Inf. a cura di B. E. Durante

Un attestato importante dell'operosità della colonia di emigrati italiani in Buenos Aires nel XIX secolo fu dato dall'ideazione e quindi dall'erezione di un importante nosocomio, poi denominato OSPEDALE ITALIANO.
Il Commissario regio sabaudo Cerruti aveva già fatto rilevare la carenza di strutture sanitarie nella capitale argentina: effettivamente a Buenos Aires esisteva un ospedale indigeno, ma con notevoli carenze strutturali, e ne esistevano due, peraltro non particolarmente grandi, a servizio delle comunità di emigrati francesi ed inglesi, numericamente molto inferiori a quella italiana (rispettivamente la metà e addirittura un quinto). Nel volume da cui prendono spunti queste osservazioni (Storia dell'emigrazione italiana in Argentina (1810-1870), Milano, 1940, pp.166 sgg.) Niccolò Cuneo ha lasciato scitto in merito a questa iniziativa alcune osservazioni assai interessanti.
Già ai tempi della dittatura di Rosas si era ipotizzata la costruzione di un ospedale italiano ma la cosa non sarebbe andata a buon fine per una malcelata opposizione dello stesso tiranno. Dopo la sua caduta e con nuovi orizzonti politici l'iniziativa risultò fattibile ed in particolare grazie all'entusiasmo proprio del Commissario Regio dello Stato Sabaudo Cerruti . Una rappresentanza autorevole della colonia italiana, presi i dovuti contatti, si adunò nell'abitazione di un agiato commerciante ligure, tal Bartolomeo Viale, il 27 novembre 1853 ove "in presenza dell'Incaricato e del Comandante Albini, dopo avere sottoscritto una lista della complessiva somma di piastre 181 procedeva alla nomina di una Commissione Provinciale alla quale conferiva il mandato di promuovere delle sottoscrizioni, di scegliere un terreno, di aprire un concorso fra gli architetti, di nominare un Giurì per la scelta del piano e di renderne conto al Commissario Regio (il Cerruti) onde porlo in grado di fissare il giorno del collocamento della prima pietra e di dirigerne la cerimonia".
Attesa una mancanza di simpatia e di collaborazione, per cause di ordine sia professionale che personale, tra M. Cerruti ed A. Dunoyver de Mont Millan, Console Generale sabaudo a Buenos Aires, proprio quest'ultimo, che secondo gli accordi avrebbe dovuto presiedere l'istituenda Commissione Provinciale, creò non poche difficoltà.
Anche se non sempre le critiche del Console Generale furono senza motivo, la sostanza delle stesse dipendeva però soprattutto da uno stato di gelosia avverso il Cerruti che, di fatto, essendo ligure risultava assai più considerato dalla potente componente genovese della colonia italiana in Buenos Aires di quanto lo fosse lui, ritenuto, più o meno fra le righe, un burocrate, codino "savoiardo.
Prescindendo da siffatte ripicche, più o meno personali, l'iniziativa filantropica procedette e particolarmente per l'impegno del sacerdote ligure Giuseppe Arata, amico personale di Giuseppe Garibaldi, di cui il Cerruti e l'Albini avevano presto imparato ad apprezzare l'abilità. Costui, una volta iniziate le sottoscrizioni, oltre che di 400 pesos fece dono all'Opera Pia dell'Ospedale di un terreno, stimato 1600 pesos d'oro : visto però che non si trattava di un'area idonea per edificarvi il nosocomio il Sovrano sabudo, cui era stata intestata l'area, ne autorizzò la vendita a beneficio del capitale dell'ospedale.
Per questo venne poi trovato un terreno ideale, nei pressi di via Bolivar y Cesaros, ed i commissari regi Cerruti ed Albini lo assimilarono in forza di un rogito notarile data 14 febbraio 1854.
Nel successivo mese di marzo, per la precisione il giorno 16, la "Commissione Provvisoria" espletò il suo mandato ed in luogo d'essa venne nominata una "Commissione Edilizia" cui transitarono tutte le competenze di direzione e sorveglianza per la costruzione da farsi. Anche questa venne scelta, per elezione, in casa di Bartolomeo Viale e risultò formata in prevalenza, come si evince da una semplice lettura dell'onomastica dei membri, da componenti di ascendenza ligure. Al riguardo nell'atto di ratifica si legge che tale "Commissione Edilizia" risultava costituita da "Regio Console Generale: presidente nato, Regio Vice Console: Segretario nato; Amadeo Luigi, vice-presidente; Coelho de Meyrelles, vice-presidente; Antonio Giacinto Caprile, cassiere; Demartini Giovanni; Mazzini Giuseppe (il medico); Arata Giuseppe (sacerdote); Corti Giacomo; Demarchi Antonio; Delfino Bernardo; Viale Bartolomeo; Rubbio Giovanni; Muratori Giuseppe; Maggiolo Filippo; Repetto Luigi, membri. Amoretti Giovanni, Cichero Sebastiano, Delfino Antonio, Devincenzi Giovanni, Ravire Claudio, Pinoli Clemente, avvocato; membri onorari con voto consultivo".
Così il 12 marzo del 1854 si addivenne alla posa della prima pietra essendo presenti in rappresentanza del Sovrano sabaudo il Cerruti e l'Albini, tre mebri della "Commissione" e, testimonianza del peso dato dall'amministrazione locale all'iniziativa degli emigrati italiani, lo stesso Governatore di Buenos Aires D. Pastor Obligado accompagnato da tre ministri.
Sull'utilità di questa istituzione curativa e profilattica si espresse anche un giovane ricercatore, destinato a celere fama: si trattava di Paolo Mantegazza giunto in Argentina proprio nel 1854, a soli 23 anni, per esercitarvi la professione di medico ma che presto si spinse ad investigare l'ambiente popolato dagli Indi, che in particolare studiò nel corso della sua permanenza nel Nord Ovest del Plata e pure compiendo quelle escursioni nell'Entre Rios e nel Paraguay che principalmente lo avrebbero poi indotto allo studio dell'antropologia: sarebbe comunque rimasto a Buenos Aires sino al 1859, e tenendo sempre costruttivi contatti con l'Ospedale Italiano, allorquando, avendo vinto la cattedra di patologia generale presso l'Università di Pavia, decise di lasciare il Sudamerica, venendo un'ultima volta onorato, per i suoi già riconosciuti meriti scientifici, dal Governo argentino che espressamente gli chiese, quale ultimo suo contributo, di scegliere il titolare che avrebbe dovuto ricoprire la cattedra di matematica all'Università di Buenos Aires.