Il Santuario in questione è quello di
NOSTRA SIGNORA DI LAMPEDUSA e GIOVANNI RUFFINI (Genova 1807-Taggia 1881), mazziniano e patriota, ne parla in un suo
romanzo, II dottor Antonio, scritto in
inglese sotto la guida, più o meno
determinante, di due letterate anglosassoni, Cornelia Turner e Henrietta Jenkin. Nell'esile opera, pubblicata nel 1855, gli spunti apologetici e patriottici si intersecano con il
patetico idillio sbocciato tra l'esule
siciliano Antonio, medico condotto
a Bordighera, e l'inglesina Lucy Davenne, costretta ad una lunga convalescenza nella citta rivierasca in
seguito alla frattura di una gamba. 
                                                        
                                                         [Cfr. S. ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo nella Storia della letteratura italiana (diretta
                                                        da E. Cecchi - N. Sapegno), Milano,
                                                        1968, VIII, pp. 169-172. Nonostante
                                                        le numerose traduzioni, anche recenti, ho preferito utilizzare quella
                                                        dell'Aquarone (o meglio quella rivista della II edizione Milano, Sonzogno, 1875) perchè estremamente
                                                        aderente all'originale anche nei minimi particolari; non è poi da trascurare che è coeva al testo inglese e
                                                        compiuta da un intellettuale che ha
                                                        vissuto nella stessa temperie spirituale del Ruffini. La volenterosa traduzione di Marina Carcano (1875)
                                                        non mi ha convinto come neppure
                                                        convinse Ruffini. L'indicazione dei
                                                        capitoli è stata da me fatta sulla base di G. RUFFINI, Il Dottor Antonio,
                                                        a.c. di U. Varnai]. 
Per favorirne la lenta guarigione Antonio conduce la fanciulla a Castellaro, paese del retroterra di Taggia
noto per la salubrita dell'aria e nei
cui pressi sorge il celebre Santuario.
Nonostante la gestazione abbastanza originale, il romanzo si colloca ai
limiti di quella tipica esperienza del
romanticismo italiano che, dalla
coimplicazione del generico storicismo e della passione nazionalistica, inclina verso una soluzione propagandistica del fenomeno letterario.
 A tale serie sono da ascrivere le
opere di Berchet, D'Azeglio, Grossi
e Pellico; in queste l'evento storico
e infatti rivisitato con lo scopo predominante di suscitare nel lettore la
passione patriottica.
 La coscienza
poetica del Ruffini matura nello
stesso contesto storico-culturale e
si concretizza in prodotti espressivi
che, in linea di massima, presuppongono la mediazione dell'istituto
letterario organizzato dagli intellettuali romantici di cui si è detto.
L'analisi strutturale de il "Dottor Antonio" (oltreché del più valido "Lorenzo Benoni") permette però di decifrare un effettivo scarto tematico-espressivo fra l'opera del Ruffini e i
prodotti del sistema letterario cui
questa, in teoria, appartiene.
 La manipolazione del materiale tematico
de il "Dottor Antonio", come quella
del "Marco Visconti" e dell'"Ettore Fieramosca", sottende di certo l'esperienza carismatica del Manzoni ma
al romanzo del Ruffini non sono
estranee, forse per influenza della
Turner o della Jenkin, convenzioni
                         
                         
                         
                         
                         
                         
                         
                         
                         stilematiche e narrative tipiche degli scrittori inglesi, specie di Dickens e Thackeray (modulazioni in
                         verita abbastanza inusuali per i romanzieri italiani della meta dell'800).
 Lo scarto più evidente si manifesta tuttavia a livello funzionale.
                         Mentre gli scritti di Berchet, D'Aze
                                                   glio, Grossi e Pellico presuppongono un meccanismo il cui risultato
                                                   equivale ad un'attività apologetica
                                                   e di parenesi nei confronti dei lettore italiano, l'operazione letteraria
                                                   del Ruffini organizza invece un messaggio cui è demandata un'attività
                                                   propagandistica ad uso esterno,
                                                   
                                                                           
                                                                           
   
   
   
   
   
   
   che presuppone cioè un fruitore non
   italiano.
 Il romanzo, in origine indirizzato ad un pubblico anglosassone, soddisfa, oitre quella descrittiva, due ulteriori esigenze: di qualificare l'ltalia vanificando alcuni vieti
   pregiudizi stranieri e, contestualmente, di presentare in maniera favorevole l'esperienza liberale e patriottica.
 Questo motivo di fondo
   giustifica il taglio idilliaco della narrazione oltre che le abbondanti digressioni documentarie; la stessa
   descrizione della "Gita al Santuario" non prescinde da questo parametro operativo, anzi, per molti
   aspetti, può essere considerata emblematica.
   
   Il racconto della "Gita" è scandito
   in 6 tempi base: "osservazione di
   Castellaro dai ponte di Taggia, avvicinamento, attraversamento del
   paese, avvicinamento al Santuario,
   visita, osservazione di Taggia e del
   paesaggio circostante dall'area del
   Santuario.
 Due momenti descrittivi
   e statici iniziano e concludono un
   racconto eminentemente strutturato su un parametro dinamico.
Il
   meccanismo dell'episodio entra in
   funzione dal momento statico dell'osservazione di Castellaro e, attraverso quelli dinamici intermedi, si
   conclude nel momento statico del
                                         
                                         
                             l'osservazione di Taggia.
 L'effetto è
                             ottico ed equivale all'ingrandimento
                             progressivo di sezioni sempre più
                             particolari dell'inquadratura di partenza.
 Appena l'osservazione è focalizzata sul particolare minimo (il
                             Santuario) essa viene bruscamente
                             spostata su una nuova inquadratura, ancora più ampia della precedente.
 Sul piano di prima denotazione, cioè a livello dei significati elementari, il messaggio estetico in
                             questione equivale ad una descrizione esauriente dell'area geografica, grossomodo circolare, al cui
                             centro è localizzato Castellaro e i
                             cui estremi sono le Alpi a Nord, il
                             Mediterraneo a Sud, i sistemi collinosi ad Est ed Ovest.
 Se l'analisi critica tiene però anche conto dell'ideologia dell'autore, delle sue interazioni coll'ambiente storico-culturale e colla produzione letteraria del tempo, è allora possibile decifrare il testo a livello connotativo
                             ed evidenziarne i valori allusivi, parassitari e complementari.
 Sotto questa prospettiva di lavoro la descrizione della visita al Santuario
                             assume i connotati di un programma di geografia morale.
                             
                             Nei diversi tempi del racconto il
                             Ruffini manipola in modo settoriale
                             il codice linguistico ed utilizza la lin
                                                       gua secondo connotazioni specifiche che sostengono le parole in previsione degli scopi da ottenere
                                                       all'interno delle singole sezioni.
 Ne
                                                       deriva un ragionamento quasi retorico che, sulla base di argomentazioni eminentemente psicologiche
                                                       ed emotive, scandaglia il campo
                                                       dell'opinabile e soddisfa lo scopo di
                                                       demolire, grossomodo secondo il
                                                       parametro logico-temporale di uno
                                                       per sezione, diversi giudizi negativi
                                                       abitualmente formulati dagli Inglesi
                                                       nei confronti dell'ltalia e degli Italiani (di cui Castellaro e i suoi abitanti
                                                       sono in fondo un emblema abbastanza scoperto).
                                                       
                                                       Il primo tempo (osservazione di Castellaro dal ponte di Taggia) funge
                                                       da proemio; il paese viene inquadrato, valutato e contemporaneamente
                                                       giudicato in modo entusiastico: "In
                                                       faccia, sopra una cresta elevata,
                                                       sorgeva Castellaro inondato di raggi solari.
 "Quanto è splendido e bello! —disse Lucy — è il più gaio
                                                       paesetto dei mondo; si potrebbe immaginare che Castellaro senta la felicità dell'esistenza".
                                                       
                                                       Il secondo tempo (avvicinamento al
                                                       paese) comporta una depressione
 
                                                             
                                                                 
                                                                 
                                                                 
                                                                 
 
dello strumento dialogico ed una totale prevalenza del narratore onnisciente (il Ruffini) che interpreta gli
stati d'animo, gratificanti, che
emergono nei protagonisti in dipendenza delle interazioni con una natura benigna ed un clima salubre
(ben diverso da quello torrido, quasi
coloniale che non pochi Inglesi,
nell'800, attribuiscono all'ltalia):
"L'aria elastica della montagna, fortemente impregnata del piccante
profumo del rosmarino e del timo
crescenti in abbondanza all'intorno,
cominciavano ad operare quasi gentili stimolanti sui nostri viaggiatori,
gli spiriti de' quali divenivano ad
ogni passo piu vivaci".
 Questo ambiente sereno, dai connotati del locus amoenus, costituisce per Lucy
una piacevole sorpresa; lo stesso
serioso o scettico padre della fanciulla, Sir John Davenne, che accompagna i due giovani, si lascia
coinvolgere dall'allegria generale
sino al punto, "horribili visu", di lasciarsi ornare il cappello con fiori di
cappero.
Anche nel terzo tempo (attraversameno del paese) il racconto conserva la stessa strutturazione stilistica ed è prodotto dall'identica
istanza enunciativa: "[I visitatori erano] guardati da ognuno, ma pur sempre accolti con gli stessi segni di rispetto e di simpatia con cui erano
                          stati accompagnati per tutto il giorno. Qualche paesano di tratto in
                          tratto fermava il Dottore pregandolo, che andasse a visitare alcun malato; ma non essendo il caso urgente, con un cortese sorriso la visita
                          era rimessa all'indomani".
 Le parole
                          chiave della sezione sono i lessemi
                          "rispetto, simpatia, cortese sorriso,
                          pregare": in seguito alla loro disposizione tattica si modula un discorso fortemente connotato, cui è demandato il compito di qualificare il
                          costume pubblico dei Castellaresi.
                          Questo viene peraltro assimilato
                          all'ideale sociale più gradito agli
                          stranieri, specie anglosassoni; gli
                          abitanti di Castellaro hanno modi
                          deferenti e cortesi verso i visitatori
                          altolocati ed il loro carattere non ha
                          assolutamente i connotati di quella
                          violenza comportamentale spesso
                          attribuita agli Italiani.
                          
                          Nel quarto tempo (avvicinamento al
                          Santuario) l'istanza enunciativa prevede l'attività di Antonio che, come
                          narratore di secondo grado (intradiegetico), racconta una storia da
                          cui è assente (narratore eterodiegetico): "I Ca
                                                    stellaresi che hanno fatto questa
                                                    strada col sudore della loro fronte
                                                    —disse Antonio— la mostrano con
                                                    orgoglio, e ne han ragione. Vi raccontano con compiacenza come
                                                    ciascuno dei ciottoli di cui è selciata, fu portato su dalla riva del mare:
                                                    quelli che avean mule adoperanvele, e quelli che non ne avevano, portandone carichi sulle spalle; vi raccontano come tutti, signori e contadini, vecchi e giovani, donne e fanciulli, lavorassero giorno e notte
                                                    senz'altro eccitamento che l'amor
                                                    per la Madonna. La Madonna di
                                                    Lampedusa è la loro fede, la loro occupazione, il loro orgoglio, il loro
                                                    Carroccio, la loro idea fissa".
                                                    
                                                    La ragione del messaggio, di carattere apparentemente documentario,
                                                    rientra nel meccanismo che presiede alle scelte narrative del Ruffini.
                                                    L'autore vuole sottrarre energia ad
                                                    un giudizio demolitore tipicamente
                                                    inglese secondo cui gli Italiani sarebbero o cantanti o briganti o nobili squattrinati e del tutto privi di senso sociale (giudizio peraltro veicolato, assieme ad altri, da Sir John nei
                                                    capitoli II e IV del romanzo).
Il racconto sottende infatti una valutazione etica appena mascherata dalla
                                                    funzione documentaria: che cioè gli Italiani
                                                    sapranno unirsi come fratelli nell'impresa patriottica).
                                                    
  
    
    
    
    
   
   Anche il quinto tempo del racconto (visita al 
   Santuario) è sostenuto dalla istanza enunciativa 
   del narratore di secondo grado (Antonio) che 
   vuole apporofondire e concludere un di
                             scorso già impostato nel quarto tempo
" ..Quanto 
                             si riferisce all'immagine miracolosa - rispose 
                             Antonio - alla data e al modo della sua 
                             
                             traslazione a Castellaro, ci è detto per disteso 
                             in due iscrizioni. Una è in latino, l'altra in cattivi 
                             versi italiani e si possono vedere nell'interno 
                             della piccola cappella del Santuario.
Andrea 
                             Anfosso nativo di Castellaro, capitanando un 
                             bastimento in corsa, fu un giorno attaccato e 
                             disfatto dai Turchi e portato all'sola di 
                             Lampedusa. Qui ne riuscì a  fuggire e 
                             nascondersi, finchè il bastimento turco che 
                             l'aveva catturato lasciasse l'isola. Anfosso, che 
                             era un uomo pieno di espedienti si mise allora 
                             a costruire un battello. Ma trovandosi in 
                             grand'imbroglio per la vela, si azzardò al passo 
                             ardito e originale di prendere dall'altare di non 
                             so quale chiesa o cappella dell'isola, un qua
                                                       dro della Madonna per servRsene di vela. La 
                                                       cosa corrispose a meraviglia al suo intento, che 
                                                       fece un viaggio singolarmente felice di ritorno 
                                                       alle sue rive natie; e in un accesso di generosità 
                                                       offrì quella santa vela all'adorazione de' suoi 
                                                       concittadini.
 A ciò non si ferma il meraviglioso 
                                                       del fatto.
 Per universa acclamazione scelto un 
                                                       posto a circa un dugento passi dal'attuale
                                                       Santuario, vi fu eretta una CAPPELLA [località Costaventosa a circa 500 m. dall'attuale Santuario e di cui sopravvive qualche rudere: dopo le ripetute "fughe" la cappella che ora dà nome al luogo fu abbandonata], ove con 
                                                       ogni debito onor venne posto il dono. Ma la 
                                                       Madonna, a quel che pare, aveva 
                                                       un'insormontabile avversione per quel luogo, 
                                                       chè ogni matfina da Dio messa in terra, il quadro 
                                                       era trovato nel luogo preciso dove sta ora la 
                                                       chiesa.
                                                       
                                                       Furono postate sentinelle alla porta della 
                                                       cappella tutto il paese restò in piedi per notti 
                                                       intere, montando la guardia all'istesso tuttavia 
                                                       tutte
                                                       
 queste precauzioni non valsero a
nulla. A dispetto della più stretta
guardia, l'effigie ora innegabilmente miracolosa, trovò modo di farsi
strada per irsene al posto preferito.
Alla fine i Castellaresi vennero a capire, essere volontà espressa della
Madonna che fosse il suo quartier
generale collocato dove la sua effigie si trasferiva ogni notte. E benchè le fosse piaciuto di scegliersi la
più scoscesa parte della montagna,
che proprio era necessario farvi delle arcate per porre stabili fondamenta al suo Santuario; pure i Castellaresi si posero con amore a quell'impresa loro sì chiaramente rivelata; e
questa cappella nei dintorni tanto
famosa fu compita. Ciò accadde nel
1619. In decorso di tempo vi furono
annesse alcune camere, per comodo dei visitanti e pellegrini, e costrutta una terrazza; e anche in oggi
di molte aggiunte e abbellimenti si
stanno formando progetti, e senza
dubbio saranno eseguiti un giorno;
perchè, quantunque i Castellaresi
abbiano piccola borsa, hanno però
in lor favore la gran leva che puo rimuovere ogno impedimento, quella
che produsse le Crociate".
 Il racconto si articola in due macrosequenze ordinate secondo un parametro spazio-temporale.
 La prima
tratta del ritrovamento e dell'utilizzazione dell'icona; presenta i caratteri della favola ed è articolata secondo le tecniche consuete per tale
istituto letterario.
Il protagonista si costruisce una
barca per fuggire da Lampedusa
(miglioramento da ottenere) ma,
mancando di una vela (ostacolo da
eliminare), utilizza, tra i possibili, un
mezzo perlomeno inusuale con effetti sorprendentemente favorevoli
(successo dei mezi).
 La seconda
macrosequenza (eziologia del Santuario) è complementare e tratta del
"vero miracolo".
 Questa seconda
sezione è strutturata secondo una
scrittura letteraria che presuppone
la mediazione dell'istituto dell'aretalogia classica ancor più che
dell'agiografia cristiana.
 L'intervento superumano si manifesta prima
nella realtà attraverso la sospensione di una legge naturale (alterazione della staticità di un corpo inerte)
                                                                    o
                                                               
                         ed interferisce di riflesso sulla realtà umana, presentando caratteri di
                         eccezionalita tali da turbare l'animo
                         dei Castellaresi.
 A parte l'evento miracolistico e le conseguenze fideistiche, la taumaturgia del fatto, nell'istanza enunciativa di Antonio, si
                         oggettivizza in un positivo fenomeno sociale: di fronte ad uno scopo in
                         cui credono i Castellaresi sanno rinunciare anche al necessario.
                         
                         Il quarto ed il quinto tempo del racconto, al di la della lettura di superficie, sono comunque pluri-isotopi,
                         sono cioe sottesi da più livelli di codificazione che determinano fenomeni di connotazione: (I) I'uomo italiano (Andrea Anfosso ne è un emblema) è ingegnoso, attivo e non si
                         abbandona, come molti stranieri ritengono, ad un inerte languore di
                         fronte ad un ostacolo esistenziale;
                         (II) la fede religiosa dei Castellaresi
                         (solito emblema degli Italiani) è
                         semplice e pulita come la fede
                         evangelica che, secondo un metastorico giudizio romantico, determinò le Crociate; (III) i Castellaresi come tutti gli Italiani sanno trovare la
                         concordia sociale, superare le divisioni e pagare di persona se si offre
                         loro uno scopo superiore da realizzare.
                         
                         II sesto tempo (osservazione di Taggia e del paesaggio circostante
                         dall'area del Santuario) è in apparenza statico e descrittivo, anzi contemplativo, ma nella sostanza costituisce il culmine del racconto, che
                         assume a questo punto i connotati
                         dell'idillio sentimentale.
 La narrazione si articola in tre sezioni distinte cronologicamente in altrettanti
                         momenti: giorno, tramonto, sera.
                         
                         Prima di pranzo Lucy, dall'area antistante al Santuario, contempla lo
                         scenario circostante.
 L'osservazione procede dapprima in maniera circolare abbracciando uno spazio vastissimo delimitato dalle Alpi, dagli
                         ammassi collinosi e dal Mediterraneo.
 Si focalizza quindi sulla linea
                         ideale discendente che congiunge il
                         Santuario con Taggia e si oggettivizza in inquadrature settoriali sempre più ristrette: la valle di Taggia, la
                         vegetazione e le colture, Taggia, il
                         
                         campanile della chiesa dei Domenicani .
                                                   Verso il tramonto, dopo aver pranzato e riposato, Lucy ed Antonio contemplano nuovamente il paesaggio
                                                   ma dalla terrazza del Santuario e secondo una linea di osservazione
                                                   ascendente la cui inquadratura iniziale e il cielo limpido, d'acciaio.
                                                   Quasi di colpo l'osservazione si
                                                   concentra pero sulie catene montuose e sullo scherzo di luci e di ombre che il sole, tramontando, intraprende con ie giogaie dei monti.
                                                   L'idillio raggiunge però l'acme
                                                   quando "la quiete solenne della sera fu subitamente interrotta dalle
                                                   campane delle sei chiese di Castellaro suonanti l'Ave Maria; accompagnate in rapida successione da
                                                   quelle delle chiese molto più numerose di Taggia, e dei lontani conventi de' Cappuccini e de' Domenicani.
                                                   Era il più soave e melanconico concerto immaginabile".
                                                   
                                                   Le considerazioni razionali, le prove
                                                   documentarie, scandite nei tempi
                                                   precedenti, vengono recuperate e
                                                   riassorbite nella sfera superiore del
                                                   sentimento, che è poi in chiave romantica evasione dalla forma.
 Quella natura semplice e solenne, quel
                                                   suono mesto di campane hanno
                                                   evocato nell'animo sensibile di Lucy, accuratamente preparata da Antonio, sentimenti mai provati, una
                                                   nostalgia indefinita (Sehnsucht),
                                                   una riflessione malinconica (Gemuth): "...e Antonio diessi a recitare
                                                   quasi all'orecchio di Lucy quelli impareggiabili versi di Dante tanto citati, e tanto degni d'esser citati ancora:
                                                   
                                                   Era già l'ora che volge il disio
                                                   A' naviganti, e 'ntenerisce il cuore
                                                   
                                                   Lo di c'han detto a' dolci amici: a
                                                                         ddio
                                                                         
                                                   E che lo nuovo peregrin di amore
                                                   Punge, se ode squilla di lontano,
                                                   Che paja il giorno pianger che si
                                                   
                                                                     muore.
                                                                     
                                                   "Non ho sentito mai pienamente
                                                   com'ora — disse Lucy con occhi
                                                   splendenti di luce— tutto il patetico di questi bei versi. Il rammarico
                                                   per la patria lontana, che spira da
                                                   essi, penetra al piu intimo del cuore.
                                                   Denno essere stati scritti in un'ora
                                                   come questa." "E da un esule —ag
                                                   
                                                   
                                                                       
     
     
  
     
    giunse Antonio — Probabilmente
    gli occhi del gran Ghibellino erano
    rivolti ad una catena di monti simili
    a quella che ci sta dinanzi, la quale
    si frapponeva fra lui e il bello ovile
    ov'ei dormì agnello, / Nimico ai lupi
    che gli fanno guerra".
    
    Quel "non ho sentito mai" è di per
    sè un programma; le nozioni letterarie apprese razionalmente sono ora
    sentite a quel livello supremo ed
    indistinto che è la coscienza più
    profonda e genuina.
 La facoltà giudicatrice, i dubbi, le domande e le
    stesse risposte qui non hanno più
    senso; anche il realismo, abbastanza banale, dei tempi precedenti, perse le sue funzioni strumentali, svanisce nel nulla.
 Tutto il viaggio al
    Santuario assume a questo punto i
    connotati di un vettore morale cui è
    demandata la funzione di condurre
    la fanciulla al tempo supremo della
    "Gemuth".
 Nei precedenti capitoli Antonio ha guidato Lucy attraverso l'lnferno del pregiudizio e nel Purgatorio del dubbio e l'ha emancipata dalla schiavitù delle prevenzioni verso
    l'ltalia e gli Italiani (liberali e no). Nel
    capitolo XV l'inglesina giunge nel
    Paradiso dell'intuizione metafisica;
    la fanciulla, finalmente purificata"
    è ora in grado di sentire il dramma
    dell'esule (e quindi del liberale, la figura di Italiano più perseguitata
    dall'opinione pubblica inglese).
    
    Secondo una storica pregiudiziale
    inglese del primo '800 poche situazioni potrebbero essere più preoccupanti di questa gita al Santuario:
    una nobile e fragile inglesina, un
    esule forse cospiratore, una terra
    popolosa e povera, frequentata da
    briganti e tormentata da un clima
    impossibile, la gita a un tempio simulacro deli'idolatria papista.
 E
    invece l'lnferno possibile si rivela di
    fatto una piccola Arcadia: l'esule è
    un giusto e un colto, l'ambiente è
    rasserenante, la gente industriosa,
    socievole, quasi reverente, nel Santuario non v'è traccia di paganesimo; la fanciulla inglese non e affatto turbata anzi sente profondamente la bellezza di quella terra e la
    struggente malinconia di chi lotta
    per essa.
    
    Non fa quindi meraviglia che, all'apparire del romanzo, gli Inglesi ven
                              gano subito colpiti e incuriositi da
                              questo episodio; la disposizione lineare delle frasi (anche nell'originale) emette un segnale stilistico piuttosto debole che non disturba e
                              l'umana sincerità che traspare dal
                              racconto (come da tutto il romanzo)
                              contribuisce a suscitare, sin dalla
                              prima edizione, un diverso e meno
                              severo interesse per l'ltalia.
                              
                              II capitolo XV de Il Dottor Antonio
                              non costituisce indubbiamente lo
                              "Spannung" del romanzo, cioé il momento estremo di tensione; e tuttavia possibile che costituisca il tempo cardine di prima intuizione attorno al quale è stata poi costruita l'intiera opera narrativa. Non è un'illazione critica sostenere, col Varnai,
                              che, proprio nei lughi descritti nei
                              capitoli XV-XVII, Ruffini abbia concepito il nucleo idilliaco de "Il Dottor
                              Antonio".
 Nella primavera del 1853
                              Giovanni, assieme alla Turner, si reca a visitare la madre a Taggia; egli
                              stesso ammette che l'idea del lavoro gli venne contemplando dal PONTE SULL'ARGENTINA sull'Argentina, in compagnia dell'amica inglese, quello stesso suggestivo paesaggio che attrae Lucy
                              ed Antonio.
 In conseguenza di tale
                              evento e del particolare rapporto
                              sentimentale ed intellettuale con la
                              Turner non è improbabile che il Ruffini abbia maturato il genotesto,
                              cioè il luogo profondo dell'elaborazione del romanzo.
 Secondo questo
                              ordine di idee il "capitolo XV" sarebbe
                              la traccia superstite dell'originaria
                              intuizione, successivamente ampliata, integrata ma sempre così viva nella coscienza dell'autore da essere manifestata nelle strutture linguistiche.
 In conclusione non è improbabile che questo romanzo, programmaticamente non autobiografico per voluta antitesi col "Lorenzo
                              Benoni", abbia il suo arcaico motore
                              in una esperienza vissuta ("Erlebnis")
                              successivamente trasvalutata nell'espressione artistica. II che ci porta a ritenere che per molti aspetti la
                              passeggiata ed il dialogo tra Lucy
                              ed Antonio siano la registrazione,
                              alterata a livello estetico ma non sostanziale, di un simile evento, verificatosi nel reale tra il patriota Giovanni e la patetica inglesina Cornelia (Turner).
                                                        
                                                        
                                                        In teoria "Il Dottor Antonio", come sostiene il Varnai, non esisterebbe;
                                                        esisterebbe piuttosto un romanzo
                                                        inglese "Doctor Antonio" composto
                                                        dal Ruffini sotto la guida della Turner e della Jenkin (con la prima Giovanni convisse per 28 anni).
 Dopo
                                                        due anni di lavoro (1853-5) il "Doctor
                                                        Antonio" fu inviato nel luglio 1855
                                                        all'editore Constable di Parigi; nello
                                                        stesso anno uscì ad Edimburgo con
                                                        una sommaria premessa.
 II "Dottor
                                                        Antonio" giunse in Italia nel 1856 attraverso la traduzione di "Bartolomeo Acquarone" forse un po' banale
                                                        ma corretta ed assai letterale (oltre che accettata dal Ruffini).
 Per questa via il romanzo si collocò con notevole successo nella narrativa italiana contemporanea e per questo
                                                        motivo ho ritenuto giusto valutarlo
                                                        come un prodotto, magari atipico,
                                                        della nostra letteratura ottocentesca.