigui, cosa non realizzabile se la difesa fosse distribuita su una linea retta". Sempre sul versante sopra lo Sperone, in seguito alla rivolta del 5 dicembre 1746,si procedette al completamento del 'cammino coperto', "consistente in un fossato riparato da un argine per proteggere le basi dei muri dal tiro di artiglierie e per permettere le manovre delle truppe in sortita. Dalla punta dello Sperone venne scavata una trincea lungo il crinale sino ad un colle distante circa 500 metri dalle mura, in località 'Baracche' dove venne innalzata una ridotta. Da qui la trincea piegava a levante per altri 700 metri lungo la costa di 'Murogrosso'. Di questa linea ben evidente e della relativa ridotta non si trova segnalazione nelle rappresentazioni cartografiche relative ai fatti del 1747. Possiamo ipotizzare che questi valli, molto vicini alle mura, fossero stati tracciati da maestranze locali, senza un piano di difesa organico, basato sul concetto sorpassato che la difesa trincerata fosse sostenuta dal tiro dell'artiglieria piazzata sulle mura". Quando invece nel marzo del 1747 finalmente Genova poteva contare sugli aiuti consistenti di denaro e truppe da parte degli alleati francesi e spagnoli, sotto la direzione di questi tecnici si procedette ad organizzare la propria difesa seguendo la tecnica della 'piazza trincerata' coprendo tutto il crinale che dallo Sperone giunge al colle del Fratello Maggiore, continua verso il Fratello Minore per ripiegarsi poi sulla vallata del torrente Torbella . Per proteggere Genova dalla parte della vallata del Polcevera invece furono costruite delle postazioni per artiglieria sotto il Tenaglia, furono poste delle batterie sul promontorio del Belvedere collegandolo con una linea trincerata al Polcevera per proteggere il sobborgo di Sampierdarena sempre minacciato dalle artiglierie austriache di Coronata. Nel versante orientale della città furono costruite delle ridotte a S. Eusebio, a Serralunga, sul monte Ratti, a monte Castellano, a Bavari, a monte Bastia e sul monte Fasce lungo quindi una linea formata da capisaldi isolati che poi intersecava un'altra linea di crinale che comprendeva le ridotte sopra ai Camaldoli, a S. Tecla al Chiappeto e ad Albaro. Sempre in questo periodo il governo si era impegnato a restaurare e perfezionare le stesse mura; "Giacomo Cattaneo era addetto alla sorveglianza dei lavori alle mura e alle frecce del Bisagno; allo Sperone, sotto la direzione di Lazzaro Viganego, fu innalzato un 'cavaliere' al fine di aumentare la potenza dell'artiglieria, alla Tenaglia, dove presiedeva Gio Batta Spinola, fu rinforzata e restaurata la decrepita 'opera a corno' e Stefano Lomellino fu incaricato di sorvegliare la costruzione di una grande nuova batteria alla Lanterna. Lo Spinola, che si avvaleva della collaborazione tecnica del De Cotte presiedeva, oltre i lavori alla Tenaglia, a tutte le opere di trinceramento del Belvedere". I disegni del De Sicre propongono uno schema progettuale sia rigidamente simmetrico che estremamente teorico in quanto tengono poco conto della situazione orografica reale e delle eventuali preesistenze; infatti le realizzazioni sono assai lontane dalle idee del De Sicre e si devono quindi alla pratica costruttiva delle maestranze locali e alla direzione di un gruppo di valorosi Ingegneri Militari di carriera abituati più alle soluzioni contingenti che alle schematizzazioni teoriche ). Finalmente, dopo il fallimento dell'armata austriaca del 13 giugno 1747, Genova poteva considerarsi libera e pronta per ripoter rivedere tutto il proprio sistema di fortificazione, soprattutto poteva riprendere in considerazione quei forti esterni alla città che tanto indispensabili furono per scacciare il nemico. Qualche mese dopo, il 13 settembre del 1747, si iniziò un ulteriore restauro ai bastioni dello Sperone e del Tenaglia. Inoltre il 4 luglio 1748, venne ricostituito il Nuovo Magistrato delle Fortificazioni al quale qualche giorno dopo venne presentato dal De Sicre "le relazioni del Capitano Carbonara per il tratto di mura da S. Benigno alla Porta di Granarolo del Ten. Tommasoni da Granarolo allo Sperone, del Cap. Speroni, dallo Sperone fino a S. Bernardino e di Matteo Vinzoni di lì fino alle frecce del Bisagno". In un ulteriore elenco del De Sicre, emerge un "riferimento preciso al Forte della Crocetta e alla lunetta del Belvedere; due posizioni che nel 1748 dovevano essere appena due opere provvisorie, con muri di contenimento e parapetti appena accennati". Tutte queste costruzioni cominciate con tanto fervore si fermarono in occasione della Pace di Aquisgrana del 15 giugno 1748 che decretava definitivamente la fine della guerra di successione. Gli unici Forti nei quali si continuava a lavorare furono il Forte S. Tecla, ormai ultimato, a parte le modifiche apportate tra il 1759 e il 1774, mentre sul Monte Diamante venne solamente trasportato il materiale che servirà nove anni dopo, tra il 1756 e il 1757, quando sarà realizzato in forma ridotta rispetto all'attuale. Il Forte Richelieu fu l'unico ad essere completato e reso operativo, del Forte Quezzi furono realizzati i bastioni mentre le cortine rimasero appena abbozzate. Dieci anni dopo la Pace di Aquisgrana, ritroviamo in una lettera d'Archivio, datata 18 dicembre 1758, come fosse rimasto invariato il Corpo degli Ingegneri Militari al servizio della Repubblica; infatti: "Ingegnere e Ispettore generale delle Fortificazioni l'Ill.mo Maresciallo di Campo il Sig. Giacomo Sicre (con uno stipendio di 736 lire genovesi al mese). Direttore delle Costruzioni e degli appalti delle Fortificazioni il Maggiore Colonnello De Cotte. Visitatore e relatore dello stato delle Fortificazioni, quartieri ed edifici militari il Maggiore Colonnello Sig. Vinzoni e il Capitano Sig. Talone. Professore dell'Accademia di Matematica con incarico speciale della guardia, alzamento rettificazione delle piante, profili, disegni e stati generali e particolari delle Fortificazioni il Capitano Sig. Codeviola ...". Inoltre ad questi bisogna aggiungere il Colonnello Fredric Flobert, i Capitani Alberto Medoni e Panfilo Vinzoni (figlio del Colonnello Matteo Vinzoni), un assistente Matteo Lagomaggiore e alcuni giovani aiuti tra cui un uomo dalle eccezionali qualità, già istruito dal Flobert, l'ingegnere Giacomo Brusco, assunto come Aiuto il 1 dicembre del 1757. Il Brusco entrò a far parte del gruppo degli Ingegneri Militari della Repubblica nel 1758, per poi essere nominato Capitano nel 1783 . Tra il 1792 e il 1793, il Corpo degli Ingegneri poteva far conto per le opere di difesa della Capitale solo sul Brusco che finalmente può dimostrare di essere all'altezza del suo incarico. Dal 1793 in poi, sotto le sue direttive si rimette mano al bastione dello Sperone con la costruzione di una caserma casamattata, si rafforza il grande bastione di Begato con una batteria a cavaliere e si riordina l'insieme delle fortificazioni e delle batterie intorno a quello che d'ora in poi verrà chiamato Forte Lanterna. Inoltre, dopo il 1793 fino ai primi anni dell'Ottocento, la sua attività di rilevatore si concentrava a una approfondita analisi del territorio esclusivamente finalizzata ai piani di difesa dello Stato; il rilievo sistematico di tutto il percorso delle Nuove Mura rappresenta una indispensabile base di lavoro per tutte le fortificazioni fin dai primi anni del XIX secolo. Dopo il mese di giugno del 1797, anno in cui si costituì la Repubblica Ligure, avvenne un reale rinnovamento dell'intero programma di difesa; Giacomo Brusco, eletto Capo Battaglione, con la stretta collaborazione di ingegneri francesi, inizia il restauro di tutte le fortificazioni esterne alla cinta occupandosi "personalmente del completamento del Forte di Quezzi e del parziale ripristino dei Forti Richelieu e Santa Tecla". Nuovi interventi avvennero durante l'assedio del 1800 per mano delle truppe del Maresciallo Massena il quale affidò al Comandante del Genio Mares il compito di ricostituire in modo veloce le postazioni di alcuni forti esterni alla cinta. Infatti le Nuove Mura offrono dal lato sud-est la parte più debole contro cui si potrebbero dirigere ulteriori attacchi per cui, per ovviare a tali inconvenienti, fu stabilita una linea di forti esterni . Soffermarsi sulla strategia dell'assedio e sui diversi interventi riguardanti i Forti esterni esula dall'ambito di questo studio per cui, per ulteriori dettagli, si rimanda ai testi citati nelle note e nella bibliografia. Una ulteriore fase nell'evoluzione delle fortificazioni proseguì nel periodo napoleonico: la Liguria, nel 1805, venne annessa alla Francia e l'intero Corpo del Genio della Repubblica Ligure, in cui troviamo il Tenente Barabino e soprattutto il Tenente Gio Batta Chiodo, venne inglobato al Corpo Militare del Genio Napoleonico. Il Chiodo progettò un grande fronte bastionato alla punta dello Sperone, la ricostruzione e l'ampliamento del Forte Richelieu, l'ideazione della caserma di San Benigno, e trasformò tutte le ridotte in effettivi forti adattando la forma a una pianta quadrata "... la cui caratteristica architettonica più evidente risiede nelle quattro caditoie sporgenti al centro di ogni lato, elementi di derivazione gotica che dal '500 in poi erano stati cancellati dall'usuale progettazione bastionata". Nel 1814, dopo la caduta dell'impero napoleonico, il Corpo del Genio fu diretto dal Tenente Colonnello Giacomo Barabino, sempre con la collaborazione del Capitano Gio Batta Chiodo e con il prezioso contributo del Capitano Giulio d'Andreis, il quale svolse un ruolo di primo piano nel Corpo del Genio Militare Sardo, formatosi dopo che la Liguria venne annessa al Regno Sardo. Il d'Andreis diventato direttore dell'Ufficio Tecnico del Regno propose la costruzione di una caserma per 400 soldati al bastione del Begato, sperimentando "... l'originale soluzione a nervature libere delle volte a crociera dei quattro bastioni", la ristrutturazione del Forte del Castellaccio, la costruzione di un fortino al posto del monastero della Crocetta e del Forte Belvedere. Inoltre, tra il 1817 e il 1822, realizzò la costruzione delle grandi torre isolate di San Bernardino, di Quezzi, della torre scomparsa del Ratti e della sua omonima caserma. In questo periodo vi fu quindi l'intenzione di fare di Genova la più grande piazzaforte sul Mediterraneo del Regno Sabaudo. Infatti "da alcuni elenchi sull'armamento della 'Piazza di Genova', risalenti tutti a date anteriori al 1850, ci si può fare un'idea, dal numero di cannoni e di mortai distribuiti lungo le mura del '600 e nei forti, dello stragrande schieramento di forze dell'esercito piemontese. Considerando solamente il tratto della cerchia dallo Sperone alle Fronti Basse del Bisagno, si poteva disporre, nel 1840, di 193 cannoni e di 21 mortai, senza contare tutte le armi leggere. Nei due Forti di Castelletto e di S. Giorgio, posti nel centro della città e pronti ad agire contro qualsiasi sommossa popolare insofferente della nuova dominazione, si era prevista una potenza di fuoco di 23 cannoni di grosso calibro, di 8 mortai e di ben 28 cannoncini". Un esercito quindi temibile, preparato e più grande mentre, al contrario, le fortificazioni prima di questo totale rinnovamento, non erano più adeguate ad ospitare le nuove guarnigioni sempre pronte a reagire a qualsiasi tipo di attacco. Il contributo del Genio Sardo fu fondamentale sia dal punto di vista strutturale che funzionale per i Forti e inoltre vi fu un potenziamento delle Cittadelle costruite sui bastioni lungo le mura del 1500 (S. Giorgio, S. Michele, e la ricostruzione del Castelletto). Furono sostanziali le differenze tra i forti sabaudi e quelli che li hanno preceduti, probabilmente da attribuirsi sia ai cambiamenti avvenuti nelle tecniche militari, sia ai diversi indirizzi costruttivi della scuola del Genio Militare di Torino differenti da quelli usati dai progettisti prima della Repubblica genovese. Grazie alla maggiore disponibilità di mezzi e di comunicazione, all'uso locale della pietra di cava, venne aggiunto l'uso del mattone che consentiva più facilmente e in modo veloce attraverso i nuovi sistemi voltati in laterizio la realizzazione "... di vaste e capaci caserme dotate di cisterne, di depositi, e articolate in maniera complessa e funzionale. All'applicazione di queste strutture, si erano aggiunti nuovi concetti di distribuzione con l'ideazione di lunghe gallerie di collegamento, rampe elicoidali, scalee a forbice, che facilitavano la fluidità simultanea in senso orizzontale e verticale, con sequenze ininterrotte di aperture, ballatoi e piani traforati, per una comunicazione continua e un perfetto coordinamento tra i vari reparti agenti in una stessa fortezza". Contemporaneamente al rinnovamento delle fortificazioni, nel 1818 il Corpo Reale del Genio costruì sette torri lungo le mura di fronte ai bastioni che con le loro salienti punte proteggevano i crinali secondari. Ne furono costruite quattro lungo le mura di ponente e tre lungo quelle di levante mentre nuove torri isolate furono progettate e realizzate sull'attuale Parco dei Forti. L'intervento del d'Andreis fu irripetibile, ma con lui "... l'opera di progettazione di tutte le fortificazioni di Genova si conclude. Altri dopo di lui, in particolare Agostino Chiodo, proseguiranno sulla strada da lui tracciata sino a far sorgere intorno a noi quell'incredibile complesso di forti, di torri, di manufatti erosi dal vento e divorati dall'edera, ma che sono i segni della nostra storia e pretendono da noi di tornare ad essere per la città presenze vive e non più solitari mausolei della nostra incuria".
Le Torri fortificate, considerate nella seconda metà del '500 opere superate perché troppo esposte al tiro dell'artiglieria, per la loro sagoma vistosa, nell'Ottocento furono riprese in considerazione: queste strutture diventarono indispensabili per difendere ulteriormente la cinta dagli attacchi del nemico. Il Genio Militare Sabaudo, seguendo le direttive del Generale Agostino Chiodo e del Colonnello De Andreis, ed avvalendosi delle esperienze acquisite negli anni precedenti, decise di progettare alcune Torri all'esterno della cinta per potenziare la linea di difesa. Nel 1818 il Genio Sardo decise la costruzione di quattro torri sia ponente che a levante delle Nuove Mura, ma presto, subito dopo la fretta iniziale giustificata da necessità politiche e tattiche, nonché dalla continua pressione del Colonnello De Andreis, per non aggiungere ancora l'alto costo e la loro effettiva utilità, i lavori furono sospesi, per cui l'immagine attuale è quella di torri decadenti e mozze, lasciate andare in un degrado sempre più evidente. Sono state costruite sui crinali secondari in corrispondenza delle punte dei bastioni e mai delle cortine, e sempre all'interno di quella fascia di rispetto di mille palmi oltre le mura, stabilita da un decreto del 1634. La loro funzione era quella di poter proteggere i corrispondenti bastioni delle Mura, ma, quella opposizione generale del Corpo del Genio Piemontese che si era creata, confermava la poco attendibilità: "l'incompatibilità della forma circolare con il concetto di difesa fiancheggiante e la sensazione di debolezza che poteva suscitare una struttura in cui le linee di fuoco sono tutte divergenti". Sul lato del Polcevera troviamo presso il Forte Tenaglia la Torre delle Bombe di cui restano solo le fondazioni circolari in calcestruzzo; di fronte al bastione pentagonale di Monte Moro una seconda torre ridotta anche questa a rudere; una terza presso la porta di Granarolo, attualmente troncata all'altezza del primo ballatoio in muratura, articolata all'interno da quattro arcate su pilastri triangolari; una ultima, la Torre di Monticello lungo la strada di Begato, ridotta pure a rudere. A levante troviamo i resti delle fondazioni della Torre di S. Erasmo e poco più a nord quella di S. Simone le cui sembianze sono ormai ridotte ai minimi termini; inoltre più a sud delle precedenti e poco distante dall'omonimo portello, la Torre di S. Bernardino , l'unica rimasta in buono stato , ma isolata dalle Mura che la originò. Un'ultima Torre era collocata quasi di fronte al Bastione dello Zerbino, dal quale aveva preso il nome; oggi è scomparsa per lasciare il posto a un nuovo edificio. Oltre a queste Torri, il De Andreis aveva progettato e poi realizzato, delle particolari Torri quadrate inserite ai fianchi dei bastioni per una migliore protezione. I progetti furono messi in atto dal Corpo del Genio Sardo. Osservando le Torri si può notare come fosse stato curato il dettaglio e quella perizia tecnico-costruttiva tipica di tutte le opere di questa prima fase di intervento sabaudo. Esaminando la carta, queste torri quadrate sono individuabili in diversi punti delle cinta. Sul lato a levante se ne può vedere una sul bastione di S. Erasmo percepibile dall'ampliamento del lato verso mare. Scendendo dal Forte Begato verso il Forte Tenaglia, sembra che la 'Polveriera di Begato ora Chiappino' rilevata dal Brusco, si sia trasformata poi in una torretta quadrata, mentre, continuando la discesa, la 'Garitta Chiappino', indicata dal Porro sulla carta, sembra che si sia modificata inglobandosi nelle Mura stesse. Il Bastione allungato subito prima della Porta di Granarolo presenta un ampliamento rispetto al rilievo del Brusco: rappresenta quindi una ulteriore testimonianza delle torri quadrate.
Fin dal Medioevo la città di Genova, era circondata da particolari strutture fortificate oltre le 'vecchie Mura': "nel 1318, oltre questo recinto, eravi una torre a capo di Faro, o sul promontorio dov'è la Lanterna, come pure un'altra a Monte Peralto, che chiamavasi Torre di Peralto, e fra queste due torri era la prima linea di difesa della città". Il territorio era inoltre difeso da altre numerose torri, e da castelli, sia piccoli che grandi, che erano collocati in punti strategici, per controllare sia il passaggio lungo le vie di accesso più importanti, sia i punti più critici dei monti, sia per difendersi dai possibili attacchi del nemico dal mare. Dopo secoli di storia, attraverso i quali le vecchie torri furono ricostruite innumerevoli volte, ampliate, trasformate e aumentate di numero, alcune di queste furono inglobate lungo i baluardi delle Nuove Mura, altre demolite. Infatti così scrive il Quarenghi: "...aggiungo qui il disegno di una delle tre bastie di Promontorio, Peralto e Castellaccio, che sparirono nella costruzione della cinta". Siamo nel 1633; la fabbrica delle Nuove Mura era finita: la cinta "cominciava dalla Lanterna, montava sulle colline di S. Benigno, degli Angeli e di Granarolo e girando su parte di Promontorio ... arrivava alla punta di Peralto, ora Forte Sperone, estremo delle fortificazioni; di qui formando un angolo e discendendo le colline di S. Giuliano, Montesano e dello Zerbino, si riuniva agli altri bastioni verso il Bisagno". I punti strategici furono rinforzati dai Forti, e in seguito dalle Torri: FORTE SPERONE - FORTE CASTELLACCIO - FORTE BEGATO - FORTE TENAGLIA - FORTE CROCETTA - FORTE BELVEDERE -
"Da Voltri a Genova si vedono sempre case, tutto annuncia una grande città. Presto il porto appare e si vede la bella città seduta ai piedi delle montagne. Il Faro della Lanterna, come un minareto, dà all'insieme qualche cosa di orientale e si pensa a Costantinopoli". L'immagine del Faro un tempo appariva a tutti i viaggiatori che passavano per Genova dal mare come un emblema, un elemento emergente che dal suo piedistallo di roccia sembrava 'uscisse' dal mare, con quella dignità e fierezza che traspare dalle architetture pulite. Era un punto di riferimento, un simbolo, per tutti coloro che giungevano in città, una meta, quasi una salvezza, dopo un travagliato viaggio in barca o in nave che durava già da tempo. Era un punto di sosta, un 'monumento' da visitare; così scrisse un viaggiatore: "preso l'omnibus (2 soldi) fino alla estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci sono salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze dinanzi a noi ...". Era dunque un punto di una straordinaria panoramicità dal quale era possibile contemplare la città, il mare, ma soprattutto i crinali dei monti con i suoi forti ben visibili e netti. Era il simbolo della città. Fin dalle sue origini emergeva con forza da quella roccia ora non più visibile poiché sovrastata da un porto sempre più contaminato da elementi confusionali e quasi degradanti. Le sue origini sono molto lontane; era denominata Capo di Faro, sulla piccola cima di un estremo sassoso, Capo di Promontorio. La sua posizione confermava la possibilità di segnalare con i fuochi le navi in arrivo durante la notte. Infatti "una prima notizia risale all'anno 1128 in cui era stato emanato un Decreto per la guardia alla torre della Lanterna. Erano stati designati ad assolvere questo compito i cittadini di alcune borgate della Val Polcevera - Torbella, Sassanedo, Porcile, Cavannuccia e in più quelli di Granarolo, mentre altri, quelli di Borzoli, Sestri, Priano, e Burlo, esentati da questo servizio obbligatorio erano tenuti a fornire ognuno un fascio di legna all'anno per mantenere acceso il fuoco del faro durante la notte". Un altro documento del 1161 descrive il 'diritto di fuoco': ogni nave quando approdava era tenuta a pagare il diritto dovuto per il Molo e per il fuoco. Nel 1318 i Ghibellini cinsero d'assedio la torre nella quale si erano rifugiati i Guelfi: ne scavarono totalmente le fondamenta per cui, minacciando la stessa di crollare, gli assediati dovettero a malincuore arrendersi. Nel 1323 i Guelfi ripararono i danni dalle fondamenta e cinsero il piede della torre con due rivellini. Il primo fanale fu poi collocato nel 1326. Un disegno a china del 1371, pubblicato sul libro del Podestà a pag.305, mostra sin da allora la presenza di una torre sovrapposta all'altra, indicando quali fossero le munizioni fatte a difesa della stessa. Nel 1507, sottomessa Genova al Re Luigi XII, venne decretata la costruzione di una fortezza a Capo del Faro, per tenere a freno il più possibile i Genovesi; per questo motivo venne chiamata La Briglia. L'Ingegnere militare Paul Beusserailhe Signore d'Espy, incaricato alla costruzione della fortezza, aveva deciso di demolire l'antica torre, ma a seguito di suppliche e doni dei Genovesi, la demolizione fu interrotta per cui la Torre rimase aderente alle nuove cortine della Briglia. Durante un assedio dei Genovesi ribelli, la Torre subì gravi danni nella parte superiore. "Ridotta in tali condizioni, rimase inservibile fino al 1543, anno in che si deliberò di rifabbricarla. Ottenuto a tale scopo dai magnifici Protettori del Banco di S. Giorgio la somma necessaria, il Magistrato dei Padri del Comune addì 13 marzo moveva su cavalcature alla volta del Capo di Faro, seguito da più Maestri d'Antelamo, per consultare intorno al molo di addivenire alla designata ricostruzione" . Fu un lavoro di restauro e di reintegrazione che durò più di un anno e "fu seguito da alcuni maestri Antelami tra cui un Donato di Balerna e un certo Bernardo da Cabio; a dirigere la squadra dei 'piccapietra' fu il maestro Martino d'Arosio lo stesso che si incaricò di scolpire le balaustre in pietra di Finale, oggi purtroppo sostituite con colonnine di cemento". Dopo aver realizzato il rialzamento, venne murata una lapide all'interno in data MDXLIII, mentre un certo Evangelista da Milano dipingeva sul lato orientale della Torre Inferiore lo stemma del Comune. Assunse così il suo aspetto definitivo, legato al mondo rinascimentale soprattutto per i coronamenti sia intermedi che terminali e per le mensole aggettanti. Per renderla definitiva fu dotata di un nuovo fanale. Probabile che con tale ricostruzione ne sia stata aumentata l'altezza. Secondo l'Alizeri il merito della costruzione sarebbe dell'Ingegnere Giovanni Maria Olgiati, secondo uno scritto del febbraio del 1543 ove si pagavano sue prestazioni che però potevano essere prestazioni per la costruzione della cinta muraria civica, in quanto i lavori della Torre non erano ancora iniziati. Dalle annotazioni delle spese per "expense fabrices Turris capitiis faris", il Podestà presuppone che l'autore della Torre fu l'umile Maestro d'Antelamo Francesco da Gandria, oppure, per altra nota di spesa, fu Bernardino da Cabio. Da documenti d'archivio si trovano spese per numerosi scalini, nel 1553 e circa quaranta anni dopo spese per rifare le scale di legno all'ingresso che venivano ritirate in caso di assalti. All'alba del XVIII secolo si restaurano le balaustrate ed altri elementi danneggiati dai fulmini. Finalmente, dopo essere stata un elemento emergente, solitario e fiero, sul capo del Promontorio, venne deciso di inserire la Torre nel piano delle Nuove Mura; il 7 dicembre del 1626, celebrata una solenne cerimonia dal Doge Giacomo Lomellini per porvi la prima pietra, la Torre diventò simbolo della cinta e quindi della città. Durante il cantiere del Molo Nuovo, per l'apertura di cave vicino, si chiese di non procedere oltre con gli scavi per non compromettere le fondamenta della Torre; infatti rimanevano solo 25 palmi di distanza dal piazzale al punto confinante con la cava. Unita la Torre alle Mura, per integrarla con i nuovi bastioni di modesta altezza, considerando le sue snelle proporzioni e la sua altezza di 127 metri sul livello del mare, vennero costruite alla base delle opere complementari, di cui rimane una garitta di guardia. Furono eseguiti altri interventi nel 1702 e nel 1771, ponendo ad un angolo della Torre delle chiavi in ferro per incatenarlo a seguito dei danneggiamenti subiti sia per opera dei fulmini, sia per opera del mare. Nel 1747 invece, sotto la direzione di Stefano Lomellino, fu completata l'estremità del Faro con l'aggiunta di una grande batteria, di un secondo deposito per le polveri, e di uno stradone, detto la 'Tagliata' della Lanterna, che conduceva alla vicina Porta della città. Nel 1785-1786 l'Architetto Gregorio Pettondi fece ridipingere lo stemma del Comune di Genova sulla facciata nord della Lanterna, mentre nel 1841 venne aggiunto un primo "faro lenticolare alla Fresnel a eclissi intermittenti e con una luce visibile a dieci miglia marine di distanza, luminosità per quei tempi notevoli". Attualmente, dopo aver ripercorso la storia di questo emblematico simbolo della città, forse ci ritroviamo senza parole poiché quel mirabile percorso unitario, che "cominciava dalla Lanterna, montava sulle colline di S. Benigno, degli Angeli e di Granarolo e girando su parte di Promontorio ... arrivava alla punta di Peralto, ora Forte Sperone, estremo della fortificazione ... di qui formando un angolo e discendendo dall'altra parte della montagna e fortificando le colline di S. Giuliano, Montesano e dello Zerbino, si riuniva agli altri bastioni verso il Bisagno ... i cui muri bastionati andavano dalla parte di S. Tomaso sino alla Lanterna, ma non rimaneva interrotta la circonvallazione", rimane solo un ricordo, un sogno ormai non più realizzabile.




Genova era circondata da 7 cinte murarie. Delle più antiche, si sono ormai quasi del tutto perse le tracce. L'ultima cerchia, denominata Mura Nuove (XVII secolo), è invece ancora ben presente intorno al nucleo antico della città e discretamente conservata.
ESTER QUADRI osservando sempre da ogni punto della città di Genova le solitarie sculture della cortina muraria, un giorno decise di approfondire la logica di quei segni così sviluppò lo studio nella propria Tesi di Laurea presso la Facoltà di Architettura di Genova nel 1992. Il suo lavoro rimane probabilmente la più moderna ed esaustiva ricostruzione del sistema difensivo più moderno della Repubblica di Genova, per quato ci si è rifatti al suo studio (dal sito informatico ( http://members.xoom.virgilio.it/genovamura/autrice.html) la cui consultazione (anche per una visualizzazione grafica dei reperti) costituisce una testimonianza unica di documentazione critica sul patrimonio militare difensivo di Genova e del suo porto:
1 - PROGETTAZIONE DELLE "NUOVE MURA DI GENOVA"
2 - SVOLGIMENTO DEI LAVORI
3 - "CAPITOLATO" DEI LAVORI
4 - LE "PORTE" DELLE "MURA NUOVE"
5 - I "BASTIONI" DELLA CINTA MURARIA
6 - COMPLESSO DEFINITIVO DELLE "MURA NUOVE"
3 - LA "LANTERNA": ESIGENZA DI UNA PROTEZIONE MILITARE FORTIFICATA
8 - TRACCE DELLE ANTICHE FORTIFICAZIONI
9 - NUOVE FORTIFICAZIONI SABAUDE




TERMINOLOGIA DI ARCHITETTURA MILITARE E RELATIVE SOVRASTRUTTURE

ANGOLO MORTO: area non raggiungibile dai colpi d'artiglieria, e che di conseguenza non può essere difesa. Il termine indica anche una zona situata dietro un ostacolo, che protegge chi la occupa (defilamento).
BANCHETTA, BANCHINA: sorta di gradino o panchina in terra o muratura, situata ai piedi del parapetto, nella parte interna della fortificazione, per proteggere il soldato e consentirgli la ricarica del fucile.
BARBETTA: in genere viene così chiamata la posizione delle artiglierie a "cielo aperto": queste erano situate in prevalenza sulle Mura. La bocca da fuoco spuntava dalla "troniera" (vedi oltre), e nel momento dello sparo faceva appunto la "barba" (il segno della fiammata) al parapetto.
BASTIA, BASTIDA, BASTITA: piccola fortificazione realizzata anticamente nei pressi della città, di carattere provvisorio e solitamente turrita, costruita in legno, pietre e terra.
BALUARDO, BASTIONE: terrapieno (vedi oltre) contenuto entro un perimetro di muratura, il quale sporge dal recinto difensivo verso la campagna, quindi verso il nemico. I bastioni sono formati da due facce o fronti (i lati più lunghi), due fianchi (le murature laterali, le quali uniscono le facce alla cinta muraria) e, spesso, un "saliente" .
BATTERIA: genericamente, area circoscritta (anche sulle Mura e nei Forti), sulla quale sono collocate le artiglierie e relative riservette. Con lo stesso termine viene anche indicato un gruppo di bocche da fuoco riunito in un sito a sé stante. In questo caso la guarnigione della Batteria non è stabile, ma viene distaccata periodicamente dalle caserme o dai Forti.
BOLZONE: con questo termine si indicano le due travi (denominate anche "frecce"), imperniate a metà della loro lunghezza sopra la porta d'ingresso di un'opera fortificata. L'estremità interna era formata da una trave (comprendente il contrappeso) la quale univa le due frecce, mentre quella esterna era unita all'estremità del ponte da catene.
BOMBARDA: artiglieria per tiro curvo ad anima liscia, in ferro o bronzo.
CADITOIA, BOCCA DI LUPO: apertura sul pavimento di un corpo aggettante, dalla quale era possibile lanciare materiali vari contro il nemico che si era avvicinato alla base della fortificazione. Nei nostri Forti l'inserimento della caditoia avviene più per estetica che per necessità difensive, e la sua apertura era protetta da robuste grate di ferro, all'occorrenza apribili.
CAMMINO DI RONDA: passaggio posto alla sommità delle Mura, protetto dal parapetto, utilizzato dalle sentinelle.
CAMPO TRINCERATO: con questo termine, nella fortificazione provvisoria, s'intende l'insieme formato da trincee e "ridotte" (vedi oltre) unite fra loro. CANNONE: pezzo d'artiglieria a canna lunga per il tiro orizzontale.
CANNONIERA: spessa finestra svasata (stretta all'interno, larga all'esterno) aperta nella muratura per consentire il tiro dei cannoni in "casamatta" .
CAPONIERA: opera avanzata casamattata unita alla fortificazione, destinata generalmente alla difesa del fossato.
CASAMATTA: stanza situata solitamente all'interno di un bastione o di una fortificazione, munita di cannoniera, atta ad alloggiare un cannone.
CASTELLO: edificio fortificato, cinto e formato da mura, torri e bastioni, spesso circoscritto da un "fossato" (vedi oltre), situato solitamente in luoghi elevati, eretto nel medioevo per dimora e difesa dei nobili proprietari terrieri, i quali spesso erano muniti di un proprio esercito di soldati.
CAVALIERE: opera terrapienata e sopraelevata, collocata all'interno di una fortificazione in modo da aumentarne la potenza di fuoco e controllare una vasta zona di difesa. L'uso del cavaliere fu successivamente abbandonato a causa della sua eccessiva esposizione al tiro avversario.
CINTA BASTIONATA: recinto, provvisto di bastioni, entro il quale è racchiusa una città o una fortificazione.
COLUBRINA: pezzo d'artiglieria a canna lunga e sottile, sorto nella prima metà del XV secolo, usato inizialmente come arma a mano ed in seguito dotato d'affusto. Dal XVI secolo le colubrine si realizzarono in bronzo, e sparavano palle in ferro.
CONTRAFFORTE: rinforzo in muratura, inserito nella struttura perimetrale di una fortificazione, per aumentarne la resistenza al tiro dell'artiglieria ed alla spinta del terreno.
CONTROGUARDIA: opera di fortificazione esterna situata davanti ad un bastione od un "rivellino" (vedi oltre), con lo scopo di coprirlo e difenderlo.
CONTROSCARPA: generalmente, muro di sostegno di un terrapieno artificiale. Nelle fortificazioni è quel muro che protegge la "strada coperta" .
CORDOLO, CORDONE: elemento in pietra o mattone, ad andamento orizzontale, situato alla base del parapetto delle Mura.
CORTINA muro unente due bastioni.
FALCONE: artiglieria più potente della colubrina, la quale poteva lanciare proietti di 5 e 7 libbre.
FALCONETTO: falcone di calibro minore. Talvolta si ponevano due falconetti sullo stesso affusto.
FERITOIA: finestrella utilizzata dai fucilieri. È stretta verticalmente all'esterno, per meglio difendere il soldato, e larga all'interno, in modo da avere un discreto movimento per regolare l'angolo di tiro.
FIANCHEGGIAMENTO: viene solitamente operato da cannoni (sistemati sui fianchi dei bastioni) per proteggere quella parte di cortina (o di cinta) "scoperta", quindi raggiungibile dal nemico.
FORTE: costruzione fortificata, contenente artiglierie ed alloggi per la guarnigione, comunque indipendente, atta alla difesa di una città, o una valle, o una strada.
FOSSATO, FOSSO: spazio compreso fra la controscarpa e la "scarpa" (vedi oltre), ossia fra la controscarpa e la struttura fortificata (Castello, Mura o Forte). Nei castelli medioevali il fossato solitamente circonda la struttura e può essere riempito d'acqua. La stessa cosa non può dirsi per le nostre fortificazioni, nelle quali il fossato veniva utilizzato per la posa in opera del ponte levatoio e le "sortite" (vedi oltre) dei soldati difensori, quindi non doveva essere riempito d'acqua.
FRECCIA: piccola appendice ad una fortificazione a forma di freccia, formata da un "saliente" (vedi oltre) e due fianchi.
FRONTE BASTIONATO: il susseguirsi di cortine e bastioni.
GARITTA: piccola costruzione in muratura, situata all'ingresso di una fortificazione o negli angoli dei bastioni delle Mura, destinata al riparo dalle intemperie della sentinella.
GOLA: è il lato ideale di un bastione, volto verso l'interno della "Piazza" (vedi oltre). Nel Forte, la "Caserma di gola" od il "Fronte di gola" sono situati in posizione opposta alla linea di tiro (ossia alla parte d'attacco del nemico).
LINEA TRINCERATA: Il susseguirsi di trincee fra una "ridotta" e l'altra.
LUNETTA: grosso bastione chiuso ed isolato formato da un saliente e da due fianchi. Generalmente la Lunetta, denominata anche "Mezzaluna", era una variante al "Rivellino" (vedi oltre), con la differenza che questa proteggeva l'angolo saliente di un bastione ed era provvista di una gola semicircolare.
MERLONE: riparo in muratura, di grosso spessore, situato sul parapetto fra una "troniera" e l'altra.
MORTAIO: pezzo d'artiglieria a canna corta caratterizzato dal tiro molto curvo.
MUSONE: squadratura del fianco di un bastione.
OBICE: pezzo d'artiglieria la cui traiettoria di tiro è compresa tra quella del cannone e quella del mortaio.
OPERA A CORNO: conformazione architettonica rappresentata da due semibastioni uniti da una breve cortina.
ORECCHIONE: arrotondamento del fianco di un bastione.
PARAPETTO: muretto rialzato rispetto al piano di calpestio, posto sulla sommità della cinta o della caserma.
PETRIERO: sorta di mortaio di grosso calibro (40 cm, con gittata di circa 200 m), utilizzato per lanciare pietre.
PIAZZA: spesso nelle intestazioni sui disegni dei nostri Forti si può leggere "Piazza di Genova", intesa come "Piazzaforte" (vedi oltre) o, più propriamente, la città.
PIAZZA D'ARMI: nelle Piazzeforti e nelle nostre fortificazioni, luogo ampio destinato alle adunate od alle esercitazioni.
PIAZZAFORTE: generalmente, città munita con fortificazioni permanenti.
PONTE DORMIENTE, PONTE FISSO, PONTE MORTO: ponte in muratura (o in legno) sorretto da pilastri, sul quale si appoggia il ponte levatoio (vedi oltre). Dista normalmente 3,5 - 4,5 m dall'ingresso dell'opera fortificata.
PONTE LEVATOIO: ponte d'ingresso di una fortificazione il quale può essere provvisoriamente sollevato. Nelle fortificazioni genovesi si possono riscontrare quattro differenti sistemi di chiusura.
POTERNA, POSTERLA, POSTIERLA, PORTELLO: piccola porta situata in luogo riparato e recondito (solitamente nei fianchi dei bastioni), utilizzata per assicurare la comunicazione fra l'interno e l'esterno di un'opera fortificata.
PROVA DI BOMBA: con questo termine si intende la spessa copertura in terra, tra il piano della terrazza e la volta dei vani sottostanti, di una caserma o di una polveriera, che resista agli effetti di una bomba e delle palle di cannone.
QUARTIERE: nell'antico linguaggio militare, edificio destinato ad alloggiare le truppe. Il termine è stato poi sostituito con quello di "caserma".
RIDOTTA: opera fortificata (solitamente campale) realizzata con materiale provvisorio (tronchi d'albero e terra), situata prevalentemente sulla cima di una collina, posta a capo di una linea trincerata e munita di piccoli pezzi d'artiglieria.
RISERVETTA: locale di piccole dimensioni posto solitamente vicino alle bocche da fuoco, nel quale venivano riposte le munizioni. È interrato (per essere protetto dai colpi nemici), senza finestre ma spesso con piccole prese d'aria.
RIVELLINO: opera esterna il cui scopo era coprire e difendere una porta, un ponte oppure il centro di una cortina.
SALIENTE: angolo sporgente. Può considerarsi tale l'angolo più avanzato di un bastione.
SCARPA: inclinazione di una muraglia verso la parte esterna.
SPALTO: questo termine è oggi utilizzato impropriamente, indicando la superficie prativa di un bastione, o comunque un luogo ampio all'interno di una fortificazione. In realtà lo spalto è la massa di terra sostenuta dal muro di controscarpa della "strada coperta" (vedi oltre), che declina verso l'esterno fondendosi con il terreno circostante.
SORTITA: passaggio di comunicazione con l'esterno delle mura, aperto generalmente nel fianco di un bastione. Con lo stesso termine si intende l'uscita dei soldati difensori per un attacco di sorpresa.
STRADA COPERTA, CAMMINO COPERTO: percorso che circonda le fortificazioni.
TENAGLIA: struttura architettonica che nella conformazione ricorda l'angolo molto aperto di una "coda di rondine".
TERRAPIENO: massa di terra (artificiale o naturale) trattenuta da murature di sostegno e contenimento.
TRAVERSA: il termine ha diversi significati. In questa pubblicazione viene così indicata la costruzione in muratura che separa le piazzole di una postazione: al suo interno era collocata la riservetta, accessibile tramite due porticine situate di fianco alle bocche da fuoco. La copertura esterna della traversa era ricoperta di terreno inerbito.
TRONIERA: cannoniera mancante del lato superiore. Veniva utilizzata nelle postazioni in barbetta.
VOLATA: parte anteriore di un cannone, situata prima della parte terminale, prima cioè della bocca.